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Autore: Shin92    04/03/2014    2 recensioni
[ THE BIG FOUR | CROSSOVER – How to train your dragon/ The brave - Raccolta in collaborazione con altre utenti.
«Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale, dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. L’infinita letizia della mente candida. Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Shin




Infinita Letizia della mente Candida
 
 

 
Sollevai lo sguardo sulla figura esile seduta in cima alla rampa di scale scricchiolante, i raggi deboli e sfumati di arancio caldo e tenue del crepuscolo si insinuarono oltre il vetro spaccato, e in parte  frantumato, della finestra sul pianerottolo. L’ambiente aveva assunto un’atmosfera molto pacata e a tratti malinconica, l’arredo abbandonato ormai a se stesso, e forse perfino divorato dalle tarme, conservava uno stile elegante e accogliente quanto austero, come d’altronde tutta la casa. Sembrava essersi fermata, come se lo scorrere del tempo non avesse influenzato minimamente quel posto così affascinante e misterioso dove avevo vissuto per anni, ma la mia famiglia scelse di trasferirsi dopo il tragico “incidente”.
Mi attorcigliai un riccio rosso fiamma intorno al dito e tirai su col naso, guardando il pavimento di legno, secco e sporco di fuliggine. Lui se ne stava rannicchiato su se stesso e con la testa poggiata al palmo della mano, un ciuffetto di  frangia castano ramata che spuntava fra le intersezioni delle dita affusolate. L’altro braccio piegato sull’addome a torturarsi un lembo del maglioncino  scolorito e bruciacchiato.
Hiccup mi piaceva. Mi piaceva così tanto che mi faceva quasi sentire calda, come se smettessi improvvisamente di respirare guardandolo, come se fosse possibile.
Ma a volte ne avevo anche paura. Quando succedeva ‘quella cosa ’ era completamente diverso.
Improvvisamente si arrabbiava, o diventava molto triste, raggiungeva un estremo o l’altro e quando accadeva la sua pelle raggrinziva, si spaccava, bruciava, in alcuni punti sembrava carbonizzata e sanguinante. I capelli in parte bruciacchiati e in parte completamente inesistenti.
Gli occhi si velavano di indaco e mi spaventavano. Al punto che preferivo sempre scomparire, per poi ritornare dopo qualche ora, quando la quiete aveva preso il posto della tempesta.
Quando lo vidi lì sulle scale, dopo l’ennesima crisi, avrei voluto dire qualcosa, qualcosa di bello, confortante, una di quelle frasi che può far sentire meglio le persone, ma in quel momento non sapevo esattamente cosa pensare figuriamoci parlare, non ero nemmeno sicura che fosse il momento giusto per avvicinarmi.  Ma lui era sempre stato gentile con me. Perché non avrei dovuto farlo? Il tramonto mi aveva messo di buon umore e volevo che anche lui sorridesse. Che sorridesse per me.
Non esitai a salire, calpestando i detriti e avanzando sicura di me stessa, anzi, fingendo e ostentando una sicurezza che non mi apparteneva davvero. Il mio passo accompagnato costantemente dal crepitare del legno per metà marcio  e del vetro, che si piegava sotto il mio peso, o forse così immaginavo.
 Raggiunsi il terzultimo gradino, esitando solo un momento prima di continuare a salire intenta a guardare fuori dalla finestra. Un momento brevissimo ma intenso. Perché lui finalmente alzò gli occhi sulla mia persona in piedi, puntandoli così intensi e illuminati dalla luce arancio rossastra che infiammava i miei capelli e donava una sfumatura surreale a quelle iridi che ritenevo splendide, ma non gliel’avrei mai detto. Uno sguardo carico di complicità e tenerezza infantile ma anche passionale, maturo, da maschio a femmina.
Mi innescò una reazione involontaria, un fremito ardente che non avevo mai pensato di poter provare in passato, figuriamoci adesso, lo stavo per forza immaginando perché non era reale, ma perché non poteva essere vero per me?
Si alzò, stavolta sorridendo come un bambino a cui hanno fatto segno di seguirlo promettendogli un giocattolo nuovo, io avevo proseguito fino al pianerottolo per poter sbirciare fuori. Era il momento propizio. Si avvicinò a me incrociando le braccia al petto e in trepidante attesa.
-Stasera possiamo finalmente uscire da qui. –
Mi limitai ad annuire calma e assertiva ma felice di poter  vedere qualcosa di nuovo, mentre il manto rossastro calava lasciando il posto alla notte scura, la casa diveniva cupa e sempre più inquietante. Sempre più stretta.
Mi sorprese il suo gesto del tutto spontaneo, estraneo al suo comportamento sempre composto  e gentile, sempre indiscreto e mai invadente in alcun modo, accese in me un’emozione dimenticata,  qualcosa che doveva ormai essersi spento insieme al mio corpo molto tempo fa.
Prese la mia mano, delicato ma forte e mi trascinò via da quelle mura antiche e dimenticate, abbandonate e del tutto estranee al mondo esterno.
L’odore stantio dei pesanti drappi inceneriti alle pareti stava lasciando il posto all’aria fresca dell’ultima notte di ottobre, che sferzava le mie guancie,  mi sembrò quasi una sensazione reale. Varcammo la soglia e la libertà era lì per noi. Pronta per essere assaporata fino in fondo.
