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Autore: Aliceclipse    29/03/2014    1 recensioni
Avevano tutta la vita per fare incubi.
Uno, per Blaine, si era già fatto sentire.
Ed era uno degli incubi peggiori, perché doveva viverlo ogni giorno, ad occhi aperti. Scendere le scale e avere paura, una paura folle, ogni secondo di più, ad ogni gradino di più.
Quello era l’incubo.
Quello vero.
E quando l’incubo è dovuto a un trauma, si trasforma in paura. Pura e semplice Paura. Profonda.
L’inizio della Fobia.

Raccolta di OS collegate da un unico filo conduttore: le fobie.
Capitolo 1, Blaine and Cooper.
Capitolo 2, Brittany.
Capitolo 3, Sebastian e Thad.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Kurt Hummel, Santana Lopez | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Puck/Rachel, Quinn/Rachel, Sebastian/Thad
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Due
Rumore.

La Fonofobia è la a paura dei rumori.
Coloro che presentano  questo disordine, hanno timore di parlare ad alta voce, e i rumori forti creano situazioni di disagio.
Di solito si manifesta nell'infanzia, e può essere corretta.
Persone che sono solite presentare fonofobia a volte soffrono di balbuzie e temono, per tanto, di parlare in pubblico.
Coloro che patiscono di  paura dei suoni sono soliti avvertire timore per certi rumori che loro associano a ricordi poco piacevoli,  e quindi di solito presentano un'ipersensibilità agli stessi e li sentono più alti di quanto lo siano per davvero.
La paura dei rumori forti si chiama Liguirofobia, ed è  una forma molto comune di irritazione.
Vi sono  persone che temono un suono specifico, come per esempio che esploda un palloncino: suoni simili sembrano molto molesti specialmente perchè non possono essere previsti.
Per esempio, se si ascolta la musica a volume troppo alto dopo un periodo di assoluto silenzio, lo stato d'animo può variare e sfociare nella rabbia o nell'irritazione.
 Chi soffre di Liguirofobia  sviluppa un vero e proprio terrore nei confronti di questo tipo di situazioni.
E' un fenomeno abbastanza comune, che però in casi gravi peggiora la qualità della sua vita, portando ad attacchi di panico o altri inconvenienti.

