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Autore: Roxyz    09/07/2008    4 recensioni
Questa è la mia prima fanfic...è ispirata a Twilight. La storia narrata da un Edward umano che ama una Bella vampira.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wow, quante recensioni!! Sono commossa...scusate per i miei errori, ma non sono mai stata una grande scrittrice sigh ;(...grazie anche a chi ha messo tra i preferiti, un bacione grande grande.


3

Strani incontri

Mentre mi trascinavo semi incosciente verso il mio appartamento, non riuscivo a levarmela dalla testa. Chi era questa ragazza? Perché mi attirava in un maniera tale da suscitare in me tutt’altro che la solita inevitabile freddezza? Concentrato nei miei pensieri cercando disperatamente di capire cosa stesse accadendo, quasi non mi accorsi di essere arrivato a casa.

Avevo ormai capito che era inutile tentare di distrarmi, perciò decisi di confidarmi con la sola persona che aveva sempre avuto libero accesso al mio cuore e alla mia mente. Presi la foto di mia madre, con mano incerta, avevo paura di rovinarla. Rividi i suoi occhi verde smeraldo, più brillanti e preziosi di diamanti puri, rivelare un calore e un amore per la vita straordinari, persino nei giorni bui, persino nelle sofferenze. I suoi occhi erano uguali ai miei, era l’unico ricordo vivo che avessi di lei, ma i miei erano freddi, tristi, indifferenti, glaciali, talvolta persino sprezzanti.

Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, la dicevano lunga su di me. Un bravo osservatore avrebbe capito senz’altro che non vivevo, ma tiravo avanti nell’attesa della Morte, nell’attesa del momento in cui speravo ardentemente di raggiungere l’unica persona che avessi mai amato. Ma l’angoscia m’invadeva struggente, quando pensavo che non sarei mai stato degno di un tale premio. Con la mente viaggiai nei felici momenti passati. Ormai, disgraziatamente da sin troppo tempo, era l’unico modo per trovare un po’ di serenità, nonostante fosse mista alla nostalgia. Del resto ero umano, e provavo dolore.

Cullato dal suo dolce ricordo mi incamminai verso il cimitero. Un’altra cosa che amavo di Forks è che la tomba di mia madre si trovava lì. Il cimitero poteva apparire spettrale, era ancora più verde del resto della cittadina e in alcuni momenti quando era deserto poteva sembrare che il vento sussurrasse, ma a me trasmetteva un senso di speranza e familiarità, e soprattutto non credevo alle leggende soprannaturali e a varie altre sciocchezze. Qualora ci fossero stati dei pericoli, la morte non mi preoccupava, non la fuggivo, non la scongiuravo. Accompagnato da un debole vento giunsi alla tomba di mia madre. Cercai di ricordare il suo dolce e caldo profumo, e cominciai a parlarle.

All’improvviso sentii una strana risata stridula, e vidi spostarsi una figura, con due occhi di un abbagliante e spaventoso rosso sangue. Cominciai a preoccuparmi, ma mi resi conto che forse non ero davvero immune all’atmosfera misteriosa e suggestiva del cimitero di Forks. Tuttavia una parte di me suggeriva che non era stata la mia immaginazione, perciò, ancora un po’ sconvolto, decisi di abbandonare il luogo che mi stava addirittura provocando spaventose allucinazioni e mi diressi verso casa. Accidenti. Qualcuno mi stava osservando, lei mi stava osservando. Combattendo con il desiderio bruciante di voltarmi e perdermi nel buio dei suoi occhi, evitai di controllare e alzai il passo.

Arrivato a casa, pensai di pranzare, forse era la fame a farmi vedere i fantasmi. Poiché non mi andava di mettere a soqquadro la cucina per avere in cambio qualcosa di misero e disgustoso vagamente somigliante a del cibo, decisi di andare in un qualche posto fuori da Forks, chissà, magari un’aria nuova mi avrebbe giovato. Mi stupii di come stavo cambiando. Solo qualche giorno fa non avrei nemmeno preso in considerazione una simile eventualità. Perciò sperando che il rottame ce la facesse imboccai l’autostrada per Port Angeles. Mi fermai alla prima pizzeria che trovai davanti, sicuro che non facesse molta differenza. Errore, grave errore.

Entrai in un postaccio dalle dimensioni quasi uguali a quelle della mia cucina, umido e sicuramente il contrario del buon gusto. Chissà se non era meglio tornare a casa, pensai, se non altro lì sapevo cosa potevo aspettarmi. Ancora incerto sul da farsi, una voce che ormai avevo imparato a sopportare mi distolse dai miei pensieri.

“Che ci fai qui? Ti facevo un tipo solitario, Ed.”.

Ed? Come mi aveva chiamato? L’irritazione stava per farmi scattare i muscoli. Respirai e cercai di non essere troppo scortese, almeno non più del necessario, mi dissi.