Fino all’alba.
Avevamo una sola notte. Una ed unica.
Lo  vidi muovere qualche passo in direzione della spiaggia. Aveva lasciato la mia mano. Mi sentii terribilmente persa, quasi rimpiansi la prigionia della casa. Non ebbi il coraggio di chiedergli se avesse voluto trascorrere quell’unica notte di libertà in mia compagnia.
-Hiccup?-
Si voltò verso di me sorridendo teneramente, a quella maniera che solo lui era capace di avere, in quel modo che mi avrebbe fatta arrossire, mi sarebbe piaciuto moltissimo.
Non poteva immaginare quanto avrei voluto arrossire per lui, non mi avrebbe creduta se gli avessi confessato che avrei voluto che il mio cuore tornasse a battere solo per una notte, solo per  farglielo sentire, forte come un tamburo, caldo come l’estate.
Quasi come se avesse interpretato il mio sguardo tornò indietro e mi fece una domanda.
-Ti andrebbe di aspettare l’alba insieme a me? –
Annullai le distanze senza esitare, raggiante come il Sole, gli strinsi il polso, aggrappandomi a lui come ad un’ancora di salvezza.
Trascorsi la notte degli spiriti con lui, non avevo alcun posto dove recarmi, rinunciai a fare ciò che di solito, per anni, avevo fatto  quell’unico momento in cui mi era concesso varcare i cancelli di quel posto in cui ero intrappolata, passare quelle ore a guardare mia madre dormire comodamente nel proprio letto, sognandomi, stringendo i miei vestiti, invecchiata, stanca.
Stare con lui fino al sorgere del Sole era tutto ciò che volevo in quel momento, l’unico desiderio che mi bruciava in corpo come la fiamma rovente.
Ci stendemmo sulla sabbia umida, i granelli ruvidi sotto le dita,  guardammo il cielo costellato di puntini bianchi luminescenti, e per la prima volta pensai che il firmamento avrebbe potuto invidiarci per quanto eravamo poetici quaggiù visto che, per anni e anni, avevo guardato alle stelle con profonda ammirazione, tanta da desiderare di raggiungerle, tanta da non riuscire a capire perché fossero tanto lontane, e come mai avessero il diritto di farmi sentire così insulsa, invisibile, inutile, osservavo, adesso, lo stesso cielo che forse aveva deciso di farci incontrare in quel modo così bizzarro. Il mare frusciava calmo e sensuale, con le onde che sembravano accarezzare la costa che si lasciava bagnare e trasportare in una danza sublime, come due amanti che si trascinano insieme nella passione e nel peccato e poi si dissolvono in spuma bianca e soffice.
Hiccup se ne stava a guardare lassù, pensando chissà cosa, e che avrei dato per saperlo. Non resistetti all’impulso di chiederglielo.
 - … Te lo ricordi cosa è successo? – Sussurrai quasi come se volessi ripensarci e tornare indietro su ciò che avevo appena domandato, come se volessi correggermi e non rivangare l’argomento.
Mi guardò come se si stesse sforzando terribilmente, poi si portò le mani dietro la nuca tornando ad osservare il cielo.
 - Era molto buio. A volte ancora ho la sensazione di soffocare a causa del fumo. Non ho fatto in tempo a rendermene conto, le fiamme mi divorarono insieme alla casa prima che potessi provare a muovermi. Prima che potessi in qualche modo salvarmi la vita.  Il Sole sorse all’alba e, come lui, anch’io. Ma in una nuova forma. – Biascicò un mugugno malinconico e provai una stretta al petto.
Era giunto un pomeriggio di agosto in quella casa, lasciata vuota e inabitata per tanti anni dopo che la mia famiglia l’aveva liberata in tutta fretta. Chi vorrebbe abitare in una casa dove è successa una cosa così sinistra infondo?
L'avevo visto uscire dall’auto con il suo bagaglio, l’aria malinconica e perennemente infelice che si trascinava dietro come un carico pesantissimo. Stanco. Come se la vita l’avesse sfiancato già così giovane.
Avevo osservato ogni suo movimento e ne avevo imparato a memoria ogni tratto del corpo, ero stata sleale, ad essere sincera, approfittando del fatto che non potesse vedermi. Ma lo trovavo fin troppo perfetto per non starmene lì, seduta sul suo letto a guardarlo spogliarsi, le spalle larghe e costellate di lentiggini che andavano via via schiarendo e il profilo esile di chi non mangia abbastanza da essere in forze.
Spegneva sempre la luce molto presto. Ma non riusciva ad addormentarsi. Guardava il soffitto per ore e io per ore scrutavo lui.
Mi faceva sentire meno sola.
Anche se non poteva parlarmi. Anche se non poteva vedermi.
C’ero stata tutte le volte che suo padre gli aveva urlato quanto fosse sbagliato, quanto lo odiasse per essere così diverso dagli altri ragazzi.
Io ti sono sempre stata vicino, sai Hiccup?
Anche quella notte in cui esausto e con gli occhi gonfi hai ingoiato quelle pillole.
Io c’ero quando l’incendio è divampato nella casa e ne ha lasciato solamente polvere e fumo, e ovviamente lo scheletro che si è scorto fra le fiamme soltanto al mattino. Ho provato a svegliarti. Ho fatto il possibile per salvarti. Ma non potevi sentirmi, per quanta energia mi sia sforzata di usare per gettare a terra tutti i tuoi libri non sono riuscita a destarti, eri troppo lontano.
Poi tutto è finito ed ho scoperto amaramente che potevi vedermi, parlarmi, toccarmi.
Non ero più sola.
Ma a quale prezzo?
