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Autore: icered jellyfish    04/03/2014    3 recensioni
[ THE BIG FOUR | CROSSOVER – How to train your dragon/Rise of the Guardians| Raccolta collettiva con altre utenti | JACK X HICCUP ]
«Oh, ma insomma! E' così divertente!?» si rivolse al vuoto circostante – più probabilmente ad Odino però. Un'altra carezza del vento gli sfiorò a quel punto i capelli – e Hiccup poté avvertire chiaramente la sua colonna vertebrale vibrare, a quel tocco.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Jack Frost ti pizzica il naso




R A C C O L T A   C o l l e t i v a

Jack Frost ti pizzica il naso







Sarebbe volentieri rimasto più a lungo sotto le coperte, ma gli svariati progetti che vivevano in maniera troppo vivida nella sua mente non gli permettevano di sentirsi in diritto anche solo minimamente di restare sdraiato nel suo letto – magari in balia di un secondo sonno.
Le sue mani cercavano freneticamente tra le più svariate carte – numerose e disordinatamente disposte sul suo tavolo da lavoro – un foglio in particolare che pareva però non voler saltar fuori nonostante tutto il suo impegno.
La bottega di Skaracchio era sempre stata un covo di confusione e babilonia, ma in un qualche modo Hiccup era sempre riuscito a trovare tutto quel che gli serviva, e non riusciva assolutamente a spiegarsi come, quella mattina, potesse essere così tanto difficile reperire un semplicissimo progetto sul quale lavorava da giorni – e con il quale era sempre stato particolarmente attento sul come custodirlo.
Avrebbe voluto dare tutta la colpa al buio ancora predominante, ma le candele che aveva accesso attorno a lui fornivano un'illuminazione che non gli permetteva di trovare scuse di alcun tipo – e questo lo innervosiva semplicemente di più.
Corrugò le sopracciglia e strinse le labbra in un'arricciatura intollerante, sigillando così la sua decisione di rassegnarsi all'idea che quella bozza – su cui aveva lavorato con così tanta cura e attenzione – fosse inspiegabilmente sparita.
Rilassando appena i muscoli facciali – senza però abbandonare la sua espressione costipata – osservò la sua matita abbandonata sul tavolo – quella con cui era solito lavorare, quella che considerava fedele almeno quanto Sdentato. Fatalista, sciolse le spalle – abbandonandole alla gravità e lasciando che gli penzolassero –, decretando a se stesso, con non troppo entusiasmo, che avrebbe dunque rifatto tutto da capo – fortunatamente, l'averci dedicato così tanto tempo aveva ben impresso nella sua mente ogni dettaglio, forse non sarebbe stato tanto lungo ricominciare dall’inizio.
Aprì allora una piccola cassettiera in legno consumato, estraendone, successivamente, un blocco di fogli ingialliti e vuoti – perfettamente pronti per essere riempiti di quella che considerava una delle sue idee più grandi.
Un soffio freddo alle sue spalle gli fece provare un piccolo brivido – ricordandogli il pieno inverno che regnava su Berk, completo di neve e rigide temperature – e questo lo portò a posare lo sguardo oltre la finestra che gli stava davanti, osservando la fievole luce rosa sulla riga più lontana del cielo – quella che sembrava fare da confine ad uno spazio troppo distante da lui, ma che gli piaceva sognare di poter toccare, un giorno, durante i suoi voli con Sdentato.
Il manto bianco che ricopriva ogni cosa – brillante, incantevole come la più raffinata delle magie su cui poteva solo fantasticare – catturò tra le sue pagliuzze e imperfezioni la luce dei primi raggi del Sole nascente – illuminandosi come un maestoso agglomerato di milioni di diamanti.
A Hiccup piaceva l'inverno; affondare i suoi stivali caldi – il suo stivale e la sua gamba di ferro – nella condensa di fiocchi di neve, era una sensazione meravigliosa per lui – forse come stagione persisteva un po' troppo sull'isola, ma certamente non poteva negare che osservare Sdentato rotolare in quel prato di cristalli, fosse uno scenario buffo e bucolico al contempo.
