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Autore: Melanto    12/04/2014    5 recensioni
Le scelte che compiamo e le loro conseguenze tracciano la storia, disegnano la realtà così come la conosciamo. Costruiscono il mondo che ci circonda.
Ma cosa sarebbe successo se una scelta fosse stata diversa? Come sarebbero cambiate le conseguenze? Che mondo avrebbero costruito?
Mamoru e Yuzo non avrebbero mai pensato che potessero segnarne addirittura la fine.
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Altri, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Bug
- VII: fixing the bug -
(parte II)

 

- Quanta strada avremo percorso? -
Mamoru lo domandò che il buio aveva già iniziato ad avanzare da almeno un’ora. Dovevano essere le nove di sera, e iniziavano a sentirsi stanchi.
Dopo tutta l’adrenalina bruciata nella fuga dalla crepa e poi nel salto dal quad, adesso non rimaneva che la tensione ormai sciolta e muscoli e nervi esausti. Per non parlare dei lividi che si erano procurati durante la caduta.
Avevano camminato seguendo la strada o, per meglio dire, la voragine che ora l’occupava. Puntava dritta a Nankatsu, tanto che non avrebbero mai potuto perdersi. Il brutto era che più si avvicinava alla città, più si allargava e prendeva connotati enormi, tanto che quando furono di nuovo in grado di camminare presso il bordo del baratro senza correre rischi, riuscivano a vedersi sulle ‘sponde’ opposte, ma non erano in grado di carpire i particolari. E ora che stava calando la sera su di loro, la luce li avrebbe sfavoriti e resi ciechi, l’uno all’altro, perché i lampioni erano stati ingoiati assieme all’asfalto.
Per tutto il tempo che avevano camminato, si erano tenuti compagnia grazie alle trasmittenti. Avevano continuato a parlarsi e non era passata mai neppure un’ora che rimanessero in silenzio. Ognuno di loro doveva accertarsi che l’altro ci fosse, che lo sentisse. Dovevano stabilire un contatto seppur solo attraverso delle radioline.
«Da Nankatsu fino al Muro o viceversa?»
- Tutt’e due. -
Yuzo si passò con dolenza una mano dietro al collo. I nervi tiravano, dovevano essere incriccatissimi. Roba che solo un massaggio fatto come si deve sarebbe riuscito a scioglierli. E gli faceva male la gamba destra; doveva aver sbattuto contro il tronco di qualche albero, durante la caduta, e camminarci sopra così a lungo e attraverso un terreno tanto accidentato non gli faceva bene per niente.
C’erano solo campagne lungo la strada che collegava Nankatsu a Fujinomiya, e boschi. Le aree di pianura e verdeggianti, dai campi coltivati, si alternavano a macchie fitte di tronchi e muschio, tanto che finiva col perdere Mamoru e la voragine di vista. Suo padre li pattugliava spesso assieme ai colleghi della Forestale alla ricerca delle trappole dei bracconieri e degli allevatori, che cercavano di tenere gli animali selvatici lontani dal bestiame, e lui si ritrovò a pregare di non finire dentro qualche tagliola, perché ci sarebbe mancato solo quello.
«All’andata, credo una trentina di chilometri. Forse di più.»
Sentì Mamoru sbuffare; anche lui era a pezzi era ovvio.
- Così tanti? -
«Ho tirato il quad al massimo.»
- A proposito… - Stavolta avvertì una nota più divertita provenire dalla voce del giovane. - …ancora non mi hai spiegato che diavolo ci faceva un quad nel tuo garage. -
Yuzo si ritrovò a ridere, mentre avanzava aiutandosi con i tronchi degli alberi. Vi trovava appoggio e sostegno.
«L’ho vinto lo scorso anno. C’era questo concorso di sudoku su una rivista di enigmistica, e ci ho provato.»
- Che razza di secchione sei?! Ora capisco perché sei riuscito a battere addirittura Taro! -
«Esagerato! Non sono un secchione!» Anche se glielo dicevano pure i suoi compagni di squadra, però questo non lo disse a Mamoru che si stava già sbellicando così.
- Dove hai imparato a guidarlo? - Anche Mamoru camminava in mezzo a una macchia boschiva. La strada l’aveva tagliata in due, una parte era rimasta a destra e l’altra a sinistra; lui e Yuzo la stavano attraversando in maniera speculare. Quando c’era ancora luce aveva visto dei faggi e qualche nocciolo. L’erba non cresceva alta, ma rimaneva piuttosto rada; anche per questo l’impatto non era stato dei più ortodossi.
Comunque, l’oscurità e la camminata – che ormai durava da ore – non gli stavano pesando più di tanto, perché aveva la voce di Morisaki a fargli compagnia e dovette ammettere con una parte di sé che gli piaceva stare ad ascoltarlo, lo faceva sentire stranamente rilassato, del tutto dimentico dalla gravità della loro situazione.
«Papà. Lui lo usa spesso per lavoro.» Yuzo cercava di fare quanta più attenzione possibile a dove metteva i piedi, ma l’assenza della luce lunare e il cielo coperto, uniti alle fronde degli alberi che nascondevano ogni cosa non gli rendeva facili i movimenti. C’era sempre il rischio che inciampasse in una radice o in qualche ramo spezzato e poi caduto. «In quei rari giorni in cui i nostri orari riuscivano a coincidere, mi portava al mare e facevamo pratica lungo la spiaggia. Questa è stata la prima volta che l’ho portato su strada. Non è andata poi così male.»
