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Autore: oswin_    12/04/2014    3 recensioni
E se Regina fosse stata rinchiusa nel Vaso di Pandora prima che potesse lanciare la Maledizione?
E se la principessa Emma ritrovasse questo Vaso di Pandora vent'otto anni dopo, senza essere a conoscenza della sua storia?
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Dal testo:
In pochi cuori regnava la verità: una verità che non veniva mai accennata, una verità che taceva nei ricordi di coloro che sapevano. Se ne raccontavano miti e leggende, come se la Sua esistenza fosse solo mera invenzione, ma la vera storia non venne più raccontata. Da vent’otto anni ormai non c’era più terrore nel regno, ma solo pace e serenità – e ignoranza. Ignoranza perché si preferì dimenticare, si preferì non divulgare la tumultuosa storia di quel regno.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Passarono dei secondi, dei minuti, senza che nessuna voce si diffondesse più nell’aria. Passarono quegli istanti, gremiti di ansia e di freddo terrore – terrore di un qualcosa che Emma non conosceva, terrore per un qualcosa di cui Emma ignorava l’esistenza. Terrore, null’altro – solo quello, solo quel terrore che quella voce aveva scaturito. Era sempre stata coraggiosa, Emma: talvolta le veniva confermato di aver maggior coraggio di quanto non ne avesse suo padre, ma in quel momento tutto il coraggio sembrava esser rimasto al di fuori della grotta. Tutto era fuori dalla caverna: il coraggio, la forza, la volontà di scoprire. Ora avrebbe solo voluto andare via – neanche le interessava cosa ci fosse lì, semplicemente non ci sarebbe tornata. Ma dopo quei minuti – minuti di silenzio, interminabili attimi cupi e colmi di mistero – la principessa della Foresta Incantata iniziò a credere di aver avuto un’allucinazione, perché non avvenne più nulla. Solo quel silenzio che l’aveva sconvolta: e quindi si sistemò, si ricompose ed esalò un profondo respiro. Osservò invano quello spazio vuoto, non potendo vedere nulla, e si voltò, con tutta l’intenzione di ritornare al regno il prima possibile – dimenticatasi anche della spada del padre, ormai. S’incamminò verso l’uscita, e sarebbe uscita, se solo una luce ed un calore non si fossero diffusi nella grotta. Voltò immediatamente il viso, vedendo come prima cosa due occhi.
Occhi bui, più di quanto non lo fosse l’ambiente circostante.
Infinito oceano di inquietudine.
I suoi occhi – così chiari – incrociarono un altro sguardo – così scuro.
Diamante contro carbone.
Petrolio nell’oceano.
Inevitabile catastrofe – per qualche ragione, pensò a quello.
Per qualche ragione, quegli occhi che incrociò non furono capaci di suscitarle alcun pensiero positivo, ma solo inquietudine – catastrofe, morte, tenebra.
Non disse nulla. Il suo sguardo era fermo ma assente, le sue labbra leggermente dischiuse ma mute.
Il suo cervello elaborava le immagini ed i pensieri, ma senza alcuna logica.
« Togli già il disturbo? » Fu solo lì che Emma rinsavì, al nuovo sopraggiungere della voce di donna. Donna, perché finalmente Emma la vide. Dopo essere riuscita a staccarsi dai suoi occhi – con enorme fatica, erano peggio d’una calamita – notò una luce illuminare il volto di una donna, un volto tanto affascinante quanto… silenzioso. Non traspariva alcuna gioia da quel volto, e Emma fu certa di aver disturbato chiunque-lei-fosse, nell’aver aperto quello strano cubo – aperto, non sapeva neanche se pensare questo. Dopotutto, aveva solo avvicinato la mano a quel cubo e… beh, era successo ciò che era successo. La sua mente – la mente di Emma, una mente solitamente molto più sveglia – viaggiava a rallentatore, e dopo altri – ennesimi – istanti, la ragazza si rese conto della fonte di quella luce, e di quel calore. Si rese conto di una fiammella presente sulla mano destra dell’altra donna, una fiamma capace di illuminare tutta la caverna e di donar essa del piacevole calore – meraviglioso torpore.
«Chi sei? » Banale questione, stupida domanda – perché avrebbe dovuto risponderle, d’altronde? Erano così – immobili, ad un paio di metri di distanza l’una dall’altra.
Non si conoscevano eppure una aveva liberato l’altra.
Non si conoscevano eppure una aveva ricorso alla magia pur di sapere chi l’avesse salvata.
