Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    11/04/2014    5 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo VII





Il sole dissipa le ombre della notte e le tenembre inghiottono la luce del giorno.

Midorima accarezzò il tessuto delicato della divisa un paio di volte, con l'intento di scacciare via le pieghe fin troppo visibili che si erano create una volta che l'aveva indossata.
Imbracciò la borsa in silenzio e premette appena il polpastrello dell'indice al centro degli occhiali, avvicinando le lenti sottili agli occhi.
Shintarou viveva da solo da qualche tempo, ormai: era una casa piccola, modesta, in un tranquillo quartiere nella periferia di Tokyo.
I suoi genitori l'avevano acquistata - e poi gliel'avevano regalata - non appena erano venuti a conoscenza dell'ingresso del figlio in una delle università più prestigiose di tutto il Giappone: la Tōdai o, meglio ancora, l'Università Imperiale di Tokyo.
Un po' gli dispiaceva che i suoi genitori avessero sulle spalle anche le tasse della sua casa oltre quelle della loro e dell'università - dopotutto Midorima studiava ed era uno studio talmente assiduo e necessario da non permettergli neppure di cercare qualche lavoretto che potesse aiutarlo a pagare almeno una parte delle spese -, ma sua madre e suo padre insistevano che non doveva preoccuparsi, che le tasse erano basse - cosa non troppo vera per ciò che riguardava quelle universitarie - e che quella casa se la meritava - suo padre, una volta, aveva detto addirittura che ne meritava una più grande -.
Shintarou ripensò proprio alle parole un po' spropositate e frettolose di suo padre che, come umile operaio, si riteneva sinceramente fiero di lui.
La mattina, prima di lasciare casa sua per recarsi all'università, era l'unico momento di calma di cui la sua mente e il suo fisico potevano bearsi appieno. L'istante migliore si profilava non appena si ritrovava con le dita strette intorno alla manopola, pronto ad uscire, ma con le suole delle scarpe di vernice nera ancora saldate al pavimento della casa.
Dedicava sempre un pensiero alla sua famiglia: al sorriso magnanimo di suo padre, allo sguardo di sufficienza della madre - quello lo aveva preso sicuramente da lei - e agli schiamazzi di sua sorella che, pur avendo ormai quindici anni, aveva mantenuto il suo rapporto con lui sul piano degli scherzi affettuosi - a dire il vero Sachiko era l'unica persona al mondo che poteva fare degli scherzi a Midorima senza temere la sua reazione: erano sempre andati molto d'accordo, loro due, e nonostante sua sorella fosse decisamente più vivace e spiritosa di lui, condividevano molti lati del carattere -. E poi era del segno dei Pesci, quindi c'era una discreta affinità.
Finalmente Midorima si decise a girare la manopola e uscì lentamente di casa, fermandosi davanti alla porta per richiuderla con calma, senza badare a chi, come ogni mattina - o quasi -, lo stava fissando con le labbra increspate in un sorrisino allegro.
«Ecco il tuo koinobori blu.» Midorima afferrò la carpa di carta non appena l'altro gliela porse, come se fosse stato un tesoro preziosissimo e lui fosse stato il più avaro dei ladri o dei mercanti.
«Mhn. Grazie, Takao.» fu un po' reticente a mostrargli gratitudine, mentre l'altro, come al solito, non si fece alcun problema a esibire le proprie emozioni e gli rispose con un sorriso.
«Mi raccomando, vedi di non romperla: è la preferita di mia sorella.» riprese Takao.
La sorella di Takao e quella di Midorima avevano la stessa età, quindi erano decisamente grandi per le carpe di carta colorata che i bambini giapponesi si divertivano a far sventolare in aria ogni cinque maggio, però Kazumi - la sorella di Kazunari - le aveva collezionate per un certo periodo della sua vita: ne aveva sette, quelle ricevute dai cinque agli undici anni, e aveva una sorta di adorazione soprattutto nei confronti di quella blu, che era stata la prima. Per di più, quella mattina, Takao se ne era impossessato senza il suo permesso perché sapeva che altrimenti glielo avrebbe vietato; avrebbe potuto anche non farlo, ma Midorima lo aveva chiamato non appena aveva appreso del segno del Cancro in ultima posizione e bisognava assolutamente recuperare l'oggetto fortunato perché si tranquillizzasse.
Ora che Shintarou si era impossessato dell'oggetto fortunato si sarebbero potuti dirigere verso l'università senza problemi.
Takao, al contrario di quanto potesse sembrare nel vederli camminare fianco a fianco verso la Tōdai, non era uno studente: appena finite le superiori aveva deciso di aiutare i suoi genitori e si giostrava in una continua spola fra la libreria di suo padre e la lavanderia di sua madre; tuttavia, molto spesso, si offriva di accompagnare Midorima all'università, ed era così che era continuato il loro rapporto. Grazie all'invasività di Kazunari non si erano mai persi di vista ed erano rimasti buoni … “amici” - così diceva Takao, con ovvio disappunto dell'altro -
«Oggi hai biologia e biochimica, giusto?»
«Biologia, biochimica e fisica.» ripeté Midorima, correggendolo.
«Domani il professore di fisica sarà assente, per cui ha sposato la lezione ad oggi.» continuò.
«Oh-» sul volto di Takao trasparì una smorfia scocciata, quasi come se toccasse a lui fare due ore di lezione in più.
