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Autore: Heaven_Tonight    06/04/2014    16 recensioni
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare.
Cogliendo la sua vera essenza.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo ventisei

"La stessa Luna"






«Ancora!» – Lilly aprì un occhio prendendole di nuovo la mano.
Piccola peste! Credeva che sarebbe crollata dopo una giornata stancante passata a giocare nel giardino di Katia e invece eccola lì, che ancora resisteva chiedendole un’altra favola.

«Mettiti vicino a me, Luly!» – sbottò infastidita la piccola.
«Non fare i capricci, Evangeline.» 

Mormorò Lou usando il nome per intero come quando non voleva scherzare e fare sul serio, tornando poi a stendersi accanto alla bimba che s’infilò sotto il suo braccio.
«Non andare via.»
Lou rimase in silenzio e la strinse a sé tornando ad aprire il libro di favole preferito di Lilly.

«Sono qui, non vado via.»
«Me lo devi promettere.»
«Piccola, lo sai che devo tornare a casa mia, vero? Sai che ci sono lo zio Simone e lo zio Pepè che mi aspettano? E poi devo andare a lavorare, come fa il tuo papy.»
«Sì, ma perché non vai a lavorare insieme al mio papy, così tu stai qui con me e non con gli zii? Loro ci sanno stare senza di te, noi no.»
«Tesoro…»

«Perché non vuoi essere la mia mamma? - Lilly si girò a guardarla imbronciata con le sopracciglia scure aggrottate – Non puoi essere quella mamma che si vede e non è in cielo e stare qui con me?»
«Ma io non sono la tua mamma, Lilly. Questo te l’ho già detto, ricordi? – chiese Lou ingoiando il groppo enorme che le si era formato in gola – La tua mamma era la mia migliore amica, come per te è Valentina. Ed io le ho promesso di tenerti d’occhio perché la tua mamma sapeva già che eri una piccola peste. Ma io ci sono sempre e vengo spesso qui da te.»
«Sì, ma perché non possiamo venire noi da te, a casa tua, allora?» – insistette la piccola infilandole i capelli dietro l’orecchio esattamente come faceva Lou quando le parlava.
«E lasceresti qui Calzetta e Valentina e il carro? E il mare con le sirene?» – le sorrise sforzandosi di non piangere.
Il piccolo cagnetto rossiccio dal pelo quasi completamente fulvo eccezion fatta per il musetto bianco e le zampette - particolare che aveva dato origine al suo nome poiché sembrava portasse quattro piccole calzette - alzò le orecchie sentendo il suo nome e prese a scodinzolare dal fondo del letto di Lilly dove dormiva di solito.
Karl lo aveva quasi investito con la sua auto una sera di tre anni prima tornando a casa dal lavoro e dopo averlo salvato, Mara aveva insistito perché rimanesse in casa con loro.

“Ai bambini fa bene crescere con degli animali: imparano il rispetto tra esseri viventi. E a prendersi cura l’uno dell’altro”.

La sua splendida Mara. Così generosa con tutti.
«Calzetta però potrebbe venire…» – mormorò Lilly sbadigliando.
«Ti prometto che staremo insieme più tempo quando torno la prossima volta, ok?»
«Lo dici sempre ma poi invece non vieni mai…» – Lilly tentava di perorare la sua causa resistendo al sonno che stava sopraggiungendo, chiudendo a riaprendo gli occhietti per puntarglieli addosso, accusatori.

Lou sorrise intenerita dalla testardaggine della sua piccola peste.
Le accarezzò il centro della fronte con un dito sapendo quanto le piacesse e che sarebbe crollata di lì a poco.


«Mi dovevi raccontare la favola del Principe della Torre…»
«Te la racconterò domani…»
Rimase a cullarla per molto tempo, ascoltando il suo respiro di bambina.
Le baciava i capelli accarezzandole la testa piena di riccioli ingarbugliati dalle fatiche dei giochi e dal gelato che aveva mangiato quella sera, spiaccicato un po’ ovunque per tutta la casa.

