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Autore: Odiblue    10/03/2014    8 recensioni
"Si sentiva strana, con le farfalle nello stomaco, come una stupida ragazzina di dodici anni, con il terrore di svenire stile Hinata Hyuuga. Tratteneva il respiro e sperava che Sasuke non si accorgesse della sua stranezza, del fiato irregolare, delle guance che si scaldavano, quando gli passava un piatto per sciacquarlo. Sperava non notasse gli sguardi con cui lo mangiava, ogni volta che alzava il braccio, per mettere una padella sullo sgocciolatoio. Era un gesto semplice, ma con quella maglietta che mostrava i muscoli e senza Naruto, di là, sul divano..." Sasuke/Sakura; cenni Naruto/Hinata.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Team 7 | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Premessa: ricordo ai gentili lettori che questa storia non va presa con serietà, e che questo capitolo è ancora meno serio del precedente. Buona lettura.

II.

    Fu così che arrivò il fatidico giorno...

Sasuke Uchiha riteneva che nell'ultimo periodo la sua vita avesse preso una piega decente. Non poteva dire “buona” o “bella”, considerati i traumi d'infanzia e un paio di tasselli in cerca del giusto posto. Tuttavia, se ripensava agli anni passati - infarciti d'odio e vendetta - ammetteva di aver toccato il proverbiale fondo. Ogni mattina, quando apriva gli occhi lontano da Konoha, veniva salutato dal buio. Volteggiava su se stesso, disegnando angoli di trecentosessanta gradi, ma tutti quei giri si rivelavano inutili: affondato negli abissi dell'oscurità, lo Sharingan non riusciva a cogliere un solo baluginio di luce. Non una lucciola in cerca di tenebra. Non una stella in fuga dall'alba. Non un raggio del sole appena nato.

Successe quando gli occhi si erano adattati al manto perpetuo di nero. Una testa gialla e una testa rosa squarciarono il tessuto, colori tanto sgargianti che restava impossibile ignorarli. Così, un po' sollevato, un po' indispettito per l'insistenza di quelle tinte troppo accese, Sasuke aveva seguito le macchie di colore, percorso la via della redenzione e ritrovato il giorno.

A due anni dal suo ritorno a Konoha, in una mattina che tutti spacciavano per primaverile, ma che per lui era ancora inverno, camminava al fianco di Naruto. Aveva appena concluso una missione e si era fatto trascinare verso casa di Sakura, per chiederle di pranzare da Ichiraku. Il sole splendeva alto e scagliava le ombre degli edifici sul lastricato. Sasuke calpestava le punte dei tetti, riflesse al suolo, mentre si avvicinava alla meta.

«Sakura-chan? Che stai facendo in strada?» urlò Naruto.

Il Dobe non aveva le allucinazioni. Sakura si trovava sul vialetto davanti ad un'aiuola, traboccante fiori di mille varietà. Parlava con un ragazzo dal cappello blu, firmando un foglio e ringraziandolo per un favore che doveva averle fatto. I pollini fluttuavano nell'aria; i petali di geranio e primula disegnavano un prato rosso, giallo e viola; il sole scaldava le foglie, illuminava il viso di Sakura, che sorrideva con le guance arrossate, per il caldo. Sasuke ammirava lo scenario, un esperto d'arte che scrutava un quadro da lontano, affascinato dalla visione d'insieme, perché, al di là di quel che aveva creduto, quel giorno era davvero primavera.

Naruto, invece, pensava che aveva fame e che la sua Sakura-chan non lo stava ascoltando:

«Sakura-chan! Ci seeeeeei?» le urlò nel timpano.

Lo straniero se ne andò. Naruto, per la potenza del grido, fu premiato con un cazzotto in testa. Sakura fu veloce a ricomporsi. Li salutò con una vocina tanto dolce e ingenua che – fiuto d'Uchiha – nascondeva un inganno.

«Ehi, ciao, ragazzi!» Capacità di cambiare umore degna di studi scientifici. Orochimaru e Kabuto avrebbero fatto carte false per analizzare una mente tanto confusa e intricata. Sasuke la salutò con un cenno del capo, ma Sakura aveva già spostato la sua attenzione su uno scatolone imballato.

«Arrivate al momento giusto» disse. « Stavo proprio cercando qualcuno disposto a portare dentro il mio nuovo acquisto.»