« L’ultima persona che vorresti incontrare. » Emma poté chiaramente notare un ghigno farsi strada sul volto dell’altra donna, ed avvicinandosi ad ella mostrò un bastone, che poco dopo avvicinò alla mano della donna, per permettersi un’ulteriore luce. Ma fu un attimo, ci mise un attimo a recuperare da terra la spada – spada che finalmente aveva ritrovato, spada che aveva notato nel momento in cui la grotta era stata illuminata – e a puntarla alla gola della donna che si ritrovava davanti, sollevando leggermente il volto e guardandola con serietà.
« Chi sei? » Ripeté, con meno tranquillità – perché quella figura la metteva in tremenda soggezione, perché quella figura le faceva vibrare i nervi come raramente le capitava. E non sapeva se era positivo, e non sapeva se era negativo.
Dischiuse le labbra, la donna liberata dal cubo, le dischiuse ed Emma notò quanto fossero rosse.
Le dischiuse e da esse fuoriuscì solo un sospiro smorzato a metà strada, le dischiuse e le sue gambe si incurvarono per una frazione d’istante. Una frazione d’istante durante la quale la fiamma ondeggiante su quella mano mise fine alla propria “vita”, una frazione d’istante durante la quale i movimenti della donna furono abbastanza bruschi da far giungere la lama dell’arma di Emma sulla guancia dell’altra donna, abbastanza vicino alla pelle da provocarle una ferita superficiale. Dovette appoggiarsi al piedistallo su cui era ancora poggiato il cubo, dovette appoggiarsi lì ed alzare lo sguardo verso quello chiaro ma non molto limpido – confuso – di Emma. Quest’ultima la guardò ancora per qualche istante – ma la sua voce tacque, ma le sue labbra non si dischiusero più.
E solo dopo diversi minuti si decise a darle le spalle e ad abbandonare definitivamente la grotta, fingendo di aver sognato.
Mentendo a sé stessa, cercando di convincersi di aver avuto solo un’allucinazione.
Ma quegli occhi.
Quegli occhi… non lo erano.
Non erano un’allucinazione, era impossibile che lo fossero.
 

Non ci fu ragione di chiuder occhio, per le due notti successive a quell’avventura avvenuta nella Foresta Nera. Si rigirava nel proprio letto a baldacchino, con gli occhi sbarrati e il respiro smorzato.
Occhi sbarrati – perché ogni volta che si chiudevano, ogni volta che Emma si metteva ad attendere il piacevole torpore del sonno, quello sguardo scuro balenava nuovamente nella sua mente. Un’immagine troppo vivida per essere stata immaginata, un qualcosa di troppo bello per non essere vissuto.
Aveva una crescente voglia di scoprire – di scoprire chi fosse quella donna, di scoprire qualcosa su quel cubo magico.
Voleva anche scoprire qualcosa sulla magia – ma quello da sempre, e anche se lei era consapevole di poterla maneggiare ormai quella curiosità era stata catastroficamente superata dall’altra ben più impellente.
Avrebbe voluto domandare qualcosa ai propri genitori, ma consapevole che si sarebbero infuriati per essersi spinta fino a quella foresta dilaniò quella proposta che s’era fatta, rigirandosi per l’ennesima volta tra le lenzuola di seta. Non era da lei preoccuparsi così tanto per qualcosa – se quella era preoccupazione. Perché non ne era certa, perché era un qualcosa di strano – un qualcosa che non sapeva proprio decifrare, un qualcosa che nessuno avrebbe saputo decifrare.
Era come se fosse stregata dalla voglia di conoscere, ma avvolta dal terrore di scoprire. Sensazioni totalmente contraddittorie che in quella situazione si amalgamavano alla perfezione, situazioni totalmente contraddittorie che s’erano dichiarate guerra – nello spirito di Emma.
Nello spirito, nella mente, nel cuore.
Sbuffò e scostò il lenzuolo dal proprio corpo, sistemandosi seduta sul letto e passandosi una mano tra i capelli biondi. Aveva tutte le intenzioni di rimettersi a dormire – o a provarci, almeno – ma alcune voci proveniente dalla camera dei genitori le fecero cambiare rotta di pensiero, obbligandola ad alzarsi da letto e ad abbandonare la propria stanza. I suoi passi strisciavano lenti e silenziosi sul pavimento, e il suo sguardo era attento sull’ambiente circostante, per timore d’esser scoperta – non che la terrorizzasse l’idea di essere ritrovata sveglia nel cuore della notte, dopotutto aveva vent’otto anni. Semplicemente preferì evitare, per quella volta.