La piccola lampada azzurra continuava a girare proiettando forme di stelle e lune sul soffitto e le pareti.
Fin da quando era piccola Lilly, odiava le bambole: ne aveva paura e gli unici giocattoli con cui si divertiva erano i peluche e in seguito quando era cresciuta abbastanza da tenere in mano una matita, la sua passione erano diventati i colori e gli album da colorare.
Lou si guardò intorno, rendendosi conto che la stanza di Lilly era pressoché rimasta immutata da quando lei non viveva più con loro.
Andare via lontana da Lilly e dalla vita semplice di quel posto le era costato molto più di quanto avesse mai pensato.

Quasi quanto andare via da Helsinki. E da Ville.
Pensare a lui dopo tutto quel tempo… con la stessa forza e la stessa passione immutata.
Non le faceva più così male pensare a lui.
Quasi.

Ville era sempre nei suoi pensieri, sullo sfondo della sua quotidianità, nella routine caotica di una grande città come Roma; al margine di ogni giornata quando lei si chiudeva la porta alle spalle e non trovava che il silenzio di un appartamento vuoto ad aspettarla.
Neanche un piccolo gatto nero altezzoso ed elegante a farle le fusa o rifiutare sdegnosamente le sue coccole, come faceva la sua bellissima Katty…
Credeva di averla superata, che il tempo avesse cancellato il ricordo di lui o perlomeno affievolito i suoi sentimenti.
E a volte ci credeva così tanto che riusciva perfino a ridere e guardare un altro uomo e trovarlo attraente.

E poi… quando pensava che il tempo stesse facendo il suo decorso naturale, lui tornava nei suoi sogni.

******


“Apri gli occhi, ‘Prinsessa’… guardami…”.
Respirava a stento.
Sapeva che era un sogno, eppure apriva gli occhi e lo guardava.
E lui era lì, davanti a lei.
E sentiva l’odore della sua pelle.
Riusciva persino a individuare le piccole macchie giallo oro nei suoi occhi verdi che la fissavano così freddamente.
“Non una parola. Neanche una parola avevi da dirmi?” – le chiedeva a voce bassa inclinando la testa di lato, stringendo gli occhi.

La bocca si piegò in una smorfia che voleva essere ironica e invece risultava piena di risentimento.
“Ville…”.
All’improvviso lui le era così vicino da sentire il suo respiro sul viso.

“Io ti voglio ancora”.


Non lo diceva come aveva fatto tante volte in passato: sussurrandolo con la sua voce suadente, seducente.
Lo diceva come amara constatazione.
Come se gli costasse ammetterlo e lo stesse buttando fuori a fatica.

“E tu… pensi mai a me? Mi desideri ancora, come io voglio te?
Ti senti mai come se ti mancasse qualcosa e non riesci a capire cosa sia?
Ti svegli mai la notte con la sensazione che accanto a te dovresti trovare il corpo caldo di qualcuno?
Ti svegli mai così tesa dal desiderio di perderti dentro quel qualcuno e invece soffochi dentro te stessa quando prendi coscienza che sei sola e che il tuo desiderio non sarà mai alleviato?
Che non troverai mai, mai sollievo?
Dimmelo ‘Prinsessa’ ".

La mano di Ville si chiudeva intorno al suo collo, il pollice che scorreva lento lungo la vena che pulsava furiosa svelando il battito frenetico del suo cuore.
Lei non riusciva a parlare.
Guardava fisso le sue labbra che si muovevano, poi gli occhi… le ginocchia erano così deboli che temeva potessero cederle da un momento all’altro.
Intorno a loro c’era il vuoto.
Lei non vedeva altro che Ville in mezzo a quella nebbia che fluttuava intorno a loro.

Poi lo scenario cambiava e lei sentiva la pioggia sul suo viso e altrettanto all’improvviso si rendeva conto di essere nuda.
Provava a sollevare le mani a coprirsi il seno, ma sembrava che non avesse più il controllo sul suo corpo.Ora Ville si spostava facendo un passo indietro per osservarla meglio, gli occhi che scivolavano lungo il suo corpo nudo, soffermandosi sul seno, sulla pancia e ancora più giù... la mano restava ancora chiusa delicatamente intorno al suo collo, col pollice che continuava ad accarezzare lento su e giù.

