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Autore: legy925    07/04/2014    1 recensioni
Jess è una sedicenne come tante, con problemi come tante: la scuola, la famiglia, i compagni. Ma tutto questo sta per cambiare. Presto scoprirà di possedere un potere da cui dipenderanno le sorti del Monte Olimpo e degli Dei dell’Antica Grecia.
Perché lei è la Detentrice della Piuma di Pegaso e solo lei può impedire ad Ade di attuare il suo piano per impossessarsi dell’Olimpo.
Armata solo della sua mente e della sua inventiva, riuscirà a battere Ade e il suo alleato Ares nella battaglia per l’Olimpo?
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Questa storia è in via di pubblicazione così, per farla conoscere un pò, ho deciso di pubblicare i primi tre capitoli. è il mio primo romanzo originale e spero possa piacere. Per essere aggiornati sulla pubblicazione visitate la pagina facebook di Pegaso's Feather :)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1 – Ritardi e punizioni

Jess Cooper salì la grande scalinata di marmo delle scuola, fiondandosi a capofitto lungo l'atrio dal lungo colonnato candido e fermandosi con uno scivolone davanti alla III D, bloccandosi a riprendere fiato.
Dall'aula, con la porta già chiusa, giungeva la voce della professoressa Hamilton, l'insegnante di letteratura, intenta ad illustrare alla classe il proemio dell'Odissea.
Jess sospirò due volte, cercando di rallentare il battito del suo cuore, passandosi le dita fra i capelli castano scuro nel disperato tentativo di sistemarli, dopo di che bussò e aprì la porta, facendo il suo ingresso nell'aula.
La professoressa Hamilton, una donnetta bassina e grassottella, si bloccò, il voluminoso libro in mano, piegando in avanti la testa e osservando la ragazza da sopra gli occhialetti rotondo cerchiati di metallo.
«ben arrivata, signorina Cooper. Le pare questa l'ora di presentarsi in classe?» chiese, con la sua voce acuta e petulante.
«mi scusi. Ho avuto un problema con la bicicletta. Non accadrà più» rispose Jess, a testa bassa, ripensando con rabbia alla sua bicicletta che aveva trovato, per la terza volta di fila, con la gomma posteriore bucata da un profondo taglio evidentemente volontario.
In giro ci doveva essere qualcuno che aveva deciso di prenderla di mira e voleva renderle la vita impossibile, entrando il mattino presto nel giardino di casa sua e tagliandole la gomma.
Quel pomeriggio, si era ripromessa, avrebbe chiesto alla madre di poter tenere la bicicletta nel salotto per la notte, al sicuro da questo vandalo che la faceva arrivare in ritardo alle lezioni.
Sperando che la Hamilton non infierisse ulteriormente sul suo ritardo e la mandasse a posto, Jess rimase immobile in attesa di un cenno dell'insegnate, ma evidentemente la professoressa non era della stessa opinione.
«è la terza volta questa settimana che arriva in ritardo. E siamo solo a mercoledì!» commentò sarcastica, provocando uno scoppio di ilarità tra i compagni.
Jess si sentì avvampare, mentre con la mano sinistra stringeva il pugno all'interno della tasca dei jeans, dove teneva il suo portafortuna: una piccola pallina di stoffa gialla imbottita con su ricamata in rosso la lettera J.
Ogni volta che era nervosa o arrabbiata la stringeva convulsamente, scaricando così la rabbia sulla pallina e non sulla professoressa che la stava mettendo in ridicolo davanti all'intera classe.
La Hamilton non si accorse della reazione di Jess, troppo intenta a cercare il punto a cui era rimasta sull'Odissea per riprendere la lezione, mentre la ritardataria raggiungeva il suo posto in fondo all'aula, nel banco isolato da cui poteva fare ciò che più la aggradava senza che i professori o i compagni si interessassero a lei.
Era sempre stato così, fino dal primo anno: Jess Cooper, la solitaria, seduta in fondo all'aula senza parlare con nessuno; Jess Cooper seduta da sola a mangiare un panino sotto l'albero di ciliegio nel giardino della scuola, mentre gli altri ragazzi sono in mensa tutti insieme; Jess Cooper che torna casa in bicicletta, da sola, mentre gli altri studenti prendono insieme il pullman.
Aprì il suo zaino e ne tirò fuori l'astuccio e un blocco su cui iniziò a prendere degli sporadici appunti, intervallati da disegnini e piccole frasi che le venivano in mente.
