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Autore: NorwegianWinds    31/03/2014    2 recensioni
Alex è un giovane musicista allo sbando: è appena stato cacciato dalla sua band, i We Love Thighs, e non sa cosa fare del proprio futuro. Tra tostapani molesti, amici fedeli, pornobimbe silenziose, vecchie guide ed ex mogli alla ribalta, riuscirà Alex a ritrovare la propria strada e la propria musica?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Una spada mi trapassa la testa da parte a parte. Una valanga mi è rovinata addosso spezzandomi le ossa. Ho assunto del veleno dal sapore orrendo che mi ha impastoiato la bocca. Ho un mostro che cresce nel mio stomaco e che presto mi squarcerà in due per uscire fuori e fottere l'umanità.

Non mi spavento per tutto questo. E' il solito, normalissimo hangover.

Provo lentamente ad aprire gli occhi. Per fortuna, a Manchester la luce non è mai così intensa da disturbare un uomo afflitto dal doposbronza.

Nel letto, per l'ennesima volta, non c'è nessuno. Debbie è fuori e non si è preoccupata di lasciarmi un biglietto. Incapace anche solo di alzarmi, mi rigiro nel letto per qualche ora, come un'ameba, cercando di ricordarmi qualcosa della sera prima.

Ovvio, mi ricordo che sono andato a letto con Debbie. Eppure qualcosa è andato storto. Quando eravamo sposati, fare sesso con lei era un'esperienza incredibile, quasi mistica. Stavolta non riesco a focalizzare nessuna sensazione, nessuna emozione. Niente al di là del puro istinto sessuale. Non ero molto diverso da un cane in calore direi.

Verso mezzogiorno riesco ad alzarmi e a mangiare qualcosa. Poi mi prendo due aspirine in una botta sola.

Decido che ne ho abbastanza di starmene da solo in casa ad aspettare il ritorno di qualcuno. Mi vesto, raccolgo le mie canzoni stropicciate ed esco.

C'è un timido sole pomeridiano e l'aria fresca mi fa riprendere un po'. Ho bisogno di camminare.

Vado lontano dal centro, lontano dal casino. Cammino per almeno due ore.

Quando mi fermo, sono finalmente sobrio e mi è passato il mal di testa. Solo in quell'istante mi rendo conto di dove sono arrivato.

I marmocchi davanti alla casa sono raddoppiati. Mi sembra di assistere alla scena di un vecchio film scadente. Mio dio.

I due dell'altra volta sono ora capitanati da un ragazzino più grande, sui dieci anni, che è il leader indiscusso non tanto per un fattore d'età, ma per gli strati di lerciume che ha addosso. Un altro bimbetto gattona per il giardino mettendosi in bocca ogni sasso che trova.

Seduta sui gradini d'ingresso, una donna non vecchia, ma completamente sfatta, in vestaglia e bigodini, li sorveglia fumando una sigaretta. Noto che è (di nuovo) incinta di qualche mese. Non credo ai miei occhi.

- Ehi, tu! - mi dice la donna, - Che cosa vuoi? -. Capisco che non sto sognando e che non sono al cinema.

Balbettando chiedo se Nereide è in casa.

- In casa non ci sta praticamente mai - mi sento rispondere amaramente, - Ma se la cerchi, la trovi nel garage -.

 

La baracca di lamiera che quella sottospecie di massaia ha definito garage è silenziosa questa volta. Busso piano alla porta e non ottengo risposta.

Non ho voglia di andare via. Entro.

Nereide sta dormendo. Noto con divertimento che ha una mano infilata nei collant. Mi accorgo, divertendomi un po' meno, che ha il trucco sbavato e c'è il segno scuro di una lacrima sulla sua guancia. Una delle cose più tristi e commuoventi del mondo: masturbarsi e poi scoppiare a piangere. E poi, esausti, crollare addormentati. Quante volte è successo anche a me.

