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Autore: Athenae    12/03/2014    3 recensioni
Sono passati dieci anni da quando Midorima e Takao frequentavano le superiori. Cosa è accaduto nel frattempo?
Due strade diverse, due mondi diametralmente opposti.
Due amici che sarebbero potuti essere molto di più, due anime tormentate dal rimorso.
Entrambi persi in un passato troppo lontano, imprigionati in un presente che non gli appartiene.
Ma il destino ha ancora tante altre sorprese in serbo per loro… e tutte le certezze, tutti i sentimenti e le verità del presente si ritroveranno sconvolte da un passato che non era mai stato dimenticato.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kiyoshi Miyaji, Nuovo personaggio, Shintarou Midorima, Takao Kazunari
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo III
- Daily life, pain twice –
 
Quegli enormi occhi verdi continuavano a squadrarlo, allegri.                        
Shintarō sorrise lievemente, accarezzando la testolina piena di lunghi capelli neri e sottili dietro i quali si nascondevano delle piccole orecchie ansiose di sentire una sua risposta. Prese in braccio la bambina ricambiando a quello sguardo smeraldino con altro verde, il proprio.

<< Papà è tornato. >> disse, con un sospiro di sollievo: alla fine era arrivato in tempo, proprio secondo i suoi calcoli.

Sakura, così si chiamava la creaturina paffuta che teneva tra le braccia,  si accoccolò al suo petto gongolando e gli lasciò un piccolo bacio sulla guancia mentre ridacchiava contenta.

<< Bentornato! >> cantilenò con voce nasale, tutta contenta di ritrovarsi tanto in alto. Adorava suo padre. Le piacevano le sue mani curate, il suo profumo di pulito misto ad agrumi e anche la tenerezza che mostrava solo verso di lei. Insomma, era speciale e gli era affezionata più di quanto un bambino di sette anni mostrava solitamente nei confronti di un genitore.
Midorima, invece,  provava un profondo affetto paterno nei confronti di quella personcina tutta particolare che, probabilmente, era l’unica che riuscisse a strappargli un sorriso ogni tanto.
L’aveva avuta a soli venti anni.
 

 
A quel tempo non c’era spazio per un figlio nella sua vita, ancora studiava all’università e non aveva tempo per nulla di simile. Ma, come spesso accade, la vita non sta di certo ad assecondare le esigenze altrui per un caso (s)fortunato  – era difficile darne un’opinione omogenea -, si era ritrovato genitore quando neanche aveva mai sospettato di volerlo diventare.
Non che si pentisse di nulla: nel suo mondo di angoscia il sorriso e gli occhi innocenti di sua figlia erano il suo unico conforto.

Inizialmente aveva avuto dei profondi dubbi su quella situazione,  ebbe alcuni momenti di debolezza in cui stava per tirarsi indietro ma il suo senso del dovere si fece avanti e non se la sentì di abbandonare una donna incinta e una nuova vita sul ciglio della strada.

Per quanto avesse potuto odiare quello che gli stava per accadere, per quanto stupidamente respingesse e ripudiasse dentro di sé quell’essere che avrebbe cambiato la sua vita non poté fare a meno di ricredersi quando, dopo ore di travaglio in ospedale,  lo strinse tra le braccia per la prima volta.
In quel preciso istante si era reso conto di essere pronto a prendere in mano questo nuovo e gravoso incarico.

Quel piccolo frugolino rosso che dormiva respirando impercettibilmente accostato al suo petto, bisognoso di protezione, fu in grado di trasmettergli una sensazione di calore e serenità che lo fece quasi rinascere, spazzando via la tensione delle ore insonni che aveva passato e, per un secondo, tutti i dolori della sua esistenza.

Poteva dire di essere stato salvato da lei, se Sakura non ci fosse stata probabilmente si sarebbe ritrovato a condurre una vita ben più meschina di quella che conduceva attualmente.
 
***

 
Entrò chiudendo la porta, poggiò le chiavi in una ciotola argentata che si trovava su un mobiletto all’entrata e si tolse il cappotto appendendolo sull’appendiabiti, aiutato dalla bambina che ancora non aveva posato a terra ( e che non sembrava intenzionata a scendere ).

<< La mamma dov’è? >>  chiese, poi, guardandosi attorno con aria circospetta.

