"Seattle. Due persone sono scomparse ieri sera, Evan
Greece e Luis Pettshow. Si pensa ad omicidi poiché sono state
ritrovate tracce di sangue nei pressi della periferia della
città. La polizia e gli investigatori non sanno che strada
seguire dal momento che le due persone non sono in nessun modo
collegabili l’uno con l’altro…"
Edward Cullen chiuse il giornale e si voltò con aria
sofferente verso Carlisle. Dopo ottant’anni avevano deciso di
tornare a Forks. Sicuramente era il posto migliore per loro, a
causa della quasi incessante piovosità. Tutte le persone che
un tempo li conoscevano erano morti, tutti tranne qualche
licantropo a La Push, ma loro non erano un problema.
Edward era notevolmente preoccupato. Non appena tornati a
Forks si verificavano omicidi o scomparse di uomini a Seattle.
La famiglia Cullen sapeva benissimo di chi si trattava:
vampiri.
Inoltre, anche se erano tornati da solo una settimana,
Edward era inquieto. Non era ancora uscito di casa, anche se
prima o poi l’avrebbe fatto. Non voleva cedere alla tentazione
di tornare in quella vecchia casa, quella che era la casa di
Bella. Quando si erano lasciati, quando lui l’aveva lasciata,
aveva deciso di scappare in giro per il mondo, senza mai
fermarsi.
Erano passati ottant’anni.
Ottantat’anni senza poterla toccare, né vedere. Senza
scorgere il rossore che invadeva le sue guance, senza sentirla
trattenere il respiro quando la baciava, senza aiutarla quando
inciampava ad ogni minimo ostacolo.
Ottantat’anni senza di lei. Lei, l’amore della sua vita, la
sua unica ragione.
Ormai era morta, perduta per sempre, nessuno gliel’avrebbe
mai più restituita. Non era andato nemmeno al cimitero a
vedere la sua tomba.
Non ne aveva il coraggio.
Non aveva mai più saputo quasi nulla di lei, soltanto che
frequentava ogni giorno La Push, con i ragazzi licantropi.
Sapeva solo che era al sicuro.
Nulla di più.
Stando con i ragazzi Quileute non era stata costretta a
rinunciare alla sua vita, alla sua anima, al suo sangue, alla
sua dolce bellezza.
Infondo era giusto così e Edward lo sapeva benissimo.
"Edward…Edward, ci sei?" Alice era di fianco a lui con aria
preoccupata.
Si voltò lentamente verso di lei e la guardò negli
occhi.
"A cosa pensavi? Sei preoccupato per gli omicidi a
Seattle?"
Alice era la sorella alla quale forse teneva di più, la
sorella che era la migliore amica di Bella.
Quando l’aveva lasciata aveva pregato Alice di non guardare
il futuro della ragazza e nemmeno il suo e così lei faceva.
Non avrebbe potuto ingannare il fratello, gliel’avrebbe letto
nella mente, a Edward non si poteva mentire.
Così la famiglia Cullen non sapeva più niente di Bella Swan
da ottant’anni.
"Scusa Alice io esco." Con la sua grazia, la sua assoluta
perfezione si alzò in piedi e uscì in giardino. Alice continuò
a guardarlo dalla finestra fin quando, correndo, non scomparve
tra gli alberi.
Alice si voltò afflitta verso Carlisle.
"E’ andato a casa di Bella. Non so cosa si aspetta di
trovare." Annunciò.
"Ha rinunciato a Bella tanti anni fa, Alice, ma non ha mai
smesso di amarla, tornare qua per lui deve essere molto
dura.
Vedi Alice, tu sei insieme a Jasper da secoli e sei felice.
Edward è stato accanto a Bella appena due anni. Gli manca
ancora da morire."
"Lo so Carlisle. E’ mancata molto anche a tutti noi, se è
per questo. Era la mia migliore amica e ho rinunciato anche io
a lei. L’ho fatto per Edward. Eppure mi sono impegnata a non
pensarla. Credo che Edward non voglia dimenticarla, non voglia
pensare al futuro. Sono passati ottant’anni. Bella è morta.
