Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Francine    08/04/2014    1 recensioni
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith», intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»

Prima Pubblicazione: Settembre 2004
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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3.
 



«Non so se stupirmi più del fatto che June abbia il telefono o che tu l'abbia chiamata», concluse Hyoga addentando al volo la porzione di dolmàdes che Shaina aveva amorevolmente cucinato per il suo Seiya.
«Volevo fare gli auguri di compleanno a Shun. Pensavo fosse da lei.»
In realtà, l’Ofiuco aveva sperato con tutto il cuore che Seiya non chiamasse anche il resto dell'allegra brigata, ma vedendosi arrivare in massa lui, Hyoga e la sua Erii, e, udite udite,  Milo – «È ospite a Kido Manor, non potevamo non invitarlo, no?», si era giustificato Pegaso – era stata costretta a fare buon viso a cattivo gioco e ad incrementare le porzioni.
Per fortuna Erii è molto abile ai fornelli, ammise sollevata, comparando gli involtini che aveva fatto lei a quelli preparati dalla ragazza: mentre i suoi erano sgraziati e un po' goffi, ma fatti con amore, quelli di Erii si presentavano meticolosamente simili l'uno all'altro, come se fossero usciti da un libro di ricette. 
Ed erano anche gustosi: sia Seiya che Hyoga avevano fatto onore alla tavola, spazzolandoseli per bene, mentre Milo, degustando il vino con l'aria di chi la sa lunga, era presto rimasto a bocca asciutta.
«Io mi stupisco di come June non sia ancora arrivata…», disse Seiya brandendo le proprie bacchette come se fossero state una spada.
«Ricordati che ha pur sempre degli allievi da seguire, non può certo mollare baracca e burattini così su due piedi», provò a mediare Hyoga, mentre Erii osservava Milo: era intento a non perdersi una sola parola del battibecco tra il Cigno e Pegaso. È preoccupato. Più di quanto non voglia dare a vedere.
«Così su due piedi?!» Seiya quasi sputò il ripieno dei dolmàdes. «Stiamo parlando di Shun, non del primo che passa! Ti sembra normale che passi tutto il suo tempo a dormire?»
«Shun è vivo e vegeto! E se non ci credi, dovresti andare a sincerartene di persona, invece che star qui ad ingozzarti come un maiale all'ingrasso!», ringhiò basso Françoise, una vena che le pulsava pericolosamente sulla tempia.
Aria di guai, pensarono in simultanea Shaina e Hyoga, che avevano avuto modo di notare come la ragazza fosse alquanto nervosa quella sera. Difatti, appena entrata aveva sì e no salutato gli ospiti ed era sparita dietro il paravento che separava la zona giorno da quella notte per riemergerne solo pochi istanti prima di andare a mangiare. E una volta seduta a tavola, non aveva aperto bocca se non per azzannare famelicamente tutto ciò che avvicinava alle labbra.
Inutile rimarcare il fatto che lei e Milo si erano debitamente ignorati, mentre le sue posate – «Mangiare cibo europeo senza l’ausilio di coltello e forchetta è impensabile» – stridevano pericolosamente ogni volta che Erii se ne usciva con una risatina all'indirizzo di Hyoga.
Era rimasta in silenzio, studiando gli ingredienti di quella strana cena – dolmàdes, horiatiki e keftédes di verdura – e pentendosi di aver permesso a Saori di averla avuta nuovamente vinta. Vorrei che tu legassi con gli altri Saint, le aveva chiesto e lei aveva ceduto. Per quei suoi maledettissimi occhi che la facevano sentire maledettamente in colpa. Nonostante Capo Sounion. Nonostante l’Espiazione. Nonostante tutto. E lei lo sapeva.
 Non ce la posso fare, pensò scoccando un’occhiata di fuoco alla tavolata. Devo cambiare aria, si ripromise scansando le foglie di menta della salsa ed addentando un altro pezzo di feta.
«Chi sarebbe il maiale all'ingrasso, eh, strega?», sbraitò Seiya voltandosi verso la coinquilina della propria ragazza.
«Fai così con tutte?», rincarò la dose Françoise ripiegando con cura maniacale il tovagliolo accanto al proprio piatto. «Prima le insulti e poi ci provi?», concluse inarcando elegantemente un sopracciglio.
«Tu… Quanto vorrei che…», disse Seiya pentendosi un nanosecondo dopo dell'uscita infelice che aveva avuto.
«Che cosa?», l'incalzò la ragazza alzandosi in piedi e avvicinandosi pericolosamente a lui. «Che io non abitassi con la tua Shaina? Beh, è presto risolto! Abbi le palle di trovarti un lavoro come Dio comanda e andate a vivere insieme, così mi troverò una nuova coinquilina. Oppure aspetta che finisca Ottobre e io possa tornarmene in Grecia. O forse ti secca che io sia ancora viva e vegeta?»,  riprese ad inveire Françoise contro il povero malcapitato. «Beh, sappi che anche a me dispiace da morire che al posto tuo non ci sia mio fratello o un altro dei miei amici!»
«Gran begli amici, complimenti!», commentò Seiya alzandosi e ricambiando lo sguardo minaccioso della ragazza. «Così bravi da non riconoscere che il Sacerdote era malvagio… anzi, no, che dico? Lo sapevano beniss...»<


