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Autore: Flajeypi    15/03/2014    2 recensioni
Il finale di Mockingjay mi ha lasciato l'amaro in bocca.
Come hanno fatto Peeta e Katniss a ritrovarsi? Che ne è stato di Gale? E degli altri?
L'ho immaginato così.
[Dal primo capitolo]
Vorrei dirgli che se se andasse per me sarebbe la fine: smetterei di alzarmi dal letto, di lavarmi, di mangiare, di vivere. Sopravvivrei, certo, perché incapace di uccidermi per via del debito che sento nei confronti di tutte le persone che hanno perso la propria vita per salvare la mia, ma questa non sarebbe una vita degna di essere vissuta. Vorrei dirgli che quando ha piantato le primule avevo creduto che fosse tornato da me, che avevo pensato che forse le cose sarebbero potute andare, se non bene, almeno meglio di come andavano prima. Ma non so farlo. Io non so parlare, non so esprimere i miei sentimenti, era lui che smuoveva le folle con le sue parole. Così rimango lì, a fissarlo, mentre lo vedo scrutarmi l’anima attraverso gli occhi.
“Ho capito”, dice. Ed io non ho idea di cosa abbia capito, ma dopo averlo detto mi stringe a sé e a me basta questo: è una promessa, significa “resterò, nonostante tutto”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Mentre cadevo mi hai preso la mano