Mi siedo ai piedi del letto e appoggio una mano sulla sua caviglia sottile. Si sveglia immediatamente. Sbatte un po' gli occhioni e mi fissa senza stupore.

Una ragazza impossibile da sorprendere, anche nel sonno. Con nonchalance sfila la mano dai collant e si mette a sedere  - Cosa ci fai qui?-.

Già. Cosa ci faccio lì?

Ho la scusa pronta, per fortuna.

- Ehm. Ho scritto un nuovo pezzo stanotte. Mi piacerebbe provarlo -

Nereide non fa altre domande. Non mi chiede cosa sia successo con Dawson, né perché sono venuto fino da lei invece di telefonarle. Non mi chiede nemmeno perché la scrittura del testo e delle note sia così sghemba, e perché i fogli siano spiegazzati per il whisky che ci ho rovesciato sopra.

Semplicemente, prende la chitarra e suona.

Io sento che la pace dei giorni precedenti non è poi così lontana. Mi accorgo che non sta seguendo il mio schema, che è pieno di errori (i fumi dell'alcol...). Segue la traccia e corregge automaticamente, precisa come un computer.

Inizio a cantare con voce roca e stentata. Faccio fatica a lasciarmi completamente andare e lei se ne accorge; dopo qualche minuto, imparata la melodia, inizia ad accompagnarmi come seconda voce.

Canta esattamente come mi aspettavo: come qualcuno che non è abituato a far vibrare spesso le proprie corde vocali, preferendo le vibrazioni delle corde della chitarra. Non è una voce eccezionale, insomma. Ma come accompagnamento è perfetto. Ritrovo un po' di coraggio e di vigore.

In un'ora, anche l'undicesima canzone è pronta. Disperata come la volevo io. Come sono io.

Nereide sembra soddisfatta; lo sono anche io, ma non me ne voglio andare, perché davvero non so dove posso rifugiarmi stavolta. Le chiedo di riprovare le altre canzoni e accetta di buon grado; io tiro un sospiro di sollievo.

Suoniamo fino a sera. Ad un certo punto, Nereide guarda prima l'orologio, poi me  - Dobbiamo fermarci qua. Devo andare in casa, è quasi ora di cena -

- Certo, certo - mi alzo in piedi, indeciso, - Uhm... posso passare da te anche domani? -

Lei mi squadra dalla testa ai piedi - Fammi indovinare... Non hai la più pallida idea di dove andare -

- Sì che lo so - rispondo senza pensarci, poi mi blocco, sospiro -... No. Dawson mi ha cacciato via ieri sera, dopo che te ne sei andata -

- E cosa hai fatto la notte scorsa? -

Oltre a montare tua cugina, intendi?

- Sono stato tutta la notte in giro a bere come un idiota, ecco cosa ho fatto-. Meglio omettere altri dettagli. In fondo, è una mezza verità.

Nereide alza gli occhi al cielo, sbuffando - Avanti, andiamo a cena - dice, spingendomi fuori dal garage.

 

Certo non mi sarei aspettato una cena di questo tipo. Non che chiedessi niente di particolare, intendiamoci. Però speravo almeno di non trovarmi in quelle situazioni in cui sei certo di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Sono chiaramente di troppo.

La madre di Nereide, ovvero la massaia dei poveri, siede a capotavola e continua ad avere una sigaretta accesa. Il padre, sicuramente già mezzo sbronzo, si piazza accanto a lei e inizia a sbraitare - Ma che cazzo! In questa casa si mangiano sempre questi fottutissimi hamburger! Mi fanno schifo! Odio questo schifosissimo cibo! -

Non fa in tempo a finire la frase che già la moglie è scattata in piedi - Se non ti piace quello che cucino puoi tornartene al tuo cazzo di pub e prendere qualcosa lì! Ti piace tanto quel posto, ci passi le giornate, perché non ti levi dalle palle una volta per tutte e non vai ad abitare là dentro? -.

Nessuno dei due mi degna di uno sguardo.