Arrivata davanti alla camera dei propri genitori, Emma notò la porta non totalmente chiusa e si avvicinò nuovamente, riuscendo a scorgere il viso preoccupato della madre, seduta a letto. Re James, invece, camminava per la stanza, come colto da un’improvvisa inquietudine d’animo.
« Ne sei sicuro? » La voce di Biancaneve risuonò nell’aria tremante, e le sue mani andarono a poggiarsi sul ventre, con fare protettivo.
« C’ero anch’io lì, con Brontolo. La caverna si è illuminata davvero – per qualche istante. E questo vuol dire solo una cosa… » Emma corrugò la fronte all’affermazione del padre, sentendo un nodo alla bocca dello stomaco e il respiro farsi più pesante – dovette controllarsi, però. Perché doveva capire tutto, e  non doveva farsi scoprire.
« Vuol dire che è tornata. » Ennesima affermazione della donna, ennesimo respiro mancato di Emma.


Non si pose il problema della notte. Raggiunse la caverna con la luna piena ad illuminare tutto il regno.
Raggiunse la grotta all’oscuro di tutti, raggiunse quell’antro di magia nera scappando dal suo piccolo, accogliente nido materno. Quando scese da cavallo, non si pose neppure il problema di assicurarsi che non si verificasse alcuna fuga da parte del destriero. Non aveva voluto sentire altro – pretendeva che fosse lei, quella donna, a svelarle la libertà. Dopotutto l’aveva liberata, si meritava una ricompensa.
Fortunatamente quella notte si era precedentemente procurata  qualcosa che le permettesse di non girovagare nel buio più assoluto, e raggiunse il ventre della grotta con quella fiammella che illuminava l’ambiente circostante – con quella fiammella che divorava il legno. Quella fiammella che divorava il legno, esattamente come quegli occhi avevano divorato Emma in quei giorni.
« Dove sei? » La voce di Emma riecheggiò turbata nell’antro di silenzio, finché non sentì la voce risponderle.
« Evita di urlare. » Una mano sfiorò il piedistallo e ad esso si aggrappò, permettendo ad un corpo decisamente debole di alzarsi e sorreggersi malamente in piedi, osservando colei che qualche giorno prima aveva reso possibile tutto quello. « Cosa vuoi? »
La principessa non fiatò per alcuni minuti, minuti durante i quali la sua fronte non poté far altro che aggrottarsi e il suo sguardo posarsi sul viso dell’altra donna. Il taglio superficiale provocatole involontariamente un paio di giorni prima era ancora visibile, ma la cosa che più colpì Emma fu il ritrovare l’altra donna in una condizione che non poteva essere paragonata alla prima volta che l’aveva vista. Era stata forte, tenebrosa, inquietante. Ora era solo un qualcosa di debole che tentava di racimolare quanta più forza potesse.
« Tu non stai bene, dobbiamo uscire di qui. » Non attese risposta, Emma, si avvicinò all’altra donna e posò una mano sul suo polso. E gli occhi dell’altra donna scattarono sulla mano di Emma, perché era stato un contatto troppo improvviso. Un contatto troppo caldo, un contatto troppo… umano.
« N – no! » La voce dell’altra donna vibrò nell’aria, come colta da un’improvvisa preoccupazione, ma Emma non ci badò troppo. Continuò a camminare verso l’uscita della grotta, obbligando la donna a seguirla.
E sarebbero uscite, se solo non fosse successo l’inimmaginabile. Sarebbero uscite se solo Regina non fosse stata scaraventata contro la parete opposta non appena tentarono di aver un contatto con l’esterno. Emma uscì, ma lei no. Lei fu spinta nuovamente in quel ventre della terra, con una violenza che fu capace solo di peggiorare la sua situazione già critica. La raggiunse, Emma, senza porsi troppe domande. La raggiunse per assicurarsi che stesse bene, ma l’unica cosa che constatò era il fatto che la donna fosse ormai svenuta.
 

L’alba era sorta senza che la donna si fosse ancora svegliata, e la principessa della Foresta Incantata non avrebbe saputo dire quanto sarebbe ancora dovuta rimanere lì. Non aveva chiuso occhio – come non le succedeva da giorni, ormai. – ma una strana preoccupazione l’aveva accolta quando quella donna era stata impossibilitata dall’uscire. Lei poteva uscire, tornare a casa, Emma poteva.
Eppure qualcosa la teneva lì – qualcosa che andava oltre la magia, qualcosa che non aveva nulla a che fare con le prigionie. Una sorta di senso del dovere la teneva legata a quel posto, era certa che sarebbe rimasta lì volontariamente almeno fino al risveglio di quel mistero che ora, sdraiato a terra, esalava profondi e lenti sospiri.
   
 
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