Ciaff


Milo s’irrigidì. Si era arrivati al punto di non ritorno.
Sentendo le lacrime farle capolino agli angoli degli occhi, Françoise fece un passo all’indietro e si avviò alla porta senza dire una parola.
«Ehi tu…», fece per reagire Seiya trattenuto prontamente per una spalla da Hyoga. Fermo, gli dissero gli occhi di ghiaccio del Cigno.
«Scusatemi», disse Shaina alzandosi e raggiungendo Françoise nel minuscolo genkan. «Ma che t'è preso?», le chiese ricorrendo all'italiano.
«Quando torno non li voglio trovare qui», sibilò l'altra a bassa voce, gelida, gli occhi simili a due lame affilate.
«Ma...»
«Questa è anche casa mia», l'interruppe la ragazza, «e se non ricordo male avevamo stabilito che qui dentro sarebbero potuti entrare ospiti solo se anche all'altra stava bene. O se era assente. Proprio per evitare malumori. Hai voluto fare di testa tua? Benissimo, adesso accetta le conseguenze!», concluse inchinandosi per infilarsi le Stan Smith e raccogliendo dall'attaccapanni una giacca in denim chiaro. «E se accettate un consiglio spassionato», fece rivolgendosi agli altri, mentre alzava il bavero della giacca sul collo, «invece che star qui a spararvi mille paranoie, dovreste andare a casa di Shun e vedere come sta con i vostri occhi!», concluse sbattendosi dietro la porta d'ingresso.