Naruto assunse la posa da Dobe, le mani sulla nuca, il sorriso da idiota, l'intenzione di girare sui tacchi e darsela a gambe levate.

«Il Teme è disponibile, sai?» sghignazzò.

La risposta di Sakura fu preceduta da uno scricchiolare delle nocche. Secondo pugno in arrivo, ridacchiò Sasuke. Si chiese se questa volta la sua compagna di squadra sarebbe riuscita a stabilire un nuovo record mondiale.

«Anche tu mi aiuterai, a meno che-»

«Ti aiuterò, Sakura-chan! Ti aiuterò! Con tutto il mio cuore!» disse Naruto.

Lo scatolone doveva essere pesante, se Sakura voleva il loro aiuto, oppure incredibilmente delicato, motivo per cui andava portato in casa con cura. Il contenuto di quell'enorme confezione in cartone era rimasto taciuto. Sakura non aveva parlato. Il Dobe non aveva chiesto. Ma poi Sasuke lo vide: un piccolo schizzo nell'angolo in alto. Riproduceva il modello del male assoluto, intrappolato in un carcere di cartone e polistirolo.

“Non può essere” si disse. Colpa del sole di primavera, iniziò a sudare freddo. Un tic agli occhi lo costrinse a chiuderli. Lo scatolone doveva essere un'allucinazione. “Sì, io e il Dobe siamo stati catturati in missione, intrappolati in un genjutsu. Sakura non potrebbe mai-”...

Ma quando riaprì le palpebre, lo scatolone era ancora lì, in tutta la sua gloria e in tutto il suo splendore, e Sakura sorrideva, beffarda, gioendo per il nuovo acquisto. Il mondo di Sasuke Uchiha si trovava sull'orlo del precipizio, pronto a ruzzolare nel burrone e a schiantarsi sul fondo della gola.

«Sakura?» chiese. «Che cos'è quello?»

Il demone e la furia si girarono verso di lui, allarmati da quella domanda, o forse dal pallore del suo viso. Sasuke aveva sentito il sangue defluire dal cervello fino alla punta dei piedi, impedendo il corretto funzionamento della circolazione. Sakura alzò una spalla:

«Una lavastoviglie.»

Fu la spinta decisiva, perché il mondo di Sasuke Uchiha capitombolasse nel vuoto. La pace sbatté contro uno sperone; i piatti, sui quali si era costruito un futuro, si infransero roccia dopo roccia, divennero piccole schegge di vetro e porcellana. Il senso di caldo, che nell'ultimo periodo aveva provato nella zona del cuore, venne sostituito da una fitta di delusione e ira. Sasuke non la sentiva dalla morte di suo fratello: tradimento.     

Era un affronto. Sakura stava spezzando l'equilibrio, scoppiando la bolla in cui avevano plasmato un nuovo universo. Anzi, non si trattava solo di distruggere. Si trattava di gioire nel distruggere. Perché comprare una lavastoviglie quando puoi avere Sasuke Uchiha?

«Una lavastoviglie?»

«Sì, Sas'ke-kun!» sorrise Sakura. «Una di quelle macchine dove metti dentro i piatti, schiacci il pulsante d'accensione e lei fa tutto il lavoro da sé, senza bisogno che qualcuno lavi le stoviglie a mano, una dopo l'altra.»  

Sasuke inorridì al solo pensiero. Quella non era una lavastoviglie. Quella era una bomba atomica. Quello era un ordigno innescato e sarebbe esploso di lì a qualche giorno, durante la prima cena del Team 7 a casa di Sakura, e tutti loro sarebbero rimasti intrappolati in quel violentissimo botto di polvere da sparo e fuoco. Quella era la fine di una nuova famiglia. La sua famiglia.

Ma allora, perché solo lui lo vedeva? Si sentì trascinare in casa da Sakura, mentre dieci copie di Naruto portavano lo scatolone in cucina. Si ritrovò sul divano, con un bicchiere d'acqua fresca in mano e gli occhi impallati in quelli verdissimi di Sakura. Lei lo guardava con dispetto, felice di aver rotto il suo giocattolo preferito. Avesse agito con inconsapevolezza, Sasuke l'avrebbe perdonata. Ma c'era del divertimento su quelle labbra troppo rosse.

«Una lavastoviglie?»

Perché?

