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Autore: NorwegianWinds    17/03/2014    1 recensioni
Alex è un giovane musicista allo sbando: è appena stato cacciato dalla sua band, i We Love Thighs, e non sa cosa fare del proprio futuro. Tra tostapani molesti, amici fedeli, pornobimbe silenziose, vecchie guide ed ex mogli alla ribalta, riuscirà Alex a ritrovare la propria strada e la propria musica?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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E in effetti diluvia. La cosa non mi stupisce minimamente. Vengo invaso da una sorda tristezza. Inutile darsi del coglione per l'ennesima volta; ormai me lo ripeto talmente spesso che sono parole che hanno perso ogni significato.

Nella mia testa, dove fino a stamattina c'era un affollamento di suoni e parole, adesso regna un silenzio totale e desolato.

E in questo silenzio spaventoso, il rombo assordante di una macchina sportiva mi perfora le orecchie. E' una Ferrari rossa fiammante e accosta proprio davanti a me, sbigottito e immobile. Ma è quando si abbassa il finestrino scuro che arriva il vero shock.

Una nuvola di vaporosi boccoli biondi. Labbra scarlatte e occhi azzurri orlati da lunghe ciglia chiare. Eterea e perfetta come una dea dell'Antica Grecia.

Debbie.

Che poi sarebbe la mia ex moglie.

Ebbene sì: Alex Caviezel, alla tenera età di venticinque anni, è già stato sposato ed è attualmente già divorziato.

Uno dei principali motivi per cui non posso permettermi uno schermo piatto gigante a casa mia.

Ah, già: ora non ho più nemmeno un posto da poter definire "casa mia".

Debbie mi guarda sconvolta, il viso bellissimo atteggiato a un'espressione di pena infinita. Non me la prendo, in fondo è vero: faccio pena.

- Alex - sussurra, arricciando leggermente quelle labbra da favola, - Che cosa ti è successo? -

Allargo le braccia con un sorriso stentato che probabilmente risulta inquietante.

- Salta su - dice, - Ti offro un caffè -.

Andiamo in un bar in centro, di quelli dove va la gente un po' meno disperata di me.

Le lampade sono ultramoderne e pendono dal soffitto fino ad arrivare a pochi centimetri dal tavolo, creando una luce fioca e soffusa. Ogni parete è ricoperta da specchi giganti. Mi vedo riflesso e mi spavento. Il contrasto tra me e Debbie è sempre stato forte, ma mai tanto quanto oggi.

Io sembro un barbone o un evaso da un manicomio. Lei invece è così pulita, così bionda, così top model. Così da urlo. E un posto del genere è il suo regno.

Mi accascio su un divanetto di pelle bianca e lei si siede di fronte a me, fingendo di non accorgersi degli sguardi di tutto il locale. Ancora mi chiedo perché Debbie non sia finita ad Hollywood. E' sempre stata una grande attrice.

Giusto per fare un esempio: mi ha tradito per mesi senza che io ne avessi il minimo sentore. Ha dovuto dirmelo lei, chiaro e tondo, per aprirmi gli occhi. E per piantarmi in asso, ovviamente. E non ha mai voluto dirmi chi fosse il fortunato che aveva distrutto il mio matrimonio.

"E' irrilevante che tu sappia chi è lui, Alex. La cosa importante è che lui c'è, e mi ha fatto capire che non ti amo più. Tutto qui, non c'è altro da dire...".

Beh. A due anni di distanza non è più tanto importante, in fondo.

- Alex? Mi stai ascoltando? - mi dice lei con la sua voce vellutata, sfiorandomi un braccio. E' come una scarica elettrica.

- Io... No, scusa, mi sono distratto. Cosa stavi dicendo? -

- Ti stavo chiedendo di spiegarmi come hai fatto a ridurti in questo stato -.

Sospiro. Arriva il mio caffè extra forte. Inizio a parlare. Le parlo dei litigi coi ragazzi, della fine dei We Love Thighs, delle droghe, del tostapane, del concerto a Piccadilly Circus, del pugno di Dawson e dei nuovi testi che ho scritto.

Della mia impossibilità a suonarli.

Quando finalmente finisco, Debbie resta a lungo in silenzio, mordicchiandosi un labbro con aria pensosa. Azione impercettibile ed estremamente erotica.