<< Sono qui, caro! >> una voce acuta e femminile trillò facendo eco da un angolo indefinito della casa- ci fu un po’ di trambusto e, finalmente, lei apparve.
Era alta, slanciata,  il viso racchiuso in un perfetto ovale era circondato da lunghi capelli corvini che ripiegavano in due ciuffi ondulati sulla fronte pallida della donna i cui occhi grigio celesti brillavano di luce propria mentre la bocca carnosa si schiudeva in un sorriso dolcissimo e colmo d’amore.

Haruka.

Sua moglie, la sua maledizione.

Se la vista della bambina gli procurava un piccolo momento di felicità era consapevole che, una volta incontrata lei, sarebbe tutto crollato e svanito.
Perché? Non c’era nessun motivo valido per reagire in quel modo alla presenza di una moglie tanto perfetta, intelligente, bella e premurosa.
L’unica giustificazione del suo comportamento era i l rimorso: un sentimento che neanche lui era riuscito a decifrare ma che gli si ripresentava quotidianamente, come ad un bimbo capriccioso vengono ripresentate sempre i soliti piatti amari.

Una punizione divina, probabilmente.

Sentiva di non poterle dare quello che meritava, provava disagio ogni volta che la aveva accanto e i suoi sorrisi teneri non facevano altro che farlo sprofondare nell’insicurezza.

Haruka gli si avvicinò accarezzandogli il viso mentre puntava i piedi sul pavimento, riuscendo ad arrivare alla sua altezza per poi guardarlo dritto negli occhi.
Sakura si coprì gli occhi ridacchiando divertita, sapeva bene quello che la mamma e il papà stavano per fare, lo vedeva spesso alla televisione.

Le loro labbra si toccarono velocemente, un istante.

Shintarō quasi cercò di sottrarsi ma, alla fine, lasciò che lei facesse.

La giovane donna sospirò, alzando comicamente gli occhi al cielo.

Era sempre così, sempre. Suo marito non era esattamente luomo più affettuoso al mondo e solo con la bambina sembrava sciogliersi un po, anche se alcune volte arrivava a preoccuparsi per questo motivo.

Che avesse unaltra?

No, non era il tipo e, comunque, non era mai stato particolarmente espansivo con nessuno (per quanto lo conosceva lei) quindi da quel punto di vista si sentiva particolarmente sicura. Già, alla fine era solo lei a farsi quei problemi inutili. Sorrise ancora e sistemò il colletto della sua camicia candida rubandogli un bacio sulla guancia.
Era suo, lo amava alla follia e laveva sposata: questo bastava.

Midorima strinse le labbra infastidito e si scostò dirigendosi verso la sala da pranzo, seguito dallo scalpiccio dei piedini di Sakura che era ritornata a terra.
Lei li seguì.
***
 
La cena era già sul tavolo, fumante. Sapeva quanto lui odiasse non trovare tutto pronto, era un tipo metodico e quindi lei cercava di organizzarsi secondo le sue abitudini che, ormai, dopo sette anni insieme erano diventate anche le sue.

Si sedettero tutti; Shintarō stava accanto a Sakura che giocava con il suo lucky item, ignorando i suoi moniti riguardo al fatto che era meglio che il pupazzo non stesse dove poggiavano il cibo. Dopo i primi due richiami l’orsetto venne messo sul divanetto lì accanto e iniziarono silenziosamente a mangiare.

<< Amore, com’è andata oggi a lavoro? >> esordì lei, tra un boccone e l’altro mentre gli dedicava tutta la sua attenzione.

<< Non male. Ho operato con successo due pazienti gravi.. >> scandì bene le parole senza alzare gli occhi dall’arrosto che stava tagliando accuratamente, neanche il coltello fosse un bisturi.

 << Oh, mi fa piacere. Da te non ci si potrebbe aspettare nulla di meno… >> commentò, ridendo allegra: era orgogliosa di avere un uomo simile come marito.

Ci fu qualche momento di silenzio, rotto dal tintinnare delle posate e la vocetta della bambina che canticchiava la sigla di un anime mentre spostava circolarmente i pezzi di carne già tagliati che aveva nel piatto.
Silenzi come quello ce n’erano tanti e per entrambi era difficile riempirli.

 
Da una parte Midorima, quellangoscia maturata nel tempo era come un blocco, quasi si fosse eretto un muro invalicabile attorno. Così vicino eppure così lontano. Dallaltra vi era Haruka, che cercava disperatamente di arrampicarsi nella fortezza che lui aveva costruito e sperando di riuscire poi a vedere chi fosse suo marito realmente. Voleva essere parte del suo mondo ma veniva respinta da quella freddezza glaciale, ormai faceva finta che tutto andasse bene. Lo faceva per sua figlia, per lui, per sé stessa.

