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Autore: sleepingwithghosts    28/02/2014    2 recensioni
(...) mi ripetete come, di preciso, riusciremo a scovare Jared, Shannon e Tomo?»
Una malsana idea nata subito dopo aver visto Artifact. Tre amiche che partono alla ricerca dei loro eroi, prendendo un volo last minute per Los Angeles e che finiranno per mangiare tante ciambelle, questo è sicuro. Ma li incontreranno? Ci riusciranno davvero? Che l'avventura abbia inizio.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Oscar Wilde, di nuovo?». Alzo la testa dal libro e annuisco a Francis. Abbiamo perso il conto del numero di volte che ho letto Il Ritratto di Dorian Gray e le varie commedie teatrali di Wilde. E sì, so citare buona parte dei suoi aforismi a memoria. Non è ancora stato scientificamente spiegato il motivo, ho solo un amore incondizionato per quell’uomo e non credo ci sia nulla che potrà mai farmi cambiare idea. «Qualche nuova scoperta?»

«Direi di no: la parte in cui parla delle pietre è noiosa come sempre». Francis annuisce e torna a mangiucchiare la matita che sta usando per sottolineare le pagine di un grosso libro di anatomia. Cerco con lo sguardo Rain e la trovo intenta a disegnare qualcosa impugnando la matita talmente forte che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro. Poso il libro e la raggiungo, senza che lei si accorga di nulla visto che sta ascoltando della musica con le cuffiette, mettendomi alle sue spalle: sta copiando un’immagine dei Shannon, Tomo e Jared, e lo sta facendo un modo assolutamente splendido. Le picchietto una spalla e quando si volta alzo il pollice in segno di approvazione e lei sorride togliendosi le cuffie. «Fa parte di un progetto che mi è venuto in mente, ma ve lo spiego dopo, altrimenti perdo l’ispirazione».

Confusa e curiosa come non mai, me ne ritorno al mio libro con tutta l’intenzione di finirlo. Qualche istante dopo – che si rivelano essere due ore – sento qualcosa vibrare vicino a me. Scocciata mi sposto un po’ sulla poltrona, come se quello potesse scacciare l’odiosa sensazione. Non se ne va, ovviamente. Sbuffo e solo in quel momento mi accorgo che è il mio telefono. Mi fiondo a rispondere senza nemmeno guardare chi stia chiamando per paura di mancare la chiamata. «Hi. Umh, pronto?»

«Che è, ti sei dimenticata l’italiano adesso?»

«Ma chi parla?»

Silenzio. «Potrei essermi offesa, non riconosci nemmeno la mia voce. Sono Elisa».

«Teeeesoro», esclamo, «scusa, scusa scusa, stavo leggendo e sai che non capisco più una ciospa quando leggo».

«Certo, certo. Allora, novità? Cosa farete oggi, andrete a conoscere mamma Constance?»

«Elisa…»

«Elisa un corno! Spunto robaccia verde, meglio conosciuta come invidia, da giorni. E voi, maledettissime che non siete altro, non mi raccontate mai nulla».

«Sai com’è, una chiamata in Italia costa un occhio della testa. A proposito, ma tu da che numero stai chiamando?». Stacco il telefono dall’orecchio ma appare solo una fila di numeri a me sconosciuti. Colgo l’occasione e metto in vivavoce, facendo segno alle altre di avvicinarsi.

«Quello del lavoro. Ma che cos’è questo casino?»

«Sei in vivavoce. E Rain si stava ammazzando su una delle mie scarpe. Ops».

«Ops sto par di palle», risponde lei fulminandomi con lo sguardo.

«Pace e amore, per favore», dice Francis. «Ciao Eli».

«Francis, luce dei miei occhi, amore della mia vita, sbaglio o dovevi raccontarmi qualcosa riguardo a un certo massaggio fatto a Shannon?»

Corruccio la fronte e volto lo sguardo in direzione di Francis. «Che massaggio?»

«Sì, quale massaggio?», rimarca Rain.

La faccia di Francis diventa di un indefinito colore rosso e improvvisamente sembra essere seduta su un letto di spine. «Ma niente, quando l’ho accompagnato a fare quegli esami, gli è preso una specie di crampo ad una gamba, per cui mi sono cimentata in uno di quei massaggi che mi hanno insegnato al corso di pronto soccorso. Niente di che».

«È perché sei arrossita?», chiede Rain.

«Sei arrossita?», domanda a sua volta la voce di Elisa dalla cornetta.

«Non sono arrossita! È solo questo maledetto caldo».

Sbuffo. «Sei arrossita».

«Smettetela. Hai finito i preparativi per la festa, Elisa?», domanda Francis per sviare il nostro attacco.