Era un essere umano. Punto."
* * *
Correndo fra quegli alberi, quel bosco, riaffiorarono nella
sua mente tanti ricordi.
Le prime volte che andava a casa sua e la spiava mentre
dormiva, quando nel sonno pronunciava il suo nome con la sua
infinita dolcezza.
Tutte le volte che di notte, quando Charlie andava a
dormire, entrava dalla finestra e la aspettava sul suo letto,
quando le cantava la ninna nanna.
Il ricordo che affiorò per ultimo fu di un pomeriggio
orribile, il più brutto della sua vita.
"Non…non mi vuoi?"
"No"
La bugia più grande della sua vita, si era impegnato al
massimo, Bella doveva credergli, doveva rifarsi una vita,
come se lui non fosse mai esistito.
Gli alberi si facevano sempre più radi fino a quando non la
vide.
Non era cambiato nulla, era sempre uguale, ma non vi erano
parcheggiate né la macchina della polizia né il pick-up.
Non vi erano odori, la casa era disabitata. Le finestre
erano sbarrate e anche la porta.
Si avvicinò piano, salì i primi gradini che portavano alla
porta.
Sopra al campanello vi era ancora una scritta sbiadita:
Casa Swan.
Riaffiorarono nella sua memoria tutti quei pomeriggi in cui
saliva quei gradini e, dopo aver suonato a quel campanello,
Bella arrivava ad aprirgli e, ogni volta che se lo trovava
davanti, si dimenticava di respirare.
Ricordava perfettamente quei giorni, non aveva mai smesso
di farlo. Li aveva solo messi in un angolo del suo cuore che,
anche se non batteva ormai da secoli, soffriva.
Senza il minimo sforzo tolse la spranga dalla porta e
l’aprì.
Era tutto come se lo ricordava.
Nessuno aveva mai tolto l’arredamento, né l’aveva mai
modificato.
Si avviò nel salotto, dove vi era il divano e una vecchia
tv. Avevano visto Romeo e Giulietta su quel divano, in quella
tv. Gli sembrava ancora di vedere Charlie che guardava la
partita, con la pizza e la birra in mano.
Il pavimento scricchiolava ai suoi passi, non si
preoccupava di non farsi sentire. In quella casa non c’era
nessuno.
Si avvicinò alla credenza.
Vi erano delle foto.
Per lo più di Charlie che impugnava dei trofei di pesca,
oppure di lui e di Billy Black a La Push.
Infine la vide.
Era lei, Bella, con la toga, per il diploma.
Bella e semplice, con una coda alta e solo un filo di
trucco.
Accanto a lei c’era un ragazzo alto, con i capelli neri e
corti, la carnagione scura e gli occhi leggermente a mandorla.
Jacob Black.
Lui l’ abbracciava sorridente, lei aveva un sorriso leggero
e sforzato sul volto.
Poco più in la c’era un’altra foto dove lei era seduta su
una scogliera. Era leggermente girata, con i capelli al vento
e dietro di lei, oltre il mare, si vedeva l’orizzonte che
rendeva il cielo rosso.
Era troppo bella per lasciarla lì.
Aprì la cornice e vi estrasse la foto, infilandosela poi in
tasca. Non gli sembrava ancora vero.
Il suo amore era morto.
Salì le scale e si voltò verso la camera di Bella.
Aprì la porta. La camera era buia solo qualche raggio di
luce filtrava dalle finestre.
Nemmeno li nessuno aveva spostato nulla.
Era tutto come quando Bella aveva sedici anni.
Forse aveva cambiato casa, forse si era trasferita altrove
dopo il diploma. Non vi erano nemmeno foto di lei adulta. Era
strano.
Aprì l’anta dell’armadio e vi trovò uno stereo per auto
strappato direttamente dalla macchina e un pacchetto ancora
chiuso. Quel pacchetto.
Vi era ancora qualche maglietta. La prima che attirò
l’attenzione di Edward fu una camicetta, una camicetta rossa.