«I tuoi professori sono davvero noiosi, Shin-chan!»
Midorima rimase in silenzio e si sistemò meglio gli occhiali, osservando di sottecchi un'anziana signora che all'angolo della strada lo fissava stranita e con un sorriso trasognato in volto: dopotutto non si vedeva tutti i giorni un ragazzo alto un metro e novantacinque, con i capelli verdi e una carpa di carta blu sotto braccio.
Midorima pensò che il commento di Takao fosse davvero stupido: era un'università, la sua, ed era logico che i professori non volessero sprecare del tempo prezioso, che si affrettassero a concludere i loro corsi il prima possibile; tuttavia non disse nulla: Kazunari non avrebbe capito, dopotutto conduceva una vita molto più leggera e serena della sua, vedeva i suoi genitori tutti i giorni e non era costretto a lavori e mansioni troppo stressanti, usciva spesso e aveva qualcuno di importante con cui passare il suo tempo.
«Oggi resterai in lavanderia?» chiese Shintarou, volendo cambiare discorso.
«No, oggi sono in pausa!» esclamò piuttosto felice e sollevato l'altro «ne approfitterò per uscire con Kiyo-chan, magari giocheremo a basket!»
Takao aveva pronunciato quelle parole senza pensare che forse, nell'ascoltarle, Midorima avrebbe potuto sentirsi a disagio, fuori dal mondo e pieno di nostalgia nei confronti del basket, che sinceramente aveva dovuto lasciare da parte a malincuore, a causa degli studi.
Midorima, dal canto suo, si soffermò prima su quel bizzarro nomignolo affettuoso che Takao aveva affibbiato a Miyaji - un po' come quello con il quale, da molto più tempo, si appellava a lui - e poi su quella maledetta parola con la b, che repentinamente gli aveva fatto tornare alla mente la conversazione avuta con Kise il giorno prima.
«Shin-chan?»
Takao doveva essersi accorto di qualcosa: forse, senza neanche rendersene conto, Midorima aveva assunto un'espressione fin troppo pensierosa che aveva spinto l'altro a richiamare immediatamente la sua attenzione.
«Va tutto bene? Hai un'aria così strana!»
«Va tutto bene.» mentì «solo che ...»
«Che?»
Midorima scostò gli occhi dall'asfalto e sollevò leggermente il viso, fissando l'orizzonte nuvoloso.
«Ieri ho parlato con Kise.» fu lapidario; era consapevole che Takao lo avrebbe tempestato di domande, e non che gli stesse bene, ma doveva pur parlarne con qualcuno: il pensiero relativo al ripristino della Generazione dei Miracoli lo aveva tenuto sveglio tutta la notte e molto probabilmente avrebbe fatto così anche con quelle avvenire, a meno che non fosse riuscito a fare un po' di luce sulla situazione, anche con l'aiuto di un'altra persona, anche se si trattava di Kazunari.
«Cosa? È venuto a trovarti?» Takao iniziò con le prime, classiche domande.
«No, mi ha telefonato.»
«E di cosa avete parlato?»
«Non abbiamo parlato molto.» si affrettò a chiarire Midorima «ma se n'è uscito con una richiesta assurda.»
«Mh?» Takao inclinò leggermente il viso verso destra e assottigliò il proprio sguardo, incitandolo a proseguire.
«Mi ha detto che lui, Kuroko e Momoi stanno ripristinando la Generazione dei Miracoli.»
Seguitarono pochissimi istanti di silenzio.
«Ma è fantastico!»
«Cosa? Takao!» Midorima sembrò indignarsi: Takao non aveva capito niente, non aveva compreso il pensiero contrastato dell'amico, il suo desiderio di tornare a giocare a basket e, allo stesso tempo, quello di diplomarsi nel più breve tempo possibile, il suo essere tristemente cosciente che nella sua vita c'era spazio solo per lo studio.
«Dovresti accettare, Shin-chan!» Takao era veramente entusiasta e Midorima faticava a capirne il motivo.
«Non posso, devo studiare.»
«Studi tutto il giorno, ogni tanto ti farebbe bene uscire.»
Midorima lo fulminò con lo sguardo: ora anche Takao cercava di fargli la paternale?
«Takao, ho detto che non posso.»
«Ma lo vuoi, giusto?»
Sorprendentemente, Takao era riuscito a punzecchiarlo, incalzarlo, e ora lo guardava con le labbra increspate in un sorrisetto consapevole e soddisfatto.
Midorima storse il naso, contrariato nel vedere che l'altro era riuscito con così tanta facilità a penetrare la sua corazza di uomo dal cuore di ghiaccio.
«Takao, ho detto di no!» sbottò stizzito.
«Non accetterò mai la proposta di Kise.»


Benché si trovassero a ottobre inoltrato, quella era la giornata perfetta per dedicarsi al jogging e temprare i muscoli: nonostante l'umido lasciato dalla pioggia che aveva sfogato tutto il suo impeto durante i due giorni precedenti, non faceva troppo freddo; un sole dalla tenue e timida lucentezza si trovava a tre quarti del suo percorso nel cielo e presto sarebbe tramontato e avrebbe concluso quell'arco immaginario.
Ultimamente la gamba di Kise aveva mostrato dei miglioramenti, e questo si poteva dire con sicurezza non solo perché non faceva più tanto male quando veniva sottoposta a sforzi eccessivi, ma anche perché i momenti di sofferenza erano intervallati e separati da sempre più giorni.
