«Oscar
Wilde, di nuovo?». Alzo la testa dal libro e annuisco a
Francis. Abbiamo perso
il conto del numero di volte che ho letto Il Ritratto di Dorian Gray e
le varie
commedie teatrali di Wilde. E sì, so citare buona parte dei
suoi aforismi a
memoria. Non è ancora stato scientificamente spiegato il
motivo, ho solo un
amore incondizionato per quell’uomo e non credo ci sia nulla
che potrà mai
farmi cambiare idea. «Qualche nuova scoperta?»
«Direi
di no: la parte in cui parla delle pietre è noiosa come
sempre». Francis
annuisce e torna a mangiucchiare la matita che sta usando per
sottolineare le
pagine di un grosso libro di anatomia. Cerco con lo sguardo Rain e la
trovo intenta
a disegnare qualcosa impugnando la matita talmente forte che potrebbe
spezzarsi
da un momento all’altro. Poso il libro e la raggiungo, senza
che lei si accorga
di nulla visto che sta ascoltando della musica con le cuffiette,
mettendomi
alle sue spalle: sta copiando un’immagine dei Shannon, Tomo e
Jared, e lo sta
facendo un modo assolutamente splendido. Le picchietto una spalla e
quando si
volta alzo il pollice in segno di approvazione e lei sorride
togliendosi le
cuffie. «Fa parte di un progetto che mi è venuto
in mente, ma ve lo spiego
dopo, altrimenti perdo l’ispirazione».
Confusa
e curiosa come non mai, me ne ritorno al mio libro con tutta
l’intenzione di
finirlo. Qualche istante dopo – che si rivelano essere due
ore – sento qualcosa
vibrare vicino a me. Scocciata mi sposto un po’ sulla
poltrona, come se quello
potesse scacciare l’odiosa sensazione. Non se ne va,
ovviamente. Sbuffo e solo
in quel momento mi accorgo che è il mio telefono. Mi fiondo
a rispondere senza
nemmeno guardare chi stia chiamando per paura di mancare la chiamata.
«Hi. Umh,
pronto?»
«Che
è, ti sei dimenticata l’italiano adesso?»
«Ma
chi parla?»
Silenzio.
«Potrei essermi offesa, non riconosci nemmeno la mia voce.
Sono Elisa».
«Teeeesoro»,
esclamo, «scusa, scusa scusa, stavo leggendo e sai che non
capisco più una
ciospa quando leggo».
«Certo,
certo. Allora, novità? Cosa farete oggi, andrete a conoscere
mamma Constance?»
«Elisa…»
«Elisa
un corno! Spunto robaccia verde, meglio conosciuta come invidia, da
giorni. E
voi, maledettissime che non siete altro, non mi raccontate mai
nulla».
«Sai
com’è, una chiamata in Italia costa un occhio
della testa. A proposito, ma tu
da che numero stai chiamando?». Stacco il telefono
dall’orecchio ma appare solo
una fila di numeri a me sconosciuti. Colgo l’occasione e
metto in vivavoce,
facendo segno alle altre di avvicinarsi.
«Quello
del lavoro. Ma che cos’è questo casino?»
«Sei
in vivavoce. E Rain si stava ammazzando su una delle mie scarpe.
Ops».
«Ops
sto par di palle», risponde lei fulminandomi con lo sguardo.
«Pace
e amore, per favore», dice Francis. «Ciao
Eli».
«Francis,
luce dei miei occhi, amore della mia vita, sbaglio o dovevi raccontarmi
qualcosa riguardo a un certo massaggio fatto a Shannon?»
Corruccio
la fronte e volto lo sguardo in direzione di Francis. «Che
massaggio?»
«Sì,
quale massaggio?», rimarca Rain.
La
faccia di Francis diventa di un indefinito colore rosso e
improvvisamente
sembra essere seduta su un letto di spine. «Ma niente, quando
l’ho accompagnato
a fare quegli esami, gli è preso una specie di crampo ad una
gamba, per cui mi
sono cimentata in uno di quei massaggi che mi hanno insegnato al corso
di
pronto soccorso. Niente di che».