- Tuo padre sarebbe molto fiero, visto che ci hai salvato la vita. -
«Ma se per poco non-» Un dolore acuto gli partì in un punto impreciso ma moderatamente grande tra l’addome e il fianco. Lo aveva da prima, ma era rimasto in sottofondo, tra quello alla gamba e alla spalla. Ora che aveva fatto un movimento, forse troppo ardito, era balzato in testa alle classifiche, tanto da togliergli il fiato e strappargli un lamento che Mamoru non sentì perché aveva prontamente sottratto il dito dal pulsante di comunicazione.
Inspirando un paio di volte, non troppo a fondo perché gli faceva male, Yuzo si poggiò contro il primo tronco che trovò.
I solleciti di Mamoru non si fecero attendere.
- Ehi? Tutto a posto? -
«Sì… sì.» Respirava con la bocca e anche il centrocampista si accorse che faceva una certa fatica. «E’ il fianco. Una fitta improvvisa. Devo aver preso una botta anche lì.»
- Forse è il caso di riposarsi. -
Ma Yuzo scosse il capo, anche se l’altro non poteva vederlo, e riprese la marcia pur muovendosi con attenzione.
«No, no! Ce la faccio ancora!»
C’era un po’ tutta la sua grande forza di volontà in quell’atteggiamento. Non era un tipo cui piaceva mollare l’osso quando era nel mezzo di un qualcosa. Ritrovò addirittura una maggiore libertà di movimento; il dolore scemava così come era comparso. Doveva solo stare attento a quello che faceva.
«Tu piuttosto. L’ho visto il sangue, prima. Come va?»
Mamoru non mentì. - Avrei bisogno di un po’ di disinfettante, lo ammetto. -
Però in quel momento gli importava di più del portiere; lui stava bene, anche se sentiva il sangue scendere al lato del viso in maniera lenta, una goccia alla volta. Non avrebbe voluto sporcare la felpa di Yuzo, ma era stato inevitabile.
«E di una fasciatura, immagino.»
- Credo bastino della garza e un cerotto. Mi sembrava di aver visto delle case sperdute nelle campagne della statale. Potremmo fermarci lì per la notte… Riprenderemmo il cammino sul presto. -
Yuzo sospirò. «Sei sicuro? Non voglio rallent-»
- Sono sicuro e non sognarti di finire la frase proprio ora che non posso prenderti a sberle. - Sentirlo ridere non lo indispettì. - Sei a pezzi e mentirei se ti dicessi di non esserlo anche io. Pensiamo a trovare un riparo, adesso. Preferisco sapere che hai un tetto sopra la testa, che essere prossimi alla meta. -
Yuzo avanzò di qualche altro passo in maniera più lenta e accorta. Sulle labbra aleggiava un sorriso a metà tra il timido e il lieto. Non replicò subito, ma fissò per un attimo il walkie-talkie dal piccolo display digitale illuminato. La luce azzurrina era l’unico bagliore nel raggio di metri, chilometri; sembrava la coda di una lucciola.
«Misaki l’aveva detto.» Si decise a rispondere.
Dall’altra parte, immaginò che Mamoru spalancasse gli occhi, lo capì dal tono più alto e concitato.
- Che cosa?! -
«Che sei una persona protettiva verso gli altri. Un po’ l’avevo capito anche dalle visioni.»
- Aspetta! Quando hai parlato di me con Taro?! -
Adesso lo immaginò in imbarazzo e la sua risata esplose sonora attraversando il bosco. Non si preoccupò di attrarre l’attenzione di qualche creatura, perché sapeva esserci solo loro lì e adesso.
«Paura, Izawa?»
- Paura?! Io non ho affatto paura! -
«Mah, visti gli ultimi risvolti…»
- Ehi! Cos’è?! Vuoi litigare?! -
«E perché no?» Ora ridacchiava, ci provava piacere a pungolarlo, lo capì anche Mamoru. «Devo ammettere che un po’ mi manca.»
- Piantala e dimmi quando avete parlato tu e Taro! -
Yuzo sollevò lo sguardo alle fronde, voleva prenderla più sul vago, giusto per tenerlo un po’ sulle spine, ma alla fine optò per la sincerità.
«Il giorno prima che succedesse l’incidente al parco. Noi stavamo discutendo quando lui è arrivato.»
- Ah, sì. E’ vero. Non venne con noi perché disse che doveva comprare dei libri… -
«Sì, lo accompagnammo noi.»
- Ah, ma davvero? -
A Yuzo non gli sfuggì l’irritazione di quella domanda ma sorrise.
«Non essere geloso, non stavamo tentando di portarlo alla Mizukoshi. Gli abbiamo raccontato un po’ degli attriti tra noi, di come tu ci avessi preso di mira. Lui ha avuto ottime parole per te, ti ha descritto in maniera completamente opposta a come ti vedevamo. Diceva che eri molto protettivo, onesto e leale.» Fece una pausa, indeciso se dire tutto quello che pensava oppure no. Forse fu il fatto che la conversazione avvenisse tramite trasmittente a farlo proseguire, se l’avesse avuto di fronte, probabilmente non sarebbe stato così onesto. «Penso sia stata la prima volta in cui mi hai stupito. Ero convinto che fossi solo uno stronzo.»
