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Autore: Cassidy_Redwyne    26/03/2014    5 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ancora non riuscivo a crederci.

Non riuscivo a credere di essere in macchina in direzione di Edimburgo, con mio padre alla guida, con Beth che sonnecchiava a bocca spalancata, adagiata sulla mia spalla, ma soprattutto con Luke, dalla parte opposta alla mia sul sedile posteriore, che guardava fuori dal finestrino con aria annoiata.

Forse Arianna aveva una sorta di potere su di lui. Avrei dovuto essere gelosa?

Quando gli avevo proposto di accompagnarmi alla festa di compleanno di Ari, lui aveva sorprendentemente annuito. Probabilmente sperava che il compleanno si svolgesse nella prestigiosa, meravigliosa, enorme e ricca villa della sua famiglia, nel quartiere residenziale di Edimburgo, ma non era così. Per le vacanze, i genitori di Arianna l'avevano spedita contro la sua volontà da un suo zio che viveva in campagna, Frank, e quindi ci aveva invitato lì.

Altrettanto sorprendentemente Luke non aveva detto nulla al riguardo ed era venuto con noi lo stesso. Forse avrei dovuto davvero essere gelosa di Arianna.

Quanto a mio padre, era bastato dirgli che Frank era un contadino come lui per assicurarsi un viaggio di andata e di ritorno per Edimburgo, nonostante fossero più di sei ore di macchina. Solidarietà fra contadini.

Beth aveva coraggiosamente invitato John a venire con lei alla festa e lui, contro ogni previsione, aveva detto di sì, così ci eravamo incaricati di accompagnarlo. Era di Londra come noi e saremmo potuti passare a prenderlo senza problemi, prima di recuperare Luke a Edimburgo e dirigerci verso la campagna.

John però aveva gentilmente rifiutato, dicendo che sarebbe venuto in treno, e Beth era così emozionata all'idea di vederlo nelle vacanze, ma allo stesso tempo così titubante che, dopo aver sussurrato per tutto il tempo Verrà o non verrà?, era crollata addormentata circa a metà tragitto.

«Kia» mormorò Luke ad un punto.

Mi voltai verso di lui, sorpresa. Era la prima volta che apriva bocca da quando eravamo passati a prenderlo a casa sua, nel centro di Edimburgo.

«Sì?»

«Perché i genitori di Arianna l'hanno spedita in campagna?»

Era la prima volta che apriva bocca e già parlava di Arianna. Forse avrei dovuto seriamente essere gelosa, pensai, trattenendo un gemito.

«Arianna odia la campagna, ma i suoi sono convinti che un periodo lontano dalla città le faccia bene» spiegai, evitando il suo sguardo.

«Come può odiare la campagna?» intervenne mio padre, che probabilmente mi aveva sentito.

Poi cominciò a elencare tutte le meraviglie che, secondo lui, rappresentavano vivere in campagna, in mezzo alla natura, senza neanche rendersi conto che né io né Luke lo stavamo più ascoltando.

Incrociai le braccia al petto, abbandonandomi con la schiena contro il sedile posteriore.

Sarebbe stato un viaggio molto lungo.

****

La proprietà dello zio di Arianna era veramente vasta, constatammo mentre attraversavamo il vialetto diretto a casa sua con la macchina.

Ai lati della strada si estendevano centinaia di ettari di campi coltivati stagliati contro il sole, che iniziava a tramontare proprio in quel momento e, ancora più lontano, si intravedeva la cima di un silos e quella di un mulino. Qua e là, nei pochi campi non ancora coltivati, pascolavano gruppi di mucche e di pecore e si respirava finalmente aria pulita, come a casa mia.

«Che meraviglia» disse Beth, ormai sveglia, sapendo di parlare a nome di tutti e quattro.

La nostra auto procedeva piano, permettendoci di osservare incantati il paesaggio.

Non avevo seguito le parole di mio padre riguardo alle meraviglie di vivere in campagna, ma sapevo che aveva ragione. Come poteva Arianna, o chiunque altro, odiare un posto del genere?

Una volta arrivati nel cortile della grande casa di campagna di Frank, Beth, Luke ed io scendemmo dalla macchina e ci guardammo intorno.

Il casale dello zio di Arianna sorgeva in mezzo ai campi coltivati, vicino ad un'enorme pompa eolica e un fienile di grandi dimensioni, da cui si intravedevano compatte balle di fieno una sopra l'altra; poco lontano c'era la fattoria vera e propria, dipinta di un rosso scuro e rifinita di bianco, con annessa una piccola casupola in mattoni dal tetto spiovente.

Sulla vasta aia davanti ai due edifici razzolavano le galline e, poco più in là, si intravedeva la superficie scura di un lago illuminata dal tramonto. Da lì nasceva un fiumiciattolo che portava al mulino ad acqua, di cui avevamo visto la cima poco prima.

«Allo zio di Arianna non dispiacerà se do un'occhiata intorno, vero?» domandò mio padre, sporgendosi con il busto fuori dal finestrino. «È davvero una bella fattoria» aggiunse, con gli occhi che gli brillavano.

«Penso proprio di no» dissi, affrettandomi a seguire Luke e Beth, che si stavano avviando alla porta della grande casa.

Il ragazzo suonò il campanello e attendemmo sull'ingresso.

Dopo poco la porta si spalancò e Arianna uscì fuori, parandosi di fronte a noi. Indossava un lungo paio di jeans stretti e una camicia a quadri sbottonata in più punti, da cui si intravedeva una lunga canotta bianca. Avrei voluto sorridere, dato che era vestita in perfetto stile di campagna, ma tuttavia non lo feci, limitandomi ad osservarla con più attenzione.

Era dimagrita e non di poco. Le sue gambe, terribilmente esili, sembravano quasi faticare a sorreggerla e, alzando gli occhi per vederla in volto, ebbi la piena consapevolezza che c'era qualcosa che non andava: incorniciato dai lunghi e leggermente arruffati capelli castani sfumati di biondo, il suo viso era paurosamente magro e scavato e pareva contratto in una smorfia. Vedendoci, però, la sua espressione parve rilassarsi appena.

«Ragazzi! Benvenuti» annunciò, abbracciando prima me e poi Beth e sorridendo al mio ragazzo.

Notai con la coda dell'occhio che Luke non aveva avuto nessuna reazione sospetta e ciò mi rincuorò.

«Buon compleanno!» esclamammo io e Beth all'unisono.

Era una dei pochi compleanni che mi ricordavo a memoria, visto che il trentuno Dicembre era una data piuttosto facile da ricordare.

«Auguri» disse Luke senza entusiasmo, dandomi ulteriore prova di quanto mi fossi sbagliata.

«Vi ringrazio! Seguitemi, gli altri sono già dentro» rispose lei accennando un sorriso, indicando con lo sguardo la porta aperta e spostandosi di lato per farci entrare.

Avrei voluto bloccarla per parlarle un attimo, ma mio padre mi interruppe.

«Arianna!»

Ci voltammo tutti nella sua direzione. Era uscito dall'auto e si stava guardando intorno, come avevamo fatto noi.

«Posso chiederti una cosa?»

Lei aggrottò le sopracciglia, stupita, e annuì.

«Come puoi odiare questo posto? È uno splendore!»

Mi nascosi il viso fra le mani, imbarazzata. Ma perché non poteva starsene in silenzio?

Lei parve riflettere molto prima di rispondere.

«Ammetto di non essere una grande amante della vita di campagna, essendo nata e cresciuta in città, ma non odio questo posto. Non so cosa le è stato raccontato...» Arianna fece una breve pausa per potermi lanciare un'occhiataccia, «...ma l'unica cosa qui che odio profondamente è mio zio.»

Mio padre sgranò gli occhi e noi rimanemmo in silenzio, sorpresi e imbarazzati dalla sua schiettezza.

Attendemmo un po' a disagio che Arianna riprendesse il discorso, ma lei non lo fece e continuò a fissare mio padre dritto negli occhi.

Dopo aver coraggiosamente sostenuto il suo sguardo tagliente per circa due secondi e mezzo, lui distolse il suo e chinò il capo.

«Uhm, forse adesso è meglio che vada» borbottò poi, quasi fra sé, incespicando nella ghiaia del cortile e chiudendosi rapidamente in macchina. «Bella campagna, comunque.»

Ci salutò con una mano fuori dal finestrino e quindi iniziò la retromarcia. Dopo qualche manovra sullo sterrato che sollevò cumuli di polvere, mio padre e la sua auto sparirono lungo il vialetto.

Levai gli occhi al cielo, mugugnando qualcosa sulla sua innata sfacciataggine.

«Arianna, tu però la campagna la odi» le feci notare sbuffando.

«Certo che sì. Ma non posso mica dirlo davanti a un contadino!» ribatté lei, incrociando le braccia al petto, mentre entravamo in casa. «E aspettate solo di conoscere lo zio Frank.»

L'interno del casale era in penombra, illuminato solo dalla scarsa luce che facevano delle traballanti lampade sul soffitto.

Scoprimmo che la porta non dava sull'ingresso, ma su una cucina ampia e spaziosa, con un lungo tavolo di legno che la occupava quasi del tutto. Seduti ad esso, immobili a fissarci, c'erano Angie, Night, Lucas e John.

Sorpresa dalla loro presenza, li salutai con un cenno, mentre Beth si pietrificava alla vista di John e rimaneva immobile, a bocca teatralmente spalancata.

Ma una musica familiare, proveniente dalla stanza accanto, ci riscosse di colpo.

Beth aggrottò le sopracciglia e, dopo uno sguardo d'intesa, ci precipitammo nella sala vicina. Là, seduto su un divano stropicciato, c'era un uomo dai folti capelli grigi intento a guardare un musical in televisione che riconoscemmo all'istante.

«THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW!» gridammo io e Beth all'unisono, euforiche, probabilmente scandalizzando tutti.

«Ma quello è Frank-N-Furter!» esclamò poi Beth, avvicinandosi allo schermo e riconoscendo nell'immediato l'eccentrico travestito.

L'uomo intento a guardare la televisione si voltò a guardarci e sorrise ugualmente euforico.

«Ragazze! Conoscete questo fantastico musical?» domandò, con gli occhi che gli brillavano. «Ah, Frank-N-Furter» sospirò poi con aria sognante, rivolto a Beth. «È sempre stato il mio personaggio preferito! Rispecchia alla perfezione il mio carattere, addirittura il mio nome! E il mio essere...»