“Alla fine è solo questo che ho avuto da te. Non mi hai mai dato altro.” - diceva con una punta crudele nella voce.
“Non è vero.” – sussurrò lei.
“Non è vero!– la canzonò lui imitandone il tono, saettando con gli occhi verdi fino ai suoi – Oh, sì che è vero. Ti sei ben guardata dal darmi altro.”.

Lei scuoteva la testa incapace di emettere suono.
”Non era solo questo. Era molto di più… e non ho mai dimenticato. Non ho mai smesso di pensare a te, Ville. Ti sbagli.”.
Lui la tirò bruscamente verso di sé stringendo la mano sul collo incurante se le facesse male o meno, guardandola dall’alto in basso.
“Sei così brava a mentire. Brava quasi quanto me.”.
Facendo uno sforzo che sembrò quasi sovrumano, sollevò una mano per posargliela sul braccio che le stringeva il collo.

“Non ti ho mai mentito.”.
Ville sorrise tirando la bocca in un ghigno così diverso da quello che lei conosceva bene.

“Eri come tutte le altre, né più né meno.”.
Ville non le aveva mai parlato così.

Del resto non lo aveva mai visto così arrabbiato con lei, così deluso e ferito.
Lei fece scorrere le dita lungo il suo braccio, lungo le vene che sporgevano, sfiorando i tatuaggi che ricoprivano la sua pelle.

“No Ville… le altre donne forse hanno combattuto per te.
Avranno fatto follie per te, pur non amandoti come forse ti amavo io.
Io, che non potevo essere quella che tu volevi.

Non ero una donna completa e quello che sognavi con me non ci sarebbe mai stato.
Ed io non avevo abbastanza fiducia in me, in noi, in ciò che mi dicevi, per rischiare fino alla fine.

Io.
Che sono semplicemente stata troppo egoista per rinunciare a qualcosa che fin dall’inizio sapevo non sarebbe mai stato mio.
Ho scelto tra te e Lilly.
Ho scelto lei nel momento stesso in cui l’ho presa tra le braccia la prima volta e guardavo la mia migliore amica spegnersi di giorno in giorno.
Ho scelto di restare e continuare a stringere quella bambina a me, l’unica figlia che avrei mai avuto.
Ho scelto di illudermi di poter avere qualcosa che non mi spettava.
Ho scelto lei perché non credevo abbastanza nel tuo amore.
Ho sempre pensato che tu avevi qualcosa cui aggrapparti, qualcosa che ti faceva andare avanti, nonostante tutto. Tu avresti avuto sempre la musica, il vero amore della tua vita… mentre io non avevo che te.
E avevo paura.
Non sono scappata via da te. Ho scelto. E ho sbagliato. E ho perso entrambi.
A volte non è proprio possibile rimanere, anche a costo di spezzarci il cuore da soli.”
Era consapevole che fosse solo un sogno.
E nei sogni lei riusciva sempre a dirgli tutto, a dirgli ciò che sentiva, ciò che era solo nel suo cuore, anche se lui la guardava con quello sguardo che la trafiggeva. Alla fine lei gli parlava e lui era pronto ad ascoltarla, anche se era furioso e deluso…
Ville le guardava la bocca.
E lei ricordava bene quello sguardo, come se non fossero passati quattro anni, ma quattro minuti dall’ultima volta che quella bocca si era posata sulla sua.
Quello sguardo che la marchiava come sua, senza possederla.
Che la sondava senza toccarla.
La mano sul collo allentò la stretta e scese pian piano sulla gola, in mezzo ai seni, sullo stomaco che si contrasse al contatto con le dita, il pollice disegnò cerchi intorno all’ombelico, il palmo della sua mano così calda sulla sua pelle fredda, la fece rabbrividire ancora di più.
Ville spostò gli occhi dalla bocca fissandoli nei suoi, incatenandola.

E la mano che si insinuava al contempo fra le cosce, le dita affondate dentro di lei, la facevano boccheggiare. “Fa l’amore con me, ‘Prinsessa’.”.
“Ville…”.
“Ripetilo. Dì il mio nome.”.
Ora il viso era vicinissimo al suo e lei poteva sentire il suo respiro sulle labbra.
Ma non la baciava ancora.
“Baciami!” – urlò dentro la sua testa.
“Ville.” - ansimò.

