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Autore: Heartline    26/03/2014    6 recensioni
E se Katniss avesse partecipato ai 70esimi Hunger Games? Quattro anni dopo Effie estrae il nome di una persona che Katniss non avrebbe mai voluto vedere nell'arena. Che cosa farà per salvarlo?
Questa è la mia prima ff e spero davvero tanto che vi piaccia :)
Genere: Azione, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 
Cerco di ricompormi in caso le telecamere stiano zoomando sulla mia faccia e con un gesto fulmineo mi levo il sangue dal labbro sperando che nessuno se ne sia accorto. Mi giro a guardare Haymitch perché se lui non si è accorto del mio shock standomi così vicino, è quasi impossibile che se ne siano accorti gli altri. Magari sto ingigantendo la situazione. È probabile che nonostante la tempesta che ho dentro sia stata capace di nascondere il mio shock. Devo essere migliorata a recitare almeno un pochino. Tutti questi anni di sorprese da parte del presidente e degli strateghi devono essere serviti a qualcosa, no? NO?!
Mi giro verso Haymitch per scoprire la verità e mi ritrovo addosso due occhi indagatori che mi stanno studiando. Ok, forse non ho ingigantito la situazione, forse è anche peggio di quanto mi sia immaginata. Prendo un respiro profondo per calmarmi. So che più tardi dovrò delle spiegazioni ad Haymitch, lo vedo nei suoi occhi.
Peeta e Vicky vengono scortati dai pacificatori nelle stanze dove potranno salutare i loro cari. La mietitura finisce e io mi alzo cercando di mettere più distanza possibile fra me e quel posto. Sento Haymitch raggiungermi. “Ti spiace spiegare il piccolo show che hai messo in scena dolcezza?”, dice afferrandomi il braccio per farmi rallentare. Prendo un respiro profondo.
“Lui è… Peeta”, è l’unica cosa che riesco a dire.
“Sì lo so, ora tutta Panem lo sa. Cerca di elaborare”.
“Haymitch lui non può morire”, mi lascio scappare scoppiando a piangere.
Lui mi abbraccia e cerca di consolarmi accarezzandomi quasi impercettibilmente i capelli, so che per lui la situazione è imbarazzante. Dopo un po’ mi allontana da lui. “Che ne dici se andiamo a casa e ne parliamo?”. Annuisco debolmente e mi lascio condurre a casa sua.
Tutto è come l’ultima volta che ho messo piede qui dentro, più o meno una settimana fa, con l’unica differenza che la puzza di alcohol è aumentata, per quanto sia possibile. Ci sediamo intorno al tavolo e lui mi offre qualcosa da bere. Faccio un sorso per poi fare una faccia disgustata.
Un silenzio ci avvolge, so che sta aspettando che io inizi a parlare.
“Mi ha dato del pane”, spiego.
“Non è il figlio del fornaio?”, mi chiede lui. Annuisco.
“Be’, non vorrei sconvolgerti dolcezza, ma sono certo che lui dia del pane a un sacco di gente”.
Sbuffo e mi metto le mani fra i capelli e sto così finché non sono pronta a parlare.
“C’è stato un periodo in cui la mia famiglia non se la passava molto bene. Mio padre era morto da un anno e la Capitale ci aveva dato soldi sufficienti per sopravvivere per un anno, il tempo necessario a mia madre per trovare un lavoro e mantenerci, ma lei non lo fece. Lei morì insieme a mio padre, non letteralmente è ovvio. Passava tutti i giorni a fissare il muro fregandosene dei pianti delle sue figlie che aveva lasciato a morire di fame”, dico accendendomi di rabbia. Cerco di calmarmi, già ho troppi sentimenti negativi adesso per aggiungere anche quelli del passato. “Comunque, provai a vendere i vecchi vestiti di Prim, ma tutti sapevano che non valevano niente perciò nessuno li comprò. Poi vidi un bidone dell’immondizia e mi venne l’idea di cercare per qualsiasi residuo di cibo, qualsiasi cosa che Prim avrebbe potuto mangiare. Il primo cassonetto che vidi fu quello della panetteria, ma non ebbi nemmeno il tempo di frugarci dentro che quella strega della moglie del fornaio mi urlò contro e minacciò di chiamare i pacificatori, così andai via, ma non potevo tornare a casa, non potevo vedere il viso di mia sorella mentre la lasciavo morire di fame, perciò mi appoggiai a un albero di mele poco lontano la panetteria. Dopo un po’ vidi Peeta uscire, la mamma lo seguì e gli diede uno schiaffo fortissimo e lui lo accettò e basta, come se sapesse di meritarselo. Poi la strega se ne tornò dentro. Peeta si guardò intorno, per accettarsi che nessuno lo stesse guardando e mi lanciò il pane. Aveva bruciato il pane per me Haymitch!”, gli spiego quasi in lacrime.