Mi voltai su di un fianco, verso di lui, reggendomi il capo piegandoci sotto un gomito. Sfiorai i suoi capelli con la mano libera e per me, giuro, l’eternità sarebbe probabilmente sembrata molto più breve e meno straziante.
Notai le sue labbra piegarsi verso l’alto e questo mi versò dentro una calma e una pace che non è possibile raggiungere se non nel nostro stato incorporeo.
-E tu? Lo ricordi? –
Mi colse alla sprovvista, ma era passato da un pezzo il tempo in cui rimembrare mi faceva male, avevo incontrato lui e il mio gesto non sembrava più così folle, così spietato e insensato.
Annuii continuando a far scorrere le mie dita fra la sua chioma, come avevo desiderato fare quando trascorrevo moltissime ore ad osservarlo ignaro della mia presenza.
-La vita che mi era stata imposta mi stava stretta, non sono stata molto coraggiosa. Ho scelto la via più semplice, ho preferito salire sul tetto, ho guardato il cielo che andava schiarendo, era un’alba meravigliosa e gelavo, ma non mi importava granché. –
Allora schiuse le labbra riflettendo, ma ebbi la sensazione che fosse triste per me, e si voltò assumendo la mia stessa posizione.
-Ci vuole più coraggio ad affrontare la morte o ad affrontare la vita? –
Sorrisi.
-Non lo so, ma io ho volato. – Il vento mi spostò i capelli, o forse l’avevo solo immaginato perché l’idea mi piaceva, e mi piaceva il fatto che lui mi stava guardando come se avesse voluto farmi sua, in qualche modo.
- E dopo? –
Mi chiese ancora incuriosito dalle mie parole.
-Qualcosa mi ha svegliata. Sembrava tutto uguale, ma ero sola, e lo sono stata per molto tempo prima che arrivassi tu e che la casa bruciasse. –
Si morse un labbro e spostò lo sguardo sui miei capelli.
-Credo di averti sentita, a volte avevo la sensazione che qualcuno si sedesse sul mio letto sgualcendo le coperte, credevo di essere pazzo … -
Sorrisi e i miei ricci mi finirono quasi sul naso.
-Mi piaceva guardarti quando leggevi.  C’era … una poesia credo, che adoravo. La leggevi sempre. Ti soffermavi su quella pagina per parecchio tempo. L’hai sussurrata una volta. –
Mi guardò con un moto di furbizia e intuito per poi  piegare la testa all’insù a guardare il cielo che scoloriva.
-Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale, dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. L’infinita letizia della mente candida. Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.  –
Sorrisi, stavolta stava parlando a me e non a se stesso. Che bella sensazione.
Il cielo stava mutando. Avevamo trascorso moltissime ore a confidarci, così tanto tempo e così bello che ci sembrò un momento fugace.
L’unica notte di libertà che avevo la trascorsi insieme a lui ed era tutto ciò che volevo.
Poi sorse il Sole. Credo che  l’alba sia un passaggio troppo importante per permettersi di perderlo. Segna sempre un inizio e una fine di tutte le cose.
Era gelida come l’ultima volta che l’avevo vista.  Era bellissima.
Calda e accogliente come il ventre di una madre. Celestiale e divina, preziosa. Ma non era lì per me. Quella luce non avrebbe portato via me e la mia pazzia.
Il cielo si schiariva come se l’oscurità fosse respinta da una forza divina, come se la serenità scacciasse via qualsiasi assurdo pensiero negativo.
Ci sono cose che non puoi paragonare a niente altro, che posseggono un valore più elevato perfino della vita. Come il sorriso di Hiccup, come la purezza dell’alba che lo pervase di luce.
Pensai che forse l’unico sollievo concessomi in questa eterna dannazione fosse poter assistere a quello spettacolo, poter provare anche solo in parte quella pace e quel riposo che mi saranno negati forse per sempre.
-Vieni con me. – Mi implorò sfiorandomi il viso amorevolmente.
- … Non posso ….-
Mi stava lasciando. Non riuscii a far altro che stringerlo a me amaramente, pensai di volerlo seguire a tutti costi, mi sarei opposta a qualunque legge suprema purché ci avessero lasciati stare insieme. Egoisticamente l’avrei voluto al mio fianco a condividere con me l’eternità di una sorte ingiusta.
Riuscii solo a porgergli una domanda, prima che sparisse per sempre, prima che io sprofondassi completamente nel mio oblio.
-Un fantasma può innamorarsi? – Sussurrai come se qualunque altro essere fosse in grado di ascoltarci.
Mi strinse pervaso di luce e calore, mentre il Sole alle nostre spalle bruciava il cielo e invadeva tutto con la sua luce.
-Ti aspetterò per sempre... –
L’agonia mi attanagliò come se mi si stessero spaccando i polmoni e le costole, forse piansi e la sensazione fu così forte che ci riuscii davvero.
Quando il Sole fu alto nel cielo le mie braccia erano sospese a mezz’aria.
Ero sola.
Lui era passato oltre, mi attendeva dall’altra parte.
L’alba segnò ormai la fine della notte degli spiriti e autoritaria e glaciale mi spinse a tornare indietro.
Prima o poi io ti raggiungerò Hiccup. Aspettami, ti supplico. Quando avrò scontato il mio errore ci rincontreremo.
Aspettami sempre.
Oltre le fiamme, oltre la luce, oltre il giorno, che crudele e al tempo stesso amorevole ci ha separati.
Arriverà anche per me un giorno.
L’alba verrà a prendermi e mi trascinerà via da questa oscurità, allora staremo insieme.
 