Bevve un sorso di vino, sperando che lalcool spazzasse via le sue insicurezze. Doveva essere la moglie perfetta, doveva fargli rendere conto che senza di lei non sarebbe potuto andare lontano. Desiderava rivendicare il proprio possesso su un qualcosa che sulla cara era già suo.

Si sentiva così stupidaera chiaro che lunica ad essere innamorata fosse lei, eppure non voleva guardare in faccia quella realtà tanto scomoda che entrambi mascheravano falsando un ambiente famigliare altresì instabile.

 
<< Ho finito, grazie per il pasto. >> disse Midorima, alzandosi velocemente dopo essersi pulito le labbra con il tovagliolo, sempre con la sua solita meticolosità.
Non voleva, no cercava di dare una spiegazione a tutto quello.

Gli occhi di lei sembravano implorarlo di rimanere ancora un po’, fece finta di non averli visti.

 
***
 
Si allontanò dalla sala da pranzo, immerso nei suoi pensieri.

“Forse dovrei mandare quel cardiogramma del paziente n.2367 al laboratorio n.9 …”

Non riusciva a staccare il proprio cervello dal lavoro e da quell’impalcatura che aveva minuziosamente ideato per far reggere in piedi la propria vita, se lo avesse fatto si sarebbe dovuto scontrare con la realtà che, alla fine, non era poi così perfetta.

Arrivò alla fine del corridoio e aprì la porta del proprio studio, accostandola lievemente. Non sembrava essere entrato nessuno e questo, da una parte, era un bene.

Vi era una semplice ed ampia scrivania in legno scuro sul fondo della stanza che dava su una grande finestra, dietro la quale era possibile scorgere il piccolo cortile posteriore e la collina che ne occupava lo sfondo arido a causa delle temperature basse. Le pareti erano coperte da librerie colme di volumi da lettura e tomi di Medicina tra i più vari, un modellino anatomico del corpo umano nella sua interezza compariva in un angolo della stanza a mo’ di decorazione. Stranamente quella stanza era l’unica sgombra dai lucky item, pulita ed essenziale.

Si sedette sulla morbida poltrona girevole, prendendo in mano delle carte che già erano poggiate sulla superficie, scorrendone le parole con attenzione.
Tutto era calmo. Tutto andava come doveva.  
                                                                 
Continuò a lavorare per più di un’ora finché non decise di fermarsi, sentendo la stanchezza della giornata sulle spalle.

Si guardò attorno.

Era più forte di lui, si sentiva così dannatamente sciocco. Tenne il viso tra le mani ringhiando lievemente.

Perché? Perché non vai via?” pensò stringendo gli occhi, tormentandosi.

Sospirò rassegnato e portò le mani al collo, tirandone fuori una collana alla quale era attaccata, come ciondolo, una chiave. La sfilò osservando il piccolo oggetto lucido per qualche secondo.
Lo sto facendo ancora, incredibile, non è sano... si chiedeva, inevitabilmente attratto dalla chiave e dal significato che aveva. Cercò con una mano la serratura del cassettone sottostante la scrivania, fece scattare il meccanismo.

Tic.

La mano tremò appena. Non era stata manomessa, perfetto.

Sapeva quanto Haruka fosse tesa, nonostante facesse finta di nulla, perciò no avrebbe escluso un tentativo da parte sua di aprire quel cassetto che teneva gelosamente chiuso.

Ogni sera arrivava quel fatidico momento.
Spostò delle carte in superficie finché non sentì qualcosa di duro. Ne sfiorò il contorno rigido con le dita e tolse l’ampia scatola da lì dentro, posandola sul legno della scrivania.

Di per sé non aveva nulla di speciale: una normale scatola di cartone colorato e anche abbastanza ingombrante.

Ma le scatole non sono importanti, è quello che celano dentro ad esserlo.

La scoperchiò solennemente, con un gesto che ormai era diventato un’abitudine.
 
***
 
Foto, tante, alcune incorniciate e altre no. Attestati, biglietti del cinema e di partite di basket, pagelle, biglietti di auguri e qualche spartito scarabocchiato. Sotto tutto questo una divisa arancione piegata con cura e un’altra bianca si intravedevano, entrambe con il numero 6 e la parola “Shūtoku”  stampata a caratteri neri e cubitali.

Era incredibile come tre anni di vita stessero così comodi in una scatola.