Gli occhi di Sakura sembravano voler dire “Dai, che lo sai”. Lui sapeva solo che lavare i piatti lo rilassava e che era stato beffato da quella strega, racchia o quale altro nomignolo Sai le avrebbe appioppato. Riportò il bicchiere in cucina e lo sbatté nel lavandino, rompendolo a metà.

Solo allora si accorse di Naruto, seduto sul tavolo, con i crampi alla pancia per le troppe risate. Il Dobe lo puntò con l'indice:  

«Ahahah! Il Teme non sa cos'è una lavastoviglie!»

Fu così che il servizio di Sakura, in origine dodici pezzi, ridotti in un secondo momento a undici, subì un'ulteriore, sacrificabile ed inutile perdita.  

*

Il tempo è come la sorte. Cambia all'improvviso, quando meno te lo aspetti. Così il destino di Sasuke aveva subito una brusca deviazione verso la miseria, e così lo splendido sole di primavera era stato eclissato da nembi carichi di pioggia. Alle cinque di pomeriggio, gli dèi celesti avevano iniziato a buttare sulle terre continentali manciate di grandine e scariche d'acqua, violentissime. Un temporale come non se ne vedevano da un pezzo, a Konoha.

Sakura aveva inviato una lumaca per informare lui e Naruto che avrebbero cenato da lei, ma se esisteva un luogo dove Sasuke non voleva trovarsi, quel posto era proprio un monolocale al quarto piano, nella zona dell'ospedale. Il suo umore si adattava al colore della notte, il nervoso ai fulmini che squarciavano il cielo, spaccando il manto della tenebra con linee gialle. Alla fine si decise a mantenere il controllo. Sasuke non sarebbe stato un tuono, pronto ad esplodere in tutta la sua ira, ma una tempesta di vento, silenziosa, distruttiva e passeggera. Nessuno lavava i piatti come Sasuke Uchiha - nemmeno una lavastoviglie! - e Sakura si sarebbe pentita di aver sprecato metà stipendio in un inutile capriccio.

Cenarono in grande quella sera. Dovevano festeggiare l'arrivo della nuova arrivata. Sakura fece anche il ramen, per rendere felice il Dobe. Mangiarono, aggiornandosi sugli ultimi pettegolezzi di Konoha. Sakura e Naruto facevano gossip di infima qualità. Sasuke ascoltava notizie che erano riciclate e che perfino alle sue discretissime orecchie non giungevano nuove.

«Sapete? Ho scoperto che Kiba esce con una della Suna e Akamaru è geloso» disse Sakura, mentre tagliuzzava la carne nel piatto. «Quando i piccioncini si vedono, non vuole saperne di stare con loro.»

«Lo sapevo, lo sapevo!» Naruto rise, parlò con la bocca piena. Sakura era talmente presa dal discorso, che si dimenticò di tirargli un pugno, per insegnargli le buone maniere. «Me l'ha detto Hinata l'altro giorno e mi ha anche detto che tocca a lei prendersi cura di Akamaru, quando Kiba ha un appuntamento!»

“Dobe” pensò Sasuke. “È tutta la sera che Sakura sta cercando di iniziare l'argomento Hinata! Ti sei appena dato la zappa sui piedi, idiota!”

Era proprio un Dobe. Mangiava felice e contento, a grandi bocconi, violando tutte le leggi del galateo, con i gomiti buttati sul tavolo e il cibo che schizzava sulla tovaglia a scacchi. Non si accorse della scintilla vittoriosa nelle iridi di Sakura. Fosse stata una sera come le altre, Sasuke si sarebbe complimentato in silenzio con lei, per l'astuto tranello nel quale aveva imprigionato Naruto.

“Ma io sono offeso” si ricordò. “E se non offeso, quanto meno indispettito.”.

«Ma va?» la sentì sghignazzare. «E com'è, Naruto, che tu hai saputo tutti questi dettagli da Hinata?»

Naruto diventò color peperone, buttò in gola un bicchiere d'acqua, si strangolò, prese a battere grandi pugni sul petto, a fissare il lampadario sul soffitto, perché il liquido raggiungesse lo stomaco senza ucciderlo.     