«Sì, ma voi non ci sarete», dice lei con un tono che mi fa sentire in colpa. Il caso – beh, non proprio il caso, dato che non avremmo già dovuto essere rientrate in Italia – ha voluto che abbia fissato la festa dei suoi diciannove anni circa una settimana prima del nostro ritorno.

«Sai che ci dispiace. Ti porteremo un sacco di regali», dice Rain.

«Ma a me basta che vi ficcate Shannon in valigia, come regalo è più che sufficiente».

«Non possiamo prometterti niente, ma faremo del nostro meglio», ridacchio.

«Sarà il caso, altrimenti me la lego al dito». C’è un momento di silenzio e poi sentiamo un suo sospiro. «Ma siete sicure sicure che non tornerete per il tredici ovvero tra quattro giorni? No, perché se non è vero e me lo state dicendo solo per farmi una sorpresa allora potete anche dirmelo. Farò finta di non averlo saputo. Farò la faccia stupita».

Guardo le altre e so che la loro espressione è specchio della mia. «No piccola, non ci saremo davvero. Abbiamo l’aereo già prenotato per il venti di agosto e prima non riusciamo a spostarlo», dice Francis in un tono che racchiude tutta la nostra tristezza.

Elisa rimane in silenzio per qualche secondo. «Va bene. Allora io aspetto Shannon eh».

Ridacchiamo con ancora però un peso sullo stomaco. «Tanto è nano, in valigia ci sta», scherza Rain.

«Pesa un po’ troppo per poterlo spedire come bagalio in stiva», ragiono.

«Troveremo un modo», conclude Francis, pragmatica come sempre.

«Ora devo andare, mi aspettano un mucchio di scartoffie inutili. Sappiate che se non mi chiamate voi la prossima volta io non vi parlo più. Lo giuro sulla mia chitarra».

«È una cosa seria, allora!», esclamo. Da quando abbiamo conosciuto Elisa in un gruppo di echelon su internet, scoperto che viveva in una città vicina alla nostra, è sempre stato chiaro che la sua chitarra, la sua musica, i testi delle sue canzoni e i suoi sogni legati a tutto ciò che riesce a produrre strimpellando delle corde di ferro, erano la cosa più importante per lei. All’inizio non ci credeva. In se stessa, nel suo sogno e nelle possibilità che questo un giorno avrebbe potuto realizzarsi. Una piccola parte di lei probabilmente non ci crede ancora adesso, come succede sempre a tutti. Era successo comunque, come succede alla maggior parte degli echelon, che un giorno lei avesse capito che vale sempre la pena lottare per ciò che ci fa stare bene. Glielo aveva suggerito una vecchia frase pronunciata da Shannon nella quale parlava di quel suo periodo nero, o quel video nel quale Tomo diceva che stava quasi per abbandonare la musica, fino a quando non è stato scelto, ed è stata la cosa migliore della sua vita. Ecco, io sono convinta che la cosa migliore della vita di Elisa sia la sua bellissima voce, il modo in cui il suo timbro accompagna alla perfezione le parole che ha buttato giù di suo pugno, su cui ci è stata pomeriggi interi. So che un giorno smetterà di sistemare documenti in quell’ufficio e verrà scelta anche lei. È per questo motivo che prendo le sue parole sul serio: se ci dimenticassimo di lei nel momento in cui noi stiamo vivendo il sogno che avrebbe voluto vivere anche lei, ne rimarrebbe molto ferita. «Mi metto un post-it sulla fronte. Anzi, lo metto su quella di Francis così ce l’ho sempre davanti e non me ne dimentico».

«Perché la mia fronte e non quella di Rain?»

«La tua è più spaziosa». Mi guarda in cagnesco e il alzo le spalle, accennando un sorriso.

«Parola di lupetto?», chiede Elisa.

«Parola di echelon», ribattiamo tutte e tre contemporaneamente. Dopo averla salutata con calore la salutiamo e chiudiamo la chiamata.

«Dobbiamo organizzare qualcosa», dice Francis.

«Sì», risponde Rain, «ma cosa?»

«Credo di avere un’idea, ma abbiamo bisogno di tre personcine a caso. Usciamo a prendere delle ciambelle?».

Alla mia affermazione un sorriso affiora sui volti delle mie amiche. «Ormai abbiamo scoperto il modo per corromperli, tanto vale approfittarne».

 

 

 

***

Quattro giorni dopo, tredici agosto, giorno del diciannovesimo compleanno di Elisa.

 

«Siete pronti?», chiede Rain.

«È  la millesima volta che ce lo chiedi. Non sarai mica una di quelle che se le cose non vanno come vuole lei allora succede l’apocalisse come Emma, vero?», dice Shannon, il tono una via di mezzo tra un lamento e  una supplica.

«Sono una di quelle che ci tiene molto a che i piani vengano rispettati. Non mi piacciono le brutte sorprese».