- Non facevo molto per confermare il contrario, lo ammetto. -
«Poi… poi le cose sono cambiate.»
Mamoru si umettò leggermente le labbra; allungò la gamba per superare una radice in emergenza che si contorceva innaturalmente verso l’alto, rischiando di far inciampare chiunque vi passasse accanto in maniera incauta.
- In bene o in male? -
«Beh, direi in-… ah!» Questa volta, Yuzo non riuscì a togliere le dita dalla trasmissione abbastanza in fretta, e il lamento di dolore venne udito anche da Mamoru.
- Yuzo? Ohi, Yuzo? -
Il portiere si piegò in avanti d’istinto, portandosi la mano nel punto che gli doleva, ma anche solo toccarlo lo faceva stare addirittura peggio.
Si appoggiò al tronco stando bocconi per un po’, giusto il tempo di riprendere fiato, poi strinse i denti, cercò di tenersi su, di stare dritto. E faceva male.
«Ci-ci sono…»
- Senti, fermiamoci, ok? Riprendi fiato qualche minuto. -
«No, ti ho detto-»
- E io ho detto di fermarsi, tanto in città non ci arriveremo comunque stasera. –
Certo che Yuzo era proprio testardo, quando ci si metteva. Mamoru l’aveva capito in maniera traversa tramite i ricordi delle altre vite, ma ora lo stava provando anche in prima persona e, a quanto pareva, era uno di quei tratti che non cambiavano da realtà a realtà ma rimanevano tatuati nel DNA universale. Però lui non era uno che si piegava facilmente, quindi non gliel’avrebbe data vinta. Mamoru era abituato a dare ordini, a essere leader in campo, figurarsi fuori.
- Fermati un momento e riposati, non mangi da ieri e il volo che hai fatto non è stato piacevole. -
«Nemmeno il tuo, se è per quello…»
- Io ho qualche livido e la fronte che sanguina un po’, ma per il resto sto bene, non pensare a me. Tu devi essere caduto male. -
«Già…» Yuzo l’aveva pensato già da solo. Ricordava che l’atterraggio era stato poco ortodosso, ma nella concitazione del momento non era riuscito a capire cosa e come avesse urtato.
Provò a prendere un altro respiro un po’ più profondo, ma il dolore era subito lì, in mille spilli, e lui mugolò dopo aver preventivamente staccato la conversazione con Mamoru.
Si poggiò con la testa al tronco e si guardò attorno per cercare un luogo in cui ripararsi. Non c’erano sporgenze né rientranze, tantomeno piccole grotte in cui accucciarsi e l’idea di dormire all’aperto, riparato solo dalle fronde, non era proprio l’ideale, anche perché il freddo era già pungente nonostante avesse camminato per ore.
Vide il Muro Bianco ergersi come una fonte luminosa. Sembrava emanare luce propria, come la neve quando ricopriva il paesaggio, ma non era abbastanza e, per fortuna, era ancora lontano. Se l’erano lasciato alle spalle durante la sfacchinata; avanzava molto lentamente e avrebbe dovuto dare loro il tempo di riuscire a raggiungere Nankatsu, prima che gli fosse addosso. Dopo… dopo non sapeva cosa diavolo avrebbero fatto, ma in quel momento preferì non pensarci e concentrarsi su una sola cosa alla volta. Quella più immediata consisteva nel trovare un riparo, così si girò dalla parte opposta, filtrando attraverso i tronchi degli alberi. Solo allora si accorse di essere arrivato ormai alla fine del boschetto; oltre si apriva una radura amplissima e, nel mezzo, distante meno di un chilometro, gli sembrò di scorgere una struttura. Una casa.
«Ehi! Penso di aver trovato un’abitazione, oltre il bosco. Dovremmo essere nella zona degli allevamenti fuori Nankatsu. Diamo un’occhiata?»
Anche Mamoru allungò il collo oltre gli alberi. Se erano nella zona degli allevamenti, le fattorie dovevano essere da entrambe le parti della strada; erano quelle le case che aveva visto mentre erano in fuga.
- Tu ce la fai? -
«Sì…»
- Ok, allora. Andiamo. Prima troviamo un riparo, prima ci possiamo riposare. -

Mamoru camminava nella piana, dove l’ambiente sembrava essersi rischiarato, forse perché non c’erano più alberi che impedivano al Muro di riflettere ogni luce possibile, anche quelle inesistenti. L’erba dava l’idea d’esser stata brucata in maniera omogenea.
«Sì, è la zona degli allevamenti. O almeno lo era, non è rimasta neppure più una bestia.»
Mamoru si guardò attorno con attenzione e c’era solo silenzio. Nessun muggito o belato. Doveva ammettere che gli faceva una certa impressione non sentire neanche un animale. Era sicuro che se avesse guardato bene, sarebbero sparite anche le formiche; proprio come se il mondo fosse divenuto artificiale, una realtà virtuale costruita solo per loro.
- Ci sono case dalla tua parte? -
«Ne ho una davanti, non preoccuparti.» Mamoru salì i gradini di pietra e la veranda in legno era lì che correva attorno all’abitazione. Si guardò attorno, tirando via un sorriso sul lato destro; il legno scricchiolava in maniera familiare e rassicurante sotto le suole. «Roba tradizionale, perfetto stile giapponese. A te cosa è capitato?»