«Sei stato spiacevole», disse Shaina raccogliendo gli avanzi della cena e gettandoli tutti assieme nella pattumiera. «E alludo anche a Milo. Camus era un suo amico.»
«Cosa? Io sarei stato spiacevole?», le chiese Seiya strabuzzando gli occhi e lasciando nell'acquaio il piatto che stava lavando. «No, dico, tu dov'eri? Hai visto come quella pazza mi ha prima insultato e poi schiaffeggiato? E davanti a tutti, poi!»
«Ecco, veniamo al punto», disse lei sentendo i propri nervi sul punto di esplodere. «Che bisogno c'era di chiamare tutti quanti?»
«Cos'è, adesso parteggi per la tua amica? Te l'ho sempre detto che abitare con lei ti avrebbe cambiato!»
«Non rigirare la frittata!», disse Shaina avanzando di un passo verso di lui. «Perché li hai chiamati? E perché non mi hai avvisato per tempo?»
«Andiamo, Shun è nei guai e bisogna stilare un piano d'azione!»
«Riuniti attorno alla cena che io ho preparato?»
«Se l'avessi fatto io saremmo dovuti correre all'ospedale, lo sai», ribatté Seiya tanto per tenere il punto. «E poi Erii ti ha aiutato, mentre la tua amica non si è degnata di onorarci con la sua presenza finché non ci siamo seduti a tavola. O mi sbaglio?»
«Io credevo di cenare al massimo in tre, invece mi hai riempito la casa di gente!», insistette la ragazza alzando la voce.
«In tre? Ma tu sei pazza se credi che io mi azzardi a venire qua da solo quando c'è anche quella strega! Nossignore, non se ne parla!», rispose categorico lui, aumentando inconsapevolmente il tono.
«Hai paura di una ragazza?», lo sfotté Shaina con un sorrisetto ironico.
«No. Io quella non la sopporto proprio, è ben diverso. Passa tutto il suo tempo ad inveire contro gli altri e a lanciare insulti gratuiti. Deve ringraziare il fatto di essere una donna se ancora nessuno le ha dato una lezione su come si sta al mondo! E se devo essere sincero, la compagnia di quella pazza sta facendo un brutto effetto anche su di te!», concluse slacciandosi il grembiule a fiori e prendendo la sua giacca.
«Dove stai andando adesso?», gli urlò lei con la voce incrinata dal nervosismo.
«A fare quello che avrei dovuto fare da un bel pezzo!», rispose sbattendosi la porta d'ingresso alle spalle. 


L'atmosfera era un insieme di luci rosate, ricreate grazie a dei foulard posati sulle lampade, e musica ovattata di qualche complesso strappalacrime. Sui divanetti, posti ad anello accanto alle finestre, c’erano coppiette intente a sbaciucchiarsi, mentre il barista, un grosso uomo tarchiato sulla quarantina, lucidava con cura maniacale il metro quadro di bancone libero davanti a sé.
Ma dove sono finita?, si chiese inarcando un sopracciglio. Ripassò il percorso fatto dopo la deflagrazione avvenuta a cena.
Il porto.
Terzo molo a sinistra.
Ex capannone 27.
Un bar con la porta di metallo e l’insegna al neon allo stadio terminale. Dio, che squallore! 
«Cerchi compagnia, bambina?»
Il tanfo dell'alito di quell'uomo era agghiacciante. Magro, trent'anni o poco più, le si era avvicinato con un sorriso sbilenco, del tutto dimentico dei sette Alexander tracannati come fossero tamarindo. 
Non rispose e fece per uscire, quando lui la afferrò per la manica. E strinse.
«Ehi… che c'è bella? Posso pagarti, e bene anche…», ma prima che lei potesse spedirlo lungo disteso sul bancone, una mano si posò sulla spalla dell’uomo.
«Non credo che la signorina sia interessata…», e sentire quella voce familiare fu come scorgere la luce di casa nel fitto del bosco, di notte. Per un attimo soltanto uno soltanto. Ma fu sufficiente.
L'ubriaco si voltò e sorrise, una sorta di rantolo strozzato e nauseante.
«E tu che vuoi? Cerchi guai? Andiamo a discuterne fuori!»
«Certo, amico. Andiamo fuori…»