Proprio grazie ad uno stato fisico migliore, oltre - e soprattutto -al proposito di ripristinare la Generazione dei Miracoli, Kise aveva lasciato l'appartamento per un'ora di jogging.
Prima che si infortunasse riusciva ad arrivare spesso alle quattro ore, ma a detta del suo medico di fiducia non poteva ancora strafare e, anzi, qualora avesse avvertito dolore prima dello scadere dell'ora avrebbe dovuto abbandonare la sua corsa.
Tuttavia, nonostante gli fosse stato interdetto di strafare e correre anche solo per un minuto in più, Kise lo faceva sempre più spesso, probabilmente guidato dalla cieca euforia di stare decisamente meglio.
Anche quel giorno la gamba aveva resistito alla pressione e Ryouta si era spinto oltre i sessanta minuti, spendendo un quarto d'ora in più per raggiungere casa Aomine.
Kise, Momoi e Kuroko avevano concordato che sarebbe stato meglio lasciar passare almeno un giorno prima di tornare all'attacco, e Ryouta aveva rispettato quella condizione, ma con grande fatica: Daiki era il suo obbiettivo e non aveva intenzione di lasciarselo scappare.
A dire il vero quella visita non era stata pianificata e aveva addirittura pensato di far passare un altro paio di giorni prima di parlargli, ma era capitato che passasse in zona e, preso da chissà quale moto di impazienza, si era fiondato nella direzione che portava alla casa di Aomine.
Ryouta rallentò progressivamente la sua corsa già placida, infine si fermò di fronte alla porta della vittima prescelta.
Rimase per qualche attimo immobile, leggermente piegato in avanti e con i palmi delle mani ad avvolgere le ginocchia, nel tentativo di recuperare un po' di fiato.
Era pomeriggio e non aveva neppure preso in considerazione la possibilità di trovare la casa vuota: era vero che i genitori di Aomine erano a lavoro e non sarebbero tornati prima delle venti, ma Daiki era senza dubbio a casa - era improbabile che fosse uscito a distribuire i suoi curricula nei negozi del centro -
Nonostante il fiato fosse ancora affannoso e scarso, Kise suonò il campanello e rimase in attesa.
Quando la porta si aprì e i suoi occhi si scontrarono con quelli di Aomine, Ryouta lo salutò rumorosamente e, senza neanche dargli il tempo di rispondere, varcò la soglia imperterrito.
«Eh?» Aomine lo fissò con un cruccio sul volto, quasi non riuscisse ancora a realizzare che Kise aveva appena violato in modo anche piuttosto prepotente e maleducato il suo territorio.
«Ohi Kise, che fai? Potrei anche essere con una ragazza!» fu questa la protesta di Aomine nei confronti di quella visita improvvisa, e non era un tentativo di provocazione, ma piuttosto il semplice intento di fargli notare che era stato leggermente scortese ad entrare in casa sua senza neanche ricevere il permesso.
«Perché?» Kise gli rivolse un'occhiata interrogativa «sei con una ragazza?»
Aomine distolse lo sguardo nel tentativo di fuggire da quello curioso e ingenuo di Kise, sbuffando infastidito.
«No.»
«Mhn, bene.» quella voce leggermente più seria e il fatto che Kise si fosse appena sfilato la maglietta davanti ai suoi occhi, sembrarono immobilizzarlo.
«Ti devo parlare, ma prima ho bisogno di una doccia.» Kise stringeva la maglietta umida di sudore fra le mani, questa volta rimanendo in attesa del permesso di Aomine, il quale, però, sembrava non averlo neppure sentito.
Daiki, dal canto suo, non riusciva a distogliere i propri occhi dai fianchi sottili di Kise, dal petto e dal ventre scolpiti e dalla pelle nivea, all'apparenza estremamente liscia e morbida.
«Aominecchi, mi stai ascoltando?»
Aomine lo aveva sentito. Lo aveva sentito benissimo, ma per qualche ragione a lui sconosciuta - e particolarmente fastidiosa - non riusciva né distogliere il proprio sguardo dal corpo di Kise, né a muovere le labbra per rispondergli: ecco perché si limitò ad annuire distrattamente e chiuse gli occhi con fatica, riuscendo finalmente a negarsi quella bizzarra contemplazione. Kise aveva pensato che Aomine fosse immerso nelle sue macchinazioni, come se avesse già inteso che lui si trovava lì per riprendere il discorso che un paio di giorni prima era stato accennato da Tetsuya e che Daiki aveva troncato tanto rapidamente, così si congedò in silenzio e si diresse velocemente verso il bagno.


Cosa gli era preso? Così all'improvviso, poi.
Perché si era imbambolato in quel modo? Kise se n'era accorto?
Era come se, immobilizzandosi, si fosse messo sulle difensive. E il peggio era che il suo non era stato un tentativo di difendersi da un ipotetico avvicinamento di Kise, ma piuttosto dai suoi stessi impulsi che quella visione rischiava di innescargli.
«Ah, le cazzate di Tetsu devono avermi dato alla testa.» si disse nel tentativo di rilassarsi, mentre si lasciava scivolare lentamente all'indietro, sedendosi ai piedi del letto.