Yuzo stava varcando la soglia in legno pesante, a un solo battente.
- Qualcosa di occidentale. Mattoni e cemento. –
Sembrava una masseria di stampo europeo, precisamente italiano. Era un ambiente ampio, ma che all’interno conservava il sapore rustico della campagna.
«La porta è aperta» constatò Mamoru, quando fece scorrere il pennello di legno.
- Sono tutte aperte, non c’è bisogno che vengano chiuse a chiave se adesso esistiamo solo noi due. Era così anche con l’appartamento in città. -
Mamoru non replicò, prendendo la cosa come un dato di fatto. Superò l’ingresso senza togliere le scarpe, almeno sul momento, poi però non riuscì a non farlo quando il tatami si presentò anche negli altri ambienti. Era una forma di rispetto che era più forte di lui, ma quando le tolse, le tenne ugualmente abbastanza vicine, in un angolo, per poterle rimettere in fretta al momento opportuno.
Allungò una mano lungo la parete, ma nel momento in cui mosse la leva dell’interruttore non cambiò nulla.
«La corrente è saltata.»
- Anche qui. -
«Il Muro Bianco deve aver preso la centrale elettrica…» Mamoru si guardò attorno e nonostante l’assenza di luci praticamente ovunque, riusciva a filtrare dalle finestre un certo chiarore che si rifletteva sul tatami. O forse era la sua vista che si era abituata al buio.
Dall’altra parte, Yuzo vagava per le stanze in una conoscenza sommaria dell’ambiente.
- No, credo sia stata la crepa. Hai visto che casino ha fatto. -
«Ha segato in due la città.»
- E comunque, niente corrente sai che significa? -
Mamoru sospirò. «Niente acqua calda.»
- E niente luce. -
Il centrocampista si sedette, esausto, sul tatami proprio sotto il riflesso che entrava dalla finestra. Sentiva i muscoli indolenziti e stanchi, più di quanto avesse pensato.
«Acqua fredda e lume di candela? In che modo dovrebbe risultare romantico?»
- Chi ha detto che dovrebbe essere romantico? - Yuzo ridacchiò. Si appoggiò contro i vetri freddi del balcone della cucina, ma era gelato anche lui quindi non lo sentì. Scostò appena una tendina e fissò quel buio da cui era uscito ma a cui sembrava ancora legato. - Facciamo un giro delle abitazioni e vediamo di sistemarci in qualche modo. Tieni sempre vicino il walkie-talkie. -
«Chiamami se dovessero esserci novità.»
- Ok, lo stesso vale per te. -
«E… Yuzo?»
- Mh? - La tendina oscillò dopo che lui l’ebbe lasciata andare, volgendo le spalle all’esterno.
«Occhi aperti.»
- Anche tu. -
Perché Mamoru aveva ragione e non bisognava distrarsi, non adesso che avevano trovato un riparo e sarebbe stato facile abbassare la guardia.

Yuzo mise via la trasmittente e si guardò attorno, mani ai fianchi. Aveva trovato la cucina e avrebbe potuto mettere qualcosa sotto i denti, ma prima avrebbe dovuto trovare delle candele con cui fare luce.
Stando attento a non urtare niente, che già aveva abbastanza lividi di suo, ripercorse la strada verso l’ingresso e controllò le altre stanze. C’era quello che sembrava uno studio e un bagno veramente grande, ma fu quando entrò nel salotto che tirò un sospiro sollevato.
«Un camino!» esalò con estasi e sperò che a Mamoru fosse andata altrettanto bene.
Lo raggiunse in pochi passi e si inginocchiò per valutare se dovesse uscire all’esterno per prendere la legna, ma anche questa era lì accanto, posta in un apposito spazio assieme a della carta e delle tavolette accendifuoco. Anche lui aveva il camino a casa, quindi era piuttosto pratico e non ci mise molto ad avere finalmente la prima lingua di luce.
La vide allungarsi da una delle tavolette fino alla carta, che aveva messo alla base della legna. La vampa salì attorno ai ceppi, quasi lambendoli, carezzandoli. Sembrava incapace di attecchire, per quanto fosse delicata e leggera, morbida come velluto. Invece la legna assorbì il fuoco, lo tenne legato a sé e la vampa si fece più forte e viva, improvvisamente aggressiva; veniva risucchiata verso l’alto dalle valvole di aerazione.
Yuzo sorrise nel percepire finalmente un po’ di calore, dopo ore passate all’aperto. Sospirò e si mise in piedi, deformando il viso in smorfie di dolore. Doveva assolutamente andare a controllare l’entità dei danni subiti, anche se era sicuro che non gli sarebbero piaciuti. Zoppicando e con finalmente l’ambiente che iniziava a rischiararsi, si mise a cercare delle candele da poter usare per muoversi nelle altre stanze e, incredibilmente, la fortuna fu dalla sua perché trovò addirittura una torcia.
Yuzo la prese e l’accese un paio di volte.
«Batterie! Siano lodate!»
Adagio, un passo alla volta, salì al piano superiore. Vi trovò solo le camere da letto, una matrimoniale e due singole, e null’altro. I proprietari della fattoria dovevano aver avuto due figli maschi, a giudicare dall’arredamento e dal guardaroba. Anche qui, per sua fortuna. Pescò un ricambio tra t-shirt e felpa pesante. La gente di campagna non era avvezza ai comfort cittadini e questo tornò a suo vantaggio, considerando quanto l’ambiente fosse freddo.
