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Autore: Not_Lollipops    12/04/2014    3 recensioni
E’ strano come tutto quello che percepiamo sia direttamente collegato alle nostra aspettative, credo che siano in realtà le aspettative a fotterci. Quando abbiamo aspettative nutriamo una sorta di attaccamento e gli diamo importanza; rimaniamo delusi se la realtà non raggiunge le nostre aspettative. Al contrario, senza aspettative, tutto può stupirci e deluderci incondizionatamente. E penso che sia questo il segreto di Frank; non nutriva alcuna aspettativa, era in balia del destino.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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8th Grade

Cammino lentamente per il costole nel tardo pomeriggio, con il cappuccio tirato sulla testa, le mano destra infilata nella tasca se ne libera per tirare la maniglia gelida, aprendo la porta. Dopo aver girato l’angolo, mi avvicino all’armadietto, prendendo i libri di letteratura e ficcandoli controvoglia nello zaino.  Guardo il libro che è caduto, storcendo un po’ le labbra sulla copertina di Oliver Twist raccogliendolo. Non faccio che pensare a quel ragazzo, è un po’ difficile da spiegare quando ti chiedi come stia una persona che non conosci.  Penso sia empatia quella che lo ha spinto ad avvicinarsi e a farmi ascoltare quella bella canzone, mi ha fatto stranamente piacere ,per una volta, che il mio spazio personale sia stato violato così spudoratamente. Non lo vedo in giro da un po' di giorni e mi preoccupa questa specie di ansia che provo quando non è nei dintorni. No, non posso davvero preoccuparmi per qualcuno che davvero-non-definitivamente-conosco. Abbiamo scambiato solo qualche occhiata fugace nei corridoi, in questi giorni, è nella mia classe di letteratura e l’ho ascoltato leggere qualche giorno fa.


Sospiro amaramente, svuotando la mente dall’immagine del ragazzo per concentrarmi sulla bruciante disperazione che mi infligge spietatamente la prospettiva di studiare per il compito di algebra. Metto lo zaino in spalla, salendo le scale, avviandomi nell’aula di inglese per cercare gli appunti lasciati sotto il banco. Strascico le scarpe quando li trovo sulla cattedra del professore, sistemandoli e ritornando indietro.

"Non mettere le mani sul fuoco, ti brucerai Pansy"- una voce maschile riecheggia nei corridoi, strano. Mi dirigo verso la voce, salendo a due a due i gradini, al secondo piano. Incrocio i gorilla* sulle scale, che scendono velocemente parlando, hanno dei segni lividi in viso, ferite fresche di una specie di rissa. Quello biondo è messo peggio dell’altro, si ritrova con un sopracciglio sanguinante e uno zigomo livido, la sua divisa è stropicciata e alla camicia manca qualche bottone.

Ciondola vicino gli armadietti malconcio, si tiene l'addome a testa bassa, scivolando fino a terra. Vedo del sangue colargli dal naso, che asciuga con il dorso della mano, sporcando il polsino della divisa. Non va bene, non va affatto bene. Alza gli occhi e li incatena ai miei; sembrano quasi degli infiniti e magnetici pozzi verdi, cerca di sorridere distendendo le labbra, ma quello che dovrebbe essere un sorriso si tramuta in una smorfia di sofferenza . Siamo forse gli unici a scuola a quest’ora e non posso credere a quello che ho visto.

"Hey." -abbozza con tono sommesso, alzandosi in piedi. Gli guardo le nocche livide, tremanti e ricoperte di sangue non suo. Collego mentalmente i due che ho visto prima, rimanendo non poco sconvolta.
"Che cazzo hai fatto." gli prendo le mani e lo guido verso i bagni maschili. C'è un odore di piscio tremendo, che ci invade appieno quando entriamo, dandomi il voltastomaco. Raccatto un po’ di carta igienica, che uso per fermare il sangue dal naso.
"Sai cosa?" - non gli presto attenzione mentre si lava le mani, rendendo il lavabo di un colore cruento all’inizio e alla fine scialbo, perché il sangue che cade di un colore rosso intenso ma poi si mescola con l’acqua, sviando in un colore quasi arancione. - "Non so nemmeno qual è il tuo nome." Chiude il getto d’acqua scuotendo le dita, le mani adesso sono solo un po’ scure rendendomi certa che il sangue non era suo.

Gli tocco ancora il tampone che ha infilato nella narice destra, zuppo, lo tolgo e cerco di metterne uno nuovo; anche se il sangue non fuoriesce più come prima.
 
"Non muoverti." -gli ordino mentre lo tengo fermo una mano dietro la nuca.
"Uhm... non muoverti." -sembra riflettere- "È un bel nome. Io sono Frank."
Alzo gli occhi al cielo. "Bene, Frank, dovresti smetterla di fare a botte."