«Adesso sì che mi sono sfogata!», disse inspirando l’aria del mare a pieni polmoni. Sapeva di salsedine, nafta e cherosene, ma era fresca. Era pulita.
 «Era proprio necessario prendere quel poveraccio per le gambe ed infilarlo dentro ad un cassonetto?»
«Sì», rispose senza voltarsi. «E non ti ci mettere anche tu. Ho passato la giornata a dare testate ad un carretto di gelati sghembo!» Camminava un metro buono davanti a lui, il rumore della risacca che riempiva l’aria della notte. Devo ricordarmi di tirare fuori dall’armadio quel plaid che mi ha inviato Tonio il mese scorso, si disse guardando le stelle.
«Dovresti fare la gelataia, sai? Com'è che si dice, qui? Ah, sì… è nel tuo karma!», commentò lui con fare ironico.
«Karma un corno!», sbottò voltandosi, mentre in un angolo del suo cervello si diede della cretina per aver ceduto alla provocazione. «Aiolia?»
«Sta benone», ribatté Milo camminando, le mani in tasca e lo sguardo rivolto al cielo.
«Intendevo dire, perché non è qui?»
Lui abbassò il viso sul suo. «C’è stata un’emergenza», rispose lui.
E non era proprio una bugia. Perché l’emergenza c’era stata, sì, e se Aiolia fosse partito come da programma prima di chiarire le cose – prima di chiederle scusa, pensò lo Scorpione – Marin non gliel’avrebbe perdonata tanto facilmente.
«Le donne sanno essere tremende e molto, molto vendicative», aveva detto al Leone. Che c’era cascato con tutte le scarpe.
«Capisco….»
«Sembri dispiaciuta.»
«Dispiaciuta?»
Annuì. «Che al posto di Aiolia ci sia io.»
Sì. «No. No, figurati», si affrettò a chiarire lei. «Volevo solo capire. Tutto qui. Tu o Aiolia non fa differenza.»
Riprese a camminare e Milo la seguì. Affiancandola, stavolta.
«Quindi non sono io la causa di tanto nervosismo. È un sollievo.»
«Vorrei vedere te alle prese con quel deficiente che si comporta come se fosse il tuo migliore amico quando tu gli hai fatto chiaramente capire che lo detesti! E quell'altro idiota che tuba con quella sardina slavata quando dicono di avere un enoooorme problema…»
«Dunque», fece Milo. «Il deficiente è Seiya e l'idiota è Hyoga. Se adesso volessi tradurmi anche il resto, e farmi capire che diamine sta succedendo…»
«Tu che cosa sai?»
«Lascia perdere quello che so io», tagliò corto lui. «Dimmi. Quello. Che. Sai. La tua versione. E se ti stai chiedendo cosa diamine me ne importi, sappi che Athena è preoccupata. Molto preoccupata.»
Mi sembrava strano, pensò Françoise. Si fermò contro il parapetto, l’acqua era scura e profonda e di tanto in tanto gli schizzi arrivavano fino a loro. Le sue dita salirono ad accarezzare il ciondolo che portava al collo, percorrendone il contorno mentre raccoglieva le idee. Iniziò a raccontare.
«Da quel che so, Shun è sparito da qualche tempo. Anzi, no. Eclissato è la parola giusta.»
Milo si avvicinò, spalle al parapetto e orecchie tese.
«Così, stamattina sono andata anche io a casa di Shun. Me lo ha chiesto Shaina. Seiya non era il caso tornasse in zona. È una storia lunga. Non c’entra. Comunque, Shun dormiva. Ho sprecato la mia pausa pranzo per essere bastonata dalla vicina e sapere cose che quei deficienti sapevano già!»
«Cioè?»
«Shun dorme per quasi tutto il giorno, salvo poi uscire dalla sua tana la sera alle nove», rispose l'altra esasperata. «E il bello è che stasera, dopo essermi trovata casa invasa di gente», con tanto di te special guest star,«Seiya se ne esce che questa cosa la sapevano già!»
«E perché non sono andati direttamente da Shun alle nove?», le chiese Milo dando una rapida occhiata all'orologio. 
«È quello che mi chiedo anch'io!», disse Françoise voltandosi a cercare lo sguardo dell’altro. «Se sei certo e stracerto che il tuo amico stia passando dei guai, allora vai da lui, non ti riunisci come dei congiurati attorno al tavolo... della cena!»
Milo tacque, immerso nei suoi pensieri. Françoise rimase ad ascoltare il mare mentre cercava di studiare l’espressione del ragazzo al suo fianco. Non credi che il fatto stesso che Milo si trovasse a casa tua stasera possa significare che forse qualcosa di strano stia veramente accadendo?, le sussurrò una voce nella sua testa.
Quella sera mancava qualcuno, a quella cena improvvisata. Qualcuno che non era Shun. Era Saori.
«Saori…», l’occhiataccia di Milo la indusse a correggersi all’istante. «Athena. Perché non c’era anche lei?»
«Un evento mondano improrogabile. Jabu ha insistito così tanto che ha dovuto cedere…»
«Ed ha chiesto a te di venire e riferire, giusto?»
Milo annuì. Françoise era sicura al cento per cento che Saori sapesse cosa stesse passando Shun in quel momento, solo che, nella sua infinita magnanimità, aveva deciso di concedere il libero arbitrio al suo protetto. Tacquero per qualche minuto, fino a quando lo Scorpione non disse: «C’è qualcosa sotto…».
«Che ci sia qualcosa sotto, lo capisco anche io che sono scema…»
«Sono serio. Non dirmi che non te ne sei accorta?», le chiese guardandola negli occhi.
Françoise indietreggiò impercettibilmente. Accorta? Accorta di che?, si chiese corrugando le sopracciglia. E perché ci sei proprio tu, qui, invece che Aiolia?!
«Non te ne sei accorta», sentenziò Milo staccandosi dal parapetto e riprendendo a camminare.
«Accorta di che?», gli chiese Françoise trotterellandogli dietro. «Spiegati, non capisco!»
«Capirai, capirai tutto quando saremo arrivati.»
«Quando saremo arrivati dove? Si può sapere dove diamine stai andando?!»
«Ma dal desaparecido, no?», rispose Milo andando incontro al vento freddo di fine settembre.