Sempre muovendosi con attenzione, tornò al piano terra, ma il dolore era maggiore nello scendere piuttosto che nel salire e, una volta alla fine della scalinata, Yuzo si vide costretto a fermarsi e cercare appoggio contro il muro. Pochi minuti e poi fu in bagno.
Un ampio vano doccia e mobiletto con gli asciugamani. Vi trovò anche la valigetta di primo soccorso; se la sarebbe cavata alla grande per quella sera.
Appoggiò la torcia sul lavandino, in modo che gli puntasse la luce addosso, e si spogliò con gesti lenti e calibrati. Tolse la felpa sporca di terra ed erba cercando di trattenere ogni possibile lamento, ma non le smorfie di dolore che gli attraversarono il viso. Però quando fu il turno della t-shirt non poté proprio nascondere i gemiti che certe movenze gli strapparono dalle labbra.
«Oh, cazzo…» esalò appena fu in grado di vedere l’enorme livido che gli prendeva metà addome, metà schiena e tutto il fianco destro. «Ora capisco perché mi faceva così male… Se potessi vederlo, mamma, ti verrebbe un colpo.»
Ma per fortuna sua madre non poteva assistere a quel tatuaggio temporaneo dalle tinte rosse e viola acceso che, con i giorni, sarebbero divenute più verdi e gialle, fino a sparire. La gamba non era messa meglio; diciamo pure che il suo corpo sembrava essere diviso a metà e gli sembrò un miracolo che non si fosse rotto nulla, in tutto ciò.
La doccia che si concesse fu rapidissima e gelida tant’è che quando uscì dall’acqua, gli sembrò che attorno fosse improvvisamente più caldo e con cura disinfettò alcuni dei graffi che sempre la caduta gli aveva procurato.
Il cibo sarebbe stata l’ultima tappa di quella giornata, prima di potersi mettere davanti al camino per riposare. Non si era ancora nemmeno seduto perché sapeva che se l’avesse fatto, dopo non avrebbe più avuto la forza necessaria per alzarsi; tutta la stanchezza sarebbe piombata dentro le gambe, rendendole di pietra, e lui voleva approfittare della forza che ancora possedeva prima che si esaurisse.
La cucina era forse la stanza più ampia dell’intera casa, ancor più del salotto, e non se ne stupì. Per chi viveva la campagna, rimaneva l’ambiente di maggior ritrovo durante la giornata e c’era moltissimo spazio per muoversi.
La prima cosa che Yuzo fece, fu di aprire il frigo ma la mancanza di corrente e l’odore non proprio piacevole che ne veniva gli fecero capire che non vi avrebbe trovato nulla di interessante. Non che avesse chissà quanta voglia di cucinare e anche se il suo stomaco un po’ lo stava pregando di dargli qualcosa di commestibile, il giovane preferì puntare su un pasto rapido e leggero; avrebbe potuto mangiare qualcosa di più consistente assieme a Mamoru, una volta rientrati in città. Non che la corrente ci fosse anche lì, ma adesso era davvero troppo stanco per tutto.
Frugò negli stipetti e la presenza di ragazzi in quella casa lo favorì con snack salati e biscotti che portò nel salotto, assieme a una bottiglia d’acqua.
Il divano, dalla pelle logora, sembrava lo stesse aspettando per accogliere le sue membra stanche e Yuzo non lo fece aspettare. Appoggiò tutto sul tavolino lì accanto e sistemò i cuscini dietro la schiena, affinché i lividi non gli facessero troppo male. Con un lungo sospiro distese le gambe e si lasciò abbracciare dalla morbidezza dell’imbottitura, sentendosi immediatamente a metà tra ‘bene’ e ‘distrutto’. Il rivestimento divenne subito la sua coperta, che Yuzo provvide a tirarsi addosso, mentre prendeva il calore proveniente dal camino.
Chiuse gli occhi per qualche istante, portandosi il braccio alla fronte, poi tirò fuori la radiolina dalla tasca e si mise in contatto con Mamoru, prima che finisse per crollare. Sapeva già che non si sarebbe addormentato senza prima aver saputo che anche lui era a posto. Senza prima aver sentito la sua voce.

La tecnologia moderna unita alla tradizione giapponese sembrò giocare a suo sfavore, sul momento, soprattutto quando Mamoru si rese conto che non c’era un camino in quella casa. Pensò che avrebbe dovuto avvolgersi nei futon a mo’ di pupazzo, ma quando i suoi occhi si puntarono sul kotatsu(1) posizionato in una delle stanze, proprio accanto a una finestra, una leggera speranza si accese in lui.
Svelto lo raggiunse, infilando la mano sotto al futon già disposto e quando non sentì la presenza della resistenza il sorriso si aprì sulle labbra; sollevò la coperta.
«Ah! Va a carbone! Sia benedetta la tradizione!»
Tastando un po’ alla cieca, si accorse che era già pronto per essere usato, a lui non toccava altro che accenderlo, ma prima decise di ispezionare l’abitazione in cerca di tutto ciò di cui aveva bisogno.