La sua preferita.
Richiuse l’armadio. Sulla scrivania c’erano dei fogli,
fogli d’università, di iscrizioni, moduli.
Il computer era ancora lì con un dito di polvere sullo
schermo e sulla tastiera.
Chissà da quanto quella casa era rimasta inabitata.
Nel cestino vi erano alcuni fogli arrotolati e cd spezzati
a metà.
Raccolse i fogli e li aprì pian piano.
L’inchiostro era quasi sbiadito.
"Caro Charlie,
Scusa se parto così, ma io non ce la faccio a…"
Il primo foglio finiva così.
"Caro Charie,
mi dispiace, non dovrei farti questo però"
Nemmeno il secondo foglio diceva altro.
"Caro Jacob,
non so come dirti quanto mi dispiace, non vorrei doverti
abbandonare, ma non posso stare qua, non ci riesco. Ti prego
non arrabbiarti, infondo non…"
Era partita? Dov’era andata? Edward si infilò anche quei
fogli in tasca, infondo erano la prova che Bella era esistita
veramente. Sembrava stupido, ma per lui era importante.
Dopodiché continuò a cercare qualcosa che nemmeno lui
sapeva.
Aprì i cassetti della scrivania. Vi erano vecchi libri di
scuola e le vecchie pagelle. Tutte erano state spedite e
scritte direttamente dal preside, quel preside che era stato
anche il suo. Faceva i suoi più grandi complimenti a Isabella
Swan per essere passata con la media più alta della scuola e
per il suo comportamento diligente e maturo.
Edward non se lo aspettava. Bella era intelligente, eppure
non era mai stata fra le medie più alte.
Aprì il secondo cassetto e vi trovò delle lettere.
Le aprì lentamente.
La prima era scritta con una calligrafia maschile, che
assomigliava più a uno scarabocchio. Era di Jacob.
"Ehy Bella,
So che non vuoi vedere nessuno, né parlare con nessuno,
però vorrei aiutarti. So che non vuoi che io parli di
lui, né che lo nomini, ma devi. Tu devi.
Bisogna affrontare questo problema. Posso aiutarti,
Bella.
Ti prego, dimmi cos’è successo.
Fino alla settimana scorsa andava tutto bene e poi sei
diventata strana. Dopo il diploma non vuoi più vederci. Qui
alla riserva manchi a tutti. Emily deve cucinare da sola per
tutti e poi lo sai che per noi eri un’ottima cuoca. Sam è
preoccupato, lo sai. Embry è entrato da poco nel gruppo, ha
bisogno di te. Vorrei sapere solo perché non vuoi più
parlarmi. Sai che ti posso aiutare.
E’ a causa sua? Dimmi qualcosa, Bella, ti
prego.
Sono tuo amico.
Eravamo migliori amici, ti ricordi? Lo siamo ancora,
vero?
Ti prego, rispondi almeno alle mie lettere.
Ti voglio bene.
Un abbraccio.
Jacob."
Edward la ripiegò con cura e ne aprì un’altra scritta con
la stessa calligrafia.
"Bella, insomma, adesso basta, pretendo una tua risposta.
Ti chiamo a casa e Charlie mi dice che non vuoi rispondermi,
vengo sotto casa e non mi apri, provo a entrare dalla finestra
e tu le hai sbarrate con le inferiate!
A che livelli stiamo arrivando, Bella?
Sono molto preoccupato, per favore, non chiuderti come
l’anno scorso.
Sappi che per te noi ci siamo sempre.
Emily ti saluta e ti abbraccia tanto.
Un bacio."
L’ultima era di Emily.
"Ciao Bella.
Non so cosa stai passando, ma vorrei aiutarti.
So che Jack ha provato a mandarti delle lettere, a
chiamarti, a venirti a trovare, ma tu non gli rispondi e non
gli apri alla porta.
Non voglio insistere, ma sono preoccupata davvero.