Il tentativo di discolparsi e tranquillizzarsi attribuendo la responsabilità del suo breve cedimento a Tetsuya, però, si rivelò a dir poco fallimentare.
La porta della camera da letto era socchiusa, ma ciò non gli impediva di avvertire distintamente lo scrosciare dell'acqua proveniente dal bagno: Ryouta era nella sua doccia. Era nella sua doccia ed era completamente nudo, sotto il getto caldo dell'acqua e avvolto dal vapore tiepido.
Nella sua testa era rimasta fin troppo nitida l'immagine dei fianchi longilinei di Kise e della sua pelle così ...
«Merda-» Aomine sbottò e si raccolse il viso fra le mani, fissando un punto impreciso del pavimento: perché ci stava pensando così tanto? Doveva smetterla subito.
D'un tratto, però, il flusso dei suoi pensieri confusi e il suo inconsapevole panico si intrecciarono con il rumore sommesso dell'acqua proveniente dalla doccia e gli tornò ancora in mente l'immagine di Ryouta.
Doveva recidere al più presto quel torbido intreccio di sensazioni confuse.
Sbuffò e si chinò velocemente - senza però staccare il fondo schiena dal materasso -, finendo per tastare lo spazio sotto al letto con una mano finché non trovò quello che cercava: afferrò l'angolo del giornalino e lo trascinò per qualche attimo lungo il pavimento, infine lo sollevò e lo aprì, dedicando la sua attenzione a due pagine a caso.
Dopo qualche attimo di fatica durante il quale si svolse una specie di battaglia fra l'immagine di Kise annidata nella sua mente e quelle che aveva davanti agli occhi, Aomine poté trarre un sospiro di sollievo: ancora una volta, le tette si rivelavano le sue alleate più preziose e non lo tradivano.
Senza che se ne fosse accorto, lo scrosciare dell'acqua si era interrotto da almeno un minuto e la porta di camera sua era appena stata spalancata.
«Aominecchi?»
Aomine aveva ancora il giornalino spalancato davanti al viso, come fosse stato uno stalker intento a nascondersi dietro ad un quotidiano; si decise a sollevare gli occhi, seppur lentamente: voleva essere prudente e il giornalino lo stava aiutando a negarsi la vista di Kise, di cui ora poteva osservare solo i capelli umidi, con poche gocce d'acqua annidate dove finiva il taglio; il viso delicato e le spalle ampie.
Appena si rese conto che le spalle erano nude, però, ebbe l'istinto incontrollato di abbassare il giornalino.
«Mi servono dei vestiti.»
Aomine ringraziò il Signore nel vedere che Kise non era completamente nudo e aveva l'asciugamano legato in vita, ma la vista del torace imperlato d'acqua fu sufficiente per farlo imbambolare ancora.
«M-ma non potevi portarti il ricambio?! E stai bagnando il pavimento, idiota!» per fortuna fu pronto a reagire e riuscì a distogliere lo sguardo dall'altro quasi immediatamente, si sollevò velocemente dal letto, andò a spalancare l'armadio per cercare degli abiti adatti e continuò a dargli le spalle anche quando li ebbe trovati.
«Tieni!» non volendo voltarsi verso Kise per non rimanere ancora imbambolato, Aomine lanciò malamente i vestiti alle sue spalle, così che, mentre Ryouta riuscì ad afferrare la maglietta, i pantaloni caddero rovinosamente sul pavimento.
Kise rimase a fissarlo per qualche attimo con la fronte aggrottata e un piccolo cruccio sul viso, poi - preso dalla fretta di dare voce al motivo della sua improvvisa visita - raccolse i pantaloni e si diresse di nuovo in bagno per vestirsi.
A quel punto Aomine ebbe qualche minuto per ricomporsi: si sfregò gli occhi e sospirò rumorosamente, afferrò il giornalino e lo gettò a terra, spingendolo sotto al letto con la punta del piede mentre fissava indispettito la piccola pozzanghera d'acqua che Kise aveva lasciato sul pavimento: non gli faceva piacere, ma per lo meno lo stava distraendo.
In quel momento Kise gli avrebbe potuto parlare di qualsiasi cosa, l'importante era che non si presentasse mai più mezzo nudo davanti ai sui occhi.
«Ma che cazzo mi prende?» spazientito, Aomine si torturò la radice del naso massaggiandola nervosamente con l'indice e il pollice; non era certo la prima volta che vedeva Kise mezzo nudo: alla Teiko, negli spogliatoi, succedeva spesso e non ricordava di essersi mai imbambolato di fronte a lui in quel modo. Per altro, fra tutti, Kise era proprio quello più soggetto alle sue occhiate, ma solo perché, pur conoscendolo da meno tempo, gli stava più simpatico di Midorima, Murasakibara e mamma Akashi, ecco tutto.
Proprio in quel momento, Kise fece capolino in camera sua per la seconda volta.
«Kurokocchi mi ha detto del vostro incontro.»
Aomine sbuffò scocciato: sì, Kise poteva parlare di tutto, ma non di quello, e lui era stato decisamente stupido a non pensare che si trovasse lì proprio per discutere del progetto di Tetsuya.
«Mhn–» quello di Aomine parve un muggito e Kise, dal canto suo, assottigliò il proprio sguardo riservando un'occhiata di disappunto a Daiki.
«Kise, ti pre–»
«Aominecchi.» Kise sovrastò l'ultima sillaba con la propria voce, assumendo un tono serio che non piacque affatto a Daiki.