«È
perché sei arrossita?», chiede Rain.
«Sei
arrossita?», domanda a sua volta la voce di Elisa dalla
cornetta.
«Non
sono arrossita! È solo questo maledetto caldo».
Sbuffo.
«Sei arrossita».
«Smettetela.
Hai finito i preparativi per la festa, Elisa?», domanda
Francis per sviare il
nostro attacco.
«Sì,
ma voi non ci sarete», dice lei con un tono che mi fa sentire
in colpa. Il caso
– beh, non proprio il caso, dato che non avremmo
già dovuto essere rientrate in
Italia – ha voluto che abbia fissato la festa dei suoi
diciannove anni circa
una settimana prima del nostro ritorno.
«Sai
che ci dispiace. Ti porteremo un sacco di regali», dice Rain.
«Ma
a me basta che vi ficcate Shannon in valigia, come regalo è
più che sufficiente».
«Non
possiamo prometterti niente, ma faremo del nostro meglio»,
ridacchio.
«Sarà
il caso, altrimenti me la lego al dito».
C’è un momento di silenzio e poi
sentiamo un suo sospiro. «Ma siete sicure sicure che non
tornerete per il
tredici ovvero tra quattro giorni? No, perché se non
è vero e me lo state
dicendo solo per farmi una sorpresa allora potete anche dirmelo.
Farò finta di
non averlo saputo. Farò la faccia stupita».
Guardo
le altre e so che la loro espressione è specchio della mia.
«No piccola, non ci
saremo davvero. Abbiamo l’aereo già prenotato per
il venti di agosto e prima
non riusciamo a spostarlo», dice Francis in un tono che
racchiude tutta la
nostra tristezza.
Elisa
rimane in silenzio per qualche secondo. «Va bene. Allora io
aspetto Shannon eh».
Ridacchiamo
con ancora però un peso sullo stomaco. «Tanto
è nano, in valigia ci sta»,
scherza Rain.
«Pesa
un po’ troppo per poterlo spedire come bagalio in
stiva», ragiono.
«Troveremo
un modo», conclude Francis, pragmatica come sempre.
«Ora
devo andare, mi aspettano un mucchio di scartoffie inutili. Sappiate
che se non
mi chiamate voi la prossima volta io non vi parlo più. Lo
giuro sulla mia chitarra».
«È
una cosa seria, allora!», esclamo. Da quando abbiamo
conosciuto Elisa in un
gruppo di echelon su internet, scoperto che viveva in una
città vicina alla
nostra, è sempre stato chiaro che la sua chitarra, la sua
musica, i testi delle
sue canzoni e i suoi sogni legati a tutto ciò che riesce a
produrre
strimpellando delle corde di ferro, erano la cosa più
importante per lei.
All’inizio non ci credeva. In se stessa, nel suo sogno e
nelle possibilità che
questo un giorno avrebbe potuto realizzarsi. Una piccola parte di lei
probabilmente non ci crede ancora adesso, come succede sempre a tutti.
Era
successo comunque, come succede alla maggior parte degli echelon, che
un giorno
lei avesse capito che vale sempre la pena lottare per ciò
che ci fa stare bene.
Glielo aveva suggerito una vecchia frase pronunciata da Shannon nella
quale
parlava di quel suo periodo nero, o quel video nel quale Tomo diceva
che stava
quasi per abbandonare la musica, fino a quando non è stato
scelto, ed è stata
la cosa migliore della sua vita. Ecco, io sono convinta che la cosa
migliore
della vita di Elisa sia la sua bellissima voce, il modo in cui il suo
timbro
accompagna alla perfezione le parole che ha buttato giù di
suo pugno, su cui ci
è stata pomeriggi interi. So che un giorno
smetterà di sistemare documenti in
quell’ufficio e verrà scelta anche lei.