 
 



◊  N O T E  ◊

Questa one–shot fa parte di un fenomeno più ampio che io e le mie collaboratrici abbiamo voluto chiamato 'raccolta collettiva'. Si tratta infatti, come dice la parola stessa, di una serie di storie facenti parti di una raccolta frastagliata che abbiamo deciso di pubblicare collettivamente – un capitolo per ogni account. Ci siamo incentrate su tutte le possibili coppie nei The Big Four e voi avete appena letto la mia.
Qui di seguito, eccovi i link di reindirizzamento sulle altre:


[Spero di essere stata abbastanza esaustiva durante il corso della storia, per cercare di far capire al lettore cosa è realmente accaduto a questi due ragazzi. Sono fantasmi. Intrappolati in un limbo fatto di azioni sconvolgenti che si ripetono e di costante prigionia. Hiccup si arrabbia e diventa triste e quando succede rivive la notte in cui ha perso la vita, a causa dell'incendio divampato nella casa in cui si è trasferito con suo padre, anni prima. Merida era già lì come fantasma da prima di lui, ma a differenza sua si è suicidata e quindi il suo limbo è sicuramente maggiormente tormentato, tant'è vero che infine solamente Hiccup viene portato via dall'alba che lo fa passare oltre. L'unico momento in cui è concesso loro di varcare la soglia del loro luogo di morte è appunto la notte di Halloween. Spero vi sia piaciuta e ringrazio chiunque passi a farle visita. Ma un ringraziamento speciale va alle mie collaboratrici, quattro simpaticissime ragazze, che insieme a me si sono impegnate a scrivere per questa raccolta e che vi consiglio assolutamente di leggere attraverso i link sopracitati, perché veramente deliziose. Grazie ancora! ]



Shin92

 
  [ Mi scuso se la storia appare anche in fandom non suoi, ma essendo parte di una raccolta a più account, faccio fede al fandom di riferimento, ossia quello dei 'The Big Four', che comprende appunto i quattro che ho inserito. La sezione principale è comunque la categoria, crossover. ]
  
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