Note: 
I dolmàdes sono gli involtini in foglia di vite, uno dei tanti mezédes, gli antipasti, della cucina greca. Il ripieno spazia dal riso, alla carne tritata, al riso e carne assieme, ma ci si può sbizzarrire seguendo il proprio estro culinario. È un piatto tipico della cucina levantina e di tutte quelle zone che appartenevano all'Impero Ottomano. «Dolma», in turco, significa ripieno (ma questo non ditelo mai ad un greco, o vi toglierebbe il saluto). Sono una droga e sono facilissimi da preparare. Tostate per alcuni minuti le foglie di vite in una padella antiaderente dopo averle sciacquate dalla salamoia.

L'horiatiki è quella che noi chiamiamo insalata greca. Horiatiki significa "del villaggio", a ricordare le origini contadine di questo piatto. La ricetta originale prevede pomodori tagliati in maniera grossolana, olive nere, cetrioli, feta spezzettata con le mani, cipolla tagliata ad anelli, pane. E abbondante olio extravergine d'oliva. Al nord si aggiungono i peperoni verdi (credo siano quelli che noi chiamiamo friggitelli), al sud, invece, i capperi. Quale che sia la vostra versione, metterete il pane sul fondo dell'insalatiera e poi verserete gli altri ingredienti. Lascerete insaporire per mezz'ora, cosicché il pane assorba il condimento. Una spolverata di origano fresco e buon appetito!

I keftèdes sono delle semplici polpette. Sono piccole, da mangiarsi in un boccone, e fritte. Si possono preparare di tonno, di carne macinata, ma anche di legumi e di verdure.

Mi rendo conto che in Giappone è pressoché raro l'uso delle posate, ma non è impossibile trovarne in vendita nei reparti di casalinghi dei grandi magazini (depato). Ho immaginato che due europee cerchino di ricreare un pochino di aria di casa, di quando in quando. Anche spendendo un capitale per acquistare la pasta al supermercato. E mangiare l'horiatiki con le bacchette è un suicidio.

L'emergenza di cui parla Milo, quella che ha costretto Aiolia a rimandare la partenza, è raccontata in Misteri Eleusini. Piano piano, inserisco tutti i pezzi.

Continuano i miei tentativi di fare la ruota del pavone, nonostante io non sia un pavone e, soprattutto, non sia un pavone maschio. Oggi vi mostro il ritratto di Françoise, sempre realizzato dalle sante manine di CowgirlSara. Il ciondolo di cui si parla nel capitolo è quello che appare al suo collo.

A martedì prossimo!
   
 
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