Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: Eiko Quinn    03/04/2014    0 recensioni
“C'è uno specchio, nel giardino.
Mi osserva.
Ha dei grandi occhi con cui scruta il mondo e l'avvenire.
Ho paura. Mi spaventa.
È incrinato.”

Una serie di brani estratti dal diario di Rose Liddell, scrittrice e visionaria Malkavian. La sua Rete è un abisso di parole, il suo mondo un velo da squarciare, la sua storia incompleta e incomprensibile, la sua mente perduta, il suo amore ritrovato.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Tutto ciò che so è che un attimo prima era in piedi, parlando del suo Merlot preferito, e l’attimo dopo era sul pavimento in una pozza di sangue”.

 

-Hai il suo sangue sulle mani-, gemette il ragazzo, reggendosi saldamente ad uno spigolo della tavola.

-Chi, io? No, non è vero-, rispose lei, distrattamente, intenta ad osservare la collezione di libri sullo scaffale, risistemandone qualcuno di tanto in tanto.

-E anche sul volto-, proseguì lui, digrignando i denti.

Lei, senza neanche voltarsi a guardarlo, si sfiorò il mento con le dita, per poi toccarle con la punta della lingua.

-Ah, sì, questo è vero-, mormorò, ripulendosi. -Davvero abiti in questo posto orribile?-.

Lui batté il pugno sul tavolo. -Cosa gli hai fatto?-.

E lei si voltò finalmente a guardarlo. L’incarnato era pallido, le labbra ancora macchiate del sangue di Robert, gli occhi scrutatori e trasparenti alla luce della luna.

E ancora non rispondeva.

-Da dove sei entrata? Chi sei? Cosa ci facevi in casa? Come…-, e s’interruppe, spezzato da un attacco di singhiozzi. Lei gli si avvicinò, pacata, poggiando una mano sul capo di lui.

-Su-, sussurrò. -So cosa provi-.

-Io… io non credo-.

-Hai ragione. Non ne ho idea. Ti capita spesso di avere ragione? Io credo di sì-.

Lui si scosse, scrollandosi la mano di lei di dosso, che aveva iniziato a tracciare arabeschi e ghirigori astratti. -L’hai… l’hai ucciso-.

-Io? Oh, no, io no. Io mai. Non mi piace uccidere. È complicato e disordinato-. Mentre parlava, prese a spostarsi per la sala, muovendosi quasi come stesse danzando: un passo leggero in avanti, una mezza giravolta, un saltello appena accennato. -Ha fatto tutto da sé-.

-Voglio sapere-, ringhiò lui. -Dimmi il tuo nome-.

Lei, che si stava intrecciando dello spago da cucina tra i capelli, sorrise. Un sorriso profondamente sbagliato. -Tu come pensi che mi chiami?-.

-Non voglio giocare con te-.

-Solo perché non conosci la risposta. Eri un bambino triste e noioso, tu. Nessuno voleva giocare con te. E tu dicevi che eri tu a non voler giocare con gli altri. Ma avresti venduto gli organi di tuo padre pur di essere come loro. Ah, perdonami: tuo padre era già morto-.

Lui ammutolì. -Come lo sai?-.

-Io so-, replicò lei, il sorriso che si ampliava, le dita che lavoravano tra le ciocche scure.

-Come?-, insistette lui, alterato, confuso, disperato.

Lei rise. Una risata che lui avrebbe voluto dimenticare per sempre. -Noi sappiamo sempre-. Finì di intrecciarsi i capelli, e tornò volteggiando verso di lui. -Loro sanno tutto. Noi sentiamo tutto. Noi vediamo tutto-. S’interruppe, sgranando gli occhi, fissando un punto oltre le spalle del ragazzo, terrorizzata, allarmata. Ma non appena lui fece per voltarsi, lei riprese a parlare, quasi direttamente nel suo orecchio. -Tu non puoi sapere. Tu non vuoi sapere…-.

E si allontanò, riprendendo la sua esplorazione della sala.

-Oh, e comunque, mi hanno parlato solo di tuo padre. Il resto l’ho saputo guardandoti in volto-, aggiunse, inginocchiandosi sul pavimento, esaminando una pila di riviste.