Comunque volevo darti a voce una bella notizia, ma dato che
non ti fai vedere te lo dirò così.
Sono incinta. Sam è su di giri e tutti sono contenti.
Ovvio, tutti tranne Leah.
Spero di vederti presto.
Un abbraccio.
Emily."
Bella non si faceva sentire. Era strano. Aveva persino
messo le inferriate alle finestre, non era normale.
Ripose con cura le lettere al loro posto e si sedette a
terra, sul pavimento di legno polveroso che odorava di
vecchio.
Aprì pian piano un listello di parquet e vi trovò ciò che
vi aveva lasciato cento anni fa. Due vecchie foto. In un c’era
lui identico a quel momento, alto e con un sorriso forzato.
Nell’altra vi erano lui e Bella, vicini, ma in realtà
distanti. Dopo così tanti anni riuscì a percepire la tristezza
e la preoccupazione negli occhi della ragazza e scorse la sua
freddezza nei confronti della ragazza che amava, che ama. Notò
la sua falsità, se la leggeva negli occhi.
Quelle foto erano state li per ottant’anni.
Bella non le aveva mai più trovate.
Bella era morta senza sapere che lui l’aveva sempre
amata.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
* * *
La campanella suonò proprio mentre Edward, Alice, Jasper,
Rosalie ed Emmet scendevano dal loro ultimo modello di
Mercedes, con la loro grazia immensa, la loro bellezza
inquietante, sotto gli occhi di tutti gli studenti della
scuola.
La scuola era cambiata molto dall’ultima volta che
l’avevano frequentata. Avevano deciso di cambiare leggermente
i loro nomi, per evitare riconoscimenti tramite i vecchi
moduli scolastici.
Edward era diventato Edoardo, Alice era Allish, Jasper era
Jack, Rosalie era Rose ed Emmet era Harry. I cognomi erano
Collins e Hall.
Edoardo, Allish ed Harry Collins, Jack e Rose Hall.
Era sufficiente.
Tutti li guardavano scioccati, infondo in un paese così era
normale che fosse un evento l’arrivo di nuovi studenti,
soprattutto così belli e ricchi, lo era sempre stato.
Si avviavarono verso la scuola. Alice, Jasper e Rosalie ed
Emmet per mano, dietro Edward, solo. Si guardava intorno.
Ricordava il rombo del pick-up di Bella come se fosse ieri.
Ma Bella non c’era, non ci sarebbe mai più stata.
Gli studenti, per Edward, erano superficiali come sempre,
con sempre i soliti pensieri, le solite preoccupazioni. Tutti
li trovavano affascinanti, bellissimi, le ragazze e i ragazzi
progettavano già di invitarli fuori. Patetico.
Le prime ore di lezioni passarono veloci, i professori lo
presentarono alla classe. Alice frequentava il suo corso,
mentre gli altri tre erano insieme, all’ultimo anno.
A pranzo, come sempre, come tanti anni fa, non mangiarono,
ma si sedettero all’ultimo tavolo infondo alla mensa, senza
toccare i loro vassoi, posti perfettamente davanti a loro,
immobili.
Poco prima dell’ora di inglese una ragazza si avvicinò ad
Edward.
"Ciao, piacere sono Calista Greeshop." Gli porse una
mano.
"Piacere Edoardo. Chiamami Ed."
Le strinse la mano. Era alta, bella. Il suo scopo era farsi
subito vedere in giro con lui.
"Volevo chiederti se per caso volevi sederti vicino a me
nell’ora di inglese."
Gli fece un gran sorriso, con le labbra morbide e ricoperte
da un lucidalabbra rosato.
Lui la ricambiò, con il suo sorriso perfetto.
"Mi dispiace, devo sedermi vicino a mia sorella. Sai com’è,
non conosciamo ancora nessuno, non voglio lasciarla sola."
"Oh" Sembrava delusa. Lo era. "Fa niente. Se cambi idea,
anche in futuro, non ti preoccupare, vieni a cercarmi."
E si allontanò camminando come una modella.
Alice gli si avvicinò.