Sorrise nel rendersi conto di quanto poco gli bastasse per essere realmente felice – anche se quel poco ci aveva messo molto ad arrivare – ma, girandosi per tornare alla postazione, la divertita linea sottile delle sue labbra si aprì per dar spazio ad un accenno di incomprensione; la matita che prima aveva lasciato sul tavolo, era sparita – anch’essa, esattamente come il foglio del suo progetto.
Poggiò il nuovo blocco di fogli che aveva in mano, per piegarsi a guardare se non fosse accidentalmente rotolata sul pavimento – andando a infilarsi ovviamente negli angoli più scomodi –, ma a quanto pareva non ce n'era più traccia e questo fece riassaggiare a Hiccup il sapore della rabbia che aveva provato poco prima.
Spostò diversi scatoloni di legno, sperando di trovarla – svuotandoli, addirittura –, ma tutto ciò che ottenne fu solamente l’esaltata percezione delle sue mani congelate e un incremento del già notevole disordine regnante in quella piccola e – in quel momento – male accogliente stanza.
«Oh, ma insomma! E' così divertente!?» si rivolse al vuoto circostante – più probabilmente ad Odino però.
Un'altra carezza del vento gli sfiorò a quel punto i capelli – e Hiccup poté avvertire chiaramente la sua colonna vertebrale vibrare, a quel tocco. Strinse i denti e si agitò appena, d'istinto, scuotendo le spalle con la speranza di allontanare da lui quel gelido brivido che gli aveva causato la pelle d'oca – e iniziò a pensare che forse sarebbe stato davvero meglio restare nel letto, quella mattina, visto l’andamento della situazione.
Convintosi poi di aver riacquisito il pieno controllo del suo sistema nervoso refrigerato, decise infine di alzarsi per riguardare sul tavolo se la matita non fosse solamente sfuggita alla sua assonnata attenzione, poco prima, ma con grande incredulità tutto ciò che si ritrovò davanti, fu il piano vuoto – anche il blocco di carta che vi aveva appoggiato prima, era sparito ora.
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca; certamente su Berk accadevano cose strane di continuo – e la più strana di tutte era che il suo migliore amico fosse un drago, probabilmente – ma era convinto che a tutto ci fosse un limite; le cose non potevano sparire in quel modo.
Il rumore metallico dei suoi attrezzi da lavoro lo costrinse poi a voltarsi di scatto – e quel frastuono improvviso gli fece perdere diversi anni di vita, probabilmente. Era evidente ci fosse qualcuno, e questo lo stava iniziando ad inquietare.
Appoggiato con la schiena sul banco – e saldamente afferrato con le mani ai suoi estremi –, tentò di fare profondi respiri che gli avrebbero impedito di svenire come invece si sentiva avrebbe fatto di lì a poco – il cuore aveva preso a battere più insistentemente, tanto da sentirlo rimbombare nelle sue orecchie.
I martelli appesi dondolavano e un paio di viti giravano ancora su se stesse a terra – assieme ad un paio di giunture e qualche chiodo. In quel momento tutti quei suoni risultarono terribilmente eterei, nella spiritualità dell’incomprensione e dello spavento.
Continuò ad osservarli senza nemmeno rendersene conto – seguendo staticamente con gli occhi i movimenti delle mazze oscillare sugli uncini ai quali erano agganciate – e per diversi ed interminabili secondi continuò ad interrogarsi sul suo stato vitale – incerto di appartenere ancora al mondo terreno.
Improvvisamente – spinto dalla curiosità o dalla stupidità, confine sottile a sua detta –, deglutì per farsi coraggio, staccarsi dal tavolo – unico suo sostegno fisico e morale in quella circostanza –  e avvicinarsi all’uscita.
Non era affatto certo di quell’iniziativa azzardata – forse starsene rintanato dentro la bottega era la migliore delle opzioni –, ma l’idea di rendersi preda di un qualcosa di assurdamente incerto – e magari innocuo o inesistente – lo faceva sentire ancora il ragazzino emarginato e pieno di timori di cinque anni prima – e questo non lo accettava, non più.
Di soppiatto, entrò nel fascio di luce ambrata dell'alba ormai sorta per metà, e  una piacevole sensazione di calore penetrò fin dentro le sue ossa – ed era fantastico per lui, con tutto quel gelo e quella neve stridente ad ogni suo passo, poter assaggiare la dolcezza del Sole.