Shannon alza gli occhi al cielo. «Signore aiutaci tu».

Mi avvicino e gli metto una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione. «Io non mi metterei contro di lei in questi momenti. Se davvero qualcosa andrà storto lei vi ucciderà. E no, “ma io sono Shannon Leto” non ti salverà questa volta, caro mio», dico a bassa voce in modo che Rain non possa sentirmi.

«Siamo pronti», dice Tomo. «Quando la video chiamata partirà noi dobbiamo parlare con la vostra amica e farle tanti auguri. Tutto questo perché non potrete essere presenti alla sua festa. A questo punto, nelle indicazioni che ci hai lasciato», e con un dito punta Rain, «c’era un NB molto grande che diceva che questa Elisa è follemente e nemmeno tanto segretamente innamorata di Shannon».

«E quindi tu, Shannon Leto, che cosa devi fare?»aQuan

, chiede Francis.

«Devo, punto uno, togliermi gli occhiali da sole, ma non subito, perché è risaputo che gli occhiali piacciono molto alle echelon perché mi rendono più misterioso e affascinante, e punto due farle dei calorosi auguri dispensandole sorrisi e faccini dolci ogni due per tre».

«Te lo sei imparato a memoria?», domando.

«Questa cosa che se i piani non vanno come devono andare Rain mi  farà a pezzettini non mi piace per niente, per cui sì, mi sono imparato a memoria tutto».

Gli do due pacchette sul braccio. «L’istinto di sopravvivenza è proprio una bella cosa».

«Jared?», chiede Rain.

Lui alza la testa dal suo Black berry e ci guarda spaesato. «Non era specificato che cosa devo fare perché sono un attore e posso benissimo improvvisare. Parole tue, Rain».

«E cosa improvviserai?», domanda lei smaniosa di sapere.

«Se è un improvvisazione non è programmata. Non so che cosa dirò alla vostra amica».

Sento i denti della mia amica digrignare. «Va bene, Jared, ma per favore, ti supplico, non fare la diva mestruata».

«La che?»

«Niente», dice Francis. «Siate solo voi stessi e Elisa avrà il miglior regalo di compleanno di sempre, okay?»

Rispondono con un ‘kay biascicato tutti e tre. «Shannon, tu starai vicino a me mentre farò partire la videochiamata dato che sei il vecchietto infermo della situazione», gli dico sedendomi accanto a lui nelle gradinate vicino alla pista da pattinaggio. La mia splendida idea è stata ricreare uno dei compleanni di Jared, dato che lui sembrava aver apprezzato molto, e sono quasi certa lo farà anche Elisa. Abbiamo quindi proposto ai ragazzi di trascorrere con noi la giornata in un pista da pattinaggio – non sul ghiaccio, nemmeno qui a Los Angeles ricreano delle piste ghiacciate interne nel pieno di agosto, immagino sarebbe troppo costoso – e con grande sorpresa hanno accettato dicendo “un po’ di allenamento ci farebbe proprio bene”. Shannon e il suo ginocchio si sono rifiutati di indossare quegli oggetti infernali conosciuti anche come pattini, e devo dire che nemmeno io smanio dalla voglia di imprigionare i miei piedi in quei cosi, per cui sto mantenendo un profilo basso sperando che le altre non si accorgano dei miei piani. Non sono mai stata una persona stabile nemmeno con addosso delle Converse, figuriamoci con delle rotelle sotto la pianta del piede. Rabbrividisco. No, pattinerò solo se portata di peso sulla pista. E con una pistola puntata alla testa. «You ready Shannimal?». Lui mi guarda storto e poi annuisce alzando gli occhi al cielo. «Voi», dico in tono più alto in modo che mi possano sentire dal centro della pista, «tutto okay?». Quattro pollici si alzano in segno affermativo e io premo il tasto verde sullo schermo per far partire la chiamata.

Quando vedo la faccia di Elisa comparire sullo schermo del telefono, mi apro in un grande sorriso. «Allora, vecchietta, rughe nuove? Sono più o meno sicura tu ne abbia, ma sai, con questa connessione non si vede tanto bene. Hai la faccia a quadratini».

«Oh, ciao anche a te Deborah, e grazie per gli auguri! Simpatica come una pigna nel culo come al solito. Le altre?»

«Sono uscite un po’ di tempo fa e non sono ancora rientrate».

«Uh».

«Senti, so che sei molto triste che non siamo lì con te, ma…» il telefono mi viene strappato via dalle mani.

«Hi Elisa, I’m Shannon, how are you? Mi hanno detto che oggi è il tuo compleanno, per cui tanti auguri». Allarme rosso: Shannon non sta rispettando i piani. Lo guardo interrogativa e lui alza le spalle, per poi continuare a parlare allo schermo. «Deborah ci stava mettendo troppo tempo. Immagino che ti abbiamo detto quanto gli dispiaccia migliaia di volte, Shannon che ti fa gli auguri capita solo una volta nella vita».