A Hunger Games Fanfiction



3. Forse sì, forse no

Mi sveglio nel mio letto e non ho idea di come ci sia arrivata. Morfamina, penso  ancora, capendo che Peeta mi accarezzava per distrarmi mentre Haymitch preparava la siringa. Ma perché mi hanno stordita? Sono arrabbiata, non avevano il diritto di farlo ma – ed è peggio – sono anche ferita dal comportamento di Peeta: il mio ragazzo del pane ha sfruttato l’ascendente che esercita su di me per ingannarmi; e non saperne il motivo mi fa infuriare ancora di più. So che non dovrei prendermela con Peeta, in fondo in una situazione simile io feci lo stesso, ma è più forte di me. Sono o non sono la Ragazza in fiamme?
Poi mi ricordo che c’era anche Gale, svenuto, nella stanza e inizio a chiedermi se quell’iniezione di morfamina non avesse qualcosa a che fare con lui. Cosa volevano dirgli – o fargli – a cui non dovevo assistere? Devo scoprirlo, così mi alzo, ignorando il dolore all’occhio, che ormai sarà diventato nero, e la testa che gira e chiedendomi quanto tempo ho dormito. Scendo le scale di corsa da quello che mi sembra di capire, perché la testa comincia a girarmi più forte, ma sulla fine trovo un ostacolo. Strano, non ricordavo di avere mobili alla fine delle scale.
“Ciao Catnip”, ah ecco, non era un mobile.
“Gale, tu … “, lo guardo confusa mentre lui mi fissa il viso, nel punto in cui il suo pugno ha incontrato il mio occhio, che a stento riesco ad aprire per il gonfiore. Fa una smorfia.
“Io cosa? Che ci faccio ancora qui? Non preoccuparti, questo pomeriggio vado via. La mia licenza termina oggi. A quanto pare ai soldati bastano ed avanzano due giorni per salutare la propria famiglia”. Quindi ho dormito per poco più di una notte, penso, mentre realizzo che Gale ha sprecato il suo tempo da passare con Hazelle, Vick, Rory e Posy per stare con me. Una fitta di dolore mi colpisce allo stomaco al pensiero di tutto quello che è successo ieri.
“Cosa è successo dopo che sono svenuta?”, gli chiedo nella speranza di abbattere i sospetti che si sono impossessati di me poco fa.
“Ah e cosa pretendi che ne sappia io? Se ricordi, ero svenuto da prima di te”, è vero, ma il suo sguardo non me la conta giusta. Ricordo quando venni tirata fuori dall’arena dell’Edizione della Memoria e lui non fu capace di non dirmi che il Distretto 12 non esisteva più; non riusciva a tenere dei segreti con me. Ma ora … Ora è cambiato tutto, penso mentre lo squadro.
“Il mio treno parte tra tre ore”, dice vedendo che non accenno a rispondere alla sua affermazione di poco fa. Sa che ho capito che qualcosa non quadra e sta cercando un modo di uscire da questa conversazione.
“Scusa per … tutto”. E so che si riferisce a ieri, al pugno, al bacio ma soprattutto a Prim. Ho l’impulso di abbracciarlo, ma è un attimo e riesco a controllarmi.
“Quindi questo è un addio?”, gli dico fredda, indispettita dall’omissione di poco fa.
“Un arrivederci”, dice con un sorriso triste.
“Hai intenzione di tornare qui al 12 un’altra volta?”, domando atona.
“Forse”, dice ed esce, scomparendo dalla mia vista. Resto lì, muta, con la rabbia che mi monta dentro perché tutti si prendono gioco di me e non si degnano di avvertirmi quando lo fanno.
Esco anche io, diretta verso casa di Haymitch, riprendendo il proposito di scoprire cosa volessero nascondermi lui e Peeta con la morfamina. Il pensiero di andare a controllare Peeta per vedere in che condizioni è il suo naso dopo il pugno di Gale mi attraversa la mente, ma lo scaccio via: sono troppo arrabbiata e potrei fare o dire qualcosa di cui mi pentirei in seguito.
Entro a casa di Haymitch e lo trovo, come al solito, piazzato sul divano, ubriaco. Lo scuoto ma sembra non dare segni di vita. Così riprendo le mie vecchie abitudini, recupero un catino d’acqua – rigorosamente fredda – e glielo svuoto sulla testa mentre mi sposto di lato per schivare il coltello che so brandirà per difendersi. E infatti si alza di scatto, mandando fendenti a destra e a manca, colpendo soltanto l’aria. Si gira verso di me e so che sta per urlare e lamentarsi di quanto io sia crudele e maleducata a svegliarlo ogni volta in questo modo e vedo che sta già aprendo la bocca, così gioco d’anticipo: “Perché mi hai drogata?”, dico con voce ferma ma abbastanza alta. E lui resta così, a bocca aperta. Mi dà una sensazione strana assistere per la prima volta in vita mia allo spettacolo di un Haymitch senza parole.
“Perché mi hai drogata?”, ripeto a voce più bassa ma non meno furente.
“Oh, dolcezza, stavi avendo una delle tue crisi isteriche di pianto e urla. Ringraziami, ti ho evitato ore di strepiti e lacrime”, dice, recuperando la facoltà di parola.
“Io non stavo … non è questo il vero motivo e lo sai anche tu! Cosa volevi da Gale?”, dico buttando fuori i miei sospetti.
“Cosa volevo dal soldatino di piombo, dici? Dolcezza cosa potrei volere da uno che entra in casa mia e pesta uno dei due unici tributi che sono riuscito a tenere in vita? Anzi dovrei dire, pesta gli unici due tributi che sono riuscito a tenere in vita, a giudicare dalle condizioni del tuo occhio”, chiede senza scomporsi. Non rispondo.
“Te lo dico io: assolutamente niente”, conclude soddisfatto della logica del suo discorso. Ma noi siamo simili, mentiamo se necessario e lui sa che ho capito che lo sta facendo in questo momento. Ma la vera domanda è: perché è necessario mentirmi, ancora? Lo fisso, con la sensazione che se si potesse sfamare la gente con la rabbia che sto provando, a quest’ora sarebbero tutti grassi a Panem.
“Tu credi che io sia stupida - non è una domanda e non mi aspetto una risposta, così continuo – mi stai mentendo”, dico amareggiata. So che non risponderà neanche stavolta, così continuo il mio monologo: “E non solo!  Eri d’accordo con Peeta! Lui mi distraeva mentre tu preparavi la siringa, complimenti per il gioco di squadra!”.
“Oh, dolcezza, come al solito non hai capito niente. Quel povero ragazzo voleva solo che la smettessi di frignare perché, non so se te ne sei accorta, si preoccupa più della tua incolumità che della sua. Forse non se n’è nemmeno reso conto, ma ti ama ancora come faceva prima del depistaggio, se non di più. Nonostante tutto. Impara ad apprezzarlo e, per Dio, ammetti di ricambiare! Ci faresti un grande favore e ci toglieremmo dai piedi anche il soldato arrabbiato”. Il cambio di argomento improvviso mi manda in confusione. Peeta mi ama ancora? Non è possibile, ora sa chi sono davvero, non potrebbe mai. Io lo ricambio? Non ne ho idea, so solo che non riesco ad immaginarmi una vita senza i suoi sorrisi, senza i suoi abbracci … senza le sue labbra? Scaccio via il pensiero prima di arrossire e di farmi scorgere da Haymitch. Ritorno a ragionare. Sì, quello che dice Haymitch è vero  - almeno in parte, perché  nutro qualche dubbio sul fatto che Peeta possa amarmi ancora come faceva prima -  ma ciò non toglie che mi stia nascondendo qualcosa.
“Non cambiare argomento”, dico brusca.
“Non cambio argomento, dolcezza. Non capisci che da qualsiasi lato si voglia guardare questa cosa il punto è sempre lo stesso: non riesci ad accettare quando le persone fanno qualcosa per te soltanto perché ti amano e pensi che ci debba essere per forza un complotto dietro. Sveglia, ragazza! Siamo umani anche noi”.
Perché io no? Non sono umana? Non gli rispondo, semplicemente giro i tacchi e vado via, mentre tutte le sue parole mi attraversano il cervello come se fossero scritte su di uno striscione.
“Ciao, eh”, lo sento dire mentre esco da casa sua. Non rispondo e corro via.
Rientro in casa e mi butto sul divano. Non so da quanto tempo non mangio ma non mi importa, non ho fame e il mio stomaco è abituato a restare vuoto per giorni, mangerò qualcosa quando verrà Sae questa sera.
Decido che ricomincerò la mia routine da nullafacente per cui non mi alzo dal divano finché non arriva Sae che mi costringe a mangiare e a mettermi a letto. Mi addormento e, invece dei soliti incubi, sogno Haymitch che mi ripete all’infinito lo stesso discorso di questo pomeriggio. Quando mi sveglio faccio una doccia e ritorno sul divano, sempre tormentata da quelle parole.
 
