“I dream of rain
I dream of gardens in the desert sand
I wake in vain
I dream of love as time runs through my hand
I dream of fire
Those dreams that tie two hearts that will never die
And near the flames
The shadows play in the shape of the mans desire
This desert rose
Whose shadow bears the secret promise
This desert flower
No sweet perfume that would torture you more than this”
Sting, “Desert Rose” (Prima parte)
The
act of walking on a rope
Il terreno non è mai stato così morbido, friabile sotto le tue mani: non senti i granelli di sabbia sotto le unghie, sfregare sulla carne viva, arrossata da tanto scavare.
Ricopri lentamente la buca non più vuota davanti a te.
Pianti il pezzo di legno bruciacchiato sulla cima della piccola altura da te creata.
E il terreno di quella terra arida non è mai stato così dannatamente morbido: ti sembra di piantare una lancia nel petto di un bambino - distogli lo sguardo, posandolo sulla prima pietra che trovi per terra: perché è un bambino ciò che hai seppellito, è il bambino, quello che hai ucciso, giorno dopo giorno, lo stesso, davanti al tuo mirino, alla canna spietata del tuo fucile.
Non sai nessuna preghiera adatta al momento, o forse l’hai solo dimenticata, come quel fantomatico Essere Superiore sembra essersi dimenticato di te, di quella terra, di quel piccolo corpo sepolto sotto trenta centimetri di terra e sabbia.
Ti chiedi come hai fatto a resistere fino alla fine.
Ti chiedi cosa dentro di te ti abbia dato la forza di restare a galla, nel mare di sangue che hai contribuito a trasformare in un oceano, quale sia stata la boa capace di non lasciar sprofondare il tuo cuore pesante come pietra dura, insensibile, inerte.
Qualcosa che pensavi di aver perso da qualche parte nella sabbia.
Ma poi è arrivato lui.
Quello stesso cuore lo hai sentito battere nel petto – flebilmente, sono ancora qui, agonizzante ma vivo: sono ancora qui – così tanto tempo prima da sembrare un ricordo da foto ingiallita, un disco rotto che ogni tanto perde il ritmo e la tonalità.
E’ arrivato lui, come una di quelle tempeste di sabbia che sconvolge l’orizzonte, ribalta il cielo e la terra, confonde i sensi e lascia storditi in un mondo stravolto.
Il sottile gioco di contrappesi che ti ha mantenuto in equilibrio – un equilibrio precario ma tuo, così faticosamente trovato – compromesso irreparabilmente: e cadi, sbilanciata, cadi dal filo tagliente della tua ancora breve vita da funambola, consapevole di non avere sotto di te alcuna rete.
Ora la bilancia pende da una parte – dalla sua – pericolosamente instabile, su un miscuglio indistinto di Bene e Male, di cielo e terra e sangue.
Decentrata, compi le tue evoluzioni attorno ad un nuovo fuoco, la tua orbita deformata, instabile, cambia l’inclinazione del sole, la temperatura del deserto, i colori attorno a te, le tue prospettive.
Sai bene cos’è, questo sentimento che è riuscito a mettere in secondo piano il mondo circostante, la crudeltà di una guerra: sai bene cosa ti ha distratto – cosa ti ha salvato - dalla realtà.
Ma toccare quell’argilla cedevole, la fragilità, l’inconsistenza di quella piccola porzione di mondo tra le tue dita sporche – la tua mano sulla terra, la tua mano in una carezza per quel piccolo corpo, attraverso la morbida terra - è bastata a farti ricordare, tutto d’un tratto, cosa stavi dimenticando, cosa stavi cercando di negare.
Sfreghi le mani tra loro, cerchi la tua borraccia – lava via da me tutto questo, lo sporco, il sangue, quello che ho fatto – per rovesciarne il contenuto sulla tua pelle.
Non andrà mai via, pensi – sai che non andrà mai via - questa sfumatura rossa, questo peccato, questa colpa.
Non andrà mai via, perché sei stata parte, tuo malgrado, di tutto questo, parte della Storia, trascinandovi dentro anche lui – lo steso colore sgarbato sulle vostre mani, il marchio che hai sulla schiena riprodotto sui suoi guanti: Destino - nel momento in cui hai sollevato la maglia leggera scoprendo le vertebre una ad una ai suoi occhi spalancati: la fine del mondo.
Non esiste pioggia che possa cancellare tutto ciò.
Ma mentre avverti i suoi passi dietro di te, la consapevolezza di poter comunque fare qualcosa è ormai una certezza: una decisione che hai già preso.
“Ho
sognato la pioggia
Ho sognato giardini
tra la sabbia del deserto
Mi svegliai invano
Ho sognato l’amore
mentre il tempo fuggiva tra le mie mani
Ho sognato il fuoco
Di quei sogni che
legano due cuori che non moriranno mai
E vicino alle fiamme
Le ombre giocavano con
la forma dei desideri umani
Questa rosa
del
deserto
La cui ombra porta la
promessa segreta
Questo fiore del
deserto:
non c’è dolce profumo
che torturi di più.”
Dov’era
Riza? Proprio
qui (purtroppo).
Qui, a
rendersi conto
che non può scappare dalla realtà rifugiandosi
nella felicità che può darle
l’amore, qui a sentirsi in colpa per essersi coperta gli
occhi con questo
sentimento per tutto questo tempo, di aver indorato la pillola.
Non ho mai
capito
pienamente il motivo della decisione di Riza – o meglio: il
perché avesse preso
quella decisione proprio in quel momento preciso – per cui
questa è una visione
del tutto personale (solo l’Arakawa potrà
illuminarci… se vorrà mai farlo).
Ho pensato
che fosse
in qualche modo un improvviso ritorno alla realtà di Riza in
seguito alla
prospettiva di ritornare alla vita ordinaria – che solo dio
sa quanto faccia
paura a dei soldati provati come loro…
E’
uno dei pochi
capitoli in cui ho provato a dare voce diretta ai pensieri di Riza
– e sapete
quanto la cosa mi risulti difficile… - ma in questo caso era
un scelta forzata: il fatto di toccare con mano il risultato delle sue
azioni e delle sue scelte anche passate, deve aver
instaurato un meccanismo di squilibrio in lei, quasi si sia
chiesta se quei momenti un po' più rosei passati con Roy,
siano stati solo un miraggio, qualcosa che ha distolto la sua
attenzione da ciò che stava succedendo - da ciò
che lei stessa stava facendo.
Spero sia
venuto bene.
A domani
(come
sempre).
Bacione