Lui ghignò vittorioso e la sua bocca scese lenta sulla gola, in mezzo ai seni, ripetendo il percorso della mano qualche istante prima.
La lingua giocherellò intorno all’ombelico, guizzando lentamente.
Lei gli afferrò la testa infilando le dita tra i boccoli, tirandogli i capelli con entrambe le mani quando la bocca scese ulteriormente prendendo il posto delle dita.

“Dì il mio nome…”.
“Ville… Ville…”.


Lou si svegliò di scatto ansimando.
Rimase qualche istante con il fiato sospeso, il corpo coperto di un leggero velo di sudore e il battito del cuore impazzito.
La terribile sensazione della realtà che prendeva il posto del sogno arrivò immediatamente, il languore cedette il posto alla fredda consapevolezza che era sola.

Tremava ancora e chiuse le gambe gemendo impotente.
Si portò le braccia sul viso, coprendolo.
L’eccitazione fisica scemava lentamente lasciandole l’ormai familiare compagnia di un desiderio non appagato.

Era ancora notte fonda e lei aveva perso completamente il sonno che invece desiderava così ardentemente.


Era l’unico posto in cui vedeva Ville. E a volte anche Mara.

*"Quando sogno vedo solo te..."

Non faceva che sognarlo di continuo in quei giorni.
Si girò su un fianco cercando un po’ di fresco che non arrivò.
Nonostante tutte le finestre fossero aperte, quella stanza sembrava un forno.
Aprì di nuovo gli occhi fissando il soffitto, notando un ragnetto minuscolo che intesseva solerte la sua tela.

“Domani ti ammazzerò, ma stanotte sei salvo.”.
Si alzò sbuffando e uscì dalla stanza, dirigendosi silenziosamente in veranda.
La casa era immersa nel silenzio.
Finalmente un po’ di refrigerio!

L’aria pungente che veniva dal mare davanti a lei le sembrò un paradiso.
Guardò la spuma chiara che si formava docile sulla riva e le piccole onde nere.
Il dolce rumore le infuse immediatamente calma, quando si sedette sulla sdraio preferita di Mara.
Ricordava con tristezza i pomeriggi passati su quella veranda con Mara a chiacchierare per ore di lei, di Ville e della sua vita in Finlandia; le raccontava del sig. Korhonen e di Nur, di Katty e di Julian… le descriveva con minuziosi dettagli il posto in cui viveva.

La strada che separava la casa dove viveva con la sua Nur da quella dove invece c’erano il dolce sig. K. e poco più in là, Ville… e la sua splendida Torre.
Che non aveva mai visto.

La strada che la portava alla piccola spiaggetta con il molo di legno, dove non era più andata dai primi tempi in cui viveva a Helsinki. Ci era tornata solo l’ultimo giorno.
Aveva salutato in quel modo quella terra che aveva imparato ad amare come se fosse la sua.

Le aveva descritto il bosco appena dietro la torre; le descriveva i colori che gli alberi e la terra assumevano di stagione in stagione, dei piccoli scoiattoli che giravano liberi e indisturbati tra le case.
Le raccontava di come fosse calmo e silenzioso quel posto.
E di quanto amasse l’intera città, con la sua semplice bellezza pulita.
Le raccontava quanto le piacesse stare seduta davanti alla “Dama Bianca”, come aveva ribattezzato la Cattedrale che dominava la piazza rettangolare di
Senaatintori e tutta Helsinki, uno dei simboli di quella città; dei simpatici venditori di souvenir del porto, dell’aria gelida del mare del Nord che ti faceva lacrimare gli occhi.
Sospirò alzando gli occhi al cielo, dove una luna spettacolare brillava in tutta la sua bellezza.
Quel sogno con Ville la turbava, come ogni volta che sognava di lui.

Evitava di chiederselo, evitava di cedere alla tentazione di sapere cosa stesse facendo.