Si guardò attorno immobile per diversi secondi, in attesa che qualcuno di qualche passo falso o che qualcuno si facesse vivo – o, più semplicemente, che quel qualcuno fosse abbastanza disattento da non nascondersi con la dovuta preoccupazione –, ma prima ancora di poter scorgere qualcosa tra gli abeti innevati della vegetazione o dietro i carri da agricoltura, la sua attenzione ricadde su un mucchio di oggetti abbandonato poco più avanti a dove stava lui – un mucchio di oggetti dall'aspetto tremendamente familiare.
Il blocco di fogli, il suo progetto e la matita che aveva perduti prima, erano sdraiati sulla coperta di neve candida, come se qualcuno li avesse radunati in quel punto preciso e lo avesse indotto ad uscire fuori dalla baracca per arrivare esattamente dove ora era.
Costringendosi a richiudere la bocca, fece pochi passi in più, ritrovandosi così esattamente davanti al suo materiale straordinariamente ritrovato, ma prima ancora di cercare e trovare una spiegazione logica – o illogica, di primo acchito – sul come tutto quanto fosse successo, rimase incollato per diversi istanti a contemplare qualcosa formarsi tra lo spessore della neve – dal nulla, senza che nessuno fosse lì compiere quel gesto.
Nel suo miscuglio di emozioni, percepì chiaramente spavento e incredulità al tempo stesso; non poteva credere a quanto gli stesse accadendo sotto gli occhi – sotto il naso, che improvvisamente iniziò a pizzicargli incredibilmente.
Tratto dopo tratto, quello che non riusciva a capire esattamente cosa fosse, iniziò a delinearsi come una sequenza di lettere alfabetiche, disposte accuratamente e con senso per creare una frase che gli mozzò il respiro che aveva appena catturato – e non fu certo come prima di essere totalmente sveglio, ma il freddo che si infilava nelle maniche della sua maglia lasciava poche alternative alla fantasia che voleva convincersi stesse vivendo.
Era folle, assurdo, come svariati episodi della sua vita fossero incredibilmente legati alle incisioni sulle superfici naturali della sua isola, ma a quanto pareva la estrosa – la pazzesca, sballata – realtà di quel che stava succedendo, sembrava voler ripercorrere un sentiero morale profondamente radicato e scolpito nel suo animo abbracciato al ragazzino che ancora aveva dentro.
Nella sua mente, c'erano storie interrotte dalle dimenticanze del tempo, storie che sentiva strettamente collegate a quella scritta così dannatamente inquietante e pressante – martellante, come se lui fosse l'incudine su cui battere di continuo – e improvvisamente non riuscì a riordinare nulla nella sua testa – nulla di sensato o meno, perché tutto era nel posto sbagliato in quel momento e lui, improvvisamente, iniziò a non sentirsi più così distante da quegli anni che non riusciva a focalizzare nitidamente tra i suoi ricordi d’infanzia.
Avrebbe voluto toccare quei solchi – ripercorrerli uno per uno, convincendosi, magari, che riscrivendo astrattamente quella frase così assurdamente vicina e così assurdamente distaccata a lui, i polpastrelli delle sue mani sarebbero stati in grado di registrarne l'essenza per potergliela così trasmettere, in qualche modo – ma forse, sottovalutava semplicemente la possibilità che volesse toccare quella calligrafia ordinata per rendersi conto che, in fondo, non era così diversa da come l'avrebbe scritta lui.
L'alba era ormai fuoco graffiante nel cielo e Hiccup si soprese di provare l'eccentrica, calda e refrigerante sensazione che qualcuno fosse lì con lui in quel momento 
– perché, nonostante la soprannaturalità dell'episodio in cui si era ritrovato coinvolto, spettatore e partecipante, qualcosa gli conferì la certezza di non essere più solo, la stessa che aveva provato anni addietro nella sua conca segreta con Sdentato.
Un soffio di vento a quel punto gli sfiorò le labbra – e il naso pareva non voler assolutamente smettere di pizzicargli, nonostante tutta la concentrazione che stava investendo nel cercare di comprendere e risolvere quel quesito impresso sulla neve.
«Chi è Jack Frost?».