Nereide mangia imperturbabile e imbocca il fratellino più piccolo. Cazzo, ora ho capito perché non parla. E perché niente la stupisce. Deve vederne di tutti i colori.

Gli altri due marmocchi si tirano delle carote lesse senza che nessuno li fermi.

Il più grande mi fissa insistentemente, i grandi occhi blu sgranati. Sono gli stessi della mia pornobimba, solo vagamente più inquietanti.

- Cosa sei, il fidanzato di mia sorella? - chiede a bruciapelo.

Rischio di soffocare con la carota.

- No, direi di no. Sono solo un suo amico -

- Ah ecco - replica lui, rasserenandosi - Infatti mi sembrava strano. Perché lei i suoi fidanzati non li porta mai a cena. Li fa andare direttamente in garage. Cioè, non tutti sono suoi fidanzati. Con alcuni se la fa e basta, ci va a letto, insomma. Comunque neanche loro se li porta a cena -

Rischio un'altra volta il soffocamento. Quanti anni hai scusa? Dieci. Ah ecco, ottimo.

 

E' Nereide a sancire la fine di questa tortura. Appena finiti i suoi hamburger, si alza di scatto, prende in braccio il bambino più piccolo e dice seccamente - Avanti. Ora tutti a letto -

Un coro di proteste si leva dai fratellini iperattivi e ricoperti di carote.

La madre si gira e fulmina tutti con un'occhiata - Adesso levatevi di torno, io e vostro padre dobbiamo parlare -

- Ah, riescono addirittura a parlare di tanto in tanto, invece di insultarsi? - sussurro all'orecchio della mia pornobimba. Mi fulmina con un’occhiata sprezzante e mi mordo la lingua.

Mi chiedo se arriverò mai a starle simpatico.

I mocciosi hanno capito che forse è meglio seguire la sorella e il suo strano amico che (ahimè) non si porta a letto.

Lavarli, cambiarli e poi infilarli a forza nel letto è un'impresa titanica. Io sono di ben poca utilità, a dire il vero. Avrei voglia di uccidere quelle pesti. Non so come faccia Nereide ad affrontarli ogni sera con tutto quell'aplomb. Quando finalmente le luci sono spente e sono tutti nei loro lettini, tranne il più piccolo che ancora sbava sulla spalla della sorella, tiro un sospiro di sollievo.

Troppo presto.

- Vogliamo una storia! -

- Sì, una storia per dormire! -

Nereide sprofonda rassegnata sul letto del più grande. Per la prima volta da quando la conosco, la vedo davvero esausta.

Il mio spirito cavalleresco prende il sopravvento, anche se so che lei non mi ringrazierà mai per questo. Ti salverò io, piccola dama di periferia, stanca ninfa del rock, sacro emblema della sessualità puberale.

-...Lasciate stare vostra sorella, bambini, ve la racconto io una storia-

Tre paia di occhi che mi squadrano diffidenti.

- Tu? -

- Cosa ne vuoi sapere tu di storie? -

Piccoli pidocchi che non siete altro, se solo ascoltaste la mia, cadreste giù dal letto per lo stupore.

- Non vi fidate? Avanti. Che storia volete? -

- Una di paura! -

- Con del sangue! -

- E delle pistole! -

- E dei mostri! -

Ce ne vuole di fantasia. Spremo le mie meningi.

Invento la storia più spaventosa, più sanguinolenta, più sparatutto e più mostruosa che sia mai stata raccontata come favola della buonanotte.

Il protagonista è un mostro killer che uccide a colpi di mitra i bambini che non vogliono andare a letto.

I fratellini di Nereide sono in estasi. Si esaltano durante tutto il racconto. Incitano il mostro, ululando di piacere ad ogni nuova vittima. Ma appena la storia finisce, iniziano a guardarsi intorno con aria inquieta.

- Ecco. Fine - concludo, - E adesso vi conviene mettervi buoni a dormire, altrimenti il mostro raggiungerà anche voi -

- Balle - replica il più grande, fingendosi spavaldo, - Era solo una storia -

- Può darsi, ma in ogni caso meglio non rischiare, no? -

Li zittisco, finalmente.