Sento il suo fiato caldo sul collo mentre gli pulisco la guancia, tolgo ancora una volta il tampone dal naso, assicurandomi che non ci sia più sangue. Il mio cuore aumenta impercettibilmente i battiti mentre si avvicina ancora di più a me, bloccandomi tra il muro lercio del bagno e il suo corpo.  Mi sento in trappola, sudando freddo, capendo che potrebbe riuscire a…

"Com'è che ti chiami, allora?" ripete visibilmente più scocciato.
"Carter, va bene? Che cazzo di casino che hai fatto."- mi scosta da lui ritornando al lavabo per bagnarmi la faccia.
"Sopravvivrò, dottore? Ho una moglie e dei figli a casa. Chi provvederà a loro?"- finge in tono disperato.
"Chi è stato?"- chiedo di spalle mentre mi lavo le mani.
"Nessuno. Okay? Nessuno, Cristo."- sbuffa allontanandosi da me. Frank prende posizione con le spalle al muro e incrocia le braccia, infastidendo il cardine di una porta del cesso, per poi staccarlo con un calcio.


"Bene." - sputo arrabbiata. "Bene." - ripeto.
"Non sei tenuta a preoccuparti per me Carter, so cavarmela anche da solo"- borbotta Frank masticando il mio nome.
" Togliti la maglietta."- chiedo più gentile
"Se vuoi farlo, almeno chiudiamo a chiave."- ammicca 
"Voglio vedere… quello che ti hanno fatto." -spiego. Frank si irrigidisce.

Fa come dico e si toglie la maglietta riluttante, quando riesco ad avere la piena visuale del suo addome stringo le labbra, mordendomi il labbro inferiore; è anche peggio di quello che m'aspettavo. Un livido scuro e informe gli maschera l'addome piatto come una macchia di sporco rossastro sulla sua pelle diafana. Stringo le labbra e contraggo la mascella nervosa, per quello che è successo, per quello che sto guardando.  Mi avvicino cautamente. 

"Contenta?" - Frank sorride ma appena incrocia il mio sguardo preoccupato abbassa gli occhi- "Non è un grande spettacolo." borbotta

Non dico niente e gli sfioro la parte malconcia, abbassandomi. Trattiene il respiro e non so se per il dolore o le mie dita fredde. Alzo gli occhi su di lui inespressiva, cercando un segnale da parte sua; qualunque cosa che mi dia una risposta. Mi guarda in attesa di una sentenza, come un condannato senza speranza alcuna. Continuo senza una parola con il mio tocco leggero, sfiorando con l’indice i contorni e le zone più scure vicino i fianchi. Arrivo alle costole e mi fermo, sollevando le dita meccanicamente, ancora invasa dai pensieri più brutali. Sospiro.

"Ad alcune ragazze piace giocare alle crocerossine, Frank. Ma questo è terribile."- detto questo con le dita gli giro il viso e presto attenzione al suo naso, togliendo il tampone che ormai non serve più. Mi guarda intensamente, mentre controllo ancora i tratti del suo viso stringendo di tanto in tanto le labbra. Non abbassa lo sguarda al mio contatto visivo,  spudoratamente serio in una situazione impacciata, come se dovesse rispondere ad una domanda implicita cala lentamente le palpebre, infilandosi le mani in tasca.

"Chi è stato, Frank?"- chiedo sulle sue labbra, non riesco a fare a meno di pensare a quegli idioti che ho incrociato sulle scale.
"Nessuno." - mormora- "Ce le siamo suonate, capita.”

Noto che sulla sua pelle si forma la pelle d'oca. Gli passo la maglia e cautamente la indossa, aggiustandosi con la mano destra i capelli in un gesto veloce. Usciamo dal bagno distanti, lasciandoci alle spalle quello sfarzo di intimità avuto poco prima. Ora è ripulito e distante come lo sconosciuto che è nei miei confronti, senza troppi giri di parole mi da le spalle e inizia ad allontanarsi. 

"A domani." – bofonchia senza guardarmi, asettico mentre strascica le scarpe contro il pavimento e già spero sia una promessa. Resto per poco sul mio posto, ancora ragionando su quello che è appena successo senza riuscire a spiegarmi il perché delle mie azioni, vorrei dare la colpa ai gesti compassionevoli e generosi che non ho mai avuto e forse mai avrò. Mi avvio verso l’uscita nella direzione opposta, con lo zaino che sembra sempre meno pesante mentre mi perdo nel mio stesso flusso di pensieri. Varco l’uscita distratta, mentre una macchina malconcia imbocca l’uscita dal parcheggio lasciandomi intravedere Frank al volante.


*8th Grade= è una canzone dei Pencey Prep scritta da Frank sugli abusi che subiva, ve la consiglio
  
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