- Sai - dice poi, - Io conosco qualcuno che potrebbe suonare per te -

- Scherzi? -

- No. Non so se ti ricordi di mia cugina, c'era al nostro matrimo... - si blocca e arrossisce, imbarazzata. Agito una mano e sorrido - Vai avanti, tranquilla. No, non mi ricordo di lei -

Sarà perché al matrimonio avevo occhi solo per Debbie.

- Bè. E' più piccola di qualche anno ma se la cava davvero bene con la chitarra. Eppure non ci combina niente. Però se glie lo chiedo io, come favore, non credo che rifiuterà -

- Quand'è che posso parlarle? -

- Anche subito se vuoi. Andiamo, ti porto a casa sua -

Rimontiamo in macchina; Debbie si dirige verso la periferia. L'estrema periferia. Insomma, praticamente siamo fuori Manchester, nei quartieri di case popolari.

Ci fermiamo davanti a una villetta fatiscente, dalle pareti scrostate e dalle finestre sporche e annerite. C'è un giardino ricoperto di ghiaia, rifiuti ed erbacce, in cui giocano due marmocchi che avranno quattro e sei anni, o giù di lì. Litigano furiosamente per un lecca lecca appiccicoso, incuranti della pioggia.

Nessun adulto in vista.

Debbie ignora soavemente ogni cosa e veleggia serena verso il retro della casa.

C'è un piccolo garage, un'accozzaglia di lamiere arrugginite. Lì dentro, una chitarra suona.

- Ci siamo - dice Debbie con un sorriso. Bussa alla porta del garage e poi la spalanca senza aspettare un invito, trillando - Cuginetta! -.

Basta una rapida occhiata e mi si spalanca davanti un nuovo mondo: tra biciclette usate, barattoli di vernice, un motorino scassato e attrezzi vari, si innalzano pile di libri, di vinili e di cd. Allungo un po' la testa per sbirciare dentro e scopro un angolo rivestito di compensato, interamente ricoperto di poster.

Fra questi, troneggia quello di un paio di cosce deliziosamente rotonde e pallide, che indossano giarrettiera e calze a rete, con vertiginosi tacchi rossi. Le cosce di Debbie, ovviamente. Scelte apposta per il nostro logo, nonché per il manifesto del tour inglese dei We Love Thighs, come infatti recita la scritta che circonda quella foto celestiale.

Sotto ai poster, un letto minuscolo e sfatto, con una stufetta piazzata vicino.

E, sprofondata tra il materasso sfondato e le coperte, in mutandine e cannottiera, chitarra stretta al petto, ancora una volta lei. Nereide.

Improvvisamente ho un flashback del matrimonio: una ragazzina di undici-dodici anni dai grandi occhi blu che viene immortalata di tanto in tanto dai fotografi nelle foto di gruppo, ma per il resto passa il tempo in disparte, da sola. Si guarda intorno con l'aria goffa, spaesata e fragile di una bambina appena entrata nella schifosa fase della preadolescenza.

Non c'è che dire, il cambiamento è notevole.

Ci sarà un motivo se la incontro sempre, mi dico. E anche se di lei vedo sempre le mutandine prima di qualsiasi altra cosa.

Non sembra minimamente stupita, piuttosto un po' scocciata. Ascolta Debbie che cinguettando le spiega la situazione, scoccandomi ogni tanto un'occhiata diffidente.

- Si può fare - dice poi, senza un sorriso. Sicuramente l'idea non la esalta particolarmente. Come biasimarla?

Debbie mi mette di nuovo la mano sul braccio. Altro elettroshock.

- Alex, forse vuoi sentirla suonare, per capire se può andare bene... -

Nereide le rivolge uno sguardo indignato e altezzoso. Debbie la ignora allegramente.

- Non serve, grazie. L'ho già sentita suonare una volta. E' perfetta -.

La mia dea dorata spalanca gli occhioni con aria stupita e interrogativa. Nereide, punta nel vivo del suo onore, ha già afferrato la chitarra ed ha acceso l'amplificatore. Attacca una canzone dei The Kills, "Fuck the people", che suona con la rabbia di cui solo un'adolescente sa essere capace. La stanza sembra tremare al suo cospetto.

Debbie si agita impaziente. Quando la canzone finisce, dice - Allora, affare fatto? -

Mi rivolgo impacciato a Nereide, le lascio l'indirizzo di Dawson e ci diamo appuntamento per il giorno seguente.

