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Autore: Dicembre    08/07/2008    5 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Interludio Primo

 

Sono lontano, eppure vedo i tuoi gesti, le tue mani, le tue dita lunghe così eleganti da parere struggenti.

E’ una sera meravigliosa, le stelle in cielo brillano, la musica risuona e permea l’aria, ma tu non hai occhi che per lui. Nonostante non lo guardi, nonostante non stia parlando, tutto in te pare gridare il suo nome.

Te lo bisbiglierei, ma non posso. Così come non posso narrarti le favole che le nuvole raccontano e che lenirebbero il tuo dolore.

Ma soprattutto, vorrei darti speranza. Vorrei parlarti della Verità e della Giustizia, delle Leggi di Dio e del suo verbo, ma questo non mi è possibile: posso solo guardarti e raccogliere un amore che ancora tu neghi, ma di cui sono intriso.

Lo guardi, senza farti scorgere, giri leggermente il viso e lotti per negare che per un bacio, un solo tocco, baratteresti ciò che sei e cadresti, come il più bello degli angeli.

Vorresti che ti fosse permesso cosa invece è stato proibito dagli uomini.

Vorresti stringerti a lui e nascondere il tuo viso fra le sue braccia e tremando, gli chiederesti di stringerti, di proteggerti e di celarti per un attimo e per sempre.

 

Abbassi gli occhi e non ascolti più nulla.

Sospiri e cerchi di liberarti del peso che grava sul tuo animo, inutilmente.

Ti tremano leggermente le labbra: un movimento impercettibile, che le rende ancora più belle. S’insinua in te il dubbio, la paura e la consapevolezza che ciò che brama la tua pelle è ingiusto e blasfemo.

Grideresti, se ti fosse possibile, ma l’unica cosa che ti permetti è quella di portarti le mani alle tempie, nella speranza che tutto si zittisca, tutto si quieti e tu possa, di nuovo, respirare regolarmente.

Ciò che vuoi è bellissimo e disgustoso, e soprattutto è sbagliato.

 

Perché, ti chiedi, Dio ti sta mettendo alla prova?

E’ il Diavolo che ti chiama e piega la tua volontà?

O è il tuo cuore che, capriccioso, reclama ciò che non potrà mai avere?

 

Per risposta questo  sembra fermarsi per un attimo e perdere un battito.

 

Le ultime difese cadono e la verità più semplice ti diventa chiara: lo ami.

Ti alzi e ti allontani. Se il tuo animo si riversasse nei tuoi occhi, temi che qualcuno, se non lui, possa leggere e hai troppa paura per permetterglielo.

 

Meccanicamente cammini e dai le spalle agli invitati: lo sai che sono salde e non tremeranno.

Lo ami perché con lui sei in pace, lo ami per i suoi occhi, lo ami perché la foschia di una solitudine consolidata nel tempo si dissipa, sfuma e scompare ogni volta che lui ti è vicino. Al suo  posto compare il rumore del sangue che scorre troppo velocemente nelle tue vene e il piacere del suo profumo.

E poi non sai perché lo ami, per come qualche sera prima ha osservato i tuoi capelli forse, per la sua voce, per il suo passato, oppure anche per nulla.

 

Ai miei occhi brilli nella tua gloria e bruci nella tua purezza, m’inchinerei al tuo passare ma ora, questa sera, ti abbraccerei solamente e canterei per te una canzone che illuminasse le tue ombre.

 

Guardi la mano appoggiata sul tuo bastone e sorridi. Piangeresti, ma non puoi fare neanche quello e allora guardi per un attimo il cielo. Come ogni innamorato speri che qualcosa in te possa essere degno di lui, ma la tua mano ti ricorda di essere uno zoppo e la tua vergogna ti grida che sei un uomo.

Ma prima che tu possa porre rimedio e quietare i tuoi pensieri, lui ti è di fianco, così vicino che tutto scompare ed esiste solo lui

Chissà se vede, chissà se sa.