Sperò di riuscire a trovare delle candele, ma rimase sorpreso quando da un ripostiglio spuntò una lanterna a olio; un vero cimelio, che a quanto pareva doveva essere ancora molto funzionale in certe zone. Per quanto non fosse comodissima da portare in giro, Mamoru dovette ammettere che faceva tutta la luce di cui aveva bisogno.
La sua prima tappa fu la cucina. Non era un mago dei fornelli, tutt’altro, ma quando provò a mettere su l’acqua per il tè si accorse che non c’era gas. La Crepa o il Muro dovevano aver tagliato loro le forniture, la cosa non si metteva per niente bene. In cuor suo, Mamoru sperò che fosse opera della Crepa, perché se si fosse trattato del Muro significava che li stava circoscrivendo e isolando da tutto il resto del mondo; se ancora ne fosse esistito uno da qualche parte.
Ad ogni modo, la salvezza giunse da un piccolo ritrovato della modernità: il ramen istantaneo. Mamoru ne trovò una confezione e la rigirò tra le mani con un sorriso.
«Non sarà molto tradizionale ma fa proprio al caso mio.»
Dopodiché andò in bagno, ma l’idea di una doccia gelata non lo allettava per niente, così preferì darsi solo una rinfrescata. Non cercò nemmeno un ricambio, tenendo la felpa nera sporca di terra e sangue, ma non si interrogò sul motivo di quella scelta o, se lo fece, avvenne tutto tanto rapidamente nella sua testa da restare un piccolo segreto solo per sé.
Con il ramen, la lanterna e qualcosa per medicarsi la fronte se ne tornò nella stanza del kotatsu. Su un mobile addossato alla parete, prese uno specchio con supporto e lo poggiò sulla superficie del tavolo. Ci mise un po’ ad accendere lo scaldino a carbone, ma dopo il calore si diffuse subito, riscaldandogli le gambe e salendo su, verso il resto del corpo. Quel tepore lo fece sentire subito meglio, iniziando a sciogliergli i muscoli tesi, tanto che mosse il collo a destra e a sinistra con una certa piacevolezza, anche se lo sentì scricchiolare. Prese la confezione di ramen e premette il bottoncino sul fondo affinché si autoriscaldasse e la mise da parte, per qualche minuto. Avvicinò la lanterna allo specchio e diede un’occhiata al taglio. Lo aveva già ripulito quando si trovava in bagno e per fortuna poté constatare che non si era aperto del tutto, ma c’era un rivolo che continuava a scendere sul viso.
Mamoru lo tamponò di nuovo con del disinfettante. Bruciava appena, ma non tantissimo; ci avrebbe messo un po’ a guarire e non si curò del segno che sarebbe rimasto.
- Spero tu non abbia aperto il frigo. -
La voce di Yuzo arrivò gracchiata attraverso il microfono della trasmittente; l’aveva poggiata proprio accanto allo specchio, per poterla prendere subito.
Un sorriso gli tese le labbra, mentre continuava a medicarsi e l’altro parlava.
- Perché credo che puzzi allo stesso modo di quello che c’è qui. -
«Troppo tardi, portiere.»
Lo ascoltò ridere e il suo sorriso si accentuò con un certo calore.
Era stato tentato più volte di mettersi in contatto con Yuzo, mentre girava per la casa, ma in ogni occasione si era sforzato di non cedere all’impulso: magari si stava medicando o era sotto la doccia o chissà che altro e non voleva dare l’impressione di essere troppo soffocante, quasi oppressivo. Però avrebbe voluto condividere con lui ogni passo che aveva compiuto in quella casa, averlo vicino.
- Stai bene? Sei al caldo? -
Sorrise anche per quella premura.
«Sì a entrambe. All’inizio temevo di dovermi avvolgere nelle coperte, e poi è spuntato questo kotatsu a carbone!»
- A carbone?! Oddio, ma ne fanno ancora? -
«A quanto pare sì, e per fortuna dico io! Per non parlare della fighissima quanto vecchissima lampada a olio perfettamente funzionante. Niente romanticismo da candela, ahimé.» Applicò la garza e il cerotto e diede un’ultima occhiata al lavoro che aveva compiuto, apparendone soddisfatto. Finalmente, distese le gambe e si rilassò meglio contro lo schienale della sedia, portando il ricevitore alla bocca. «Tu, invece? Ti sei sistemato?»
- Sì, qui hanno un camino; un toccasana dopo una doccia gelata. -
Stavolta fu il turno di Mamoru di ridere più apertamente. «Tempra lo spirito, portiere, dovresti esserne contento.»
- Guarda, il mio spirito avrebbe bisogno di ben altro che questo, te lo posso garantire. -
«Le ferite?»
Yuzo si strinse nelle spalle, anche se l’altro non poteva vederlo. - Non evidenti, a meno di qualche graffio. Ho dei lividi che fanno Prefettura. -
«Ahia.»
- Puoi dirlo forte, adesso sono bloccato sul divano, credo che domattina sarò un relitto. -
Mamoru guardò fuori e la luce fioca della lampada non impediva di scorgere il panorama che si estendeva oltre i vetri. C’era la spianata, la voragine e la casa dove Yuzo aveva trovato riparo, la riconobbe dal fumo che usciva dal comignolo.
«Manca poco, qualche ora e saremo a Nankatsu. Da lì non dovrebbe essere difficile riuscire a trovare un modo per attraversare il fosso.»