Brittany odiava le domeniche pomeriggio nei giorni di pioggia, da bambina. Le odiava perché, ogni volta che chiedeva il permesso di uscire a giocare in giardino, i suoi le dicevano che doveva rimanere in casa, che si sarebbe sporcata, che erano dispiaciuti, ma non volevano che si rovinasse i vestiti.
Allora Brittany tornava indietro, trascinandosi lungo il corridoio che portava alla sua stanza, e, una volta giunta alla meta, si chiudeva la porta alle spalle e si guardava intorno, il rumore della pioggia  battente che le perforava i timpani. Tic. Tic. Tic.
Con quel rumore sempre lì, così vicino e fastidioso, lei cercava qualcosa da fare per ingannare il tempo. Giocava con le sue Barbie, o parlava con il suo amico immaginario, l'unicorno Sir Bolla di Sapone, ma lo faceva sempre a bassa voce, perché, a volte, anche se non lo aveva mai detto a nessuno, Si sentiva come se qualcuno la stesse guardando. E quel rumore, quel ticchettio fastidioso non faceva altro che riportarglielo alla mente. Come una sveglia che lampeggiava. "Non sei sola", sembrava voler dire.
Così, Brittany aveva cominciato a fare giochi rumorosi, nella speranza di mandare via quella sensazione. Aveva chiesto alla sua mamma di regalarle uno stereo, e, ogni volta che la bambina si accorgeva di qualche rumore continuo e fastidioso, lo accendeva, e si concentrava sulla melodia delle canzoni. Non alzava mai troppo il volume, perché capitava, a volte, che le facessero male le orecchie quando esagerava.
A volte, per scacciare via tutti quei rumori fastidiosi, la bambina chiudeva gli occhi e iniziava a ballare. E ballava, ballava, sperando davvero che la concentrazione avrebbe spazzato via quei brutti pensieri.
Successe una notte, durante un temporale.
Brittany aveva nove, forse dieci anni.
La sua stanza era terribilmente buia, perché i suoi si erano rifiutati di lasciare che continuasse a tenere le luci accese di notte. Non che il buio la spaventasse, anzi. Però nel buio i rumori sembravano più forti, e a lei dava terribilmente fastidio.
Fuori dalla finestra, i cui battenti erano stati chiusi poche ore prima, sembrava quasi che il mondo stesse per finire.
I tuoni sembravano particolarmente forti, la facevano sobbalzare ogni pochi minuti. E l'attesa tra un tuono e l'altro sembrava non finire mai, carica di tensione. Dalle sottili imposte della finestra, a pochi secondi da ogni tuono, ogni cosa s'illuminava a giorno.
Brittany era terrorizzata.
Ma non aveva nessuno a cui poterlo dire, ovviamente.
I suoi genitori l'amavano, e lei lo sapeva, ma non sopportavano la sua paura dei rumori forti. Non la consideravano nemmeno una paura di cui tener conto, in realtà.
"Passerà", le avevano detto, l'unica volta in cui lei si era alzata dal letto per chiedere aiuto, perché i tuoni la spaventavano, perché la testa sembrava stare per scoppiarle, perché non sapeva come fare.
"Passerà", dicevano i grandi, "ora torna a dormire". Poi si giravano dall'altra parte, e lei rimaneva lì, sola, più spaventata di prima, sentendosi una stupida.
Brittany non aveva nemmeno amici con cui parlarne, a dirla tutta.
Chi mai si avvicinerebbe ad una bambina che, a dieci anni, crede ancora a Babbo Natale?  Chi mai si avvicinerebbe a una bambina che, a dieci anni, ancora ha paura dei temporali? Chi mai si avvicinerebbe ad una bambina che, a dieci anni, sobbalza ogni volta che qualcuno fa cadere una penna?
Insomma, nessuno a scuola voleva essere amico di Brittany. E Brittany, dal canto suo, per quanto ne soffrisse, ne era in parte anche sollevata.
Le persone a volte sono terribilmente rumorose, pensava. E se ne convinceva un po' di più ad ogni ricreazione, quando lei si sedeva in disparte, le mani sulle orecchie, nel tentativo di ignorare gli altri pazzi ed urlanti bambini.
Ma durante quel temporale, sì, avrebbe desiderato avere qualcuno che non la considerasse strana, avrebbe desiderato qualcuno pronto ad abbracciarla e dirle che tutto sarebbe andato bene.
Peccato che quel qualcuno non esistesse.
Brittany era sola, molto sola.
E la tempesta, fuori, infuriava.
E, nel caos del vento e della tempesta, ben presto anche altri rumori forti si unirono.
Rumori che non si sarebbe aspettata, nel buio della notte.
Rumori che nessuno si aspetterebbe di sentire in casa propria.
Grida. Grida soffocate.
Brittany sobbalzò, mentre la porta della camera adiacente, quella dei suoi genitori, veniva sbattuta.
Sua madre piangeva. Suo padre non c'era, aveva il turno di notte quella sera.
Uomini che parlavano in modo affannato. Che facevano domande. Che dicevano cose che Brittany non capiva. Eppure sapeva, in qualche modo, che era meglio così, era meglio non capire.
E poi sua madre che piangeva, ancora. Che pregava.
Rumore di mobili che si spostavano, di schiaffi.
Troppi rumori, per Brittany. Immobile nel letto, paralizzata.
E mentre ascoltava, pregava anche lei, anche se non sapeva bene come fare. E serrava gli occhi, sperando che non si trattasse che di un brutto, bruttissimo sogno. E più ascoltava, più i rumori le sembravano forti.
E più i rumori le sembravano forti, più le veniva da piangere. E più le veniva da piangere, più le lacrime lottavano per uscire.
Ed alla fine uscirono. Uscirono, insieme ai gemiti. E ben presto non riusciva più a controllarli, i gemiti. Finché anche la porta di camera sua si aprì. Avvertì dolore, non sapeva bene dove.
E poi, finalmente, i dolori si affievolirono. e poi non sentì più niente.