«ZIO.» Arianna irruppe nella stanza, fissando con occhi truci l'uomo dai folti capelli grigi, rivelatosi il famoso zio Frank. «Non scandalizzare le mie amiche con le tue rivelazioni e, per Dio, abbassa quel dannato volume!» ordinò arrabbiata, puntandogli il dito contro.

«Cara, ma lo sai che sono un povero vecchio debole d'udito e che...»

«Abbassa il volume» ripeté Arianna, se possibile ancora più minacciosa. Quindi fece cenno a me e Beth di lasciare la stanza e di tornare in cucina.

Notando che l'aria tra di loro si stava facendo pesante, non ce lo facemmo ripetere due volte. Dopo averci fatte passare, Arianna sbatté la porta della cucina con rabbia, come per isolarci da suo zio, mentre Frank scoppiava a ridere e alzava il volume ancora di più, facendo rimbombare Sweet Transvestite in tutto il casale.

Don't get strung out by the way that I look
Don't judge a book by its cover
I'm not much of a man by the light of day
But by night I'm one hell of a lover

I'm just a sweet transvestite
From Transexual, Transylvania, ha ha*

Lasciandosi cadere al tavolo, la nostra amica ribolliva di rabbia, mentre Beth, al contrario, aveva gli occhi che le brillavano, mentre scivolava accanto a John.

«Quell'uomo è...»

«Completamente pazzo» sospirò Angie.

Beth la fulminò con lo sguardo. Sembrava essere rimasta piacevolmente colpita dallo zio di Arianna, a differenza di tutte noi.

«Bel musical, però» mormorò John, alzando lo sguardo dal tavolo, e fummo tutti d'accordo.

Osservai i ragazzi seduti, facendo cenno a Luke di avvicinarsi a me. Angie e Night erano seduti ai lati opposti del tavolo e di tanto in tanto si lanciavano degli sguardi assassini. Lucas era seduto vicino a Arianna e sembrava avere occhi solo per lei. Mi venne spontaneo pensare se anche lui avesse notato dei cambiamenti nel suo aspetto.

Io presentai Luke ai ragazzi e quindi Ari ci servì da mangiare.

«Proviene tutto dalla nostra campagna» spiegò sorridendo, mentre ci riempivamo i piatti.

Mentre mangiavamo, mi resi conto che Arianna era stata un genio. Mai e poi mai avrei potuto immaginarmi la scena a cui stavo assistendo in quel momento: eravamo tutti seduti a tavola a ridere e scherzare come se ci conoscessimo da sempre, con Night e Angie che si lanciavano molliche di pane mentre Beth rideva a crepapelle, Lucas e Luke che parlavamo animatamente di sport e Arianna che raccontava a me e John gli aneddoti di suo zio. Sembravamo quasi una famiglia, e pensare che ci eravamo conosciuti da appena tre mesi e mezzo – chi da poche ore – e che solitamente ci detestavamo!

Sorrisi, felice per l'esito della cena, e sperai che quell'atmosfera così distesa e piacevole potesse fare un buon effetto anche a colei che aveva programmato tutto, mentre la osservavo piluccare le pietanze nel piatto e tardare a mangiare.

Dopo esserci probabilmente finiti le provviste di tre inverni di Frank tenute nella dispensa, Night, John e Luke vollero provare a tutti i costi qualche bottiglia proveniente dalla cantina, per "poter gustare l'antico fascino dei vini di un vecchio", scusa per assumere alcol che ovviamente non si bevve nessuno, letteralmente. A parte Lucas.

Dopo cena lasciammo lo zio Frank a ridacchiare davanti alla televisione e, una volta indossati i cappotti, uscimmo all'aperto.

La campagna di buio era completamente cambiata, seppur sempre splendida. Si intravedevano i profili degli edifici nei dintorni e, sopra di noi, si innalzava un meraviglioso cielo stellato.

«Cosa facciamo?» chiese Beth, alzando lo sguardo per ammirare il cielo.

Arianna rimase un attimo in silenzio, pensierosa. «A dire il vero non c'è molto da fare, qua fuori.»

«Potremmo giocare a nascondino!» propose Lucas, euforico come un bambino, ottenendo all'istante una cascata di sguardi scettici in risposta che però parvero non influenzarlo.

«Avanti, sarebbe divertente!» continuò lui, sorridendo.

«Lucas, oltre al fatto che la troviamo un'idea piuttosto infantile, siamo al buio e in un posto che non conosciamo» spiegò pazientemente Night, a nome di tutti.

«Io la trovo una grande idea!» ribatté invece Beth, schierandosi al fianco di Lucas. «Al buio sarà più divertente e Arianna potrebbe spiegarci i confini della campagna entro i quali nasconderci.»

«Non avete tutti i torti!» esclamai, e Beth mi rivolse un raggiante sorriso in risposta.

Angie si unì a noi e, dopo un po' di discussioni, riuscimmo a convincere anche gli altri ragazzi e Arianna, che ci spiegò attentamente i confini della struttura, aiutandosi con i punti di riferimento più visibili di notte: il mulino, il fienile e il silos, situato nel punto più lontano da dove ci trovavamo. Per sicurezza, comunque, ognuno di noi si sarebbe portato dietro il proprio cellulare.

Infine decidemmo che sarebbero stati in due a cercare gli altri, visto la grandezza del posto e, con una grande dose di fortuna, uscimmo io e John, che ci preparammo psicologicamente per la partita di nascondino più lunga della nostra vita.

Rimanemmo davanti alla porta della casa di Frank, mentre gli altri si sparpagliavano in giro.

Una volta finito di contare, il cortile era deserto e silenzioso, e inspirai profondamente.

«Cosa proponi?» domandai a John, che si stava guardando intorno con le mani nelle tasche.

«Cioè?»

«Cominciamo a cercare insieme o ci dividiamo?» spiegai pazientemente.

«Dividiamoci, altrimenti non finiremo mai» rispose lui, tirando un calcio al suolo con la suola della scarpa, prima di sparire nel buio.

Lo imitai, facendomi coraggio. Mentre camminavo a grandi passi, mi resi conto di non essere poi così spaventata, malgrado i lampioni illuminassero fiocamente e la campagna fosse animata da continui rumori e scricchioli.

Girovagai a lungo, finché non intravidi la sagoma di un modesto edificio a cui mi avvicinai istintivamente: era la piccola casupola annessa alla fattoria di Frank, quella con il tetto spiovente. Decisi di entrare a dare un'occhiata: qualcuno avrebbe potuto anche nascondersi lì.

Spinsi la porta con decisione, facendo entrare all'interno la debole luce della luna, mentre la aprivo con un lento cigolio. Cercai a tentoni l'interruttore ma, non trovandolo, mi limitai a fare qualche passo in avanti.

Impossibile capire cosa ci fosse dentro quell'edificio: riuscivo solo a distinguere delle figure stagliate nel buio, poggiate su quelli che sembravano essere tavoli. Si respirava un forte odore di chiuso e, dopo qualche altro passo, decisi che quel posto non mi piaceva.

Giunta davanti a uno dei tavoli, feci per girare sui tacchi, guidata dalla luce della luna che illuminava l'ingresso della casupola.

Per non urtare spigoli e fare un po' di luce, decisi di accendere il cellulare. E quella che mi trovai davanti, poggiata sopra uno dei tavoli, fu la testa minacciosa di un grosso cinghiale, i cui piccoli occhi di vetro, riflettendo contro la luce del flash, per un attimo parvero quasi vivi.

****

Un urlo agghiacciante si levò dalla campagna ed Angie si girò in direzione della fattoria.

Era la voce di Kia e d'istinto si mise a correre in quella direzione.

«Mi spieghi cosa stai facendo?»

La ragazza si voltò di scatto, riconoscendo la voce di Night. Il ragazzo infatti era dietro di lei, le braccia incrociate al petto e un espressione scocciata dipinta sul volto.

«Non andrai sul serio dritta da Kia?» continuò, avvicinandosi a grandi passi.

Angie levò gli occhi al cielo, infastidita.

«Voglio sapere cos'è successo, sembrava spaventata! Perché, non posso?» replicò lei a tono, ripresasi dall'iniziale stupore.

«Stiamo giocando a nascondino. Dubito che Kia farebbe mai una cosa simile, ma John potrebbe averla convinta a gridare per attirare la nostra attenzione» spiegò Night, serissimo in volto. «Ti ripeto, vuoi sul serio andare dritta da Kia, nella tana del lupo?»

«Night, penso che tu abbia preso questo gioco un po' troppo sul serio» ridacchiò lei per tutta risposta, ma stava già tornando sui suoi passi.

Nessuno dei due parlò quando si avviarono insieme nella direzione opposta a quella inizialmente presa da Angie e, dopo pochi passi, furono completamente inghiottiti dal buio.

 

«Nei dintorni dovrebbe esserci il mulino» disse Night dopo un po' che camminavano, mentre si guardava intorno, cercando di intravedere una qualsiasi figura nel buio.

Angie si strinse nel cappotto, cercando di seguirlo mentre camminava rapido lungo il sentiero.

Entrambi avevano nelle orecchie il frastuono del fiume che scorreva nelle vicinanze, l'unica guida, oltre alla luminosa luna stagliata nella notte, per raggiungere la loro meta.

Mentre camminavano rapidi e silenziosi, in Angie si rese conto di essere sempre più a disagio, causa ciò che era successo appena qualche giorno prima, quando lei si era presentata a casa di Night per invitarlo alla festa di Arianna. Aveva avuto modo di riparlare con l'amica del fatto che Night fosse un suo vicino giusto qualche ora prima e tuttora faticava a riprendersi. Per la faccenda delle bande, i vicini erano un tabù per i suoi fratelli, per quella della madre antiartistica lo erano per sua madre, e così lei non aveva mai avuto nemmeno modo di vederlo.

I suoi pensieri furono gli unici a tenerle compagnia per tutta la durata del tragitto, finché Night non ruppe il silenzio.

 

Da quando era tornata a casa, Angie aveva trascorso intere giornate cercando di riacquistare pian piano la sua quotidianità: rilassarsi, disegnare e informare di tutte le novità scolastiche la sua famiglia e i suoi più cari amici Joe, Frank e Chris.