«Kurokocchi ha bisogno di noi.» Kise non fu sicuro che quelle fossero le parole più adatte, né le aveva pronunciate per smuovere la sensibilità di Aomine che, di certo, non avrebbe mai accettato per compassione.
«Ha bisogno di noi? Perché quell'idiota di Kagami non torna dagli Stati Uniti?» Aomine si lasciò scappare un altro sbuffo, nella speranza che anche un po' del nervoso che stava trattenendo a stento si fosse dissolto nell'etere oppressivo che li stava attorniando.
«Finché c'era Kagami non aveva bisogno di noi.» riprese. Non sapeva perché stesse pronunciando quelle esatte parole: non era antipatia - non l'aveva mai provata nei confronti di Tetsuya -, non era gelosia - quella ormai era appassita negli anni, esattamente come la loro amicizia -, ma una semplice questione di orgoglio che aveva la pretesa di poter utilizzare come scusa per ribadire ancora una volta il suo rifiuto.
«Aominecchi, ma che stai dicendo?!» no: Aomine non poteva pensare davvero ad una cosa simile, non era una persona cattiva, maligna o piena di rancori e risentimenti. Kise non riusciva a credere alle sue orecchie.
Aomine pensava davvero che Tetsuya si fosse allontanato da loro a causa di Kagami? No, la colpa era della stessa Generazione dei Miracoli, dei mostri che erano diventati: ecco perché Tetsuya si era allontanato da loro. E se se ne rendeva conto Kise, che era innamorato di Kuroko, allora era inconcepibile che non lo riuscisse a capire anche Aomine.
«Ti costa tanto fare uno sforzo? Potresti provarci.» avanzò Kise «per Kurokocchi.» e forse quello fu un tentativo di addolcire il tutto, ma un tentativo decisamente sbagliato.
«Provarci?» questa volta fu Aomine a fulminarlo con lo sguardo «lo vuoi capire sì o no, Kise, che non c'è più niente da fare, ormai?» come poteva pretendere che dopo tutti quei tentativi falliti di riallacciare un'amicizia con Tetsuya, ora, dopo tre anni, la cosa potesse magicamente funzionare?
Aomine si sentiva come frustare dal quel nervoso che con tanta fatica stava cercando di reprimere: non voleva prendersela con Kise - forse era ancora stordito dall'immagine di lui mezzo nudo che ogni tanto faceva fastidiosamente capolino nella sua mente - e, in verità, avrebbe soltanto voluto essere lasciato solo, in pace, a pensare.
Prima Tetsuya che lo inseguiva al supermercato, raccontandogli dell'assurda idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli, poi Kise che si presentava a casa sua e gli si spogliava davanti e, per di più, si pronunciava in difesa del progetto avviato da Kuroko e impugnava la pretesa che il loro rapporto potesse tornare tutto rose e fiori con un solo schiocco di dita.
Aomine aveva bisogno di rielaborare tutte quelle stranezze da solo, senza la distrazione che di nome faceva “Ryouta Kise” fra i piedi, ma una cosa era certa: lui e Tetsuya erano irrimediabilmente cambiati e non sarebbero mai più potuti tornare come prima, a prescindere da quante volte sarebbero stati disposti a provare.
Mai più.


Kise pareva un bambino offeso, uno di quelli che al parco viene emarginato dal gruppo perché più timido e meno intraprendente e allora se ne sta sulle sue in un angolino qualunque, con le labbra increspate in una smorfia triste.
Aomine non ci aveva messo poi molto a cacciarlo di casa, e Ryouta, dal canto suo, aveva capito di non poter insistere ancora: Daiki era nervoso, aveva bisogno di stare da solo e, soprattutto, tutti i limiti che gli impedivano di acconsentire all'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli erano legati a Tetsuya, quindi si trattava di una questione racchiusa intorno a loro, nella quale Kise non poteva ficcare il naso con troppa semplicità e noncuranza. Ormai aveva imparato a capire, almeno in parte, ciò che passava per la testa di Aomine, quindi non era neanche giusto dire che fosse stato Daiki a cacciarlo fuori: diciamo che glielo aveva fatto intendere e che Kise aveva preferito ritirarsi senza rischiare di innervosirlo ulteriormente.
Ovviamente, la sua, era una ritirata temporanea, una breve tregua.
Ciò non toglieva che aveva dovuto darla vinta ad Aomine e si era ritrovato fuori da quella casa con la stessa velocità con la quale vi era entrato, per cui se ne andava placidamente in giro con le guance leggermente gonfie, trattenendo a fatica uno sbuffo rassegnato, la fronte corrucciata e le labbra protese appena in avanti, lievemente incrinate in una smorfia che gli creava una piccola fossetta al centro del mento delicato.
Era soprattutto da questo che si notava come il tempo avesse agito su Ryouta: aveva semplicemente levigato il suo carattere, affinandone alcuni aspetti; l'esperienza era un bagaglio di giorno in giorno sempre un poco più pesante che lo aiutava a prendere decisioni con più razionalità rispetto ai tempi della Teiko o della prima superiore, ma le sue espressioni facciali, le sue docili smorfie da bambino offeso, erano rimaste esattamente le stesse degli anni precedenti, e proprio in quel momento stava dando pieno sfogo a una delle sue migliori maschere.