Il mese successivo lo passo così, facendo colazione e cenando sotto lo sguardo vigile di Sae che controlla che io mangi tutto e alternando il letto al divano. Nessuno viene a trovarmi a parte, ovviamente, Sae che di tanto in tanto porta anche la sua nipotina. Amy, quella bambina che vive in un mondo tutto suo, mi capisce meglio di chiunque altro, sa che c’è qualcosa che mi tormenta e che mi fa arrabbiare e così cerca di coinvolgermi nei giochi inventati da lei. I momenti in cui gioco con lei sono gli unici in cui dimentico la mia rabbia nei confronti del mio mentore e del ragazzo del pane. Mi calma, come solo Peeta era riuscito a fare fino ad ora, ed io la ringrazio silenziosamente con gli occhi ogni volta. So che capisce cosa intendo dirle, perché la vedo sorridere quando lo faccio. Sì, mi piace questa bambina.
 
Un giorno in cui sono particolarmente pensierosa, mentre stiamo giocando, Amy  insiste perché le dia un pezzo di carta e una matita.
“Voglio farti vedere come scrivo”, risponde quando le chiedo il motivo di tanta insistenza. La accontento, perché all’improvviso ricordo quando anche io stavo imparando a scrivere ed ogni giorno tormentavo mio padre affinché vedesse i miei progressi. Le porgo il foglio e la matita e la osservo mentre, al massimo della concentrazione, calca ogni lettera sul foglio che sta bene attenta a non mostrarmi prima di aver finito.
Finalmente, dopo un paio di minuti, me lo passa ed io leggo ad alta voce: “Hai voglia di dirmi perché sei così triste?”. La guardo stupita mentre, senza nemmeno accorgermene, annuisco. Non so bene da dove iniziare – e parlare ad alta voce di quello che mi frulla nella testa mi imbarazza - così le parlo di Peeta e del nostro rapporto altalenante, poi di Gale – anche se sorvolo sul fatto che lo ritengo responsabile della morte di mia sorella – e soltanto alla fine arrivo al motivo della mia rabbia e al dialogo con Haymitch; le spiego che credo che Haymitch, Gale e persino Peeta mi stiano nascondendo qualcosa. Sfogandomi con lei provo una sensazione strana, come se mi stessi togliendo un po’ di peso dalle spalle. Amy ascolta con attenzione senza dire una parola, mi lascia finire con calma e, quando è sicura che io non abbia nient’altro da dire, commenta: “Quindi tu lo ami?”. Sono spiazzata.
“Chi? Peeta?”, dico di getto.
“Oh io non ho detto chi”, dice con un sorriso. Però, penso, è furba.
“Quindi tu sei d’accordo con Haymitch?”, le chiedo confusa.
“Sì e no. Ma di una cosa sono certa: dovresti perdonarlo”, dice convinta e so che si riferisce a Peeta. La guardo con più attenzione, ma quanti anni ha? Otto? Nove? Eppure riesce ad analizzare la situazione meglio di me.
“Dovrei”, le faccio eco distrattamente, mentre la Katniss emotiva che da poco vive dentro di me sta già iniziando a picchiettare sul muro di rabbia nei confronti di Peeta.
“Dovrei”, ripeto in un sussurro e realizzo che lo farò. Ma alle mie condizioni.
Amy mi sorride mentre, richiamata da Sae, inizia a raccogliere i suoi giochi per andare via.
 