Uno di quei tanti pomeriggi tutti uguali stava chiacchierando in veranda con Joe, mentre lui si accendeva una sigaretta, quando le era tornato improvvisamente in mente l'immagine di Night che fumava sul terrazzo e quasi le era venuto un colpo, al punto che Joe le aveva chiesto se andasse tutto bene.

Nei giorni successivi, Angie aveva invano tentato di togliersi quel pensiero dalla testa, ma quello rimaneva lì, senza lasciarle un attimo di tregua. Il suo sguardo correva sempre più spesso alla casa di fronte e si ritrovava sempre a camminare nelle sue vicinanze, attirata come un magnete dal ferro. Un bel giorno decise di darci un taglio. Di quel passo, altrimenti, sarebbe impazzita.

Guidata da un inspiegabile istinto, si recò a casa dei suoi vicini per mettere in atto la folle idea di Arianna. Sì, si disse, era senz'altro quello il motivo per cui ci stava andando.

Bussò alla porta con la grazia di un cinghiale e Night le aprì con altrettanta gentilezza.

Nel vederla, la sua reazione non fu delle migliori. Inizialmente cercò di chiuderle la porta in faccia ma Angie, aspettandosi un simile comportamento, lo anticipò e si precipitò dentro casa, osservando con curiosità l'interno dell'abitazione: l'arredamento era minimo e molto semplice, insopportabile per sua madre, si ritrovò a pensare.

«Mi spieghi che diamine ci fai qui? Sei peggio di una stalker!» urlò Night, ma lei si limitò a indicare dalla finestra di cucina la villetta di fronte, facendo un sorrisetto.

«Quella è casa mia. Non ho forse il diritto di viverci?»

Il ragazzo trasalì. Anche per lui, quindi, il fatto che fossero vicini doveva essere una novità. In ogni caso, non gli ci volle molto per riprendersi da quella notizia.

«Nessuno ti vieta di startene a casa tua, infatti. Fuori di qui!»

«Dio, quanto sei insopportabile!» sbottò lei, dimenticandosi subito dei suoi buoni propositi.

«Almeno io non vengo nelle case altrui a dare fastidio!»

«Volevo solo dirti una cosa, razza di idiota!»

«Allora perché mi attacchi? Dilla e basta!»

«Ma sei hai cominciato tu?!»

Angie perse anche l'ultimo barlume di pazienza rimasto, mentre si avventava contro il ragazzo.

Night la respinse, cercando di spingerla lontano da lui, ma dopo un attimo Angie gli fu nuovamente addosso, intenta a tempestargli il petto di pugni.

«Non è che è tutta una scusa per potermi palpare i pettorali?» scherzò poi.

Angie soffocò un urlo di rabbia e raddoppiò i suoi sforzi nel tentativo di colpirlo. Sapeva che Night l'aveva detto solo per provocarla, ma era più forte di lei.

Il ragazzo si lasciò cadere sul divano ed Angie gli fu subito addosso, ma stavolta lui non agì passivamente. Afferrò i polsi di lei, che sciolse finalmente i pugni e, con un rapido movimento, la schiacciò tra il divano e il suo corpo, rendendola totalmente impotente.

«Non è che è tutta una scusa per potermi stuprare?» cinguettò Angie imitando il suo tono di voce, mentre lo inceneriva con lo sguardo.

«Almeno adesso hai smesso di agitarti. Sembravi impazzita» osservò lui, con aria tutto sommato divertita.

«Comunque» tossicchiò la ragazza, decisa a cambiare argomento. «Il motivo per cui sono qui è che Arianna ti ha invitato alla sua festa di compleanno, il 31 Dicembre.»

Ottimo, aveva fatto il suo dovere, adesso poteva anche andarsene. Peccato solo che Night non sembrasse della sua stessa opinione.

«Che gentile! Spero di essere libero quel giorno» rispose serafico, mentre Angie si agitava sotto di lui, cercando di sottrarsi a quel contatto forzato.

Sentiva la gamba del ragazzo insinuata fra le sue, l'altra poggiata al pavimento per non perdere l'equilibrio e finirle addosso, i loro basso ventri che si univano e si allontanavano quasi impercettibilmente, al ritmo dei loro respiri.

«Benissimo, ho detto tutto quello che avevo da dirti. Non volevi che me andassi di corsa? Adesso voglio farlo» disse tutto d'un fiato, spostando la testa in tutte le direzioni possibili pur di non guardarlo in faccia.

Perché era finita in quella fastidiosa situazione? Maledetta, maledetta, Arianna, l'avrebbe pagata cara.

Vide che Night stava osservando la sua reazione con malcelata curiosità e sentì che le guance le si stavano imporporando. Si maledì, sapendo che lui avrebbe sicuramente capito ciò che le stava passando per la testa.

«Angie Stevens ha un lato umano, chi l'avrebbe mai detto!» commentò infatti. «Non ero riuscito a smuoverti neanche in bagno, quella volta che...»

«Sta' zitto!» gridò lei, sempre più rossa in volto.

Lui inaspettatamente obbedì, limitandosi a scrutarla in silenzio.

«Così va megl...»

Angie lasciò la frase a metà e trasalì quando vide il viso di Night avvicinarsi pericolosamente al suo, ma lasciò che per una volta l'istinto avesse la meglio su di lei.

Ignorando il cuore che sembrava letteralmente esploderle nel petto e certa che anche il ragazzo riuscisse a sentirlo, socchiuse lentamente gli occhi, mentre sollevava il viso per incontrare quello di lui.

Le loro labbra si trovarono a metà strada. E, di colpo, l'estenuante lentezza con cui si erano avvicinati l'una all'altra precipitò e i due si ritrovarono famelicamente avvinghiati l'uno all'altra come se si fossero trattenuti fino a quell'istante, ma non aspettassero altro.

Bocca contro bocca, Night le succhiò il labbro inferiore ed Angie gemette, gettando la testa all'indietro quando lui glielo morse con tanta irruenza che la ragazza fu sicura che lui gliel'avesse spaccato.

Se me lo ha rotto davvero, lo ammazzo, pensò lì per lì ma, a dirla tutta, al momento aveva altre cose per la testa.

Pareva che entrambi, dopo quel piccolo inconveniente nella doccia, sentissero il bisogno di rifarsi, senza più quel fastidioso rubinetto tra le scatole (anzi, tra le scapole).

La ragazza intrecciò le mani dietro il collo di lui e lo attirò a sé, continuando a baciarlo. Lo voleva dappertutto su di sé e Night non sembrava aspettare altro. La baciò sulle labbra, carezzandole con la lingua, poi passò a lasciarle una scia di baci bollenti sul collo, le mani che, dopo un attimo di esitazione, s'intrufolarono sotto la maglietta ed iniziarono a vagarle sul corpo, seguendo la linea dei fianchi.

Probabilmente credeva che Angie lo avrebbe ucciso per quel contatto rischioso, ma la ragazza si scoprì a provare una scarica elettrica sulla pelle, nei punti in cui le dita di Night la accarezzavano, ma Dio, non era abbastanza.

«È quasi meglio che picchiarti» si lasciò sfuggire, inarcandosi contro di lui.

«Eh?» balbettò Night, bloccandosi dal baciarle la clavicola per lanciarle uno sguardo confuso.

«Lascia perdere» mugugnò lei, sollevandosi sulla schiena e zittendolo con un bacio.

Night sorrise contro la sua bocca, le loro lingue che danzavano l'una con l'altra, ed Angie, assecondando un desiderio proibito che giaceva da tempo sopito dentro di lei, gli afferrò d'improvviso le mani e gliele posò sui seni.

Il ragazzo, che probabilmente trovava il giorno in cui gli alieni avrebbero colonizzato il pianeta Terra molto più vicino di quello in cui Angie gli avrebbe permesso di toccarle le tette, trasalì, ma dopo un attimo aveva iniziato ad accarezzarla, le mani che iniziavano a sollevarle i lembi della maglia, mentre Angie si sforzava di darsi un contegno per non gemere come una deficiente.

Iniziò a sua volta sbottonare la camicia di lui, ma era dannatamente difficile, con il ragazzo che continuava a baciarla come insaziabile.

E, proprio quando ogni difesa fra di loro sembrava essere finalmente crollata...

«FERMI RAGAZZI, NO!»

...Una voce isterica risuonò alle loro spalle.

Night, dandosi la spinta con la gamba a terra, tornò seduto composto sul divano, come se nulla fosse; Angie, sistemandosi i lunghi ricci dietro le spalle per apparire più disinvolta possibile, si sollevò e tornò seduta, come se nulla fosse.

Davanti a loro c'era l'esatta fotocopia di Night, se si escludeva la sua capigliatura: solo uno sguardo più attento avrebbe notato che lo sconosciuto era più alto e muscoloso. Il ragazzo li scrutò a lungo con i suoi occhi verdi e si passò una mano fra i lunghi capelli scuri, legati in una corta coda di cavallo.

«Day?» Night lo fissò, sconcertato. «Quando sei entrato?»

Day? Angie osservò con curiosità il fratello di Night, il Day di cui aveva tanto sentito parlare: dunque era proprio lui.

«Proprio adesso, ma credo non mi abbiate sentito...»

Il nuovo arrivato fece un sorrisetto a Night, quindi posò lo sguardo su di lei.

«Sei una Stevens?» chiese. Il suo tono era inafferrabile.

Forse Night le aveva parlato – male – di lei o forse aveva notato la sua somiglianza con i suoi fratelli. In ogni caso, Angie annuì.

«Tecnicamente dovrei odiarti ma, per essere entrata nel covo del nemico come se nulla fosse, ne hai di palle! Metaforicamente parlando, ovviamente.»

Angie rise, ma il ragazzo non aveva ancora finito.

«Cioè mi fido, Night prima avrà avuto sicuramente il tempo di dare una sbirciatina...»

«Day, Cristo santo.»

Angie si voltò verso Night: non aveva più aperto bocca fino a quel momento e adesso sembrava piuttosto scocciato.

Il fratello alzò le mani in segno di resa.

«Ok calma, calma! Vi lascio in pace! Ma voi vedete di lasciare in pace il divano, io ci lavoro.»

Entrambi i ragazzi lo fissarono, allibiti.

«Cioè... ci gioco alla play.»

 

«Penso che dovremmo parlare.»