Non poteva mentire a se stesso: era arrabbiato con Aomine, ma non per il suo caratteraccio, il suo pessimismo sull'irrecuperabile - a detta sua - relazione con Tetsuya, il rifiuto di prendere parte al progetto o il fatto che lo avesse buttato fuori di casa, ma piuttosto per ciò che aveva detto su Kagami.
Anzi no, non su Kagami che, dopotutto, non era altro che un rivale bello e buono di Kise, ma su Kuroko.
Kise aveva pensato che quelle parole non avessero neppure un fondo di verità e stava continuando a sperarlo sinceramente, perché Tetsuya non era certo un codardo che aveva bisogno di loro solo perché si sentiva solo e abbandonato da Kagami, e questo Aomine lo avrebbe dovuto sapere meglio di lui.
«Ciao!»
Bastò un saluto per far sì che sul volto di Kise tutto tornasse alla normalità: si lasciò sfuggire un sospiro, così che le guance si sgonfiarono; la fronte fu di nuovo distesa, senza che la pelle si increspasse a causa del cruccio, e le labbra erano tornate piatte, così che anche la fossetta al centro del mento era scomparsa.
Una volta che riuscì a mettere a fuoco il suo interlocutore, di cui era sicuro aver già sentito la voce ma alla quale in quel momento, pensando ancora ad Aomine, non riusciva ad attribuire un volto, l'espressione di Kise mutò ancora e le labbra si incresparono in un sorriso sincero.
«Himurocchi!» il sorriso amichevole in cui si erano increspate le labbra di Kise era dovuto più alla sorpresa di vederlo che all'effettiva fortuna di quell'incontro che, effettivamente, capitava davvero a fagiolo; Ryouta non si era ancora reso conto che quella era un'occasione d'oro per scoprire qualcosa in più su Murasakibara - come aveva reagito una volta abbandonata la conversazione con Momoi, se pensava alla loro proposta oppure era rimasto completamente impassibile -, e infatti fu Tatsuya che, senza indugiare oltre, intavolò l'argomento.
«Atsushi mi ha parlato del vostro progetto.» dal sorrisetto compiaciuto che si era dipinto sul volto di Himuro, Kise ebbe l'impressione che Murasakibara non glielo avesse raccontato di sua spontanea volontà, ma che quel ragazzo tanto minuto fosse riuscito a cavare le parole di bocca a quel bambino alto due metri e otto con un raggiro o un ricatto bello e buono.
«E che cosa ha detto?» Kise diede per scontato che Himuro fosse disposto a parlargli e gli si affiancò; Tatsuya, dal canto suo, si scostò dal palo al quale si era appoggiato e, non appena l'altro lo raggiunse, iniziò a camminare.
«Non era molto contento.» il cinguettio di Himuro non piacque affatto a Kise, che storse appena le labbra in una smorfia di disappunto.
«Per lo meno sta continuando?» non c'era bisogno di nominare il basket, in quella domanda: la questione era trasparente come acqua per entrambi.
«Per ora no.»
Il cinguettio di Himuro si era tramutato in una voce dal tono leggermente più profondo, cupo: stava guardando davanti a sé con le labbra incrinate in una smorfia amareggiata e le mani mollemente abbandonate nelle tasche del piumino nero.
«Non sono nella posizione di giudicare la sua scelta o decidere per lui, ma è davvero stupido da parte sua abbandonare qualcosa che ama solo per pigrizia.»
«Già.» Kise sbuffò impercettibilmente, abbassando lievemente il capo.
Himuro aveva ragione: Murasakibara amava il basket e ne aveva dato prova varcando quella soglia che per lui era e sarebbe sempre stata invalicabile, aveva superato quel limite che Tatsuya non sarebbe mai riuscito a scavalcare, nonostante gli sforzi. Murasakibara era entrato nella Zone, e la Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.
«Odio l'idea di vedere un talento simile sprecato con così tanta indifferenza.» Himuro fece una piccola pausa, poi, vedendosi rispondere con il silenzio, continuò «per questo vi aiuterò.»
Kise sussultò, rivolgendogli immediatamente un'occhiata interrogativa e allo stesso tempo speranzosa.
«Non so quanto riuscirò a fare, ma ci proverò. Non voglio che Atsushi finisca per vivere nel rimorso.»
Kise sentì il bisogno di fermarsi, come se smettere di camminare potesse facilitargli il rimettere in ordine i pensieri, la cascata di sentimenti che d'un tratto gli si era riversata nel petto: se avesse avuto più confidenza con Himuro, molto probabilmente, lo avrebbe abbracciato e avrebbe strepitato la sua felicità, ma in quel caso si limitò a ringraziarlo, o almeno ci provò.
«Ma ...»
Le labbra di Kise si erano schiuse, ma erano tornate serrate non appena Himuro aveva introdotto quella che pareva una condizione: era troppo bello che li aiutasse senza voler nulla in cambio, in effetti.
«Se dovessi riuscire nel mio intento, allora, mi unirò a voi.»
Kise aggrottò la fronte e si torturò il labbro inferiore con l'incisivo: no, quella condizione non sarebbe sicuramente andata a genio a Tetsuya, e lui, dal canto suo, non sapeva cosa rispondere, visto che preso dal momento non riusciva assolutamente a riacquistare un po' di lucidità mentale e ad immaginare le possibili reazioni di Kuroko e Momoi.