F I N E




    » N O T E    A U T R I C E ;

Questa one–shot fa parte di un fenomeno più ampio che io e le mie collaboratrici abbiamo voluto chiamato 'raccolta collettiva'. Si tratta infatti, come dice la parola stessa, di una serie di storie facenti parti di una raccolta frastagliata che abbiamo deciso di pubblicare collettivamente – un capitolo per ogni account. Ci siamo incentrate su tutte le possibili coppie nei The Big Four e voi avete appena letto la mia.
Qui di seguito, eccovi i link di reindirizzamento sulle altre:


Io sì, ne ho scritte due – non avevamo un sesto componente a partecipare al progetto. x°
Personalmente shippo i The Big Four in tutte le loro versioni e, quindi – nonostante non le prediliga e preferisca vedere questi due personaggi più con la nota friendship che ship – adoro anche le Jack x Hic.
Come ho già detto svariate volte, mi trovo particolarmente a mio agio nel trattare Hiccup – ed è infatti il mio personaggio preferito – e anche qui mi sono divertita molto a impersonarlo e ad immaginarlo nelle sue possibili reazioni davanti all'episodio che ho ricreato per lui – per loro.
Jack l'ho voluto far apparire più come una presenza perché non ho mai trattato davvero questa coppia e quindi mi sono sentita più libera così – senza rischiare di alterarlo in qualche modo.
I ripetuti soffi di vento che Hic avverte ogni qualvolta succeda qualcosa, spero sia chiaro sia appunto Jack a provocarglieli e, nella parte finale, dove ho parlato di un soffio che sfiora le labbra del vichingo, alludo ovviamente ad un innocente bacio che Jack posa sulla sua bocca eee... Nulla, volevo creare un qualcosa di soffice e non troppo elaborato.
Ah, il progetto a cui Hiccup lavora non ho specificato cosa sia perché non lo ritenevo fondamentare, ma presumibilmente potrebbe essere qualcosa di relativo alla coda o alla sella di Sdentato, o addirittura alle ali che crea per sé per fare quei voli indipendenti che lo abbiamo visto fare nel trailer del secondo film – dato che qui Hic ha appunto l'età che dovrebbe avere nel secondo capitolo. Diciannove anni circa, sì. Ha cinque anni in più nel film che deve uscire, quindi diciannove/vent'anni è ufficialmente l'età generica.
Ok, io saluto e salutassi (?), spero che anche questa storia vi sia piaciuta e vi consiglio di leggere anche quelle linkate sopra! :))
Grazie davvero per aver letto, se voleste lasciarmi un commento mi farebbe solo piacere! Trovo questa raccolta parecchio interessante e spero di aver reso giustizia all'idea che l'ha fatta nascere, con questa mia storia – e anche l'altra, ne ho scritte due io.
Un salutone a tutti e grazie ancora per essere passati! Alla prossima!



© a u t u m n
   
 
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