"Già fatto conquiste?" Gli chiese ridendo.
"Già".
Tre vampiri, due maschi e una femmina, si avvicinavano
velocemente a casa Swan, in pochi minuti furono lì.
La ragazza annusò l’aria e fece un ghigno soddisfatto.
"E’ stato qui ne sono certa, l’ho visto, sento il suo
odore."
"Perfetto, hai sempre ragione, cara."
"Hai una missione, Gellert." Disse l’unica donna ad un
vampiro alto, con i capelli corvini e ricci, di una bellezza
pazzesca.
"Sono pronto, mia cara."
"Eccellente, ma ricordati: non mentire, loro sanno se menti
e, soprattutto, non pensare mai il mio nome."
* * *
Quella sera Edward decise di dire alla famiglia cosa aveva
trovato, rivelare i suoi sospetti a tutti, cercare di indagare
sul passato di Bella Swan, se fosse stato necessario, sarebbe
andato anche alla riserva di La Push, doveva sapere, ormai non
poteva più rinunciare a conoscere la vita della ragazza che
amava.
Alice entrò in salotto annunciando: "Edward deve parlare a
tutta la famiglia."
"E’ sempre bello fare sorprese con te come sorella!"
Esclamò Edward accennando ad un sorriso.
"Okay Edward, dicci pure" Lo incoraggiò Esme.
"Sapete che sono stato a casa di Bella. Non è cambiato
niente, nemmeno un mobile spostato. Ci sono ancora tutte le
foto, quelle vecchie e pochissime nuove, due. Una dove era
alla festa del diploma con Jacob Black, nell’altra era seduta
su una scogliera, sicuramente a La Push, al tramonto.
Non vi sono foto nuove, foto di lei adulta, del suo
eventuale matrimonio, di lei che invecchia, nulla. Ho trovato
nel cestino di camera sua delle lettere che ha iniziato a
scrivere senza mai spedirle, diceva a Charlie e a Jacob che le
dispiaceva di dover partire e lasciava frasi incomplete, non
scriveva mai perché voleva partire. Poi ho trovato
lettere che ha ricevuto da Jacob e di una certa Emily. Erano
preoccupati perché lei non rispondeva al cellulare, al
telefono, non apriva la porta a nessuno e aveva persino
sbarrato le finestre per non far entrare Jacob in nessun modo.
Non vi sembra strano? E se l’avessero rapita? Se qualcuno la
minacciava? Magari Victoria! Diamine, ho girato e girato e non
l’ho mai trovata…"
"Edward, se fosse stata minacciata aveva un branco di
licantropi a cui chiedere aiuto, non si sarebbe chiusa in
casa. E, soprattutto, Bella sapeva benissimo che un vampiro
non si ferma con sbarre alla finestra." Puntualizzò
Carlisle.
"Sì Edward, forse voleva solo stare sola." Disse Emmet.
"Sì, forse…"Iniziò Alice, ma ad un tratto parve incantarsi
a guardare il vuoto, una visione.
"Lasciatela, magari ha visto qualcosa."
Dopo qualche minuto sbattè le palpebre come se nulla
fosse.
"Allora?" Chiese Jasper con impazienza.
"Sta arrivando un vampiro a ispezionare, credo voglia
assicurarsi se siamo tornati e quanti siamo."
"Ma chi è? Lo conosciamo?" Domandò Carlisle.
"No, non l’abbiamo mai visto."
"Perfetto" Disse con ironia Rosalie.
"Fra quanto sarà qui?" Chiese Carlisle.
"E’ qui nel bosco".
Questa volta a rispondere fu Edward.
* * *
La famiglia Cullen uscì in giardino e lo videro. Era
appoggiato ad un albero, in penombra. Li guardava con occhi
scintillanti, ambrati.
Carlisle si avvicinò lentamente.
"Buona sera." Disse il vampiro.
"Buona sera anche a te."
"Ho sentito un odore nuovo e sono venuto a dare
un’occhiata, non volevo essere invadente." Si giustificò
lui.