La voce di Night riscosse Angie dai suoi pensieri.

Ricordare quell'episodio sul divano le provocava sempre reazioni inaspettate e fu sollevata che in quel momento fosse buio pesto, così che il ragazzo non potesse notare il rossore che le colorava le guance.

La ragazza si voltò in quella che doveva essere la sua direzione. Difficile a dirsi, non si vedeva assolutamente niente.

«Cosa c'è?»

«Sai com'è, vorrei vederci chiaro, nella nostra situazione.»

Angie non si aspettava una simile affermazione e, dal suo tono fermo e serio, non sembrava che Night stesse facendo dell'ironia. Ci avrebbe pensato lei.

«Più facile a dirsi che a farsi, è buio pesto. Hai mica una torcia?»

«Per favore. Sei troppo irlandese per fare dell'english humor.»

La gelida risposta che ricevette le fece capire che Night non sembrava in vena di battute. Era serissimo, possibile non riuscisse ad esserlo anche lei?

«Cosa c'è, Night?» domandò infine, addolcendo il tono di voce.

Non le veniva naturale parlare con lui in quel modo, era una delle prime volte, forse l'unica, in cui stavano facendo un discorso serio.

«Sai benissimo cosa c'è! Ma hai tanta voglia quanto me di parlarne.»

La voce di Night risuonò nel buio e colpì Angie come uno schiaffo. Ci aveva preso in pieno.

«Infatti io non ho nessuna intenzione di parlarne» borbottò lei, sulla difensiva.

Udì il ragazzo sospirare, poco lontano.

«Ti va sul serio bene così?»

Il silenzio che seguì esortò il ragazzo a continuare.

«Non puoi negare di non essere attratta da me.»

«COSA?!»

«Com'è che i tuoi calci e le tue imprecazioni finiscono nel preciso momento in cui la nostra distanza si accorcia? Potresti almeno provare a sembrare un po' più contrariata. Sappi che come attrice sei proprio poco convincente.»

Stava rivangando a grandi linee l'episodio sul divano di casa sua, come quello nelle docce della scuola, e Angie si sentì prendere fuoco, per la rabbia e l'imbarazzo che sembravano essersi divisi in egual modo dentro di lei.

Percepiva lo sforzo di Night nell'esprimere ciò che pensava a parole e non a pugni, ma il suo comportamento inusuale la stava mandando completamente in tilt, peggiorando la già delicata situazione.

«I-Io...»

«A quanto pare a te basta così» la interruppe lui. «E non ti biasimo, perché era ciò che ho sempre voluto anche io. Non si può certo dire che sia il classico principe azzurro.»

Angie, nonostante dentro di lei avesse la più totale confusione, riuscì ad abbozzare un sorriso divertito. Night la stava cercando di mettere a suo agio e in quel momento si stava rivelando una persona migliore di lei: nonostante fosse uno stronzo e lo avesse sempre detestato, riusciva a venire a patti con se stesso, anche se con difficoltà.

«In un certo senso ti invidio, perché...» Si zittì, cercando le parole giuste. «Cazzo, ho sempre saputo perfettamente quello che volevo da un rapporto, ma adesso... »

La ragazza stavolta udì la voce di Night più vicina e, alle sue parole, il sorriso si spense e lo stomaco le fece una capriola. Aveva sospettato che il suo discorso potesse andare a finire in una mezza dichiarazione, ma udirla fu completamente diverso.

Non riusciva a credere che quel ragazzo avesse appena confessato i suoi sentimenti: da una parte non se lo sarebbe mai aspettato, dall'altra lo aveva sempre saputo. E, di conseguenza, una parte di lei avrebbe voluto avere con sé un registratore per poterglielo rinfacciare a vita, un'altra stava tentando di rispondergli e, forse, di dirgli di sì.

Che, nonostante il loro rapporto dettato dall'odio, all'origine vi fosse qualcosa di ben diverso? In altre circostanze, Angie non si sarebbe mai sognata di mettere in discussione questo principio, ma adesso forse era giunto il momento di farlo.

Cercando di venirne a capo in preda al nervosismo, con il fragore del fiume nelle orecchie, tirò distrattamente un calcio ad un sasso. O meglio, a quello che credeva fosse un sasso.

«AHIA, PORCA MISERIA

Non era un sasso, ma lo stinco di Night.

«Era solo un calcio!» replicò lei, stordita dall'urlo appena levatosi, che le aveva trapanato i timpani.

Tutti i suoi complessi andarono a farsi benedire, sostituiti da un'unica domanda: quando si erano avvicinati così tanto?

«Perché diamine mi hai tirato un calcio?!»

Angie percepì vagamente uno spostamento d'aria vicino a sé, un oscillamento, come se il ragazzo stesse mulinando alla rinfusa le braccia a un passo dalla sua testa, in cerca di un precario equilibrio.

«Io mi sforzo di fare un discorso serio, ed ecco la tua reazione!» continuò Night. «Un premio a chi riesce a capirti!»

Il suo braccio colpì erroneamente la nuca della ragazza, che trattenne un grido e fece un incerto passo avanti nel buio, segnando in un attimo la fine di quell'assurda conversazione.

Il corpo di Angie si scontrò con quello già in bilico di lui, che precipitò all'indietro; solo allora la ragazza si rese conto che, durante la discussione, non solo si era pericolosamente avvicinata a Night, ma anche al letto del fiume.

Il ragazzo la trascinò con sé nella rovinosa caduta e nessuno dei due fece in tempo a rendersi conto di ciò che stava succedendo che l'acqua gelida mozzò loro il fiato.

****

Corsi, corsi come una matta finché non mi fui allontanata a sufficienza da quell'edificio e non ebbi i polmoni allo stremo e il cuore che chiedeva pietà. Solo allora rallentai, cercando di non incespicare nel buio.

Ripresi lentamente fiato, mentre mi rendevo conto con orrore che, nella mia folle fuga, mi ero allontanata da qualsiasi zona illuminata e, che a circondarmi da ogni lato, non c'era che il buio.

«Oh merda....» bisbigliai, anche se nessuno poteva udirmi.

Non l'avrei mai ammesso ad anima viva ma, in quel momento, persino avere accanto l'inquietante figura di John mi sarebbe parso rassicurante.

Intorno a me, tutto era immerso nel silenzio e solo le suole delle mie scarpe che scricchiolavano sul terreno rompevano quella quiete innaturale. Dov'erano andati a finire i gracidii delle rane, il frinire delle cicale e dei grilli e il fruscio del vento? E, questione più importante, dov'ero andata a finire io?

Frugai nelle tasche finché non ebbi tra le mani il cellulare e feci un po' di luce: la situazione non cambiò più di tanto, ma almeno potei evitare di andare a sbattere contro gli alberi che, di tanto in tanto, facevano la loro comparsa nel paesaggio.

Camminavo senza una meta precisa, sperando di non allontanarmi troppo dalla fattoria, e pensai persino di chiamare John, ma poi ricordai di non avere il suo numero. Perché non ce lo eravamo scambiati prima di dividerci? 

Stupida, stupida, stupida.

Non provai neppure a chiamare gli altri, non perché avrei compromesso l'esito del gioco – di cui sinceramente non m'importava più di tanto – ma perché, mi resi conto con orrore, non c'era campo.

«E adesso come faccio?» gemetti, in preda al panico, quando sentii qualcosa sfiorarmi le spalle.

Fu la fine.

«AAAAAAAAAAAAAAAAH! STA' LONTANO DA ME, CHIUNQUE TU SIA! LASCIAMI, LASCIAMI, LASCIAMI! AIUTO! AIUTOOOOO! AAAAAAAAH!»

«Kia?»

Nel buio riconobbi la voce di John e mi zittii all'istante, sentendomi più che mai una cretina.

«Kia, sono John!» ripeté la voce. «Cazzo, mi hai trapanato i timpani.»

Era dietro di me e per vederlo bene dovetti puntargli in pieno viso la luce del cellulare, da cui il ragazzo si scostò con un'altra imprecazione.

«Era tutto calcolato» assicurai in tono scherzoso, sentendo qualcosa smuoversi dentro di me.

Non ero più sola. Ero con l'inquietante tipo che piaceva alla mia migliore amica, ma in fin dei conti non ero più sola.

«Come hai fatto a trovarmi?» chiesi. 

John, nel frattempo, si era messo a camminare con grande sicurezza verso un punto indefinito nel buio e mi affrettai a seguirlo.

«Ti ho sentita parlare da sola.»

«Non stavo parlando da sola» puntualizzai, rossa di vergogna. «Sai dove stiamo andando?» aggiunsi, guardandomi nervosamente intorno.

«So da dove sono venuto. Ti sto portando al mulino, ero lì fino a poco fa: pensavo che in molti l'avessero scelto come nascondiglio, ma mi sono sbagliato. Non ho avuto molta fortuna, fino ad ora, tu?»

«Nemmeno io. A quanto pare, il massimo che sappiamo fare è trovarci a vicenda.»

La conversazione piombò nel silenzio, interrotto solo dal suono dei nostri passi. Potevo però udire un debole scroscio d'acqua in lontananza: doveva trattarsi del fiume a cui, mentre raggiungevamo il mulino, stavamo andando inevitabilmente incontro.

Ad un tratto, sentii John schiarirsi la voce.

«Posso chiederti una cosa?» Non attese una mia conferma quando disse: «Beth ha paura del fuoco.»

E così chiede di lei, mi ritrovai a pensare per un attimo. Ma quell'affermazione mi aveva colpito molto più di quanto non volessi dare a vedere, e mi limitai a borbottare un .

«E tu sai il perché... vero?»

Mi irrigidii. Di colpo, il fatto di aver ritrovato John non mi diede più tanto sollievo: dove diavolo voleva andare a parare?

«Non sono affari tuoi» tagliai corto, sperando di finirla lì.

«Lo sai.»

Ponderai la situazione. Come faceva lui a saperlo? Forse Beth gliene aveva parlato, ma ne dubitavo fortemente, dato che considerava i suoi ricordi molto privati, specialmente i ricordi di quella faccenda. Non avevo idea di come potesse esserne venuto a conoscenza, ma ero pronta a scommettere che il suo comportamento da sfrontato tradisse una sottile curiosità.

«Cosa te lo fa credere?» chiesi, cauta.