Ma lui è distratto a capire perché è venuto lì, al tuo fianco per leggere bene quegli occhi che gli piace così tanto guardare.

Il suo animo è fragile in un involucro ferreo, creato per proteggere ciò che è stato violato troppe volte. E non capisce che cosa l’ illumini ora , ma quando gli sorridi rimane abbagliato e sgrana gli occhi, guardando ogni tuo lineamento e bagnandosi nella tua luce.

 

Sono lontano, eppure vedo i tuoi gesti, le tue mani le tue dita lunghe così eleganti da parere struggenti.

E’ una sera meravigliosa, ma le stelle in cielo ti regalano la loro luce e la tua gloria avvolge le vostre due figure.

Vorrei darti speranza, vorrei parlarti della Verità e della Giustizia, delle Leggi di Dio e del suo verbo, ma questo non mi è possibile. Posso solo guardarti e raccogliere un amore che non puoi più negare ma che ti terrorizza e che rifuggi.

Come spettatore lontano, ti guardo, e mi pari un angelo che con le ali avvolgi chi, con le mani, non osi nemmeno toccare.

 

 *

Capitolo Quattordici - I potenti

 

 

Le nuvole in cielo erano cariche e l’aria intrisa d’acqua, ma non pioveva ancora. Nonostante fosse mattina, la luce era poca, i raggi obliqui del sole invernale non riuscivano a penetrare quella coltre spessa.

La carrozza per andare alle miniere di stagno e quindi al Monastero di St. George era pronta. Per partire, aspettava solo i propri passeggeri.

“Un tempo così uggioso non è certo l’ideale per mettersi in viaggio”.

“Come se da queste parti splendesse sempre un sole che spacca le pietre” commentò sbadigliando Cencio

“Guarda che se cominci con la tua solita ironia, ti lascio qui.”.

“Per poi perdermi la tua faccia quando saremo arrivati al monastero? Mai! Piuttosto vi seguo a cavallo”.

Leggermente in disparte dai due, Lord Aaron stava dando istruzioni ad un falco, che subito dopo spiccò il volo, emettendo un verso acuto e prolungato. Diversi cavalieri uscirono di lì a poco, in sella e pronti per partire.

L’idea che Nero non andasse con lui lo sollevava. La sera prima, infatti, quando Cencio aveva detto che avrebbe avuto piacere nell’accompagnare sia lui che Luppolo, aveva temuto potesse venire anche Nero. Era stato un attimo, perché Cencio, col suo solito fare entusiastico, aveva proposto a tutti di andare, ma Nero aveva declinato preferendo stare con Forgia.

Il padrone del castello aveva paura che un giorno intero passato in sua compagnia - senza la protezione del castello - avrebbe rivelato al cavaliere i suoi sentimenti. Non aveva trovato modo efficace per dissimularli: erano così nuovi ed intensi che bastava una parola o uno sguardo per emozionarlo.

E rallentare i battiti del proprio cuore risultava, per ora, impossibile.

Voleva, doveva imparare a controllarsi, voleva impedire che qualcosa trapelasse in superficie e voleva sopprimere ciò che sentiva nel profondo. Il trascorrere un po’ di tempo senza la compagnia di Nero l’avrebbe di sicuro aiutato, pensò.

Tuttavia, quella mattina carica di pioggia, Aaron si ritrovò a chiedersi dove fosse e che cosa stesse facendo. Si chiese se magari, dato il clima così poco ospitale, il Nero avesse preferito rimanere nel suo letto, godendo del tepore delle coperte un po’ più a lungo, oppure se s’era già alzato.

Ebbe l’istinto di rientrare nel castello e andare da lui, parlargli con una qualunque scusa, ma subito allontanò l’idea e scosse la testa. Sarebbe stato sciocco, lo sapeva.

Sospirò. Nonostante la sua ragione gli dicesse che tutto quello che provava e voleva fare fosse sbagliato, la nostalgia provata quella mattina, sotto quel cielo grigio e carico d’acqua sembrava impossibile da dimenticare.