«L'ho incrociata da Ichiraku» tossì. «Casualmente. Verso le quattro di pomeriggio. E niente. Casualmente

Sasuke soffocò una risata di presa in giro. Naruto non era un Dobe. Naruto era il sovrano assoluto dei Dobe. Il continuo insistere su quel casualmente non aveva fatto altro che insospettire Sakura, e l'orario – quattro di pomeriggio – uccideva il “caso”. Nessuno mangiava il ramen da Ichiraku alle quattro, e Sakura lo sapeva. Era troppo intelligente per non saperlo. Fissava Naruto con il mento poggiato sui dorsi delle mani e le mani sostenute dai gomiti, sul tavolo. Il suo umore raggiungeva l'apice del divertimento:

«Casualmente era seduta vicino a te» lo canzonò. «E casualmente avete parlato tutto il tempo, e casualmente l'hai riaccompagnata a casa, e casualmente l'hai baciat-»

Che razza di stalker era Sakura? Come faceva a sapere tutti quei particolari? Naruto saltò in piedi di scatto. Le gambe della sedia striderono sul pavimento e condannarono le loro orecchie a un brivido.

«Bagno! Bagno!» gridava Naruto. «Io vado in bagno! Comodi, state pure comodi! So benissimo dov'è!»

Il suo viso era ancora di un'accesissima tonalità peperone, i movimenti più goffi del solito. Gli bastò muovere un passo verso il corridoio, per inciampare nel cavo dell'aspirapolvere e rotolare a terra, trascinando sul pavimento l'elettrodomestico, il centrino e due souvenir, fino a qualche secondo prima sul tavolo di cristallo, al quale si era avvinghiato.

Forse per il timore di un pugno, forse per l'imbarazzo, scomparve in bagno e chiuse la porta a chiave, mentre Sakura sistemava il disastro e restituiva al salotto un minimo di ordine. Sasuke finì di mangiare in tutta calma, si versò un bicchiere d'acqua e rimase a studiarla con la coda dell'occhio.

«Credo di aver tirato un po' troppo la corda» rise lei, lanciandogli un'occhiata complice.

Le rispose con un “ah”, in segno di accordo, anche se in cuor suo aveva trovato appropriato il piccolo interrogatorio messo su da Sakura. Naruto era il fan numero uno degli scherzi di cattivo gusto, e di uno scherzo era caduto vittima, per quanto non di cattivo gusto. Il siparietto del team 7 - protagonisti due membri su tre - aveva allontanato la tempesta di vento, e ora nell'animo di Sasuke regnava il sereno. Un timido sole sbucava dall'orizzonte, lo rassicurava, dicendogli che tutto rientrava nel solco della normalità. Sakura aveva comprato la lavastoviglie. Vero, ma doveva servirle per i giorni in cui lui si trovava in missione. La bolla non sarebbe scoppiata e quella sera avrebbero concluso la routine del team 7, come era tradizione che fosse: lavando i piatti. In coppia.

Quando finì di svuotare il bicchiere d'acqua, si alzò da tavola e iniziò a recuperare le posate sporche. Sakura smise di trafficare con il centrino e gli rubò una forchetta di mano.

«Oh, grazie, Sas'ke-kun» sorrise. «Ma non ti preoccupare. Ci penso io e poi c'è la lavastoviglie.»

Si impossessò dei suoi piatti e scomparve in cucina, lasciandolo impallato come uno stoccafisso o un vecchio gufo impagliato. Perché le sopracciglia si erano piegate in una curva irritata, gli occhi riempiti di disumano stupore, mentre le parole di Sakura riecheggiavano in un vortice senza fine.

La lavastoviglie. La lavastoviglie. La lavastoviglie. Non ti preoccupare, Sasuke, c'è la lavastoviglie. Sasuke sbottò e in quel momento Naruto uscì dal bagno e si buttò sul divano. Perché il Dobe, pur essendo Dobe, venerava le sacre usanze del team 7, non come quella scriteriata di Sakura, che preferiva schiacciare il pulsante dell'odiata macchina, piuttosto che lavare i piatti con il celebre Sasuke Uchiha, che - giusto per precisare - non era assolutamente di indole gelosa.

Che bisogno aveva di essere geloso? Punto primo. Si stava parlando di Sakura Haruno, nata per prostrarsi ai suoi piedi e venerarlo quale gran dio appena sceso dall'alto dei cieli...

“Perché è ancora così, vero?”

Punto secondo. L'avversario era una scatola laccata di bianco, con dentro pezzi di metallo e tubi di gomma. Assurdo. Totalmente assurdo! Dalla cucina proveniva un rumore di stoviglie che cozzavano le une contro le altre. Seguirono il tonfo dello sportello che si chiudeva e un forte gorgoglio meccanico: il robotico nemico era passato all'azione.