«Oh, così. Vi comportate come se foste molto amiche, e ho fatto qualche ipotesi.»

Ecco dove voleva andare a parare... fare due più due non fu un problema e mi ritrovai a serrare i pugni, infastidita: ma per chi mi aveva preso?

«E, dato che lei non te ne ha voluto parlare, credevi di potermi scucire qualcosa? No John, ti sbagli di grosso, e ti consiglio di starne fuori. È una faccenda che ti non riguarda e di cui non ci piace parlare.»

Per un attimo tra noi tornò il silenzio, tant'è che pensai di aver avuto la meglio.

«Hai detto che non vi piace parlarne... Interessante sapere che non riguarda solo lei, ma tutte e due.»

Rimasi a bocca aperta. Non credevo che John fosse così interessato alla questione da cogliere anche i particolari più insignificanti di una frase che non consideravo un'arma a doppio taglio.

«Perché vuoi saperlo? Beth in passato ci ha sofferto molto e sono dell'idea che il passato debba restare passato.»

Il ragazzo parve riflettere molto prima di rispondere.

«Non fraintendere le mie intenzioni. Non voglio conoscere l'accaduto per poterlo usare contro di lei...» Sembrò sul punto di voler aggiungere qualcosa, ma poi sprofondò nel suo solito silenzio.

«E allora perché?»

«Non sono affari tuoi» replicò lui, ripagandomi con la stessa moneta che avevo usato io fino a poco prima.

Lo fulminai con lo sguardo, anche se non poteva vedermi.

«Non hai la benché minima idea di quanto potresti ferirla ricordandole cos'è successo... ti conviene tenere la bocca chiusa» borbottai, e John dovette percepire la mia arrendevolezza in quelle parole, perché si zittì, lasciando spazio ad un trepidante silenzio di attesa.

«Che resti fra noi...» precisai, con un sospiro di resa. «L'anno scorso c'è stato un incidente in cui entrambe ci siamo trovate coinvolte. Beth... ha perso una persona a cui teneva moltissimo. Da allora è diventata una persona diversa: quella che hai conosciuto non è che l'ombra della Beth di un tempo, che se n'è andata in quell'incendio.»

Sussurravo, anche se sapevo che solo John era in ascolto e decisi di non spingermi oltre, perché sentivo la voce mancarmi. Anche per me era stata una perdita devastante, soprattutto nelle circostanze in cui era avvenuta, ma per Beth il dolore era infinitamente più straziante, perché nel loro legame c'era sempre stata una marcia in più.

John non disse niente per un po'. Mi chiesi cosa gli stesse passando per il cervello, perché avesse voluto sapere quelle informazioni così private riguardanti Beth, ma lui interruppe sul principio le mie riflessioni.

«Il nome della persona che Beth ha perso, qual è?»

Perché cavolo voleva saperlo, un particolare così irrilevante che certo non gli avrebbe cambiato la vita? Sospirai. Per lo stesso motivo, allora non c'era neanche bisogno di tacerlo.

«Lucy» bisbigliai, e nessuno dei due disse più una parola.

Mentre il silenzio tornava ad aleggiare fra noi, il fragore dell'acqua del fiume che scorreva si faceva sempre più chiaro ed insistente e il ricordo di quel terribile incendio scemava pian piano, riportando la calma dentro di me, rimase un solo chiodo fisso a tormentarmi: perché John aveva voluto sapere questioni che riguardavano Beth?! Da quel che sapevo io, non aveva mai dimostrato un particolare interesse nei suoi confronti, anzi. Dovevo essere all'oscuro di qualche dettaglio ma, se così fosse stato, la mia amica mi avrebbe messo al corrente delle novità.

Forse.

A John non lo avrei mai chiesto, perché non avevo la confidenza necessaria e tanto avrebbe liquidato la faccenda con il solito "Non sono affari tuoi".

Così, ignorando la presenza del ragazzo vicino a me, rimasi sola con i miei pensieri a fare ipotesi e ragionamenti, mentre pregavo che la fine di quel tragitto immerso nel buio e nei dubbi fosse vicina.

 

La sagoma del mulino, pur immersa nel buio, era ben riconoscibile e ci apparve davanti dopo quella che mi parve un'eternità. Stagliata contro il cielo notturno e debolmente illuminata dalla luce della luna, aveva un'atmosfera quasi sinistra che mi fece rabbrividire. Alzai lo sguardo verso le enormi pale, immobili sopra di noi, che scricchiolavano di tanto in tanto, mosse dal fruscio del vento e, per un attimo, ebbi il timore che potessero non reggere e finire per crollarci addosso. Scuotendo la testa, ritornai alla realtà con la voce di John.

«Le senti?»

«Cosa dovrei sentire?» chiesi, guardandolo di sfuggita.

«Le voci... » bisbigliò, facendomi segno di fare silenzio.

Io obbedii, anche se piuttosto scettica. Pensavo si trattasse di uno scherzo, ma all'orecchio mi giunsero quasi subito dei rumori indistinti, che riconobbi proprio come voci: venivano da non molto lontano e parevano molto concitate.

«Chissà se sono dei nostri» mormorai, più a me stessa che a John, mentre facevo qualche passo avanti.

Ad un tratto una voce più chiara delle altre risuonò nel buio: era una richiesta d'aiuto!

John si mosse istintivamente verso la sponda del fiume, dove giurava d'aver sentito provenire la voce, che si ripeté un attimo dopo, permettendomi di riconoscerla.

«Ma questa è Angie!»

«AIUTO!» gridò di nuovo lei.

John ed io non perdemmo tempo: raggiungemmo la sponda correndo e, nonostante il buio, intravedemmo due figure in acqua, che si dibattevano nel tentativo di rimanere a galla. Trattenni il fiato, vedendo che si una delle due era proprio Angie, con accanto quello che aveva tutta l'aria di essere Night.

«Kia!» John mi riportò bruscamente alla realtà. «Dammi una mano!»

Ci avvicinammo il più possibile al greto del fiume, incuranti degli schizzi d'acqua gelida, e ci sporgemmo verso i ragazzi che, dopo un attimo, diedero segno di averci visto.

«Ce la fate a venire verso di noi?» urlò John, per sovrastare il fragore del fiume.

Nonostante le modeste dimensioni del fiume, la corrente si rivelò inaspettatamente forte, tant'è che, pur non credendo che Night e Angie avessero qualche problema con l'acqua, non riuscivano a spostarsi con le sole bracciate e venivano trascinati sempre più lontano.

«Fermo, John!» gli urlai, vedendo entrare nell'acqua fino alle caviglie. «Rischi di cadere anche tu. Serve qualcosa... un ramo, serve un ramo!» esclamai, con un'illuminazione.

Corsi via, non prima di essermi accordata con John: lui li avrebbe seguiti lungo la sponda, per non perderli di vista, mentre io sarei andata a cercare qualcosa a cui potessero aggrapparsi.

Con il cuore che mi martellava nel petto, raggiunsi correndo il mulino, guardandomi intorno alla disperata ricerca di qualcosa che avesse potuto fare al caso mio.

Quand'ero già sul punto di ammettere la sconfitta, lo vidi: proprio alla base della costruzione, poggiata contro il muro, c'era una fascina di legna; al buio, adagiata com'era contro la porta scura del mulino, lì per lì non l'avevo vista.

Mi avvicinai e, non senza difficoltà, sfilai un ramo dal fascio. Quindi, dopo averlo messo sottobraccio, tornai correndo verso il fiume, aguzzando la vista per cercare la sagoma di John che, nel frattempo, seguendo Angie e Night, si era allontanato di molto da dove ci eravamo lasciati.

«Eccomi!» esclamai, passandogli il ramo.

Lui capì al volo, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Afferrando saldamente una delle estremità, il ragazzo allungò l'altra una nel fiume, verso i due ragazzi, che vi si aggrapparono con tutte le loro forze.

«Tira!» mi gridò John e non me lo feci ripetere due volte.

Iniziammo ad indietreggiare, i muscoli tesi per lo sforzo e, quando sentii il legno scricchiolare pericolosamente, per un attimo temetti che si sarebbe spezzato, facendoli di nuovo precipitare in acqua. Ma, grazie al sostegno del ramo, Angie e Night erano riusciti a rimettersi in piedi ed erano ormai abbastanza vicini alla riva da poter essere considerati fuori pericolo.

Con un ultimo sforzo, entrambi uscirono dall'acqua, fradici ma sani e salvi.

«Oh, Kia!» urlò Angie, abbracciandomi.

Nonostante fosse gelata, non opposi alcuna resistenza, vedendo quant'era sconvolta. Dubitavo di aver mai visto la mia amica così spaventata.

«Ho avuto tanta paura» mi confidò, con le lacrime agli occhi.

«Night, tu come stai?» domandò John, poggiandogli una mano sulla spalla.

Mi voltai a mia volta verso il ragazzo, che appariva mogio e infreddolito.

«Insomma...» borbottò, facendo un sorriso amaro. «Ci avete trovato.»

«RAZZA DI IDIOTA!» urlò Angie rabbiosamente.

Fece per saltargli addosso, ma la trattenni.

«Lasciami Kia, lasciami! A cosa pensa lui? Al nascondino!»

Scossi la testa, facendo uno sforzo per non scoppiare a ridere.

«Direi che la vostra partita finisce qui» osservò John, grattandosi la testa.

«Ed è il caso che torniate al casale, se non volete beccarvi una polmonite» aggiunsi preoccupata, vedendo che entrambi battevano i denti dal freddo.

Tutti e due parvero della stessa idea.

«Avete idea di dove sia?» chiese Angie, guardandosi intorno.

«Vedo che hai una grande senso dell'orientamento, Gonnellina al Vento

«Sta' zitto, deficiente.»

«Credo di saperci arrivare, da qui» mormorò John. «Posso accompagnarvi per un tratto. Kia, tu che fai?»

Al solo pensiero di ritrovarmi di nuovo sola, persa in mezzo alla campagna, senza luce né campo, ebbi un brivido.

«Vi accompagno anche io» esclamai di slancio. «John ed io possiamo sempre dividerci dopo.»

****

Mentre Arianna avanzava tra le fila di alberi da frutto, le parve di essere tornata bambina.