“Quindi ti ha salvato la vita”, riassume lui, annuendo, capendo cosa questo ragazzo aveva fatto per me.
“Non solo questo. Qualche settimana fa sono venuta a sapere di un’altra cosa. Prim se lo è fatto scappare, a quanto pare aveva promesso a Peeta di non dirlo a nessuno. Mi ha rivelato che mentre ero nell’arena Peeta le lasciava sempre del pane fresco davanti la porta. Si è assicurato che la mia famiglia avesse da mangiare quando io non potevo. Gli devo così tanto Haymitch che anche se riuscissi a farlo vincere non ripagherei il mio debito, ma è il minimo che io possa fare. Lui deve vivere”, gli dico disperata.
“Sai che abbiamo due tributi?”, mi chiede lui. So benissimo il significato nascosto in questa domanda: “Sai che stai mandando a morte certa uno dei due?”.
Lo so, lo so benissimo e il senso di colpa mi sta divorando, ma con tutti i morti che ho e avrò sulla coscienza devo imparare a conviverci. Peeta DEVE sopravvivere.
Chiudo gli occhi e annuisco.
“Ok”, è tutto quello che Haymitch mi dice.
 
 
Mentre sistemo i miei vestiti nei cassetti dalla mia camera sul treno, la mia mente si ritrova a pensare al ragazzo del pane. Non è che lo avessi notato particolarmente prima del giorno in cui mi gettò il pane, semplicemente perché non lo vedevo spesso, vivevamo in due parti del distretto diverse e anche se andavamo nella stessa scuola non ci incontravamo spesso, anche se dopo quel giorno lo avevo cercato più e più volte per ringraziarlo senza mai trovare il coraggio per farlo. E da allora mi è capitato di sognarlo qualche volta. Quei suoi occhi blu e la sua chioma bionda, al pensiero mi scappa un sorriso. Anche io sono caduta sotto il suo fascino, non sarò una ragazza normale, ma sono pur sempre una ragazza. Sono talmente immersa nei miei pensieri che quando Effie bussa alla porta per avvertirmi che la cena è pronta sussulto. Mentre lei si dirige verso le camere dei tributi, io mi dirigo verso la sala da pranzo e sono sorpresa quando mi accorgo che Peeta è già lì. Non mi ero aspettata di passare del tempo da sola con lui, o almeno non così presto, non sono ancora pronta, non so che dirgli, o meglio lo so, ma non so come. Prendo  un respiro profondo e mi siedo al tavolo, davanti a lui.
“Ciao”, mi dice, posando il tovagliolo che stava usando fino a poco fa sul tavolo. Un tovagliolo che probabilmente costava più di quanto i suoi genitori guadagnassero in un mese.
“Ciao”, gli rispondo cercando di accennare un sorriso, ma sono troppo nervosa.
Guardo nel mio piatto, fingendo di essere interessata in quello che contiene, il che forse mi sta facendo sembrare un po’ stupida. Apro la bocca per parlare, quando Vicky ed Effie ci raggiungono.
Vicky si siede vicino a Peeta ed Effie vicino a me.
L’inizio della cena passa in silenzio, poi noto il modo in cui Vicky sta mangiando velocemente.
“Ti conviene rallentare o ti sentirai male”, le dico, ricordandomi come mi ero sentita io dopo aver mangiato per la prima volta il cibo della Capitale. Lo stomaco non era ancora abituato a cibi così sostanziosi.
“Taci tu, non voglio nessun consiglio da te”, è la risposta che ricevo. Inarco le sopracciglia e lascio cadere il cucchiaio per la sorpresa. “Scusami?”.