"Non ti preoccupare, non c’è alcun problema." Carlisle
parlava con la sua solita voce pacata.
"Posso sapere i vostri nomi?"
"Il tuo?"
"Gellert, Gellert Lorren"
"Piacere, Carlo Collins, lei è mia moglie Elena e loro sono
i miei figli, Edoardo, Rose, Harry, Jack e Allish."
"Piacere mio."
"Sei solo?" Domandò subito Jasper.
"No. Sono con due amici. Ma siamo lontani da qui, non vi
daremo fastidio." Li rassicurò lui.
"Beh, allora arrivederci. Se per caso aveste bisogno
d’aiuto, sapete dove trovarci." Lo congedò Carlisle.
"E’ stato un piacere."
E scomparve tra gli alberi.
La famiglia tornò in casa, per evitare di essere
ascoltati.
"Allora, che mi dite? Edward?"Domandò Carlisle.
"Ha mentito una volta sola. Sapeva più o meno chi siamo,
doveva solo accertarsi di alcune cose. Sapeva di non dover
mentire. Sta con una vampira che chiama la mia cara,
anche quando la pensa e con un vampiro. Non vi so dire il
nome. E’ vero, stanno lontani da qui, ma non ha pensato in
quel momento il luogo. Secondo me è molto furbo."
"Mmh, bene. Alice? Vedi qualcosa?"
"No Carlisle, sai che non vedo ogni volta che voglio. Per
ora non ho visto nulla."
"Ok, bene, tienilo d’occhio."
* * *
"Gellert? Che mi dici?" Domandò la vampira.
"Mia cara, sono sette. Hanno detto di chiamarsi Carlo,
Elena, Edoardo, Allish, Jack, Harry e Rose Collins."
"Ovviamente. Grazie Gellert." Lo ringraziò gentilmente la
giovane vampira, con voce melodiosa.
"Ma non avevi parlato di altre persone? Mentono?" Chiese
l’altro vampiro, Jason.
"Jeson, non sono nuovi qui, non possono rischiare. E poi
non si fidano, ci sono state altre occasioni in cui non
avrebbero dovuto fidarsi." La vampira fece un ghigno
divertito. "Carlo è Carisle, Elena è Esme, Edoardo è Edward,
Allish è Alice, Jack è Jasper, Harry è Emmet e Rose è Rosalie.
Fin troppo facile."
"Ma, scusa un attimo, io non ho ancora capito cosa siamo
venuti a fare qui. Stavamo così bene in Canada, nelle foreste.
E invece siamo venuti qua. Non lo so a volte mi lasci
sconcertato." Parlò con impazienza Jason.
"Lo so Jess. Ma ho un conto in sospeso, per favore. Devo
far capire ai Cullen che l’artefice dei misteri, di quelle
domande che si stanno ponendo, sono io. Poi, se volete,
poterete tornare nelle foreste del Canada."
"E tu mia cara? Non tornerai?"
"Non lo so, Gellert, è tutto da vedere.
Nessuno sa come finiscono verte cose."
* * *
"Ehy, Ed!" Nel parcheggio della scuola una ragazza con un
vestito blu che le arrivava alle ginocchia, aderendole al
corpo e mettendo in mostra le sue forme, si avvicinò a Edward,
rimasto un attimo solo.
"Ciao Ed! Ti disturbo?" Gli chiese gentilmente.
"No…scusa qual’era il tuo nome? Non me lo ricordo…" Le
sorrise lui.
"Calista"
"Oh giusto! Dimmi." Lei lo guardava negli occhi.
Edward sapeva cosa voleva, ma questa volta sembrava
interessata a lui. Non troppo, ma la richiesta che gli voleva
proporre era senza malizia o presunzione.
Sapeva che la ragazza si sentiva un po’ a disagio di fronte
a tanta bellezza, ma un disagio di inferiorità. Non si sentiva
in imbarazzo per via della sua famiglia così ricca e bella, o
per il fatto che sedevano sempre soli.