 

Aaron non indugiò oltre, inutili i suoi dubbi o i suoi desideri, quella giornata avrebbe avuto altro a cui pensare. Sebbene non destassero in lui particolari preoccupazioni, i problemi alla miniera di stagno continuavano a ripetersi. Le voci che aveva sentito erano discordanti, ma in realtà sapeva quali fossero veritiere e quali no ed era tempo di intervenire, ne sarebbe andato del buon lavoro e della produzione di stagno, così importante per le sue terre.

Perso nei suoi pensieri, Aaron non si rese subito conto che anche i suoi due ospiti erano rimasti silenziosi. Soprattutto Cencio era stranamente quieto. Seduto tutto composto su di un lato, stretto nelle spalle, pareva quasi schiacciato contro la parete.

“Qualcosa ti turba?”

Ma neanche a domanda diretta Cencio rispose, fece un semplice no col capo.

Luppolo guardò l’amico e gli sorrise dolcemente “Sei a disagio?”

La domanda fece sussultare il ragazzo che si affrettò a rispondere “No…No perché?...” ma la sua negazione non sembrava troppo convincente e se ne rese conto lui stesso.

“E’ che… Tutto benissimo, ci mancherebbe, però…” disse cercando le parole e sistemandosi nervosamente i capelli dietro le orecchie “A dire il vero… se proprio devo essere sincero del tutto…ecco… Non sono mai salito su di una carrozza così e…”

Luppolo scoppiò a ridere “Non sai come comportarti?”

“Non prendermi in giro! Non è così…semplice”
Aaron gli sorrise. Il sorriso fu così dolce che Cencio si rilassò.

“Se posso parlare con tutta sincerità, non ero entusiasta quando siamo arrivati qui. Sapevo che Forgia aveva la precedenza sui miei umori e per questo non ho detto niente, ma vedete, signore, non ho un buon rapporto coi nobili” ammise arrossendo leggermente “Lo stesso Chiaro è quello che sento meno vicino, nonostante abbia abbandonato lo stemma del suo casato già da diverso tempo…”

Cencio non guardava negli occhi il proprio interlocutore, si osservava le mani che sembrava non sapere dove mettere. E così continuò “E devo ammettere, signore, di essermi completamente sbagliato… Voi non solo siete un ospite generoso, ma anche una persona per cui nutro un gran rispetto”

Nonostante fosse avvezzo ai complimenti, Lord Aaron fu così stupito dalle parole del ragazzo che non seppe immediatamente come rispondere, ma Cencio comunque non gliene avrebbe data la possibilità “Quando vivevo col signorotto di cui vi ho accennato tempo fa, lui era solito ripetermi che nel mondo c’è chi domina e chi soccombe e questo in ogni cosa. Nelle guerre, ma anche all’interno di una famiglia, in un villaggio oppure su di un mercantile… C’è sempre chi ordina e chi obbedisce. Sarei stato uno stupido, e lo sarei tutt’ora, se pensassi che questo non sia vero, tuttavia…” fece una pausa quasi volesse prendere coraggio “voi siete il primo ad avermi dimostrato che, sebbene ci sia chi è padrone e chi è servo, è possibile che la dignità di quest’ultimo venga  conservata e anzi, tenuta in gran conto da chi comanda… e per questo io vi sono grato”.

Luppolo era stupito tanto quanto il Lord da quella fiumana di parole causate da un motivo poco chiaro.

“Cencio, tanto senno da te non me la sarei mai aspettato”

Cencio si strinse nelle spalle “Lo sai come sono, se comincio a parlare, non mi fermo più e… pensavo fosse giusto fare sapere al nostro ospite come la pensavo”

Luppolo sorrise e gli arruffò i capelli “Sì, lo so come sei”. Indugiò la mano sulla sua testa per un attimo più del dovuto, ma poi la ritrasse.
”Ti ringrazio per le tue parole che mi lusingano. Non penso che la prevaricazione sia il modo per dimostrare il proprio potere. Se ho capito bene, e per quello che la mia esperienza m’ha insegnato “disse guardando all’esterno, dove si perdevano all’orizzonte campi verdissimi “sono spesso i deboli di spirito a usare la forza, perché non hanno altro modo d’imporsi”.