Brittany si risvegliò con un fastidioso bip nella testa.
Un fastidioso, terribile, continuo bip.
Bip. Bip. Bip.
Aprì gli occhi di scatto, e subito alcune infermiere le furono intorno. Brittany le guardò per alcuni secondi, mentre loro la riempivano di domande. Ma presto le loro figure si fecero sfocate, e Brittany, terrorizzata, cominciò a dimenarsi.
Le faceva male tutto. La testa, il braccio, le ossa. Non le interessava. Voleva solo scappare. Intorno a lei c'erano solo rumori, e lei si sentiva in trappola, immersa dai camici bianchi, così diversi, così poco rassicuranti. Così tanti suoni.
La voce di suo padre, per esempio. Ma no, non bastava a calmarla, non bastava più.
Brittany era piena di rabbia e paura e dolore. Brittany non si sentiva Brittany.
Brittany voleva fuggire.
Si dimenava, tra le mani delle spaventate infermiere. Ma quelle donne non avevano la minima idea di quanto lei stessa avesse paura.
Però, più la bambina si agitava, e più loro alzavano la voce. Fu più o meno quando Brittany se ne accorse, che smise di lamentarsi. Certo, continuò a piangere. Ma smise di divincolarsi. Iniziò però a tremare, in modo piuttosto forte. E mentre tutti, attorno a lei, si preoccupavano, lei si spaventava di più.
Non volgeva tutta quella considerazione. Non voleva tutte quelle persone e non voleva tutto quel chiasso. Voleva solo dimenticare.
E voleva non avere paura.
Ma, col tempo, si rese conto che più tentava di fasi forza, più tentava di ascoltare, più la sua paura, già esistente, si trasformava in una vera e propria fobia, che non le lasciava scampo.
Incontrollabile.
Terribile.
Brittany, a diciassette anni, non ballava più.
La musica, come le persone, non era più parte della sua vita.
Soprattutto perchè la musica le faceva male. Le faceva ricordare troppe cose. Tutti i rumori portavano alla mente ricordi ingombranti, di quelli che fanno paura, di quelli che ti spezzano, come se non si potesse fare niente per ritornare a ciò che c'era stato prima.
A scuola era quella strana, quella che stava sempre sola. Quella che scappava piangendo dalla classe quando qualcuno le rivolgeva la parola o sfogliava un quaderno con troppa forza.
Quella che, quando c'era il temporale, non si presentava. O si faceva venire a prendere.
Quella che sembrava ancora una bambina.
Quella che, le poche volte in cui parlava, lo faceva balbettando.
Brittany era una delle tante che non avevano amici. Ma, mentre molti non li avevano perché sembravano essere troppo in basso nella scala sociale, in lei c'era qualcosa che diceva non provare a cercarmi.
Una di quelle persone che sembrava avere tutto. Una bella casa, una bella famiglia, un bell'aspetto. Certo, un po' trascurato, ma indiscutibilmente bello.
Eppure era sola.
Era sola per colpa di una fobia, perché, bene o male, queste condizionano la vita.
Ma voleva esserlo?
Dopo tutto, chi desidererebbe di essere solo?
Tutti si chiedevano cosa le fosse successo.
La realtà era che si trattava solo di una curiosità, ma nessuno faceva qualcosa per capirlo, o per soddisfare la domanda.
Nessuno sembrava veramente incuriosito.
E anche Brittany aveva smesso di interessarsi alle persone, ormai da sette anni. Perché aveva capito che non c'era nessuno in grado di aiutarla.
E che la vita era troppo piena di rumori perché lei potesse affrontarla insieme a qualcun altro.





Buonasera. Scusate l'ora e la OS particolarmente breve, però sentivo che dovesse essere così.
Ci terrei veramente, veramente tanto se poteste farmi sapere cosa ne pensate. Le critiche sono bene accette.
Tengo anche a precisare che i temi che affronto potrebbero risultare un po' forti; non volendo turbare nessuno, è bene ribadirlo.
Potete trovarmi qui su efp, o, se preferite, su Facebook, Twitter o Ask.
Al prossimo aggiornamento.
Alis.

   
 
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