Ci salutiamo con un semplice cenno della testa, riattraversiamo il giardino, ora deserto. Sta calando il buio.  Debbie mi fa un debole sorriso - Ti riaccompagno a casa? -

- Beh, a quest'ora Dawson dovrebbe essersi calmato. Proviamo. -

Facciamo il viaggio di ritorno in silenzio. Quando lei ferma la macchina per farmi scendere, faccio per l'ennesima volta la cosa più stupida del mondo.

La guardo dritta negli occhi e le chiedo - Debbie. Ormai sono passati due anni da quando ci siamo lasciati. Chi era lui? Con chi mi hai tradito? -

Si guarda intorno spaesata e a disagio. E' ancora più bella quando smette di recitare.

- Ormai puoi dirlo - la incalzo, - E' passato tanto tempo -.

Ma non avevo detto che non era importante?

In effetti non lo è. In effetti non voglio saperlo davvero e non so nemmeno perché glie l'ho chiesto.

Ma in quel preciso istante, Debbie cede - Oh, Alex. Ma come hai fatto a non capirlo? Era Eddie -

Non faccio una piega. - Eddie? Eddie chi? -

- Eddie. Il tuo Eddie. Il tuo chitarrista, Alex! -

Il colpo arriva. E fa fottutamente male. Spalanco la bocca, senza fiato. La richiudo.

Debbie scoppia a piangere e si getta al mio collo - Mi dispiace, mi dispiace avertelo nascosto, ma era la cosa migliore in quel momento... Ma lui era così geloso di te, perché mi avevi sposata prima di lui, e perché mi amavi ancora... Per questo ce l'aveva così a morte con te... Oh, Alex, mi manca così tanto! Non riesco a credere che sia morto! -

Singhiozza disperatamente. Io resto immobile, come una statua di sale, finché non si calma. Solleva il viso rigato di lacrime annerite dal rimmel e mi guarda con i suoi occhi sbalorditivi, arrossati dal pianto. E' comunque bella. Non so cosa dire, perciò le faccio una leggera carezza sul viso. Lei sfiora il nasino contro il mio, e poi mi bacia.

Dura molto di più di un qualunque bacetto di commiato. Ma io sento solo freddo. Nessuna scarica elettrica stavolta. Solo brividi ghiacciati. Dopo un po' mi sposto e la sento sussultare - Scusami, non so cosa mi sia preso, io...-

- Grazie per tutto quello che hai fatto per me oggi, Debbie - sussurro; e scendo dalla macchina.

Aspetto di sentirla ripartire alle mie spalle e poi suono il campanello. Speriamo che Dawson si sia calmato, altrimenti sono davvero fottuto.

 

...Si è calmato. Mi apre e mi guarda con aria seria ma tranquilla.

Intuisce subito che c'è qualcosa che non va. Qualcosa in più rispetto al solito, intendo.

- Vieni qui - dice piano, - Tu hai bisogno di rimetterti in sesto -.

Annuisco senza capire bene cosa voglia dire.

Mi prende per mano e mi porta in bagno. Mi spoglia, mi mette nella vasca e mi lava come se fossi un bambino. Mi fa la barba con cura, mi pettina i riccioli arruffati, che ormai stanno diventando dei dreadlocks. Mi toglie il cerotto dal naso (ahio) e mi cambia la fasciatura alla mano (ancora ahio). Mi fa indossare vestiti puliti (suoi), mi fa sedere sul divano, avvolto in una coperta. Porta da mangiare porzioni e porzioni di cibo caldo, accompagnato da vino rosso.

Mi sento rinascere.

- Ho letto le tue nuove canzoni - dice finalmente, dopo due lunghe ore di silenziose cure, - Sono bellissime. Valgono qualcosa. Ne sono sicuro -

- Lo pensi davvero? -

- Alex. Credo che siano le cose migliori che tu abbia mai fatto -.

Sorrido. Sorrido sul serio. Dawson se ne intende di musica. E si prende cura di me. Non voglio più ferirlo, devo impegnarmi perché non accada più.

Appoggio la testa contro la sua spalla e mi rilasso, chiudo gli occhi.

Lui mi accarezza i capelli per qualche minuto.

- Facciamo l'amore? - mi chiede poi.

Vorrei rispondergli sì, anche tutta la notte se vuoi, amico mio, grazie, davvero, per tutto quello che fai per me, ora andiamo a letto, andiamoci insieme e facciamo l'amore fino a domattina.

Nella mia mente gli dico tutto questo.

Ma prima di aprire bocca per rispondere crollo addormentato.

 

 

  
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