Nelle settimane successive, non parliamo più di tutte le cose che le ho raccontato quando mi sono sfogata, ma ogni volta che la vedo mi ricordo delle sue parole che si mischiano nella mia testa con quelle di Haymitch, confondendomi ancora di più, se possibile.
 
Sempre più spesso rispondo al telefono, perché il suono insistente che mi tormenta tutti i giorni mi è diventato impossibile da sopportare e ormai ho capito che l’unica persona che mi cerca è il Dottor Aurelius. Ogni tanto gli permetto di psicanalizzarmi, lui mi chiede cosa faccio durante il giorno, le sensazioni che provo e i pensieri che faccio e cerca di convincermi ad andare da Peeta per parlargli o, più semplicemente, a cercare di alzarmi dal divano e fare qualcosa come andare a caccia. Non lo ascolto, non voglio cacciare – non ora che ho rivisto Gale e che il suo ricordo sarebbe più vivo che mai nei boschi - e soprattutto non voglio parlare con Peeta. Sarò anche una ragazzina stupida, ma non sarò io a fare il primo passo stavolta.
Quando gli dico che faccio già qualcosa – gioco con Amy quando Sae la porta – mi risponde che ho bisogno anche di avere delle interazioni con degli adulti per non perdere il contatto con la realtà. Non capisce che Amy è una bambina fuori dal comune.  Di solito, a questo punto, gli sbatto il telefono in faccia.
 