Noto che Nereide si è assopita. Anche il piccoletto fra le sue braccia si è addormentato, dopo aver cercato a lungo di fagocitarle l'intera mano. La scuoto leggermente e apre immediatamente gli occhi, senza nemmeno un sussulto. La muta meccanicità con cui si sveglia è inquietante. Piazza il bebè nel suo lettino, dà la buonanotte agli altri fratelli e finalmente si chiude alle spalle la porta dell'inferno.

 

Usciamo all'aria aperta e ci dirigiamo verso il garage.

- Come diavolo fai? - le chiedo, attonito; lei si stringe nelle spalle e, ovviamente, non risponde, assorta in altri pensieri. Osserva laconica il suo minuscolo letto - Puoi fermarti qui stanotte. Però dovrai adattarti allo spazio che c'è -

Nessun problema, rispondo speranzoso. Senza aggiungere altro mi metto in mutande e mi infilo sotto le coperte. Lei lancia via anfibi, collant e maglietta, restando solo con la biancheria intima. La guardo a bocca aperta, chiedendomi se lo faccia perché ci sono io; ma in realtà non sembra importarle granché che io la guardi. Anzi, se non fosse lei a tirare i vestiti in vari angoli del garage con noncuranza, sarebbe lo spogliarello meno erotico del mondo. Ma Nereide è una pornobimba, perciò continua a sprizzare sesso da tutti i pori anche senza fare niente di particolare.

Nella mia testa risuona una marcia trionfale quando si sdraia accanto a me. Questo letto è fottutamente piccolo. Ogni centimetro della mia pelle è a contatto col suo corpo esile, caldo, seminudo.

Non è possibile che non succeda niente, mi dico. Le sfioro un braccio pallido, pronto a partire all'attacco.

... Invece è possibilissimo.

Nereide già dorme. Beatamente, profondamente.

Mentre la maledico in silenzio ho la tentazione di sorprenderla nel sonno, a tradimento. Ma tanto so che non avrei mai il coraggio di farlo, soprattutto perché lei sarebbe capace di uccidermi. Decido di lasciar perdere e me ne resto lì come un coglione, completamente spiaccicato contro di lei, a cercare di tenere a bada i miei ormoni in rivolta.

 

E' una notte lunga e tormentata. Il sonno non arriva mai, e quando piombo nel dormiveglia è tardissimo. I miei sogni sono popolati da candide sagome femminili, completamente nude, che mi chiamano cantando in mezzo alla nebbia, senza che io riesca a raggiungerle. Ad un tratto il canto si fa fastidioso e stridente e loro diventano sempre più sfuocate e lontane. Un fagottino caldo al mio fianco si contorce e si agita, e io spalanco gli occhi. Sta suonando una sveglia. Nereide, soffocando uno sbadiglio, lancia in aria le coperte e la spegne.

Guardando l'unica, minuscola finestrella del garage mi rendo conto che è ancora buio.

- Ma che ore sono? - mugolo, sconvolto.

- Le cinque - risponde seccamente lei. Si alza e toglie la coperta dal letto, avvolgendosela intorno alle spalle. Congelo all'istante.

- Ma sei pazza? E poi perché metti la sveglia alle cinque? -

- Per vedere l'alba. Lo faccio ogni mattina - prende un pacchetto di sigarette e si avvia verso la porta. Non mi chiede di accompagnarla, ma mi alzo dal letto anche io, sbraitando - Ma cristo! Non siamo nella fottuta Norvegia! L'alba a Manchester fa schifo! -

- Per la maggior parte delle volte sì. E' per questo che quando c'è una mattinata bella, me la godo di più -.

Nereide esce e io le corro dietro, dandomi vigorose pacche sulla schiena nuda per riscaldarmi. E' pazza, ora ne sono sicuro.