"Beh, vedi, da qualche anno a Forks danno una festa, una
festa di paese. C’è un parco qui vicino, inaugurato quando
avevo dieci anni. E’ un parco ampio con molti alberi e sabato
e domenica c’è la festa di Froks. Non vorrei essere invadente,
ma mi farebbe piacere fare un giro con te, come amici "
Era davvero sincera, gli dispiaceva dirle di no. Calista
non l’avrebbe detto alle sue amiche, di questo Edward ne era
certo dal momento che la ragazza non voleva allontanarlo da
lei, sembrando una sciocca.
A Forks le voci girano in fretta.
"Certo, va bene. Dove e a che ora?"
La ragazza fece un sorriso davvero spontaneo.
"Facciamo che ci troviamo dal lato nord del Giardino Nuovo
per le nove? Pensi di riuscire a trovarlo?"
"Certo, non preoccuparti, ho un buon senso
dell’orientamento."
"A sabato allora."
Calista si voltò e si diresse verso l’entrata con passi
sinuosi, con i lunghi capelli neri e mossi che le ondeggiavano
lungo la schiena. Sembrava quasi una vampira. No, una modella,
meglio.
Durante la lezione di biologia Alice Cullen passò un
bigliettino al fratello.
"Vai alla festa di Forks con quella ragazza e non me lo
dici?"
Edward fece un sorriso sghembo e cancellò la scritta della
sorella.
"Che bisogno c’è di dirti certe cose quando ci manca poco
perché tu le sappia ancor prima di me?"
"Sono contenta"
"Non è come pensi."
"E com’è?"
"Voglio solo farle un piacere, tutto qua."
"Ed, la storia non si ripete, è passato così poco tempo,
insomma…"
"Alice, non è come pensi, non ne sarei in grado. E poi
l’unica umana di cui mi sono innamorato, la prima e l’ultima,
è stata Bella. Chiudiamo il discorso. Se non credi a tuo
fratello non saprei cosa dirti."
* * *
"Jasper! Jasper!!! JASPER!" Alice Cullen gridava per casa
come una pazza.
"Oh, Alice, non urlare!" Il ragazzo biondo stava scendendo
le scale quasi volteggiando. Alice, nonostante fosse abituata
alla sua presenza al suo fianco continuava a vederlo bello
come la prima volta che si sono incontrati in un locale, una
sera molto tempo fa.
"Senti, volevo chiederti se sabato sera avresti voglia di
andare alla festa di Forks"
"A che cosa?"
"Sì la festa di Forks."
"No, a Forks non ci sono mai state feste, Alice, ti
confondi con qualche altra cittadina."
"Si invece che c’è, solo che ottant’anni fa non la
facevano. Si svolgerà sabato e domenica al Giardino Nuovo, un
parco costruito da poco." Esclamò Alice tutta felice.
"Ah, va bene allora."
Intanto la sorella più bella, alta, magra, con capelli
lunghi fino alla vita di un biondo dorato stava scendendo le
scale. Aveva jeans rossi attillati e una maglietta nera un po’
scollata.
"Una festa a Forks? Non posso perdermela! Chiederò a
Emmet." Annunciò.
"Rose, metteresti in imbarazzo anche la ragazza più bella
di Forks" Le disse la sorella ridendo.
"Impossibile." Ribattè l’altra.
"E perché?"
"Facile, cara. Ora sono io la ragazza più bella di
Forks."
* * *
Il sabato sera era arrivato in un lampo. Edward, come
sempre era impeccabile. Non perché si fosse sforzato di
esserlo, ma semplicemente perché era nella sua natura.
Parcheggiò la macchina nel lato nord del Giardino Nuovo e
Calista lo stava già aspettando. Aveva i capelli legati in una
coda alta e un semplice paio di jeans e una maglietta
attillata, ma per niente volgare.
"Hey, ciao Ed." Lo salutò lei allegramente.
"Ciao Calista!"
"Allora ti ricordi il mio nome!" Scherzò lei
sorridendo.
"Come va?"