Pochi minuti dopo, la voce monotona e cantilenate della professoressa Hamilton fece cadere la classe intera in una sorta di assopimento collettivo, con gente dallo sguardo perso nel vuoto o con gli occhi semi chiusi che fissavano senza vederlo il libro di letteratura aperto ad una pagina a caso.
Jess, con la testa appoggiata alla mano destra e la mano sinistra che impugnava la matita, si mise a disegnare un piccolo schizzo di un parco, con le coppiette che passeggiavano e mamme che spingevano carrozzine fino ad un minuscolo parco-giochi, dove dei bambini giocavano.
La ragazza aveva sempre avuto un gran talento per il disegno, che l'aiutava a calmarsi e a pensare con maggiore chiarezza: lasciava vagare la mente senza una meta precisa, sentendo i pensieri che si susseguivano come le onde del mare che si alternano sulla spiaggia, con movimenti lenti e uniformi.
Degli  improvvisi colpi alla porta e lo scatto della maniglia la fecero, distogliendola dai suoi pensieri e portando la sua attenzione verso i nuovi arrivati.
Sulla porta vi erano due persone: uno era il preside Sanders, un omone alto e robusto, con una folta barba castano scuro che gli arrivava fino al petto e i capelli lunghi e ondulati che gli sfioravano le spalle.
Da solo riusciva ad occupare l'intero vano della porta, celando alla classe l'altra persona che era con lui.
L'uomo fece scorrere lo sguardo sugli studenti, che si erano alzati in piedi di scatto, improvvisamente attenti e svegli, posandolo infine sulla professoressa Hamilton, che si alzò dalla cattedra e si avvicinò al preside, salutandolo con deferenza.
Il preside rispose con un cenno, spostandosi di lato e permettendo all'altra persona di entrare.
Era un ragazzo della loro età ma di una bellezza che lasciò Jess senza fiato.
I capelli mossi, di un biondo dorato che apparivano come oro alla luce che entrava dalla finestra, erano ordinati e lucidi, ricadendogli in morbide onde attorno al viso dai lineamenti decisi, dove due splendidi occhi ambrati scorrevano sulla classe, mentre un sorriso gentile gli increspava le labbra ben disegnate.
Il fisico era alto e muscoloso, ma non pompato come i bulli che stavano fuori da scuola a fare casino.
Sembrava avere più un fisico da divo del cinema o, come pensò Jess, da Dio greco, con la pelle leggermente abbronzata che si scorgeva dal collo della camicia sbottonato.
Il ragazzo fece correre nuovamente lo sguardo sulla classe, fermandolo poi su Jess, che rimase bloccata a fissarlo, la matita a mezz'aria e gli occhi verde scuro fissi in quelli di lui.
«questo è James White, e da oggi sarà un vostro compagno. Spero che lo accogliate bene all'interno di questa classe» disse il preside Sanders, posando una mano sulla spalla del ragazzo e dandogli una spintarella avanti, mentre la professoressa Hamilton gli mormorava un «siediti pure dove vuoi, caro».
James prese la sua borsa e si avviò fra le due colonne di banchi, tenendo gli occhi puntati su Jess, e prendendo posto nel banco vuoto accanto a lei.
La ragazza lo guardò perplessa, mentre lui si sedeva sulla sedia e le sorrideva, facendole un piccolo cenno di saluto con la mano.
La Hamilton, dopo che il preside si fu congedato, prese l'Odissea e riprese, per la terza volta, la lettura del proemio.
Il silenzio assonnato che era stato interrotto dall'arrivo del nuovo studente tornò a regnare sull'aula, mentre gli studenti tornavano a vagare con la mente nell'iperspazio senza degnare la professoressa di uno sguardo.
Jess riaprì il suo blocco, cercando di tornare al suo disegno, ma la presenza del ragazzo a fianco a lei la deconcentrava.
Più di una volta sollevò lo sguardo su James e fissò il suo profilo perfetto, i suoi occhi chiari che fissavano la professoressa, le sue mani dalle dita lunghe e affusolate che stringevano la penna con la quale prendeva appunti con una scrittura piccolissima ma precisa e ordinata.
Era davvero incantevole e, per quanto la ragazza aveva la tendenza a diffidare dei ragazzi troppo belli in quanto avevano la tendenza a gasarsi e a trattarla con fare arrogante, si sentiva attratta da lui.
Si era fermata a pensare tutte quelle cose con lo sguardo fisso sul volto di James, che si voltò all'improvviso, sorridendole gentilmente.
Jess voltò di scatto la testa, posandola sul foglio e sentendo un incontrollabile rossore salirle lungo le guance, tingendole di rosso purpureo.