Cencio guardò Lord Aaron. L’aura che lo circondava sembrava in questo momento più carica.

Faticava a capirlo, ma questo non lo metteva a disagio. Se pensava alla sera prima, in cui avevano trascorso ore allo stesso tavolo scherzando, durante la festa del paese, l’avrebbe preso per uno di loro. Lì, in quella carrozza, ammantato di vesti pregiate, Lord Aaron sembrava irraggiungibile e distaccato.

Luppolo era stato in silenzio fino a quel momento, guardava Cencio come guardasse il più tenero fra i cuccioli.

“Avessi avuto l’occasione, l’avrei ucciso per te” Non disse a chi si riferiva, ma fu chiaro agli altri che Luppolo stava parlando del signorotto con cui Cencio aveva vissuto prima di unirsi ai cavalieri di Nero

“L’avrei fatto io stesso, ma la sua faccia quando ha capito che me ne sarei andato per sempre è stata una vendetta sufficiente”

“Ricordo anch’io la faccia di quell’uomo, una maschera d’orrore”
Cencio rise soddisfatto e poi si mise a spiegare “Non avrebbe mai pensato che lo lasciassi perchè sapeva che, senza di lui, io sarei stato carne da macello. Sono stato mandato in prigione a dieci anni e lui m’ha ripescato da lì, dandomi un tetto, un pasto al giorno e qualcosa da fare. Non propriamente un lavoro, ovviamente…Se capite cosa intendo” si strinse nelle spalle e alzò le sopracciglia quasi a giustificarsi “Se non avessi incontrato Luppolo e Nero sarei probabilmente ancora lì”

“M’era parso di capire che aveste incontrato Nero dopo aver incontrato Luppolo”
”Sì, è così, ma solo qualche settimana dopo” e così dicendo guardò il compagno quasi a chiedere conferma che i suoi ricordi fossero corretti e poi riprese “Ho conosciuto Luppolo nella peggiore taverna della città…” ma a questo punto il cavaliere si sentì in dovere di interrompere l’amico
”Ah, racconta bene come sono andate le cose!”

“Beh, aveva un bel mantello e io lo volevo per me…”
”Sì” disse sconsolato Luppolo “e Cencio ai tempi considerava tutto ciò che vedeva suo di diritto, così mi sono messo a rincorrerlo per tutta la città!”
”Ci potete credere? Io pensavo che al primo vicolo, sotto il sole cocente dell’estate italiana, uno così avrebbe desistito!”
”Che cosa intendi con ‘uno così”?” chiese Luppolo stizzito

“Ma sì, uno così chiaro di pelle, così… scozzese, Luppolo” disse rivolto all’amico “diciamocelo, ce l’hai scritto in faccia da dove vieni”

“E invece ti ha dato del filo da torcere?” Chiese Lord Aaron preso dalla curiosità di sapere come si fossero conosciuti Cencio, Luppolo e Nero

“Non m’ha dato tregua!”

“E poi cosa ne è stato di quel mantello?”

Gli occhi di Cencio s’incupirono leggermente “Il mio padrone lo volle per sé” sospirò il ragazzo “Non volevo darglielo, ma non avevo alternativa. Se non che è comparso Luppolo a reclamarlo!”

Aaron lo guardò stupito

“Dunque sapevate dove si trovava il ragazzo?”

“Sono stato un militare troppo a lungo per non riuscire a seguire delle tracce lasciate da un moccioso”

“Smettila di chiamarmi così!”

“Ma all’epoca avevi solo tredici anni Cencio…”

Il ragazzo sospirò “Già, se non fosse stato per te, Nero non avrebbe mai preso un marmocchio fastidioso”
Luppolo sorrise per incoraggiare l’amico “Avrebbe fatto un grosso errore, sei uno dei migliori arcieri che conosca!”