"Tutto a posto e tu?"
"Bene grazie" Rispose gentilmente la ragazza. "Ti porto a
fare un giretto?"
"Eccome!"
S’incamminarono per il parco decorato da lanterne candele.
Vi erano bancarelle di ogni genere, con libri, dolci, oggetti
usati, vestiti, orecchini artigianali e…la bancarella della
riserva di La Push.
Quella bancarella vendeva oggetti in legno intagliati a
mano rappresentanti lupi. Vi erano ragazzi con la pelle
leggermente scura e corti capelli neri. In mezzo a loro vi era
un anziano sull’ottantina. Aveva i capelli grigi, lunghi fino
alle spalle tenuti insieme da un elastico. Quando vide Edward
si alzò in piedi mentre i ragazzi arricciavano il naso. Edward
lo squadrò e passò oltre.
"Come mai siete venuti a Forks? Insomma è un paese molto
piccolo, di rado qualcuno si trasferisce qui." Chiese ad un
certo punto Calista.
"Oh beh, mio padre lavora all’ospedale di Seattle, solo che
lui la ritiene una città pericolosa, preferiva una cittadina
piccola." Rispose Edward con sicurezza.
"Sì, lo dice anche mio padre, ma ogni tanto al pomeriggio
ci vado dato che qui ci sono davvero pochi negozi."
"Beh sì, Forks è davvero piccola, un po’ di posti nuovi ci
vogliono a volte. Ma dimmi, Forks è molto misera, ma
sostengono che ci sono leggende strane. Me ne vorresti
raccontare qualcuna?"
"Allora…ci sono quelle della riserva di La Push, ma secondo
me sono degli scoppiati, davvero. Parlano di Lupi, sostengono
di discendere da essi, per difendere il territorio dai
succhiasangue."
"Vecchie superstizioni che ci sono un po’ ovunque." Affermò
il ragazzo continuando a camminare.
"Poi vediamo… ce n’è una che risale a circa ottant’anni fa.
Mio nonno diceva sempre che la casa al limite del bosco era
abitata da un poliziotto e dalla figlia scomparsa poco dopo il
diploma. La leggenda narra che il suo fantasma a volte tornava
a casa e faceva ululare un lupo solitario che abitava quel
lato della foresta dal giorno della sua scomparsa.
Pazzesco."
"Scomparsa?"
"Sì beh, si racconta che il padre una sera tornò a casa e
non la trovò. Cercò ovunque, chiamò tutti i ragazzi della
riserva di La Push che conoscono a perfezione questi boschi,
ma nessuno la vide più da quel giorno. Il padre morì ancora
prima che io nascessi, ovvio sono leggenti risalenti a
ottant’anni fa."
"Stile casa-infestata-dai-fantasmi quindi?" Lei gli
sorrise, spensierata.
Edward continuò a guardarsi intorno quando, ad un certo
punto, gli sembrò di avere una visione. Dietro un albero una
ragazza lo fissava. Sbattè le palpebre, ma lei era già
scomparsa. Velocizzò il passo fino ad arrivare a quell’albero.
Si guardò bene intorno, ma di quella ragazza non c’era
traccia. Guardo su, verso i rami, ma niente. Se l’era solo
immaginata. Si era immaginato Bella. Perfetto, ora aveva pure
le visioni. Del suo odore dolce non vi era nemmeno l’ombra.
Eppure lui l’avrebbe riconosciuto lontano un miglio. E poi,
che stupido, Bella era morta.
Fu a quel punto che a distrarlo fu sua sorella, Rosalie.
Aveva fatto la sua entrata alla festa con un vestito super
aderente e i capelli biondi sciolti fino alla vita. Al suo
fianco vi era Emmet, maestoso come sempre, non faceva venire
nemmeno lontanamente in mente ai ragazzi di avvicinarsi alla
sua compagna, o di sfiorarla anche solo con un dito.
Dietro di loro Alice e Jasper si tenevano per mano, ma
Alice non sembrava tranquilla, anzi non lo era proprio per
niente.