Prese le foto in mano. La maggior parte erano state scattate da Kimura durante il primo anno, quando aveva deciso di comprarsi una macchina fotografica professionale.
Scatti rubati: Midorima che stranamente dormiva in classe dopo le lezioni, loro a mensa,  il festival della scuola… neanche si ricordava quando gliele avesse date.

Prese le uniche due incorniciate, le uniche che non aveva scattato il suo senpai.

La prima era una foto di squadra alla fine dell’anno scolastico in cui si erano conosciuti. Kimura guardava dritto nell’obbiettivo con il suo sguardo buono, Miyaji spuntava dietro di lui e sembrava intento a sbraitare qualcosa mentre puntava il dito contro la camera e Otsubo alzava gli occhi al cielo, esasperato. Lui era al centro e non sembrava alla foto, ma più al braccio che gli veniva buttato al collo mentre lo guardava con vivo imbarazzo. Takao lo stringeva sorridendo come uno scolaretto impunito, mostrando il segno della vittoria con la mano libera.

Takao.

Osservò quel viso stringendo la cornice fino a far diventare le nocche bianche.

Buttò la foto dentro e richiuse tutto, nervosamente,  sbattendo il cassetto con forza per poi accasciarsi sulla poltrona, massaggiandosi le tempie.

Non capiva cosa gli prendesse, ogni giorno affrontava quei ricordi sperando di trovare un mutamento nelle proprie reazioni che, invece, rimanevano sempre le stesse.

Si portò una mano al petto che batteva veloce, buffo per un cardiochirurgo non capirne le cause. Respirò lentamente cercando di calmarsi, non poteva colmare il vuoto che sentiva solo a vedere quel volto… non poteva ignorare quei sensi di colpa, ma per cosa?

Era assurdo, sciocco e masochista.

Non capiva più se fosse il passato a rincorrerlo o se fosse lui stesso ad andarvi incontro nel disperato tentativo di allontanarsi, con scarsi risultati.
Da quando si era sposato quelle sensazioni e quella scena notturna continuavano a ripetersi, quei pensieri lo assillavano.

Doveva dimenticare.

 
***
 
Sollevò lo sguardo sul soffitto.

Haruka, Sakura.

Aveva una famiglia da mandare avanti, le loro esistenze dipendevano dalla sua. A ricordarglielo era la fede all’anulare sinistro, fasciato.
Oro. Oro pesante, tanto che avrebbe potuto strappargli il dito sotto il suo peso.

Si alzò. Erano le 23, aveva bisogno di dormire.

Passò in camera della bambina a controllare il suo sonno, le rimboccò le coperte rosa e profumate. Quel visino innocente non avrebbe mai potuto immaginare i turbamenti che scuotevano l’anima di suo padre.

Andò in camera e si cambiò ripiegando i vestiti con cura per poi infilarsi nel letto dopo aver lavato i denti, quasi fosse un automa.

L’altra metà era vuota ma non ci fece caso.


Chiuse gli occhi.


 
Lo incontrò.


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ANGOLO DI ATHENAE:

ZAN-ZAN! Eccomi qua! Pensavate che mi fossi persa nelle colline d'Irlanda eh? Aahah, scherzo. 
Comunque, grazie per la vostra pazienza! scusate se ho risposto così lentamente alle vosatre bellissime recensioni... davvero Gomen, ma ho avuto anche una brutta influenza e mi sono un po' abattuta... anche se sono soddisfatta di essere riuscita a rispettare la scadenza. un lungo mese ed ecco a voi un lungo capitolo, il più lungo e complesso fino ad adesso. personamente l'ho trovato noioso da scrivere e ho paura di annoiare anche voi, alla fine i capitoli di Midorima sono quelli che mi piacciono di meno :< , bah. Per quanto riguarda questo capitolo in generale qui troviamo uno spiraglio della vita (im)perfetta del nostro amato quattr'occhi, angoscia e tristezza annesse. le parti in corsivo stavola sono state "donate" al punto di vista della nostra mogliettina, Haruka. Penso che lei sarà un personaggio determinante nel corso della storia, fate attenzione alla mammina (??). Spero di non avervi annoiato, sono sfinita e purtroppo non riesco neanche più a vedere quello che scrivo... perciò lascio a voi la lettura e ancora grazie per tutto il vostro supporto, ad ognuno di voi! Il prossimo capitolo sarà per il 25 marzo!
baci,
Athenae




 
   
 
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