Un giorno in cui, come al solito, sono sul divano ad osservare la danza del fuoco nella stufa, il telefono squilla ed io meccanicamente vado a rispondere. Realizzo il mio errore solo quando mi ritrovo una voce squillante nell’orecchio, che non è assolutamente quella del Dottor Aurelius.
“Effie …”, dico stupita, mentre lei mi riversa addosso un fiume di parole e mi pone svariate domande a cui non mi dà neanche il tempo di rispondere perché non la smette di parlare. La ascolto distrattamente finché non la sento dire che sta per passarmi la Paylor al telefono. Cosa?!, penso, mentre una voce più calma e normale prende parola nella cornetta.
“Katniss? Sono Ana Paylor. Come stai?”, inizia in tono cordiale.
“Io … io me la cavo”, rispondo confusa.
“Bene. Vorrei essere diretta con te e saltare tutti i convenevoli. Sei d’accordo?”, mi dice schietta.
“Sì”, dico in un filo di voce.
“So che ricordi che prima dell’esecuzione di Snow, la presidentessa Coin aveva fatto votare voi vincitori superstiti per una nuova edizione degli Hunger Games con i figli di Capitol City”. Oh, certo che lo ricordo. Ero arrabbiata e desideravo vendetta per Prim e accettai, votai per il ‘Sì’.
“Non avevo intenzione di mettere in atto la sua idea ma mi ci vedo costretta. Al 2 ci sono ancora ostilità verso la nuova Repubblica, per non parlare di Capitol City. Questi giochi ‘della pace’ dovrebbero appianare un po’ le acque”. La mia mente si oscura, non riesco a pensare con lucidità. E’ colpa mia, penso e improvvisamente tutta la rabbia repressa di queste settimane viene fuori. Ma stavolta … stavolta sono arrabbiata soprattutto con me stessa, il che è peggio. Non le rispondo e la sento dire che considera questo silenzio come un mio assenso. Chiude la conversazione aggiungendo: “Dimenticavo, tu, Peeta ed Haymitch verrete convocati a Capitol City per fare da mentori. Il vostro treno parte alle 7 – fa una pausa – di stasera”. La mia rabbia raggiunge l’apice: afferro il telefono e lo lancio contro il muro, rompendolo in mille pezzi. So che allora ero favorevole, ma adesso tutto è cambiato, io sono cambiata. Come posso pensare di condannare altri bambini e ragazzi innocenti? Come posso trovare la forza di fargli da mentore e accompagnarli alla soglia della loro camera ardente? Non posso.
Impazzita, inizio a girare in tondo nel salotto urlando imprecazioni e chiedendo ‘Perché?!’ all’aria. Finisco per rannicchiarmi sul pavimento dietro al divano, tenendomi le mani premute sulle orecchie in un disperato tentativo di tenere fuori  dalla mia testa tutte le voci delle persone che sono morte per vedere la fine degli Hunger Games. Ma  sfortunatamente non posso tenere fuori un suono che viene da dentro la mia testa.
Sono sempre in questa posizione quando un paio di braccia forti che profumano di cannella mi stringono in un abbraccio. Peeta, penso abbandonandomi a quel contatto e lasciando cadere le mani dalle orecchie per stringere le braccia attorno al suo collo.
“Scusa”, mi sussurra tra i capelli. So che si riferisce a tutto quello che è successo ormai un mese fa, ma in questo momento non voglio pensarci, conta solo che lui sia qui, vicino a me a stringermi forte. Non dico una parola, ma lo abbraccio più forte e lui ricambia. Ancora una volta penso alle parole di Haymitch. Non può essere, scaccio via il pensiero – o la speranza? – che Peeta possa amarmi ancora.
“Ho sentito le tue urla e sono corso qui … - indugia un attimo - così adesso lo sai anche tu”, termina,  alla fine in un sussurro. Lo guardo confusa. Lui lo sapeva già? Una luce si accende nella mia testa e mi suggerisce che questi giochi potrebbero avere a che a fare con la conversazione con Gale che tutti vogliono nascondermi.
“Da quanto lo sai?”, chiedo per avere una conferma ai miei sospetti.
“Un mese”, dice sincero. Bingo. Lui sa qualcosa, ma perché non me ne parla? Mi convinco che se persino Peeta tiene il segreto, deve essere una cosa grossa ma sono fiduciosa: se sa, prima o poi parlerà con me.
“E ora che facciamo? Insomma, andiamo lì e facciamo da mentori come se non fosse successo niente?”, chiedo con voce tremante. Non so cosa pensare ma so che devo assumermi la responsabilità delle mie azioni: farò da mentore e proverò a salvare almeno uno di quei 24 ragazzi.
“I tuoi occhi mi dicono che già lo sai”, dice mentre mi scruta. E’ vero, a volte dimentico che Gale non è l’unico a capire i miei pensieri soltanto guardandomi, ma Peeta ha ragione: so già che tenterò di essere una buona mentore.
“Katniss per la morfamina io … - si interrompe, ma voglio che continui così resto muta – volevo dirti che non sapevo cosa avesse intenzione di fare Haymitch e tu stavi così male, ho pensato che ti avrebbe fatto bene dormire, nonostante gli incubi”, la sua voce si spezza sulle ultime parole. Stavolta è il mio turno di scrutare lui e capisco che è sincero e mi sento così stupida per essere stata arrabbiata con lui per tutte queste settimane.  Come qualche minuto fa, le parole di Haymitch tornano a ronzarmi nel cervello, tuttavia le scaccio via nuovamente: sento che non è ancora giunto il momento di perdonarlo.
“Ho capito. Tu forse già  lo sai o lo avrai immaginato, credo – cerco di ridere nervosamente pensando alla prevedibilità delle mie azioni – ma sono stata molto arrabbiata in queste settimane; con Haymitch, con Gale, ma soprattutto con te ”. Lo vedo annuire, con una strana luce nello sguardo.
“Lo avevo sospettato”, dice alla fine con un mezzo sorriso. Non so perché, ma sento il sangue affluire alle guance, così affondo il viso nel suo maglione per evitare che si accorga del mio rossore. Lui mi stringe forte e, nonostante io non l’abbia ancora perdonato davvero, riavverto quella sensazione di calma che ho provato la sera in cui abbiamo dormito insieme. Mi ci aggrappo con tutta me stessa, perché so che durerà poco. E infatti dopo un po’ lo sento sussurrare al mio orecchio: “Dobbiamo andare, il treno ci aspetta …”.
“Le valigie … sì”, dico confusa mentre lui si alza e aiuta anche me ad alzarmi.
Per un momento l’avevo quasi dimenticato: Capitol City mi aspetta.  Di nuovo.





Angolo dell'autrice
Ciao ragazzi!
Questo capitolo dovrebbe chiarire un po' di cose rimaste appese nel precedente ma, come avrete notato, fa nascere altri mille dubbi. Suuu, è per invogliarvi a leggere i prossimi! (No in realtà è perché sono sadica ahahahah)

Ringrazio ancora una volta la mia Ccch che è una fonte di ispirazione costante e che mi aiuta sempre nella correzione dei capitoli. Amatela con me! (A proposito, vi ripropongo il link alla sua Fanfic che è 1383478394245 volte meglio di questa: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2505907)

Che altro dire? Grazie ancora a tutti quelli che seguono e che recensiscono e a quelli che leggono silenziosamente :)

Alla prossima e non dimenticate: #moreshirtlessPeetaforeveryone!

P.S. : recensite, recensite, recensite! Ho bisogno di sapere cosa ne pensate e dei vostri consigli per migliorare :)
  
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