È per questo motivo che prendo le sue
parole sul serio: se ci dimenticassimo di lei nel momento in cui noi
stiamo
vivendo il sogno che avrebbe voluto vivere anche lei, ne rimarrebbe
molto
ferita. «Mi metto un post-it sulla fronte. Anzi, lo metto su
quella di Francis
così ce l’ho sempre davanti e non me ne
dimentico».
«Perché
la mia fronte e non quella di Rain?»
«La
tua è più spaziosa». Mi guarda in
cagnesco e il alzo le spalle, accennando un
sorriso.
«Parola
di lupetto?», chiede Elisa.
«Parola
di echelon», ribattiamo tutte e tre contemporaneamente. Dopo
averla salutata
con calore la salutiamo e chiudiamo la chiamata.
«Dobbiamo
organizzare qualcosa», dice Francis.
«Sì»,
risponde Rain, «ma cosa?»
«Credo
di avere un’idea, ma abbiamo bisogno di tre personcine a
caso. Usciamo a
prendere delle ciambelle?».
Alla
mia affermazione un sorriso affiora sui volti delle mie amiche.
«Ormai abbiamo
scoperto il modo per corromperli, tanto vale approfittarne».
***
Quattro
giorni dopo, tredici agosto, giorno del diciannovesimo compleanno di
Elisa.
«Siete
pronti?», chiede Rain.
«È
la millesima volta che ce lo chiedi. Non
sarai mica una di quelle che se le cose non vanno come vuole lei allora
succede
l’apocalisse come Emma, vero?», dice Shannon, il
tono una via di mezzo tra un
lamento e una
supplica.
«Sono una
di quelle che ci tiene molto a che i piani vengano rispettati. Non mi
piacciono
le brutte sorprese».
Shannon
alza gli occhi al cielo. «Signore aiutaci tu».
Mi avvicino
e gli metto una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione.
«Io non mi
metterei contro di lei in questi momenti. Se davvero
qualcosa andrà storto lei vi ucciderà. E no,
“ma io sono
Shannon Leto” non ti salverà questa volta, caro
mio», dico a bassa voce in modo
che Rain non possa sentirmi.
«Siamo
pronti», dice Tomo. «Quando la video chiamata
partirà noi dobbiamo parlare con
la vostra amica e farle tanti auguri. Tutto questo perché
non potrete essere
presenti alla sua festa. A questo punto, nelle indicazioni che ci hai
lasciato»,
e con un dito punta Rain, «c’era un NB molto grande
che diceva che questa Elisa
è follemente e nemmeno tanto segretamente innamorata di
Shannon».
«E quindi tu, Shannon Leto, che cosa devi fare?»
,
chiede Francis.
«Devo,
punto uno, togliermi gli occhiali da sole, ma non subito,
perché è risaputo che
gli occhiali piacciono molto alle echelon perché mi rendono
più misterioso e
affascinante, e punto due farle dei calorosi auguri dispensandole
sorrisi e faccini
dolci ogni due per tre».
«Te
lo sei imparato a memoria?», domando.
«Questa
cosa che se i piani non vanno come devono andare Rain mi farà a
pezzettini non mi piace per niente,
per cui sì, mi sono imparato a memoria tutto».
Gli
do due pacchette sul braccio. «L’istinto di
sopravvivenza è proprio una bella
cosa».
«Jared?»,
chiede Rain.
Lui
alza la testa dal suo Black berry e ci guarda spaesato. «Non
era specificato
che cosa devo fare perché sono un attore e posso benissimo
improvvisare. Parole
tue, Rain».
«E
cosa improvviserai?», domanda lei smaniosa di sapere.
«Se
è un improvvisazione non è programmata. Non so
che cosa dirò alla vostra amica».
Sento
i denti della mia amica digrignare. «Va bene, Jared, ma per
favore, ti
supplico, non fare la diva mestruata».
«La
che?»
«Niente»,
dice Francis. «Siate solo voi stessi e Elisa avrà
il miglior regalo di
compleanno di sempre, okay?»