“Assurdo” si ripeté Sasuke. “Totalmente assurdo e poi io sono migliore, più efficiente, e non faccio tutto questo baccano”.

Rimase a braccia incrociate sulla sedia e si convinse che, vista la sua superiorità, non c'era motivo di avercela con il fastidioso ammasso di cavi, destinato ad andare in tilt al primo contro-circuito. Ma poi Sakura si lasciò cadere sul divano, accanto a Naruto. Rubò un angolino del plaid a scacchi e si coprì i piedi scalzi e le ginocchia.

«Lo sai?» Sfoderò di nuovo la voce civettuola. Non dava il minimo peso all'assenza del loro attimo speciale, in cucina. Preferiva tornare a spettegolare con il Dobe. «Non dovresti sfruttare la povera Hinata-chan, Naruto, costringerla a lavare montagne di piatti. Compra anche tu una lavastoviglie.»

Sasuke stralunò gli occhi al cielo. Aveva sempre ritenuto Sakura un'attaccabrighe, ma ora quella ragazzina accovacciata sul divano, con la spallina della canottiera che scivolava lontana dal collo, rivelando un lembo di pelle chiara, con una piccola smorfia divertita e carica di sicurezza, con i capelli che oscillavano ad ogni minimo movimento del capo - ciocche rosa ovunque -  s'era trasformata in un sadico diavolo di sesso femminile. Rigirava il dito nella piaga, lanciando sguardi d'amore alla lavastoviglie, mentre Naruto cercava di sfuggire alla ragnatela in cui Satana l'aveva imprigionato.

«Ma, ma, ma Hinata-chan non mi lava sempre i piatti!»

Sakura saltò sul divano e applaudì all'ennesima vittoria. La spallina della canottiera scese ancor più di quota. La lavastoviglie emise un borbottio e Sasuke sentì l'emicrania premere sulle tempie.

«Ma bene! Vedo che siamo passati all'Hinata-chan!» disse Sakura.

«No, cioè, io, intendevo dire... devo andare un attimo in bagno.»

Ma la mantide religiosa tinta di rosa non si lasciò sfuggire la preda, non dopo averla intrappolata. Afferrò Naruto per la manica e lo ributtò sul divano, costringendolo ad affondare tra i cuscini di piume d'oca.

«Scemo, perché ti vergogni ad ammetterlo?» rise e gli arruffò i capelli.

Guardando il battibecco dei suoi compagni di squadra, Sasuke si sentì improvvisamente ridicolo, per i pensieri che si erano inchiodati al suo orgoglio nel corso della giornata. La Sakura sul divano, la ragazza che si divertiva a maltrattare Naruto, era sempre la Sakura con cui lavava i piatti. Se Sasuke avesse chiesto, lei non avrebbe avuto motivo di tenerlo lontano dal lavandino.

“In fondo non posso dichiarare guerra ad un elettrodomestico. Sarebbe ridicolo”.

«Comunque, non scherzavo sulla lavastoviglie» disse Sakura. «Sai, Naruto? Mi è bastato un giorno per capirlo.» Non parlava fissando i baffi confusi del Dobe. Selezionava parola dopo parola, cercando occhi color pece. «Migliora la vita» concluse in tono di sfida.

Sasuke digrignò i denti. Diede inizio ad un tormentato duello di sguardi con i pulsanti neri della lavastoviglie, giacché un Uchiha non si tira mai indietro e quella volta avrebbe sputato sangue pur di salvare l'equilibrio della sua vita.

“Vuoi la guerra, rottame plastificato?” Inserì un ghigno malvagio. Sapeva di vendetta. “E guerra sia”.

--

Ed ecco la seconda parte del mini-delirio Sasuke vs. Lavastoviglie&Sakura. Spero di non aver deluso le vostre aspettative, avendo scritto una cosuccia tanto ridicola e scema - il mio unico obiettivo era staccare la mente dai doveri della vita reale e deridere Sasuke mi diverte troppo -. Ringrazio le persone che hanno letto, commentato e inserito nelle preferite/ricordate/seguite. Non sono molto brava a ringraziare, ma mi avete davvero rallegrato la giornata!

A presto

Un bacione

Odiblue <3
   
 
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