“Buonasera anche a te. Non avevo proprio voglia di cucinare, oggi.”.

Ma forse era meglio se ci avessi ripensato prima, invece di finire in questa bettola e incontrarti, pensai evitando accuratamente e soprattutto faticosamente di tradurre ad alta voce le mie reali intenzioni.

“Grandioso, allora! Vieni, sono con degli amici. Ti piaceranno, vedrai.”.

Certo, come no. Se erano suoi amici, come avrebbero potuto non piacermi? Mi feci trascinare ad un altro tavolo, dove sedevano fin troppe persone per i miei gusti. Qualcuno avevo già avuto il ‘piacere’ di incontrarlo a scuola, ma gli altri erano tutti sconosciuti.

Emanavano un’aura diversa dalla gente comune, sembravano in simbiosi tra di loro, come fossero tutti fratelli. Erano tutti altissimi e muscolosi, con la pelle abbronzata e rossastra, parevano quasi degli orsi. Sicuramente mi incuriosivano più degli altri, ma sentii da subito di non poterci avere molto in comune. Ovviamente Mike non tardò a presentarmeli uno ad uno. Erano giovani Quileute della riserva indiana di La Push, quasi tutti di sedici anni, tranne due di diciassette ed uno di diciannove. Faticai a crederlo possibile, dimostravano tutti almeno venticinque anni. Pensai che forse ero troppo sconvolto per formulare considerazioni coerenti, e probabilmente era anche per questo che avevo avuto l’assurda idea di andare a mangiare in un locale. Controvoglia ma inevitabilmente, mi sedetti al loro tavolo.

Una cameriera accorse al tavolo. Una ragazza come le altre, evidentemente sicura di sé, banale come non mai. Che noia questa gente. Mi venne in mente di nuovo lei, ma mi scossi dai miei pensieri sentendo la voce bassa e che tentava di essere attraente della cameriera.

“Ciao. Cosa posso portarti?”

“Buonasera. Mi scusi, signorina, potrei avere un menu?”

“Certo, arrivo subito.”. Probabilmente tentando di fare colpo, sfoderò un sorriso che probabilmente per chiunque altro sarebbe stato coinvolgente, ma che con me non faceva alcun effetto. Come al solito lasciai stare, ma non avevo calcolato Mike e le sue uscite irritanti.

“Ehi Edward, hai visto quella sventola?”

“Mh? Ah la cameriera. Allora?”

“Ti ha lanciato un’occhiata...”

Impiccione. Fatti gli affari tuoi.“Non è proprio il mio tipo.”

“Bè, è un vero peccato. Sapete ragazzi, Edward attira in un modo incredibile le ragazze. Beato lui, eh?”

“Già.”

“Dì la verità, sei rimasto folgorato dalla splendida Cullen? Non c’è che dire, ti accontenti di poco!”

Colpito e affondato. Forse questo Mike non era poi così stupido. Certo che se credeva di zittirmi, non aveva ancora capito chi era Edward Masen... “Può darsi, Mike. E’ un problema?”

“Ehi, ehi, tipo da compagnia, sciogliti un po’, non è il caso di scaldarsi troppo.” Questa voce era nuova, com’era prevedibile. Mike non sarebbe certo stato in grado di rispondere così. Nonostante fossi un po’ sorpreso, trovai da subito irritante quel tono da controllore. Lo guardai istintivamente torvo, ma non volevo risse, per fortuna la voce di un altro del suo “branco” intervenì. “Su calmiamoci, siamo tra amici qui, no?”

Certo, tra amici. Inaspettatamente l’altro si calmò, come avesse ricevuto un ordine da un suo superiore. Che strani tipi. Dopo aver ordinato ed essere rimasto ad ascoltare passivamente i noiosi soliti discorsi dei ragazzi con cui ero costretto a stare in quel momento nell’attesa della maledetta pizza margherita che sembrava non arrivare mai, mangiai immerso nei pensieri che quel giorno mi tormentavano senza sosta e tentai di ripensare lucidamente a quella strana visione al cimitero.

Finita la pizza, che non era poi così immangiabile, ma forse solo per la fame, decisi che potevo anche levarmi di torno questi tipacci.

“Mike, devo proprio andare adesso. Non vorrei far tardi a lavoro. Spero che tu capisca.”

“Oh, certo. Ah comunque sei sempre dei nostri per sabato?”

“Come no. Potrei mai rifiutare?”

“Certo che no” Rise sguaiatamente. “Vieni davanti al mio negozio sabato mattina. Pensi di potercela fare?” Ero forse stupido? No, era lui che era indecentemente seccante. “Sicuro. Ci vediamo, ciao.”

Uscii sentendomi finalmente libero e tornai immediatamente al mio pick up. Per quel giorno ne avevo avute abbastanza di seccature, perciò alla massima velocità che potevo ottenere dal mio mezzo ripresi la strada del ritorno al paese che mi stava cominciando a preoccupare seriamente.

  
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