Rispondono
con un ‘kay biascicato tutti e tre. «Shannon, tu
starai vicino a me mentre farò
partire la videochiamata dato che sei il vecchietto infermo della
situazione»,
gli dico sedendomi accanto a lui nelle gradinate vicino alla pista da
pattinaggio.
La mia splendida idea è stata ricreare uno dei compleanni di
Jared, dato che
lui sembrava aver apprezzato molto, e sono quasi certa lo
farà anche Elisa.
Abbiamo quindi proposto ai ragazzi di trascorrere con noi la giornata
in un
pista da pattinaggio – non sul ghiaccio, nemmeno qui a Los
Angeles ricreano delle
piste ghiacciate interne nel pieno di agosto, immagino sarebbe troppo
costoso –
e con grande sorpresa hanno accettato dicendo “un
po’ di allenamento ci farebbe
proprio bene”. Shannon e il suo ginocchio si sono rifiutati
di indossare quegli
oggetti infernali conosciuti anche come pattini, e devo dire che
nemmeno io
smanio dalla voglia di imprigionare i miei piedi in quei cosi, per cui
sto
mantenendo un profilo basso sperando che le altre non si accorgano dei
miei
piani. Non sono mai stata una persona stabile nemmeno con addosso delle
Converse,
figuriamoci con delle rotelle sotto la pianta del piede. Rabbrividisco.
No,
pattinerò solo se portata di peso sulla pista. E con una
pistola puntata alla
testa. «You ready Shannimal?». Lui mi guarda storto
e poi annuisce alzando gli
occhi al cielo. «Voi», dico in tono più
alto in modo che mi possano sentire dal
centro della pista, «tutto okay?». Quattro pollici
si alzano in segno
affermativo e io premo il tasto verde sullo schermo per far partire la
chiamata.
Quando
vedo la faccia di Elisa comparire sullo schermo del telefono, mi apro
in un
grande sorriso. «Allora, vecchietta, rughe nuove? Sono
più o meno sicura tu ne
abbia, ma sai, con questa connessione non si vede tanto bene. Hai la
faccia a
quadratini».
«Oh,
ciao anche a te Deborah, e grazie per gli auguri! Simpatica come una
pigna nel
culo come al solito. Le altre?»
«Sono
uscite un po’ di tempo fa e non sono ancora
rientrate».
«Uh».
«Senti,
so che sei molto triste che non siamo lì con te,
ma…» il telefono mi viene
strappato via dalle mani.
«Hi Elisa,
I’m Shannon, how are you? Mi
hanno detto
che oggi è il tuo compleanno, per cui tanti
auguri». Allarme rosso: Shannon non
sta rispettando i piani. Lo guardo interrogativa e lui alza le spalle,
per poi
continuare a parlare allo schermo. «Deborah ci stava mettendo
troppo tempo. Immagino
che ti abbiamo detto quanto gli dispiaccia migliaia di volte, Shannon
che ti fa
gli auguri capita solo una volta nella vita».
«Oh
porca troia». Sono le esatte parole che passano attraverso i
fili telefonici di
tutto il mondo dopo alcuno secondi di totale mutismo da parte sua. La
faccia di
Elisa sembra improvvisamente di marmo. Ha avvicinato gli occhi allo
schermo del
telefono, presuppongo per accertarsi che quello che ha davanti sia
davvero Shannon
Leto. Al secondo
«cazzo» immagino si sia
convinta che lo sia.
«What?»,
chiede Shannon, un sorrisino sulle labbra: sono sempre stata convinta
che le
imprecazioni siano internazionali. Forse non sai tradurle nella tua
lingua, ma
sai che quella è una parolaccia, lo sai e basta.
«Nothing. Omg,
Shannon thank you!»
«Oh»,
si passa una mano fra i capelli di nuovo lunghi,
«you’re welcome. So you’re nineteen now».
«Nineteen and looking
for a man. Will you marry
me?».