Era anche vero che Murasakibara sarebbe stato sicuramente disposto ad ascoltare più Himuro che loro tre.
«Prendere o lasciare, Kise Ryouta.»
Kise era piuttosto confuso, ma nonostante ciò lo stava guardando con una certa stizza: Himuro pretendeva di distruggere l'antica intimità dei tempi della Teiko come se fosse stata una cosa di poco conto e faceva pesare la responsabilità della rottura proprio su di lui, al quale ora aveva porto la mano.
Forse si sarebbe presto una strigliata di orecchie da Momoi, forse Kuroko sarebbe diventato ancor più distaccato nei suoi confronti: Kise era pronto ad assumersi quella responsabilità, pur avendo cambiato in un lampo l'idea che si era fatto di Himuro, che ai suoi occhi ora pareva soltanto un giudice severo e corrotto, pronto a viziare la bizzarra - ma pur sempre radicata - familiarità che si era instaurata lentamente e con fatica fra Tetsuya, Momoi e i cinque Miracoli.
«Affare fatto.» le labbra di Kise si incrinarono in un sorrisetto di sfida maliziosa e la sua mano corse ad afferrare e stringere con decisione quella di Himuro, di quel drago pronto a soffocarli in una pioggia tormentosa e senza fine.


Era diventata una tiritera: sua nonna si era di nuovo messa ai fornelli e questa volta, oltre a chiedergli di correre a comprare le uova, gli aveva chiesto se non potesse comprare anche un pacco di zucchero, la farina e passare in farmacia per ritirare una medicina.
Il fatto che lavorasse soltanto la sera - e che, per altro, quello fosse il suo giorno libero -, non autorizzava sua nonna a spedirlo al supermercato ogni qualvolta ne sentisse il bisogno, ma era anche vero che era molto vecchia e ci avrebbe messo una vita ad andare e tornare e che i suoi genitori erano a lavoro, quindi l'unico a cui poteva affidare tale mansione era lui. Indubbiamente, poi, uscire gli faceva bene ed era sempre meglio che rimanersene chiuso in camera a pensare a Kagami.
Da quando, pochi giorni prima, aveva sentito la voce di Kagami al telefono, Tetsuya aveva deciso che sarebbe stato più razionale e avrebbe cercato di arginare qualsiasi sentimento: non aveva più intenzione di soffrire, di correre dietro a Taiga, per cui avrebbe cercato di lasciar perdere, allontanarsi lentamente e finire per mettere fra loro una distanza tale che neppure uno sguardo complice e un sorriso - nel caso si fossero mai rincontrati - sarebbero riusciti a sormontarla.
La sua razionalità, paradossalmente, iniziava dalle uova: questa volta ne aveva comprate una dozzina, di modo che sua nonna avrebbe aspettato almeno altri quattro giorni prima di rispedirlo a fare la spesa.
Tetsuya si era appena chiuso la porta di casa alle spalle e aveva posato delicatamente la borsa della spesa a terra, quando sua nonna fece capolino all'ingresso con le labbra sottili increspate in un grosso sorriso.
«Tetsuya, Tetsuya! Pochi minuti fa è passato un tuo amico!»
Tetsuya aggrottò leggermente la fronte.
«Chi?»
«Oh, non … non ricordo il nome.» rispose rammaricata «però era un bel ragazzo, molto alto.»
«Aomine-kun?» Tetsuya stesso non fu sicuro di pronunciare quel nome: sua nonna conosceva bene Aomine ed era quasi impossibile che fosse venuto fino a casa sua, magari per dirgli che aveva cambiato idea sul progetto di ripristinare la Generazione dei Miracoli e che lo appoggiava: sarebbe stato troppo bello per essere vero.
«No, non era lui.» sua nonna si massaggiò il mento e aguzzò la vista, come se stesse cercando di ricordare qualche particolare.
«Aveva … aveva delle sopracciglia strane.»
Tetsuya sentì un sussultò al cuore e spalancò gli occhi. La mano era già inchiodata alla manopola.
«Nigou gli è andato incontro per fargli le feste e si è spaventato a morte.» la risata, già di per sé leggera, di sua nonna diventò impercettibile alle orecchie di Tetsuya.
Non credeva alle sue orecchie, ed ebbe il sospetto che, come quello di ripristinare la Generazione dei Miracoli, anche il progetto di mantenere un atteggiamento razionale sarebbe stato accantonato molto presto.
«Kagami-kun ...» fu un sussurro, il suo.
Non lasciò a sua nonna la possibilità di dire altro e, spalancando la porta, uscì in strada, correndo in direzione dell'appartamento di Kagami: non aveva idea di cosa ne avesse fatto, se avesse deciso di venderlo, affittarlo o semplicemente abbandonarlo, ma fu istintuale dirigersi proprio in quella direzione - e poi, se fosse venuto dal lato opposto, si sarebbero sicuramente incontrati, visto che lui giungeva dal supermercato -
Tetsuya non voleva illudersi un'altra volta, ma quella buffa descrizione gli era bastata per capire che si trattava proprio di Taiga. Del suo Taiga.
Tetsuya non si era scomposto più di tanto, piuttosto pensava a resistere alla fatica della corsa forsennata e a farsi strada fra la gente.
Tuttavia, non appena intravide quello che in confronto a lui pareva un armadio e i suoi inconfondibili capelli rossi e un po' arruffati, ogni briciolo di lucidità scomparve, così come la razionalità e il contegno.