Sotto gli occhi stupiti di Aaron, Cencio non rispose, non fece una delle sue solite battute sarcastiche, ma arrossì, abbassando lo sguardo imbarazzato.

Poi per rompere quel silenzio che non faceva altro che accentuare il rossore delle sue guance, Cencio disse “Ecco perché non avevo fiducia in voi, all’inizio…”

“Mi dispiace sentirlo. E non perché mi senta offeso, non mi fraintendete. Mi dispiace che la vostra esperienza sia stata così negativa a causa di un uomo che non si meritava di avere il potere che aveva”

“Beh” Disse Cencio riprendendo il suo solito buon umore “In fin dei conti sono stato fortunato, ho incontrato Luppolo prima e Nero poi. E se mi chiedessero se vorrei rinunciare a questo incontro pur di cancellare i miei anni trascorsi al servizio di quel grassone, non vorrei. Senza dubbio né esitazione, rivivrei tutto quanto.” Poi si fermò a riflettere un attimo e aggiunse “forse non resisterei alla tentazione di  rubare un po’ di vettovaglie al mio vecchio padrone. Di certo ne avrei fatto un miglior utilizzo io!”

Gli altri risero. Aaron si stupì della forza d’animo di quel ragazzo. I capelli sempre un po’ spettinati, quell’andatura dinoccolata, l’aria furba e gli occhi enormi lo condannavano ad un aspetto infantile, ma in casi come questi il padrone del castello si rendeva conto come in realtà quell’apparenza fosse ingannevole.

“La persona da cui stiamo andando, alle miniere, è esattamente una persona così: arrogante e presuntuoso come m’avete descritto essere il vostro vecchio padrone” spiegò Lord Aaron “So bene quanto male possono portare persone così, con troppo potere fra le mani”
”Di chi state parlando?”

“Si chiama John Riverwood jr, Lord Thurlow aveva affidato a suo padre il controllo del lavoro nelle miniere. Ma invecchiando, poi, questi ha smesso di lavorare e ha affidato al figlio il compito: un inetto. Troppa gente ha sofferto per le sue angherie ed è tempo che queste smettano”. Poi aggiunse, indicando delle cave in lontananza “Ecco, siamo quasi arrivati”

I cavalieri guardarono le miniere avvicinarsi e nessuno disse più niente fino all’arrivo.
Aaron chiuse gli occhi, s’immaginò l’Italia e una spiaggia assolata. S’immaginò Cencio su questa spiaggia, completamente a suo agio nella sua terra, col la pelle bruciata dal sole e i capelli intrisi di salsedine, che rideva, giocando con l’acqua quasi fosse un bambino. Al suo fianco c’era Luppolo che lo guardava e si prendeva gioco di lui, schizzandogli l’acqua il viso e minacciandolo, nel caso il ragazzino avesse tentato qualunque ritorsione. E poi c’era Nero, seduto sulla sabbia che guardava i suoi nuovi compagni. Il suo viso sembrava più austero, ma altrettanto dolce. Nonostante il sorriso e l’aria allegra che aleggiava, i suoi occhi sembravano carichi di rabbia, una rabbia profonda e antica, di non facile estinzione.

Per quanto tentasse di allontanarlo, il pensiero di lui s’insinuava nella sua mente, sgattaiolava furtivo fra i suoi pensieri e prepotentemente emergeva in superficie. Ed immaginarselo seduto sulla sabbia, con l’aria di mare che gli accarezzava i capelli e il sole che ne modellava le ombre, provocò in Aaron un morso di nostalgia e di colpa, per il quale non trovò nessun altro rimedio se non quello di chiudere gli occhi e pregare nel suo pensiero.