Probabilmente il frutteto era l'unico posto di tutta la fattoria al quale fosse davvero affezionata. Era lì, infatti, che si rifugiava quando combinava qualche marachella e Frank le urlava contro e giurava di metterla in punizione: allora lei, con gli strilli dello zio che le rimbombavano nelle orecchie, correva attraverso i campi più veloce che poteva e si arrampicava sugli alberi, dove lui non poteva trovarla, perché non alzava mai lo sguardo da terra.

Era capace di rimanere tra i rami per ore intere, finché non le si chiudevano gli occhi dal sonno o lo stomaco non le brontolava per la fame. A quel punto, faceva merenda con ciò che l'albero su cui quella volta si era nascosta aveva da offrire. Giusto, quando ancora non controllava tutto ciò che mangiava.

«Sicura che qui non ci troveranno?» La voce di Lucas la riportò bruscamente alla realtà.

Arianna sbatté le palpebre un paio di volte. Era notte fonda, era il suo quindicesimo compleanno e stavano giocando a nascondino.

«Certo» gli assicurò lei. «E saremo anche i soli ad esserci nascosti qui, ci scommetto.»

Il frutteto era situato un po' fuori porta, lontano dal resto della fattoria e per di più seminascosto dal mulino, per cui, se uno non avesse saputo precisamente la sua ubicazione, difficilmente avrebbe potuto trovarlo, a notte fonda poi.

In pratica, abbiamo già vinto, pensò Arianna, rassegnandosi all'idea che avrebbero passato tutta la serata ad aspettare in cima ad un albero come delle scimmie.

Avanzarono ancora in silenzio, seguendo il filare, debolmente illuminato dalla luce della luna. Dopo aver percorso ancora pochi metri, Arianna si rese conto che, nonostante avessero proceduto ad un'andatura piuttosto tranquilla, aveva già il fiatone e la testa le pulsava. Si dovette appoggiare al tronco di un albero per riprendere fiato e, in cuor suo, sperò che Lucas non se ne fosse accorto.

«Ci fermiamo qui?» domandò invece lui, vedendola immobile.

«Sì, saliamo pure qui» mormorò lei come se nulla fosse, gettando uno sguardo all'albero cui si era adagiata.

Notò che era piuttosto spazioso e, scuotendo leggermente i rami, che si rivelarono ben più resistenti di quel che sembravano, calcolò che li avrebbe retti entrambi senza alcun problema.

Lucas si avvicinò ed Arianna, dandosi la spinta, fece per issarsi sull'albero. Ma non aveva alcuna forza nelle braccia e, dopo aver provato più e più volte, mentre il ragazzo assisteva senza fiatare ai suoi patetici tentativi, si dovette arrendere all'evidenza.

Rossa in volto, evitò lo sguardo di Lucas quando alla fine lui chiese: «Serve una mano?»

Mormorò un  tra i denti e, senza guardarlo in faccia, salì sulle mani che Lucas aveva incrociato e messo all'altezza dei suoi piedi e si arrampicò sull'albero, non senza difficoltà.

Si mise a sedere, ansimante e, quando vide Lucas salire con un agile balzo dopo di lei, si sentì ancor più stupida e patetica.

Il biondo si sedette davanti a lei, a gambe incrociate, e per un po' nessuno dei due proferì parola. Nell'aria si udiva solo l'ansimare di Arianna che, nonostante i suoi sforzi di nasconderlo, era chiarissimo ad entrambi.

«Arianna...» Lucas ruppe il silenzio, esitante. «Va tutto bene?»

Lei si maledì fra sé e sé. Persino Lucas, che viveva in un mondo tutto suo, si era accorto che c'era qualcosa che non andava in lei. E dire che, prima dell'arrivo dei ragazzi, si era ripromessa di sforzarsi di comportarsi normalmente, di mettersi gli abiti più larghi che aveva. Inutile, non era servito a nulla. Come al solito, si era dimostrata un'incapace.

Le salirono le lacrime agli occhi e ringraziò il buio perché le celassero allo sguardo di Lucas.

«Certo» farfugliò, tentando di non far trapelare nulla dal suo tono di voce.

Lucas le poggiò una mano sulla gamba, o meglio, quel che era rimasto della sua gamba. Sentì che, nel percepire di colpo la sua magrezza, aveva trasalito.

«Lucas...» mormorò, ma lui la interruppe.

«Mi stai mentendo.» Il suo tono era dolce, ma fermo. «Tu pensi che io non me ne sia accorto, vero? Ma io ti ho vista arrancare fin qui, ti ho vista non riuscire a salire sull'albero perché le braccia non ti reggevano. Non hai toccato cibo a cena, Arianna.»

Alle parole di Lucas, lo stomaco di Arianna si chiuse in una morsa. Era così evidente persino ai suoi occhi? No, sarebbe riuscita a convincerlo. Costi quel che costi.

«Non mi sento molto bene» spiegò, sfuggendo al suo contatto. «Per questo non avevo fame.»

Lucas non replicò. Lei lo vide allungarsi fino ai rami più alti, in una pioggia di foglie, e tornare di fronte a lei. In mano aveva una mela.

«Be', abbiamo camminato tanto per venire qui, quindi dobbiamo recuperare le energie» mormorò serafico.

Arianna si impose di mantenere la calma. Era una mela, soltanto una stupidissima mela. 

Solo quaranta calorie, su per giù.

Con un gesto secco, Lucas divise il frutto in due metà quasi perfette e porse ad Arianna la sua, che la prese tra le mani, titubante.

«Allora?» fece lui.

«La mangio, la mangio» rispose lei, seccata. «Ma solo per farti un piacere perché, come ho detto, non mi sento molto bene.»

Ne avrebbe dato un piccolo morso e poi l'avrebbe buttata giù, si disse, e le parve un'ottima idea, se solo fosse riuscita a far sì che Lucas non udisse il rumore della mela che toccava terra.

«Bene» disse Lucas.

La ragazza udì il rumore di qualcosa che si spezzava e vide il ragazzo farsi vicinissimo a lei, che lì per lì non capì il perché dei suoi movimenti. Poi vide che il biondo aveva fra le dita una parte della propria metà di mela, nient'altro che un pezzettino ma, quando comprese ciò che lui aveva in mente, Arianna si sentì comunque inorridire.

Il ragazzo si appoggiò con un braccio ad un ramo sopra di lei e con l'altro gli avvicinò la mela alle bocca.

Arianna era sul punto di spingerlo via ma, nell'incontrare i suoi occhi e nel vedere quanta determinazione si celava in quello sguardo, sentì gli occhi inumidirsi e non poté far altro che schiudere le labbra.

«Bravissima» sussurrò lui e Arianna sentì che il cuore le si impennava nel petto.

Catturata dagli occhi verdi di lui, non si accorse neanche di stare masticando e, l'attimo dopo, di aver mandato giù il boccone.

Tra i due cadde un lungo silenzio. Arianna percepì distrattamente il cuore che le pompava nel petto, lo stomaco che, lungi dall'essersi saziato con quel pezzetto di mela, iniziava a brontolare, ma tutto il suo essere era proteso verso Lucas. Ricambiando il suo sguardo, capì che per lui era esattamente lo stesso.

Il ragazzo lasciò cadere la mela, mentre si chinava su di lei, che accolse famelicamente il suo bacio, con un'intensità che sul momento parve stupire entrambi. Ma lo stupore di Lucas durò solo pochi attimi: la sua bocca e le sue mani presero a vagare su di lei, accarezzando con delicatezza il suo corpo martoriato come se volessero sanare ogni sua ferita.

E Arianna aveva bisogno di quel tocco, di quella bocca, i cui baci erano per lei insaziabili, come se avesse digiunato tutta la sera solo per lui, che la stava lasciando senza fiato. Dalle labbra le sfuggì un gemito. Lei, che desiderava apparire sempre fredda ed impassibile.

«Lucas...» sussurrò ansimando, del tutto persa tra le sue braccia.

«Sono qui» bisbigliò lui, stringendola ancora di più a sé.

Arianna capì cosa intendeva dire: era lì in quel momento, a coprirla di baci, ma sarebbe stato al suo fianco anche quando lei avesse deciso finalmente di aprirsi e di condividere con lui i suoi tormenti, lo sapeva. Al pensiero di quanto Lucas tenesse a lei, che lo trattava spesso con sufficienza, di colpo le venne da piangere.

«Ti amo» disse in un soffio, e percepì il corpo di Lucas irrigidirsi.

Si staccò da lei quanto bastava per fissarla negli occhi, come per capacitarsi che la frase che aveva appena pronunciato fosse vera. Nel suo sguardo, che non poteva essere più intensamente serio, Lucas parve trovare conferma. L'attimo dopo la stava baciando di nuovo.

Arianna si abbandonò a sensazioni che credeva di non avere più diritto di provare. Sotto i vestiti, il suo corpo ardeva e, dopo tanto di quel tempo, si sentiva in pace. Si sentiva amata, capita, vista. Da quando aveva fatto ritorno da scuola, nessuno si era mai davvero preoccupato per lei.

Lucas era ovunque su di lei e Arianna intrecciò le gambe alla sua schiena per accorciare ancora di più la loro distanza. Lo strinse forte a sé, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo, dove lasciò una scia di baci. Sentì Lucas fremere sotto di lei e si beò del potere che si rese improvvisamente conto di avere su di lui.

Era talmente annegata nelle sue emozioni che, quando alzò gli occhi dalla spalla di Lucas e lo vide, lì per lì il suo cervello non registrò l'informazione. Dovette alzare lo sguardo ancora un paio di volte per incrociare quello dell'intruso e realizzare che Luke era seduto da chissà quanto sull'albero di fronte al loro e li fissava sgranocchiando una mela, come se si stesse godendo lo spettacolo.

«AHHHHHHHHHHHHHH!» gridò, ritraendosi istintivamente. Nel farlo, però, non si rese conto di aver dato una spinta a Lucas, ancora sopra di lei.

Arianna lo vide guardarla confuso, sia da quell'urlo agghiacciante che dalla spinta che gli aveva appena dato, e mulinare le braccia nel tentativo di riacquistare l'equilibrio.

Dopo l'iniziale stordimento, Ariana si era subito protesa in avanti per aiutarlo, ma non aveva certo la forza necessaria per sostenere il robusto ragazzo e lo osservò impotente cadere a terra con un tonfo.

«Lucas!» gridò, sporgendosi dall'albero. «Stai bene?!»