- Chiamalo fosso, sembra l’autostrada per l’Inferno. -
Mamoru sbuffò via un sorriso e scosse il capo.
- Ti sei medicato la fronte? Sanguina ancora? -
«Proprio adesso e, sì, però poco. Giusto un filo.»
- Spero non resti la cicatrice. -
«Perché?»
Dall’altra parte, Yuzo imprecò tra sé e si maledì per non essersi morso la lingua. Aveva imparato troppo in fretta a parlare in maniera libera con il centrocampista che non sapeva ancora bene come dosare le cose che diceva; a volte qualcuna gli scappava, qualcuna che non avrebbe saputo giustificare senza una risposta imbarazzante o ambigua.
- Come ‘perché’? Perché sì! -
«Che risposta è? Forza, sii onesto.»
- Beh, perché… è chiaro! Hai… hai un bel viso, sarebbe un peccato… ecco. - Yuzo ebbe il desiderio di sprofondare, questa volta sì, divorato da una bella crepetta che gli si fosse aperta giusto sotto le chiappe. Eppure, Mamoru rispose con una semplicità che riuscì a toglierlo dall’imbarazzo; forse neppure aveva fatto caso a quello che aveva detto. Lui sperò fosse così, ma in realtà il centrocampista aveva capito eccome e ne aveva sorriso.
«Non lo sai che lo stile scarface acchiappa?»
- Ah, davvero? -
«Davvero.»
- E allora com’è che Urabe non ha ancora la ragazza? -
E stavolta entrambi scoppiarono a ridere. Mamoru era sicuro che se l’avesse detto ad Hanji si sarebbe arrabbiato tantissimo, mentre Ryo l’avrebbe preso in giro e ne sarebbe nato l’ennesimo battibecco. D’un tratto provò una fortissima nostalgia per tutto quello che aveva perso, dal giorno alla notte, che la risata morì svelta così com’era iniziata.
Cambiò discorso.
«Hai mangiato?»
- Davanti a me ho dell’acqua e qualche snack. Non avevo voglia di cucinare. -
«Non avresti comunque potuto, non c’è gas. Credo che il Muro si sia mangiato le condotte.»
Yuzo sospirò profondamente all’altro capo, portandosi una mano alla fronte che prese a massaggiare adagio. - Accidenti… -
«Ce la caveremo.» Risoluto, pratico. Mamoru non era disposto a farsi abbattere anche da quello e per Yuzo fu come uno sprone, tanto che non replicò ma si limitò ad annuire.
- Mh. -
Tra loro cadde velocemente quel silenzio leggermente imbarazzato, un po’ teso. Mamoru aveva ancora nella testa il pensiero di tutti i suoi amici, della sua vita; non aveva realizzato subito cosa avesse perduto, di preciso, forse perché convinto che tutto sarebbe andato a posto. Ma ora era passata un’intera giornata e nessuno era più ricomparso. Ciò che era perso, tale continuava a rimanere, chissà dove, chissà per quanto.
Continuò a guardare fuori, a osservare il fumo del camino e la luce che filtrava da una finestra che dava proprio dal suo lato. Yuzo doveva essere lì, vicinissimo ma impossibile da raggiungere, proprio ora che sentiva dentro il bisogno di parlare con qualcuno dei suoi timori.
Si ricordò di un discorso non terminato e decise di riprenderlo, di mettere da parte il silenzio troppo pesante per tutti e due.
«E comunque non hai finito il discorso di prima. Come sono cambiate le cose?»
Yuzo si rilassò meglio contro i cuscini, inspirò a fondo e fu come se quella conversazione non l’avessero mai interrotta.
- Direi che sono cambiate in meglio, no? Non ci diamo contro, parliamo da persone civili. - Sorrise. - Non fai lo stronzo. -
«Perché devo essere sempre io lo stronzo? Nemmeno tu sei un santo!»
- Allora dimmi una volta che la discussione è partita da me. Avanti! -
Mamoru non ci stava a passare sempre per il cattivo, però per quanto ci pensasse non riuscì a rispondere e fu costretto a capitolare con un significativo silenzio.
Dall’altra parte, Yuzo aveva una leggera nota trionfante nella voce. - Visto? -
«Ti odio.»
Il trionfo divenne sorriso, sbuffato via con divertimento. - Non è vero. -
«E come puoi dirlo con sicurezza?»
- So che è così… Lo so anche senza un motivo preciso. - Era una di quelle sensazioni di cui aveva la convinzione che stazionava sotto la pelle. Yuzo non sapeva spiegarlo, lo sentiva e basta. Ma anche senza un vero perché, Mamoru seppe capirlo.
«Hai ragione» ammise infatti.
- Non ti odio neanche io. -
«Ne avresti tutti i motivi.»
- D’improvviso so che non sarebbero sufficienti. - Risultarono futili, anche se sul momento l’avevano fatto imbestialire e pensare di tutto contro il centrocampista; ora svanivano come un sogno che è importante solo nell’attimo in cui viene vissuto e dopo scivola via. Le cose che davvero contavano per lui, adesso, erano ben altre.