James rise sommessamente, facendo  vergognare ancor di più Jess, che sprofondò nel banco, desiderando con tutto il cuore che una voragine si aprisse sotto di lei e la risucchiasse nelle profondità della terra, portandola via da quel luogo.
Come a rispondere al suo comando, le piastrelle sotto di lei iniziarono a tremare, sfaldandosi inesorabilmente e trascinando Jess e tutto il banco in una voragine oscura.
Tentò di aggrapparsi al bordo, ma le mani incontravano solo una sorta di sostanza fumosa del colore della pece, che le impediva di trovare appiglio.
La ragazza tentò di urlare, ma la voce le era improvvisamente sparita.
Ormai era sprofondata fino alla vita, rimanendo fuori con le braccia e la testa.
Si era ormai rassegnata a cadere in quel pozzo senza fondo che si era aperto sotto i suoi piedi, quando avvertì qualcosa di bollente afferrarle saldamente il braccio, ustionandole la pelle e bloccando la sua inesorabile caduta.
Quando sollevò lo sguardo, Jess vide James che la teneva per un braccio, il volto vicinissimo al suo, con negli occhi ambrati una scintilla incandescente che pareva un piccolo fuoco che ardeva nel suo sguardo.
Il pavimento sotto di lei si richiuse di colpo, mentre la sensazione di bruciore al braccio svanì gradualmente, lasciandole un senso di sollievo in tutto il corpo.
Jess sollevò lo sguardo sulla classe, aspettandosi di vedere facce spaventate e terrorizzate che la fissavano sgomenti, invece sulla classe regnava il solito clima di torpore di poco prima.
La ragazza si voltò verso James, credendo di essersi sognata tutto, ma notò il suo volto leggermente più pallido di poco prima e una goccia di sudore che gli scendeva lungo il collo, sparendo nello scollo della camicia.
«ma cosa...?» esclamò Jess, scattando in piedi e rovesciando indietro la sedia, che si schiantò a terra facendo sobbalzare tutti i compagni semi assopiti.
La forte esclamazione attirò l'attenzione della Hamilton, che la fissò da sopra i suoi occhialetti tondi.
«signorina Cooper, qualcosa non va?» chiese la professoressa, calma.
«ma...io...il pavimento...ma cosa...!» cercò di dire Jess, ma l'occhiata della Hamilton servì a zittirla.
La professoressa la fissò perplessa, poi sorrise sarcastica e commentò:
«ho come l'impressione che qualcuno si sia divertito ad addormentarsi durante la mia lezione. Bene. Credo che la signorina Cooper sarà molto contenta di finire il suo sogno durante le due ore di studio supplementare che dovrà scontare questo pomeriggio»
Nessuno, nella classe, si prese il disturbo di far notare alla Hamilton che Jess non era l'unica che si era addormentata durante la sua lezione, e così la professoressa scrisse l'appunto sul registro indisturbata.
Jess fece per aprire la bocca, ma incontrò lo sguardo di James che le sussurrò:
«preferisci scontare la punizione e passare per una che ha fatto un brutto sogno, o raccontare tutto e passare per una pazza, scontando comunque la punizione?»
La ragazza non rispose, sedendosi sulla sedia e sprofondando la testa fra le mani, passandosi le dita fra i capelli castani e sugli occhi.
Si sfregò gli occhi verdi, sospirando e prendendo in mano il blocco, notando che James era chino su di esso, fissando interessato i suoi disegni.
Avvicinò il volto ad un disegno del giardino della scuola, con i ragazzi seduti sull'erba e l'albero di ciliegio che spargeva ovunque i suoi delicati petali rosa.
«li hai fatti tu?» le chiese il ragazzo, sfiorando con le dita affusolate i tratti a matita che comparivano sul foglio.
Jess annuì, notando come lo sguardo di James non fosse propriamente ammirato, bensì preoccupato.
Era sul punto di chiedergli qualcosa a proposito di ciò che era appena successo, quando il suono della campanella ruppe improvvisamente il silenzio, seguito da un forte rumore di sedie e banchi strusciati sul pavimento e il chiacchiericcio degli studenti che accoglievano il cambio dell'ora.
James si alzò di scatto ed uscì dalla classe, diretto chi sa dove, e Jess si ritrovò sola con i suoi pensieri.
Che cosa era successo?
Cos'era quella voragine che si era aperta sotto di lei e che nessun altro, a parte James, aveva visto?
E quella strana fiamma negli occhi del ragazzo, per non parlare delle sue mani bollenti?
Cosa centrava James White in tutto questo e, soprattutto, cosa centrava lei?

 
 
  
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