Per tutta risposta, il ragazzo emise un mugolio.

Arianna alzò il capo e fissò furente Luke, che non si era ancora mosso e continuava a mangiare la sua mela come se nulla fosse. Per un attimo fu tentata di staccare un paio di mele dal ramo sopra di lei e scagliargliele contro, prima di rendersi conto che forse la lapidazione non era l'idea migliore che potesse venirle in mente. Dopo aver fatto un respiro profondo, tornò ad essere l'Arianna di sempre.

«Mi spieghi che diamine ci fai qui?» sibilò glaciale.

«Arianna, ma con chi stai parl...»

La voce confusa di Lucas fu interrotta da quella di Luke.

«Mi sto nascondendo, mi pare ovvio» mormorò lui, gettando con noncuranza il torsolo dall'albero.

«AHIA!»

A quanto pareva, aveva preso Lucas in pieno.

«Ma con tutti i posti che ci sono, proprio qui?» insistette Arianna. «Con noi

Luke si limitò ad annuire. «Vi ho seguito di proposito, perché immaginavo che tu conoscessi i posti migliori dove nasconderti. Certo, dovevo anche immaginare che avreste approfittato della situazione per...» Si bloccò e ridacchiò sommessamente. «Mi dispiace avervi disturbato.»

Arianna scosse la testa, non sapendo neanche cosa replicare. Lucas e le sue condizioni erano la sua priorità.

Distolse lo sguardo dal ragazzo di Kia, perché scendere avrebbe richiesto tutta la sua concentrazione. Allungò le gambe verso terra e, facendosi forza sui gomiti, cominciò a lasciarsi scivolare verso il basso. Quel poco che le era rimasto dei muscoli le dolevano da impazzire.

«Ehi uccellino, attento a non romperti un'ala.»

Arianna era troppo impegnata a non spezzarsi l'osso del collo, per l'appunto, per replicare a dovere, ma per sua fortuna ci pensò Lucas.

«Falla finita, d'accordo? Se non vuoi che ti rompa qualcosa io.»

Arianna sorrise nel buio. Non poteva vedere quanto distava dal terreno, ma le parve di essere scivolata abbastanza e, dopo aver trattenuto il fiato, si lasciò cadere giù.

I suoi piedi toccarono terra in un batter d'occhio e tirò un sospiro di sollievo.

«Lucas, stai bene?» ripeté quindi, avvicinandosi.

Il ragazzo annuì. Si era alzato da terra e pareva illeso. La strinse delicatamente a sé in un modo che fece capire ad Arianna che non sembrava avercela con lei per averlo praticamente spinto giù dall'albero.

Luke scese dall'albero a sua volta, con un balzo atletico che sembrava essere stato compiuto unicamente per umiliare Arianna.

La ragazza non tollerava più la sua presenza lì con loro e di colpo le venne un'idea per liberarsene. Si rese conto, infatti, che lei aveva visto Lucas annuire alla sua domanda solo perché gli si era fatta vicino. Luke no.

«Lucas non sta bene» mormorò quindi, allungandogli una gomitata nello stomaco per farlo stare al gioco.

Il ragazzo mugolò di dolore e Arianna non seppe dire se avesse capito o meno. Se non altro, aveva reso la sua balla più credibile.

«Lo riporto alla fattoria.»

Come Arianna aveva immaginato, Luke assunse un'espressione delusa.

«Sul serio?»

«Se vuoi posso dirti un posto dove nasconderti per conto tuo, però.»

L'espressione sul volto di Luke cambiò.

«Spara.»

****

Non mi sentivo tanto tranquilla all'idea di lasciare Night e Angie in compagnia dello zio Frank che, non appena li aveva visti fradici come pulcini, aveva esclamato "Proprio come nel Rocky Horror Picture Show!" e aveva cercato di denudarli, ma John mi aveva convinta.

Il ragazzo mi aveva giustamente fatto notare che tutti gli altri stavano ancora aspettando che noi li trovassimo, oltre al fatto che sia Night che Angie erano perfettamente in grado di badare a loro stessi. Sentirli minacciare Frank di morte, se solo avesse provato a sfiorarli con un dito, mi rincuorò un po'.

Sulla soglia della fattoria, così, John ed io ci dividemmo di nuovo, non prima di esserci scambiati il numero di cellulare.

Mentre procedevo lungo il vialetto, mi imbattei in due figure che venivano nella mia direzione e mi bloccai di colpo.

Non poteva certo trattarsi di John, visto che ci eravamo separati appena cinque minuti prima e che lui aveva preso la direzione opposta.

«Ragazzi!» esclamai dopo un momento, riconoscendo Arianna e Lucas mano nella mano. «Ma che ci fate qui?»

Li osservai, vedendo che erano entrambi coperti di foglie e rametti e che avevano l'aria alquanto... seccata.

«Ci arrendiamo» tagliò corto Arianna.

Di fronte al mio sguardo interrogativo, si affrettò a spiegare: «Il tuo ragazzo ci ha spaventato e ha fatto cadere Lucas giù da un albero.»

Li fissai a bocca aperta. «Luke?! Non riesco a crederci!» Mi voltai verso Lucas, preoccupata. «Ti sei fatto molto male?»

«Nono, io sto bene» si affrettò a dire lui. Grattandosi la testa, aggiunse: «In realtà non ho capito perché ci stiamo arrendendo...»

Arianna sbuffò, levando gli occhi al cielo. «Tornare alla fattoria era l'unico modo per liberarci di quel maniaco del tuo fidanzato.»

Mi indicò con un'occhiata la casupola vicino alla fattoria, quella, realizzai con orrore, da cui ero scappata a gambe levate appena qualche ora prima, e mi fece un sorriso d'intesa.

«Gli ho detto di nascondersi lì.»

Deglutii a vuoto. «Io là dentro non ci torno» pigolai.

Lo sguardo di Arianna si fece di colpo comprensivo, mentre Lucas parve ancora più confuso del solito.

«H-ho visto un animale...» balbettai, e rividi in un lampo la testa di quell'orribile cinghiale.

«Già. Oltre ai travestiti, mio zio Frank ha anche l'hobby della tassidermia» spiegò Arianna, sospirando. «È pieno di animali impagliati, là dentro. In realtà ci ho mandato Luke apposta, sperando di spaventarlo un po' ma, ripensandoci, è più probabile che apprezzi quella roba.»

Non replicai e rimasi a fissare il capanno di Frank, come in trance.

«Non sei obbligata ad andare, se ti sei spaventata» aggiunse Arianna, poggiandomi una mano sulla spalla. «Se nessuno va a cercarlo, prima o poi si stuferà. Noi intanto andiamo.»

Li salutai debolmente e rimasi immobile, in mezzo al vialetto, con le gambe molli, lo sguardo fisso sulla casupola. Una parte di me desiderava ardentemente stanare Luke per pura soddisfazione personale, ma al pensiero di tornare in quel posto orribile mi si accapponava la pelle. Oltretutto, se mi fossi mostrata impaurita, Luke se ne sarebbe approfittato e mi avrebbe spaventata di certo. Serrai i pugni. No, non gli avrei dato quella perversa soddisfazione.

Feci un respiro profondo e mi incamminai a grandi passi verso il capanno, i muscoli tesi e gli occhi fissi sulla porta. Stavolta la aprii di scatto, come se mi aspettassi di trovarvi dietro Luke, con tanta violenza che per un attimo temetti di averla scardinata.

Ancora una volta la luce della luna si intrufolò all'interno dello stanzone, illuminando file e file di sagome scure.

Entrai con un certo timore ma, man mano che proseguivo, mi resi conto con stupore misto a sollievo che, sapendo di cosa si trattavano – nient'altro che involucri riempiti di segatura, in fin dei conti – non ero più così spaventata da quelle figure.

«Luke?» esclamai a gran voce, avanzando tra i tavoli. «Luke, so che sei qui.»

Un cigolio sinistro in risposta.

«Luke, andiamo...» borbottai, con meno convinzione.

Mi infilai la mano in tasca alla ricerca del cellulare, quando la porta si richiuse di scatto, gettando la casupola nel buio più completo.

Il cuore mi balzò in gola, ma feci del mio meglio per mantenere la calma. Come avevo immaginato, Luke cercava di spaventarmi.

«Guarda che non mi fai paura» mormorai, incrociando le braccia al petto e rimanendo immobile. 

Non era affatto così, ma avevo fatto appello ad ogni fibra del mio essere per far sì che la mia voce suonasse tranquilla. Non gli avrei mai, mai dato quella soddisfazione!

A rispondermi, di nuovo, solo un cigolio in lontananza. Sobbalzai. Per un attimo pensai che Arianna mi avesse imbrogliata e che non ci fosse nessuno lì con me, se non il fantasma di qualche animale a cui non era andata giù l'idea di essere impagliato, ma poi la razionalità prevalse. Arianna era la persona più leale che conoscessi e non aveva alcun motivo di mentirmi. I tempi in cui eravamo acerrime nemiche erano finiti da un pezzo. Oltretutto, con tutto quel che Luke aveva combinato quella sera, era molto più probabile che Arianna volesse farla pagare a lui che non a me.

Resistetti alla tentazione di attivare la torcia sul telefono, perché avrei dato l'impressione di avere timore. Anzi, quando udii di nuovo quel cigolio, scattai in quella direzione e dovetti mordermi la lingua per non urlare quando lo spigolo di uno dei tavoli mi si conficcò nell'inguine. 

Imprecai sottovoce, rimpiangendo amaramente di non avere acceso la torcia.

«Chi pensi di spaventare?» mormorai, inghiottendo le lacrime e proseguendo nella stessa direzione.

Stavolta non udii più un cigolio, ma un chiaro rumore di passi. Sorrisi tra me e me e, aguzzando l'udito, seguii il rumore attraverso i tavoli, sempre con più sicurezza, i nostri ruoli che si ribaltavano minuto dopo minuto.

L'inseguimento durò poco. Luke aveva le mie stesse difficoltà senza luce e dopo poco udii, vicinissimo, un tonfo e un frastuono assordante. Il ragazzo doveva essere inciampato e aver fatto cadere uno dei tavoli.

Mi avvicinai senza troppa difficoltà in quella direzione e i miei occhi, che si stavano pian piano abituando al buio, riconobbero una figura stesa a terra, che si stava scuotendo di dosso le bestie che gli erano finite addosso.