-Chi sei?-, ricalcò lui, il tono più violento. Lei ridacchiò.

-Lo sai. Guardami bene. Dammi un nome-.

-Ho detto che non voglio giocare-.

-Giocare? Chi sta giocando, Paul? Nessuno sta giocando, Paul. Smettila, Paul, ci stai facendo paura. Oh, Paul, quella giacca è orribile. Jimmy ne è quasi spaventato-.

Lui deglutì. Lei gli scoccò un’occhiata.

-Dimmi il tuo nome-, ripeté.

Un’altra risata.

-Dimmelo-.

Un fruscio di carta, piccoli tonfi.

-Voglio solo sapere come ti chiami…-.

A quel punto, lei si alzò in piedi. Si diresse verso di lui in un paio di falcate, avvicinandogli nuovamente la bocca all’orecchio, questa volta tanto vicino che lui poté sentire la punta della sua lingua toccargli la pelle.

Sussultò.

Era gelida.

-Ci chiamano in tanti modi-, bisbigliò, e sembrava così aliena, con il suo tocco freddo e morto, con le sue parole senza logica. -Ci chiamano Legione, perché siamo in molti-.

Paul indietreggiò, boccheggiando, ansimando. Pregò che fosse solo un incubo.

-James mi chiama Rose. Anche Christine mi chiama Rose. Anche mio padre mi chiamava Rose-.

Si bloccò. Si guardò alle spalle, e poi a destra e a sinistra, frenetica. -Perché c’è buio, qui? Nel buio c’è il silenzio. Non mi piace il silenzio. James, restami vicino!-. E si rannicchiò accanto al divano.

Tremava. O almeno, Paul giurò di averla vista tremare. Era come se vedesse qualcosa che lui non poteva vedere. Come se sentisse qualcosa che lui non poteva sentire.

-Rose…-, sussurrò, con un filo di voce. -Chi sei?-.

Lei cessò immediatamente il suo delirio. Si rialzò, gli occhi sgranati e le mani ferme.

Rise. Una risata più gelida della sua pelle, più agghiacciante della penombra in cui si trovava.

-Robert è morto-, annunciò Rose, passandosi un dito sulla pelle nuda del braccio, come se stesse scrivendoci sopra.

-Lo so-, sussurrò Paul, le lacrime agli occhi.

-Non sono stata io. A James piaceva tanto. Stavamo solo parlando-.

-E chi altri è stato?-, domandò, il volto tra le mani. -E chi è James?-.

Rose non rispose.

-Dovrei farti arrestare-, singhiozzò Paul.

-Non riusciresti-, fece lei, accarezzandogli i capelli. -Non ti crederebbero. Non crederebbero neanche a me. Tu crederesti a te? E a me? Forse a James crederebbero. È ben vestito. È una cosa molto importante-.

Paul era ormai in preda al pianto e alla disperazione.

-Hai paura del mondo, Paul?-.

Lui scosse la testa. -Ho paura di te, e di questa notte-.

-Guardami, Paul. Paul Evans. Guardami-.

Lui la guardò. E avvertì come se mani invisibili scavassero dentro di lui, come se una bocca invisibile soffiasse su parti di se stesso che non sentiva di avere, spegnendole, annullandole, annientandole.

E lei lo baciò. E a lui sembrò il bacio della Morte. Fu dolore, terrore, silenzio, e il piacere più intenso che avesse mai provato.

-Tu non ricorderai niente, Paul. Tu non dirai niente, Paul. Tu mi temi, Paul. Tu hai troppa paura, Paul. Non dirai niente a nessuno-. E si passò la lingua sulle labbra, cancellando un residuo di sangue. -Chiama la polizia, Paul. Di’ loro che sei appena rientrato. Di’ loro che non sai. Chi non sa, vive. Chi non sa, vive tranquillo-.

La guardò allontanarsi, uno svolazzare lieve dei suoi capelli nell’aria, il suo profumo alieno.

E fu solo quando lei ebbe chiuso la porta, andandosene, che Paul collassò sulla sedia più vicina, afferrando il revolver posato sul tavolo e puntandoselo alla tempia.

Non si era mai sentito così vuoto.

   
 
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