“Vuole solo evitare che tu ti senta male più tardi, dovresti starla a sentire, è il tuo mentore dopo tutto”, interviene Peeta.
“Io non la voglio come mentore, mi fa schifo. Dov’è Haymitch? Almeno lui è stato capace di tirare qualcuno fuori da quell’arena. Quelle parole mi feriscono e sono troppo frastornata per controbattere, così mene sto in silenzio. Il mio stomaco improvvisamente si chiude e smetto di mangiare.
“Sai dovresti portarle un po’ di rispetto, dopo tutto saranno i suoi consigli a salvarti la vita, ti ricordo che lei è una vincitrice quindi sa il fatto suo, io non la giudicherei in maniera così negativa fossi in te”, mi difende Peeta. Alzo lo sguardo dal piatto per guardarlo negli occhi. Oh ragazzo del pane, smetterai mai di prenderti cura di me, penso e mi accorgo che no, non voglio che smetta e mi stupisco di me stessa. Non so perché, ma questo suo lato protettivo nei suoi confronti mi fa sentire molto sicura e coccolata, come non mi sentivo da quando è morto mio padre. Peeta Mellark: il ragazzo dei miracoli. Ecco chi era lui.
Vicky non controbatte e il resto della cena passa in un imbarazzante silenzio.
“Allora siamo pronti ad andare?”, chiede Effie una volta che tutti hanno finito di mangiare.
“Dove?”, chiede Vicky.
“A vedere le mietiture nei vari distretti”, le rispondo alzandomi.
“A che scopo?”.
“Così che possiate già conoscere con chi vi ritroverete a combattere”.
“Be’ non mi interessa, se capita qualcosa di interessante me lo potrete dire domani”, dice dirigendosi in camera sua.
“Lo può fare?”, mi chiede Effie confusa. Le faccio spallucce.
“Problemi suoi”.
Ci dirigiamo in un altro scompartimento per vedere in tv la sintesi delle mietiture di tutto il paese.
Peeta si siede vicino a me e iniziamo a guardare la tv. Dopo un po’ mi giro a guardarlo. Ricordo benissimo come mi sentii io quando guardai le persone contro cui avrei dovuto combattere, fu una sensazione orribile e riconosco quell’emozioni sul volto di Peeta, così senza pensarci gli afferro la mano e lui la stringe forte in segno, penso, di gratitudine.
Poi il riassunto delle mietiture finisce ed Effie spegne la tv e se ne va augurandoci la buonanotte.
Sento Peeta prendere un respiro profondo.
“Stai bene?”, gli chiedo preoccupata.  Lui annuisce.
“Solo che non so come ce la possa fare”, mi confida.
So benissimo come si sta sentendo. Starà pensando che non è capace di uccidere quelle persone, non perché non ne abbia le capacità fisiche, ma perché non è umano fare una cosa del genere. Avrà paura di in cosa, questi giochi, possano trasformarlo. Avrà paura di iniziare gli Hunger Games da Peeta e finirli diventando un estraneo persino a se stesso e al sol pensiero crederà che la morte forse sia meglio.
“Anch’io ho provato la stessa cosa”, gli confessai.
Si girò a guardarmi. “ Davvero? E come… come hai…?”.
“Ho pensato a Prim e a mia madre, avevano bisogno di me. Ho lottato per loro”, gli spiego.
“Io non ho niente per cui lottare”, e a quelle parole mi si strinse lo stomaco. Peeta faceva parte di una famiglia abbastanza numerosa, eppure nessuno, neanche suo fratello maggiore, si era offerto volontario al suo posto.
“Allora combatti per me”, mi lascio scappare, perché ho davvero bisogno che lui ritorni vivo.
“Questo lo posso fare”, mi disse sorridendomi. Rimaniamo qualche minuto in silenzio.
“Be’, meglio che vada. Buonanotte Katniss”, dice alzandosi e uscendo dalla camera. Solo adesso che si è alzato e ha districato le nostre mani, solo adesso che non lo fa più mi accorgo che prima mi stava accarezzando la mano con il suo pollice.
“Buonanotte”, gli rispondo, mentre una strana sensazione mi colpisce.  
  
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