«Oh porca troia». Sono le esatte parole che passano attraverso i fili telefonici di tutto il mondo dopo alcuno secondi di totale mutismo da parte sua. La faccia di Elisa sembra improvvisamente di marmo. Ha avvicinato gli occhi allo schermo del telefono, presuppongo per accertarsi che quello che ha davanti sia davvero Shannon Leto.  Al secondo «cazzo» immagino si sia convinta che lo sia.

«What?», chiede Shannon, un sorrisino sulle labbra: sono sempre stata convinta che le imprecazioni siano internazionali. Forse non sai tradurle nella tua lingua, ma sai che quella è una parolaccia, lo sai e basta.

«Nothing. Omg, Shannon thank you!»

«Oh», si passa una mano fra i capelli di nuovo lunghi, «you’re welcome. So you’re nineteen now».

«Nineteen and looking for a man. Will you marry me?».

Shannon scoppia a ridere. «Maybe one day», e gli fa l’occhiolino. Non posso vedere bene l’espressione della mia amica, ma sembra quasi stia per soffocare.

Mi avvicino a Shannon per apparire nell’inquadratura. «Va bene anche se non l’abbiamo impachettato e spedito in valigia? È un rottame, si sarebbe sicuramente distrutto».

«Va benissimo», ridacchia Elisa. 

«Com’è il respiro, infarti in corso o puoi resistere ancora? Perché ci sarebbe un’altra sorpresina, se non sei troppo su di giri a causa dello scimmione…».

«Su di giri io? Ma che dici. Io amo le sorprese. Dimmi l’altra sorpresa».

«Okaaaaay». Volto il telefono e Tomo, Jared, Rain e Francis cominciano a pattinare verso me e Shannon cantando Happy birthday a squarciagola. Sento Elisa battere le mani e ridere come una pazza dall’altro capo del telefono. Una volta arrivati davanti a me cominciano uno alla volta a salutarla e farle gli auguri ognuno a modo proprio.

«Grazie grazie grazie, è il più bel regalo di sempre ragazze», dice lei, la felicità fatta persona. Parliamo con lei ancora qualche minuto ed è come se lei fosse li con noi, la sentiamo molto vicina e capiamo che la nostra sorpresa ha davvero funzionato. Quando termina la chiamata, con la promessa di vederci appena saremo tornate a casa, mentre appoggio il telefono sulla superficie affianco a me, sento qualcosa che mi picchietta la spalla. Alzo gli occhi ed è Jared con dei pattini in mano. Scuoto la testa. «Su quei cosi non ci salgo nemmeno se mi punti una pistola alla tempia e poi decidi che è una morte troppo veloce e cominci a torturarmi».

Sorride e mi porge la mano. «Non sali su quei cosi nemmeno se io ti tengo fino a che non impari bene come si fa? Giuro che non ti faccio cadere, sono molto bravo».

Nessun trasporto di peso sulla pista e nessuna pistola alla tempia: faccio un grosso sospiro e allungo il braccio per acciuffare gli oggetti infernali e, una volta infilati, alzo lo sguardo incrociando quelli di Jared. «E adesso?»

«E adesso alzi il culo da quella panchina».

«Facile come bere del caffè, mi dicono».

«Deborah».

«Sì, sì, è il mio nome, quale sorpresa!». Non so come, opto per qualche miracolo del cielo, riesco ad alzarmi e a non cadere rovinosamente al primo passo.

«Non fissarti i piedi, guarda me», dice lui, un sorriso di incoraggiamento sulla faccia. Scoppio a ridere fragorosamente. Forse non lo sa, ma la mia stabilità, se lui mi è vicino, è ancora più in pericolo. Figuriamoci se devo guardarlo dritto in volto. «Perché ridi?»

«Niente, niente. Quindi, cammino?»

Si posiziona davanti a me e mi porge entrambe le mani, che prontamente stringo con le mie. «Cammina. Al massimo mi curerò personalmente di raccogliere i tuoi brandelli dall’asfalto con un cucchiaio».

 

 

 

 

So che sono in tremendo ritardo, e vi chiedo scusa, ma sono stata travolta da un turbinio di cose. In ogni caso dedico questo capitolo ad Elisa, la mia nuova sister, da cui ho preso ispirazione per parlare del nuovo personaggio. Sono davvero contenta di averti conosciuta e so, anche se tu non lo sai o non ci credi, che ce la farai con la tua musica. Ne sono sicura.
Una ciambella di dunkin donuts (sono appena tornata da Berlino e il mio organismo ne è assuefatto, ma che ci volete fare, la mint donut è troppo buona, irresistibile), Deb.

  
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