Martina quel pomeriggio le aveva detto con entusiasmo incontenibile che il nuovo tour della band avrebbe toccato anche l’Italia di lì a qualche mese.
L’idea di sapere Ville così vicino le aveva mozzato il respiro, tanto che era sbiancata in viso, facendo preoccupare Katia.
Il solo pensiero di saperlo raggiungibile in poche ore la faceva sentire male.
Si chiese se effettivamente Ville si ricordasse di lei dopo quattro anni.
Dopotutto non era stata che una meteora nella sua vita. Non pretendeva che lui pensasse a lei.


“Chissà se davvero pensi mai a me, Ville… se hai dimenticato il colore dei miei occhi, o l’odore della mia pelle. Chissà se ricordi che c’è stata una stupida ragazza italiana che un tempo chiamavi “Prinsessa”… Chissà se mi hai perdonata per essere sparita mettendoti davanti alla mia scelta.
Per non averti detto “Ti amo” tante volte quante invece avrei voluto fare.
Per non aver avuto il coraggio di tornare da te quando ancora c’era la possibilità di farlo…
Per non averti amato abbastanza da mettere da parte Lou per una volta, l’unica volta forse in cui ne valeva davvero la pena e darti il mio cuore, me stessa…”.
Fissò la luna con gli occhi appannati.
E non era il vento gelido del mare finlandese stavolta a riempirlo di lacrime.
Da qualche parte Ville era sotto la stessa luna.


“Prego per te, Ville.
Prego perché tu sia felice ogni giorno.
Perché tu possa avere tutto ciò che vuoi, perché la tua splendida anima possa riscaldare tutti quelli che hanno la fortuna di essere parte della tua vita, come hai fatto con me.

Prego per te ogni giorno, da quattro anni, perché qualcuno si prenda cura di te e della mia Katty.
Che vi ami quanto vi amo io.
Il solo fatto di sapere che tu sei parte di questo mondo, rende sopportabile tutto.
Il solo fatto di averne fatto parte, anche se per poco, me lo farò bastare per il resto della mia vita.
I will pray for you, Ville…”.
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I sentimenti che provava, tutto ciò che si agitava in fondo al suo cuore, erano come una miriade di sassolini.
Ogni ondata li scompigliava, li rimescolava, li faceva cozzare l’uno contro l’altro, provocando dolore.
Ma rimanevano lì, nel fondo.

Pesando sulla sua anima.




******








"Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!
Spero l'attesa non sia stata troppo lunga, ma come qualcuno ben sa la Musa fa come sempre la bastarda, per cui passano settimane senza che riesca a buttare giù una qualche frase, mentre poi ci sono giorni che scrivo di getto dieci pagine di fila, come è successo nelle ultime ore.

Mettiamoci che da un mese annaspo tra virus e influenze e avete un quadro completo del mio stato mentale e fisico! :)

Comunque sia, eccoci di nuovo qui, con le mille paranoie di Zarda e i suoi ricordi dolorosi su Ville.
Qualcuno sta fremendo per farla tornare tra le braccia rinsecchite del Valo... diciamo che ci sono velate minacce di far finire le cose bene... ma dovreste sapere che la sadica non vi darà soddisfazione. U_U



Ringrazio come sempre le mie due Beta:
Deilantha e eleassar . Vi amo donne, sapevatelo.


Poi come sempre le mie affezionate lettrici che hanno commentato l'ultimo capitolo:

LaReginaAkasha, Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon.

Grazie e benvenute/o anche a DarkViolet92, cimetempestose, e Aven90, nuovi lettori.

Ultimamente sono parecchio in fissa con gli Anathema, gruppo che ha accompagnato gli HIM nell'ultimo tour e come sempre, le fisse io le condivido sempre con altre paz.. ehm, amiche... so che più di una apprezzerà la cosa; per questo capitolo e il prossimo ho ascoltato a manetta Anathema - Weather Systems e in particolar modo Untouchable, Part 1 + *Part 2 - Anathema che amo alla follia e dalla quale ho citato una frase e nel prossimo userò una parte della song per il titolo. (spoiler) ;)

Penso che descrivano al meglio lo stato d'animo di Lou in questo momento della sua vita.

Non aggiungo altro... aspetto con ansia i vostri pareri!


Alla prossima!
Baci baci,


*H_T*







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