Ci sediamo fra la ghiaia e l'erba bagnata di pioggia e rugiada, con la coperta che ci avvolge entrambi, e ci accendiamo una sigaretta. Ho così sonno che inizio a non sentire nemmeno più il gelo e l'umido. Il corpo della ninfetta in lingerie è come una piccola stufa morbida accanto a me.

Non parliamo. Aspettiamo.

Si preannuncia una giornata squallida e piovosa come tutte le altre. Quando l'alba arriva, è sfuocata e grigiastra e il sole non si vede. Spettacolo quanto mai deprimente.

Quando il buio si è definitivamente diradato, Nereide spegne la terza sigaretta e si alza in piedi. Io rimango immobile qualche istante ad ammirarla dal basso, in tutta la sua pallida corporalità e in tutte le sue trasparenze di cotone. Rientriamo in garage e la aiuto a rimettere la coperta sul letto - Non è andata bene neanche stamattina, a quanto pare - dico, con una punta di sarcasmo che lei coglie all’istante. Si gira di scatto a guardarmi con grandi, minacciosi occhi blu.

Poi la sua espressione cambia.

Noto che il suo sguardo scende lentamente dal mio viso al mio inguine e vorrei seppellirmi per l'imbarazzo.

E' da ieri sera che ho un'erezione così evidente, così potente, così impetuosa, che anche mettendoci le mani davanti non riesco minimamente a nasconderla.

Apro bocca per dirle di non farci caso, che non alzerò un dito per toccarla, che me ne starò girato contro la parete così non dovrà pensarci, quando lei mi anticipa brutalmente - Vuoi fare sesso? -.

Ormai ero così convinto che non avrei mai sentito questa frase uscire dalle labbra di Nereide che non la capisco subito, e balbettando devo chiederle di ripetere.

Lei scuote la testa, rassegnata - Lascia perdere -. Fa per voltarsi e finalmente io recupero le mie facoltà mentali: la afferro per un braccio e la attiro a me. Lei mi bacia. La sua lingua che sa di fumo e si insinua tra le mie labbra è come un elettroshock che mi riscuote dallo stupore.

Circa trenta secondi dopo siamo crollati sul suo letto, completamente nudi. Lascio perdere carezze e preliminari.

Altri venti secondi e sono dentro di lei, anima e corpo, completamente, violentemente.

Decisamente, non stiamo "facendo l'amore"... Me la sto scopando, e in modo piuttosto selvaggio anche. Il suo corpo non è fragile come sembra: sa ammortizzare i miei colpi, sa assorbire il mio dolore, mi incoraggia a sfogarlo tutto contro le sue cosce stupende, contro la sua pelle liscia, e me lo risucchia via man mano che vado più a fondo. Afferro Nereide per i capelli, affondo i denti nel suo collo, sbatto con forza contro il suo inguine; lei mi graffia coi suoi artiglietti affilati, mi succhia le labbra e la saliva, ansima nelle mie orecchie.

Adesso grida insieme a me, la mia piccola amica sempre silenziosa. Forse le sto facendo male, ma non prova a fermarmi, anzi, mi incita col corpo, con la voce, con le mani, finché con un lungo, unanime gemito veniamo contemporaneamente; la mia onda calda non ha ancora finito di esplodere in lei che io mi accascio sui suoi piccoli seni e scoppio a piangere disperatamente.

Ancora una volta Nereide non si scompone, sembra quasi che se lo aspettasse. Ancora scossa da deliziose contrazioni post orgasmiche, mi accarezza i capelli delicatamente e mi culla con tenerezza, dandomi qualche bacio sulle tempie di tanto in tanto.

Mi sembra di piangere per ore. Butto fuori tutto, fino a infradiciare il petto della mia piccola ninfa, fino a scordarmi i motivi per cui sto piangendo. Quando mi rendo conto che la mia memoria è come azzerata, inizio a calmarmi.

Lentamente mi riaddormento, debole, fragile e felice come chi è appena uscito da una lunga convalescenza.

 

 

  
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