«Kagami-kun!» Tetsuya non si vergognò di quel richiamo a voce alta - troppo alta per lui -. Era un richiamo che tratteneva da troppo tempo, una gioia che tratteneva da troppo tempo.
«Kagami-kun!» ripeté quando vide che, nonostante i metri che li dividevano si accorciassero sempre di più, il ragazzo non accennava a fermarsi.
D'un tratto, però, Tetsuya poté rallentare la sua corsa, anzi dovette.
Kagami si era voltato all'improvviso e Tetsuya aveva sentito il cuore balzargli in gola: glielo avrebbe detto. Quello stesso giorno glielo avrebbe detto.
«Kagami-kun.» ancora una volta, quello di Tetsuya si era tramutato in un flebile sospiro, un tremolio di voce.
«Kuroko.» Kagami si era immobilizzato nel bel mezzo del marciapiede, tanto che due pedoni di seguito non riuscirono ad evitarlo del tutto e lo scontrarono appena, invitandolo a muoversi, ma questa volta verso l'amico.
Tetsuya si chiese se non si trattasse di un sogno: gli faceva male il petto per quanto gli batteva forte il cuore, e per un attimo anche lui dovette fermarsi e prendere una grande boccata d'aria, con le labbra schiuse e tremolanti, pronte a pronunciare quelle parole che tante volte aveva tessuto nella sua mente e alle quali pensava non sarebbe mai riuscito a dar voce.
Finalmente si trovarono a pochi passi l'uno dall'altro: forse non erano mai stati così vicini e non si erano mai guardati negli occhi così a lungo.
«Kagami-kun, io ...» Tetsuya esitò solo per qualche attimo, poi accennò un sorriso incredulo e riprese a parlare.
«Io … ti saluta mia nonna.»
Idiota.

È un continuo inseguirsi, un eterno cercarsi. Il gioco della luce e dell'ombra è ciò di quanto più complesso c'è al mondo.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Oook, specifico due o tre cose sul capitolo e poi vi lascio fino a data da destinarsi (?)
Innanzi tutto volevo chiarire che fra la prima parte (quella MidoTaka, tanto per capirci) e la seconda (quella AoKise) è trascorso un giorno.
Come mai Takao chiama quello che alle superiori era il suo senpai, addirittura “Kiyo-chan”? È un motivo molto semplice e si capisce benissimo se date un'occhiata agli accenni delle coppie.
Ora: calma e non inseguitemi con forconi e torce infuocate. Vi prometto che la MidoTaka avrà il suo momento di gloria e non vi tedierò con la MiyaTaka, anzi.
Fidatevi di me e non uccidetemi, perché se muoio non ci sarà alcuna MidoTaka ;3;
(I nomi delle sorelle dei due sono inventati, non rubatemeli, thanks~)
Il pezzo AoKise … non riesco a giudicarlo. Mi sono divertita a scriverlo (almeno la prima parte), ma ho dei dubbi su come è andata a finire la cosa. E scusate per quel “tette”, ma penso sia un vocabolo che esprime gran parte dell'essenza di Aomine, per cui ho voluto usarlo.
Stessa cosa, per rendere meglio l'idea del punto di vista di Aomine, ho voluto anteporre “mamma” al nome di Akashi, perché da quanto ho letto Akashi si dimostrava così premuroso in passato che Aomine si rivolgeva spesso a lui chiamandolo proprio “mamma”.
Alla fine della parte dedicata all'accordo fra Kise e Himuro avrete notato che ho parlato di un drago e della pioggia, e tanto per farvi capire che non ho qualche problema mentale vi spiego subito il perché di questa scelta: tanti di voi sapranno che il nome di Himuro significa drago e fa riferimento al Drago Azzurro della mitologia cinese, quindi mi sono documentata e ho scoperto che questo drago simboleggia l'elemento dell'acqua e ha il potere di controllare la pioggia, per cui ho scelto di rappresentare il ricatto di Himuro (dopotutto è bravo nei raggiri~) con questa piccola metafora.
L'ultimo pezzo … niente: finalmente i due piccioncini si sono incontrati e vediamo un Kuroko che fino all'ultimo ha l'assurda pretesa di riuscire ad andare da Kagami e confessarsi come niente fosse. Tuttavia è ancora troppo presto (vi faccio soffrire ancora un po', sì) e ho voluto finire il capitolo in questo modo. E ho deciso che per Numero Due da ora in poi userò Nigou (cercherò di correggerlo anche nei capitoli precedenti!)
È uno dei capitoli che mi sono divertita di più a scrivere, e poi sono riuscita a trovare un senso più profondo per Hall of Fame (ci ho pensato proprio mentre scrivevo che questa fantomatica “Hall of Fame” potrebbe essere paragonata allo spazio “riservato” della Zone), visto che prima era un titolo semplicemente ispirato alla canzone. Mi piace l'idea che ho avuto (concedetemi un po' di vanità, ogni tanto).
Immagino che con la storia di Miyaji e Takao, Aomine che continua a rifiutare e Kuroko che al posto di confessarsi se ne esce con: “Ti saluta mia nonna.”, vogliate uccidermi, quindi credo proprio che taglierò la corda!
E mi scuso per eventuali errori di punteggiatura, ma il correttore mi ha abbandonato di nuovo ;_;
Alla prossima!
   
 
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