Amava troppo Maria per abbandonasi ad una tentazione tanto sbagliata e disgustosa, eppure, una piccola parte di lui smaniava di essere abbracciata da quelle braccia e baciata da quelle labbra. Il suo cuore, dilaniato da due sentimenti troppo opposti per convivere, non poteva fare altro se non battere velocemente.

 

 

Lord Aaron Thurlow si avvicinò alle cave e al gruppo di uomini che lo stavano attendendo con maestosità. Appena appoggiò il piede per terra, seguito da Luppolo, Cencio e i soldati del suo seguito, la valle sembrò zittirsi e con lei, tutte le voci dei minatori. Le sue vesti azzurre coi loro ricami d’argento risplendevano nonostante le nuvole coprissero il sole

 “Ossequi, mio signore” disse un minatore inchinandosi “Vi prego di scusarmi se vi ho fatto chiamare e se avete dovuto affrontare un viaggio non previsto, ma…”

“Ma è uno che non sa farsi i fatti suoi!” lo interruppe un altro uomo, di stazza decisamente superiore al primo “Non era necessario veniste”

“Che sia necessario o meno, vi prego di lasciarlo giudicare a me” Rispose asciutto il Lord, mentre si guardava intorno. Le miniere erano numerosissime e l’estrazione di stagno continua. Solo alcuni dei minatori non stavano lavorando ed erano lì di fronte a lui.

I funzionari che s’erano avvicinati al tavolo  l’altra sera, durante il matrimonio di Rebecca, accorsero subito.

“Non vi aspettavamo così presto signore”

Poi Lord Aaron fece cenno ad uno di loro di avvicinarsi e questo iniziò a bisbigliare qualcosa.

Dopo un attimo, il padrone delle miniere sorrise. Aveva dovuto vedere coi propri occhi per avere la certezza di quello che gli era stato raccontato, ma ora non aveva più alcun dubbio sulle responsabilità delle persone che gli stavano di fronte. Fece cenno ai suoi sodati di occuparsi dell’omone che aveva insinuato non ci fosse bisogno del suo intervento

“Ritengo che sia inutile dirti che per i tuoi crimini verrai deportato a St Ives e giudicato là”
Questo sgranò gli occhi

“Ma signore, ci dev’essere un errore, io non ho fatto niente, sono innocente!”

“Neghi forse che Jeremy Caine, Tobias Longbridge, Julian Forsubry e Jon Irome siano morti quand’erano sotto la tua custodia?”
”No Signore, ma è stato a causa di un incidente…”

“E il fatto che due di questi corpi siano stati trovati carbonizzati vicino ai tuoi alloggi, che un terzo sia morto di fame devo considerarlo un incidente?”
L’uomo sussultò “Signore, erano solo dei ragazzini impertinenti e scansafatiche!”

“John Riverwood jr, sei bandito dalle mie terre e sarai condannato a St. Ives, sarai espropriato di ciò che possiedi. Questo verrà suddiviso fra le madri di quelli che tu hai appena definito ragazzini impertinenti. Adesso” disse rivolto alle sue guardie “portatelo via” .

E successe tutto in un attimo, prima che le guardie potessero legare John Riverwood, prima che Luppolo e Cencio potessero fare qualcosa. Quando la lama brillò, l’unica cosa che si udì fu lo stridore di un falco che, con gli artigli, calava inesorabile sulla sua vittima. Aaron fece appena in tempo a spostarsi, quando sentì un dolore intenso al petto. Vide la spada di Luppolo trafiggere John e sentì le mani di Cencio che lo circondavano per tentare di sorreggerlo.

Le sue vesti azzurre si tinsero di rosso, e poi non vide più nulla.

 

***

 

Grazie mille, sia a lili1741 sia a BiGi per le loro parole e il loro supporto *_* Mi fa sempre davvero piacere leggere i vostri commenti *_* E anche per il supporto a Chiaro, che è un personaggio complesso (complessato) e più tridimensionale di quello che appare all'inizio. E' stato un personaggio complicato da gestire, contenta che lasci il segno. Un bacione grande ad entrambe

 

  
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