«Sappi che sei davvero pessimo» lo presi in giro, inginocchiandomi vicino a lui.

«Aiutami a togliermi questi affari di dosso» sibilò lui per tutta risposta, il suo orgoglio chiaramente scalfito.

Obbedii, non riuscendo a trattenermi dal ridacchiare. Il riso mi morì in gola quando, nel liberarlo da quello che doveva essere un pennuto – che aveva disseminato piume dappertutto – gli sfiorai inavvertitamente la coscia.

Il suo corpo fremette sotto il mio tocco ed entrambi trattenemmo il fiato per un lungo attimo. L'attimo dopo, senza sapere quello che stavo facendo né perché, le mie dita risalirono delicatamente la gamba, fermandosi sulla patta dei pantaloni di Luke.

Lui, che non sembrava avere nulla in contrario, si sporse verso di me, cercando il mio volto con le sue mani, inspirandomi a pieni polmoni.

«Oggi non puzzo di fieno, polvere o sterco di cavallo?» domandai a fior di labbra, stupendomi che non me l'avesse già rinfacciato.

«Oh, sì. Terribilmente» bisbigliò lui mordendomi il labbro, le sue mani che scendevano giù, cercando il mio corpo a tentoni nel buio.

In quel momento poco m'importava che fossimo nel bel mezzo di una partita di nascondino, in un capanno senza luce, con gli occhietti di vetro di quelle bestie impagliate a fissarci.

Volevo solo Luke e, a giudicare dalla foga con cui si avventò su di me, la cosa doveva essere reciproca. Mi augurai per un momento che John se la stesse cavando meglio di me, prima di spegnere il cervello e abbandonarmi completamente al tocco del ragazzo.

****

Dopo un attimo di indecisione, Beth si infilò nel campo più vicino, rischiando di slogarsi una caviglia in quella curva avventata. Nelle orecchie, il suo cuore e lo scalpiccio dei piedi del suo inseguitore tamburellavano all'unisono.

"Corri come se avessi dietro uno stupratore" le avrebbe detto sua madre, e lei non se lo fece ripetere due volte. Il cuore le scoppiava nel petto e guardava fisso avanti, incurante delle pozze d'acqua, lo sterco di mucca e chissà cos'altro nascosto dall'erba e dal buio. Chissà in che stato dovevano essere le sue meravigliose scarpe bianche, comprate tre anni prima in un negozio vintage di Londra, pensò in un soffio. Ma ormai era troppo tardi per preoccuparsene, tanto valeva andare fino in fondo.

Il suo inseguitore però aveva rimontato, approfittando del suo tentennamento. Oltretutto Beth sapeva di essere davvero un'avversaria scarsa, dato che era negata in qualsiasi tipo di sport, corsa compresa.

La ragazza aveva ormai il fiatone e i polmoni le bruciavano da impazzire. Sentiva i passi ed il respiro corto di lui sempre più vicino, sempre più vicino... finché non si sentì afferrare per il cappuccio della felpa.

«Lasciami, John!» gridò lei, scuotendosi nel tentativo di fargli mollare la presa e continuando testardamente a correre.

«HO DETTO LASCIAM...»

Ma non riuscì a concludere la frase.

Di colpo il terreno le mancò sotto i piedi.

Fu un volo breve. Sospesa nell'aria, non fece neanche in tempo a formulare un pensiero di senso compiuto che il terreno duro e umido le mozzò il fiato. L'attimo dopo John le rovinò addosso, strappandole un urlo di dolore.

«Ma che diavolo...» fece John.

Beth intuì confusamente che il ragazzo si era rimesso in piedi e si era accovacciato vicino a lei, forse per aiutarla ad alzarsi. Ma Beth rimase immobile, a faccia in giù nell'erba, il dolore che dalla testa le si propagava in ogni fibra del corpo, troppo spaventata per muovere un muscolo. E se poi avesse scoperto di non essere più in grado di farlo? Forse la caduta le aveva leso la spina dorsale.

«Beth» udì John mormorare. «Come va?»

«Ahia...» mugolò lei per tutta risposta.

Dopo un po' la terra smise di girarle intorno e, contrariamente ai suoi pensieri tragici, Beth scoprì di riuscire a muovere braccia e gambe. Con un grosso sforzo, la ragazza trovò la forza di mettersi a sedere, le gambe che giacevano doloranti sotto di lei. Voltò poi il capo all'indietro, per capire come avevano fatto a cadere in quel modo, e si maledì fra sé e sé quando avvertì una fitta di dolore alla testa.

La spiegazione di quella rovinosa caduta si stagliava prepotentemente di fronte a loro: il terreno su cui fino all'attimo prima i due stavano correndo a rotta di collo si interrompeva bruscamente in una scarpata erbosa. Il prato su cui i due erano caduti si trovava almeno un metro più in basso. Un terrazzamento.

«Non posso credere di non averlo visto» mormorò Beth con voce flebile.

Fortunatamente l'erba aveva attutito la caduta, altrimenti chissà come sarebbe potuta andare a finire.

John scrollò le spalle. «È buio.» Dopo un momento di silenzio, aggiunse: «E poi eri troppo impegnata a correre come una matta.»

"Corri come se avessi dietro uno stupratore."

«Come darti torto...» ammise lei, scoppiando a ridere.

Contro ogni previsione, John ridacchiò a sua volta, ma uno scoppio improvviso li fece sobbalzare. Un boato in lontananza, come lo sparo di un fucile, che si ripeté più e più volte.

Beth trasalì, ritraendosi all'indietro, ma la spiegazione le si palesò davanti l'attimo dopo.

Il cielo nero si illuminò di colpo a giorno e dal nulla fiorirono spirali di luce rosa, azzurra e verde, come se un bambino avesse spruzzato per errore un intero tubetto di colore su una tela.

«Ma come, è già mezzanotte?» proruppe John, apparentemente non troppo colpito da quello spettacolo.

Beth lo osservò con la coda dell'occhio dare una rapida occhiata al cellulare e poi tornare a fissare i fuochi d'artificio.

Dal canto suo, Beth non riusciva a smettere di fissarli. I fuochi morivano e rinascevano uno dopo l'altro, in uno spettacolo meraviglioso e orribile al tempo stesso. Beth ne era al contempo spaventata e affascinata: avrebbe voluto distogliere lo sguardo, raggomitolare il volto tra le ginocchia e tapparsi le orecchie con le dita per coprire quel frastuono assordante. Per qualche strano motivo, però, la attraevano in modo irresistibile e Beth non poté fare altro che rimanere a fissarli ad occhi spalancati.

«Hai paura?» domandò John ad un tratto.

Un meraviglioso fuoco d'artificio dorato colorò il cielo a giorno per poi collassare su se stesso, mentre Beth pensava ad una risposta da dargli. Non si aspettava quella premura da parte sua.

«Un po'» disse alla fine, senza guardarlo.

Giaceva ancora scomposta nella posizione in cui era caduta, con le gambe piegate sotto di lei e braccia abbandonate lungo i fianchi.

John sedeva vicino a lei, la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a sé.

Beth si voltò solo un momento verso di lui, appena in tempo per vedere il suo volto – bellissimo, pensò in un soffio, pentendosene all'istante – illuminato dalle luci dei fuochi. L'attimo dopo la ragazza era già tornata a fissare quei giochi di luce e colore e ci mise un po' per realizzare che John aveva poggiato la propria mano sopra la sua.

Beth deglutì, la gola improvvisamente secca. Di colpo le parve che i fuochi d'artificio si fossero trasferiti nel suo stomaco.

Nessuno dei due disse una parola, mentre continuavano ad osservare lo spettacolo mozzafiato di fronte a loro. Tutt'intorno, il campo erboso si illuminava e si spegneva al ritmo dei fuochi.

Beth si rese conto di quanto fosse magica quell'atmosfera. Le sembrava che ci fossero solo lei e John nell'universo. Il nascondino, i suoi amici, la cena di quella sera, l'ultimo dell'anno, tutto ad un tratto le parvero solo ricordi lontanissimi.

Sentì risuonare nel suo cuore gli accordi di Across the Universe, mentre John stringeva la presa sulla sua mano. Beth si voltò lentamente a fissarlo ed incontrò il suo sguardo. I fuochi d'artificio disegnavano giochi di luce sul suo volto e illuminavano i suoi occhi color antracite, in cui Beth vide se stessa. Si rese conto che non c'era altro posto in cui avrebbe desiderato essere.

Nessuno di loro disse una parola quando i loro volti si avvicinarono come pianeti in collisione.

Beth stavolta non fece caso se il suo cuore le scalpitasse nel petto, se il suo corpo fosse sicuro di quel che stava facendo o meno. Era attratta da John come se fosse stata spinta dalla gravità, allo stesso modo in cui, fino a qualche attimo prima, lo era stata dai fuochi d'artificio. Non esisteva nient'altro.

Di colpo erano fronte contro fronte. Com'era successo? Non le importava.

Beth socchiuse gli occhi e, quando le loro labbra si incontrarono a metà strada, percepì una fiamma rimasta sopita dentro di lei per tanto tempo risvegliarsi di colpo. E poi esplodere come un fuoco d'artificio. 

 

*La canzone non mi appartiene. È "Sweet Transvestite", interpretata da Tim Curry, dal musical The Rocky Horror Picture Show. Si è capito che lo adoro?

Non siate intimoriti dal mio aspetto 
Non giudicare un libro dalla sua copertina 
Non sono un uomo da molto alla luce del giorno 
Ma di notte sono un diavolo d'amante

Sono solo un dolce travestito

Da Transexual, Transilvania (ndr: è una galassia!), ha ha

 

Ehilà!

Fa un certo effetto ripubblicare questo capitolo, pensando che la prima volta su EFP lo pubblicai dopo SETTE anni dall'ultimo aggiornamento. Sette. No, non sto scherzando. Scriverlo è stato un'epopea, ma anche uno spasso. Il compleanno di Arianna e un'apparentemente innocua partita di nascondino diventano, per i nostri protagonisti, l'occasione per esplorare loro stessi e i loro sentimenti, per prendere importanti decisioni, riflettere e anche per scambiarsi i loro primi baci (ciao Beth!). Spero che vi piaccia.

Un bacio anche da parte mia!

  
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