Shannon
scoppia a ridere. «Maybe one day», e gli fa
l’occhiolino. Non posso vedere bene
l’espressione della mia amica, ma sembra quasi stia per
soffocare.
Mi
avvicino a Shannon per apparire nell’inquadratura.
«Va bene anche se non l’abbiamo
impachettato e spedito in valigia? È un rottame, si sarebbe
sicuramente
distrutto».
«Va
benissimo», ridacchia Elisa.
«Com’è
il respiro, infarti in corso o puoi resistere ancora? Perché
ci sarebbe un’altra
sorpresina, se non sei troppo su di giri a causa dello
scimmione…».
«Su
di giri io? Ma che dici. Io amo le sorprese. Dimmi l’altra
sorpresa».
«Okaaaaay».
Volto il telefono e Tomo, Jared, Rain e Francis cominciano a pattinare
verso me
e Shannon cantando Happy birthday a squarciagola. Sento Elisa battere
le mani e
ridere come una pazza dall’altro capo del telefono. Una volta
arrivati davanti
a me cominciano uno alla volta a salutarla e farle gli auguri ognuno a
modo
proprio.
«Grazie
grazie grazie, è il più bel regalo di sempre
ragazze», dice lei, la felicità
fatta persona. Parliamo con lei ancora qualche minuto ed è
come se lei fosse li
con noi, la sentiamo molto vicina e capiamo che la nostra sorpresa ha
davvero
funzionato. Quando termina la chiamata, con la promessa di vederci
appena
saremo tornate a casa, mentre appoggio il telefono sulla superficie
affianco a
me, sento qualcosa che mi picchietta la spalla. Alzo gli occhi ed
è Jared con
dei pattini in mano. Scuoto la testa. «Su quei cosi non ci
salgo nemmeno se mi
punti una pistola alla tempia e poi decidi che è una morte
troppo veloce e
cominci a torturarmi».
Sorride
e mi porge la mano. «Non sali su quei cosi nemmeno se io ti
tengo fino a che
non impari bene come si fa? Giuro che non ti faccio cadere, sono molto
bravo».
Nessun
trasporto di peso sulla pista e nessuna pistola alla tempia: faccio un
grosso
sospiro e allungo il braccio per acciuffare gli oggetti infernali e,
una volta
infilati, alzo lo sguardo incrociando quelli di Jared. «E
adesso?»
«E
adesso alzi il culo da quella panchina».
«Facile
come bere del caffè, mi dicono».
«Deborah».
«Sì,
sì, è il mio nome, quale sorpresa!».
Non so come, opto per qualche miracolo del
cielo, riesco ad alzarmi e a non cadere rovinosamente al primo passo.
«Non
fissarti i piedi, guarda me», dice lui, un sorriso di
incoraggiamento sulla
faccia. Scoppio a ridere fragorosamente. Forse non lo sa, ma la mia
stabilità,
se lui mi è vicino, è ancora più in
pericolo. Figuriamoci se devo guardarlo dritto
in volto. «Perché ridi?»
«Niente,
niente. Quindi, cammino?»
Si
posiziona davanti a me e mi porge entrambe le mani, che prontamente
stringo con
le mie. «Cammina. Al massimo mi curerò
personalmente di raccogliere i tuoi
brandelli dall’asfalto con un cucchiaio».
So
che sono in tremendo ritardo, e vi chiedo scusa, ma sono stata travolta
da un
turbinio di cose. In ogni caso dedico questo capitolo ad Elisa, la mia
nuova
sister, da cui ho preso ispirazione per parlare del nuovo personaggio.
Sono
davvero contenta di averti conosciuta e so, anche se tu non lo sai o
non ci
credi, che ce la farai con la tua musica. Ne sono sicura.
Una
ciambella di dunkin donuts (sono appena tornata da Berlino e il mio
organismo
ne è assuefatto, ma che ci volete fare, la mint donut
è troppo buona,
irresistibile), Deb.