- Mamoru? -
Mamoru non rispose subito a quel richiamo, perduto nel contemplare il modo in cui Yuzo pronunciasse il suo nome. Era bello e morbido, sembrava fatto apposta per la sua bocca, le sue labbra, la sua voce. Suonava in maniera differente da tutte le altre, aveva un che di personale, intimo, come se in certi nomi esistesse un segno di appartenenza che ne avrebbe legato il proprietario a chi l’avrebbe pronunciato. Il suo nome, dalla bocca di Yuzo, suonava perfetto.
- Mamoru? Sei ancora lì? -
«Sì, ci sono.»
- Sei stanco anche tu, forse è il caso di dormire. -
«No, no. Mi ero distratto. Riflettevo.»
Quasi dall’altra parte del mondo, Yuzo sorrise. - Riguardo cosa? -
«Mah, un po’ di tutto.» Si strinse nelle spalle. La ferita pizzicò per un attimo. «Perché ci siamo odiati, noi due?»
- Bella domanda. -
«Negli altri universi noi siamo sempre andati d’accordo. E se c’era qualche incomprensione la risolvevamo subito…»
- Già. Andavamo così d’accordo che una volta ci siamo anche-… - Yuzo si fermò, improvvisamente in imbarazzo. Stavolta sapeva di aver parlato davvero troppo e di aver messo in tavola un discorso un po’ particolare; non aveva idea di come avrebbe potuto reagire Mamoru e non sapeva bene neppure cosa avesse visto nelle sue visioni, se fossero state le stesse che aveva scrutato anche lui o meno. Ma dall’altra parte arrivò un sorriso che percepì attraverso le parole.
«Dillo pure, non credere che mi offenda o spaventi.» Ne aveva viste talmente tante, Mamoru, che non si sarebbe sconvolto per niente, anzi, probabilmente sapeva pure di cosa stesse parlando.
- Beh… andavamo tanto d’accordo da sposarci(2). -
La risata arrivò sottile e divertita attraverso il microfono della ricetrasmittente e anche Yuzo sorrise, rilassando ogni muscolo che si era di nuovo teso per alcuni attimi.
«L'ho visto.»
- Il bianco ti sta bene. -
«Modestamente.» Mamoru scherzò, ma non smise di guardare fuori, verso di lui, quasi potesse vederlo come se ce l’avesse davanti e gli toccò ammettere la verità di quei frammenti di vita, di quei ricordi, che in principio l’avevano colto impreparato, turbato e anche fatto arrossire, ma che ora… ora sembravano miraggi bellissimi sotto il sole del deserto. «Eravamo felici.»
- Siamo sempre stati felici. -
«E allora perché adesso le cose sono precipitate in questo modo? Perché non siamo riusciti a trovare il punto di incontro per permetterci di aggiustare la piega sbagliata che le nostre vite hanno preso? È questo l’errore di cui mi stavi parlando, prima che arrivasse la crepa a distruggere tutto?»
Yuzo fece una pausa in seguito a quelle domande che sembravano essere sgorgate fuori da Mamoru quasi che fosse una fonte che aveva bisogno di liberarsi di tutto ciò che gli passava per la mente, e capì che non era una cosa che si potesse affrontare attraverso una trasmittente.
- Penso sarebbe meglio parlarne di persona, una volta che ti avrò raggiunto. -
«D’accordo.» Una piccola pausa, veloce, urgente. «Yuzo?»
- Sì. -
«Però le cose si stanno sistemando, no?»
Il portiere sorrise e, con un sforzo, riuscì a mettersi dapprima seduto e poi in piedi. Zoppicava vistosamente, ma era sicuro che con un po’ di riposo il dolore sarebbe scemato. Arrivò piano alla finestra che dava sul cortile e sulla piana, dove un tempo le bestie pascolavano tranquille. Mamoru era lì, a pochi metri, poteva vedere la casa e il bagliore che illuminava una delle finestre; continuò a sorridere, appoggiando una mano sul vetro, come se il giovane avesse potuto vederlo distintamente.
Se le cose si stavano sistemando?
- Tu che ne dici? -
«Dico che vedo il fumo del camino uscire dal comignolo.»
- E io vedo la luce della lanterna. -

“Mi amerai ancora
quando non sarò più giovane e bellissimo?
Mi amerai ancora
quando non avrò nulla tranne la mia anima in pena?
So che lo farai, so che lo farai, so che lo farai.”

Lana del ReyYoung and Beautiful

 

 


[1]KOTATSU: è una sorta di scaldino molto particolare, attorno al quale ruota gran parte della vita giapponese, soprattutto in quelle case non dotate di riscaldamento. Può essere sia elettrico che a carbone. E’ composto da un futon che si mette come base a terra, vi è sopra un tavolino sotto la cui superficie vi è la resistenza che fa calore, e poi vi è un’altra coperta sopra, sotto la quale infilare le gambe. *_* (kotatsu: *clicca qui*)

[2]: riferimento alla serie di storie “Love&Life”, in particolare alla fic “Forever mine, forever yours” e al primo matrimonio gay del fandom XD


 

Nota Finale: ;) e allora? Questa lontanza forse non ha fatto altro che bene ai nostri due protagonisti.
La preoccupazione che provano l'uno per l'altro li ha tenuti vicini, anche se distanti. Son solo pochi metri, dopotutto, eppure hanno ben chiaro che non possono e non vogliono restare separati.
C'era bisogno di forzare un po' la mano per riuscire a capirlo con più chiarezza, però. ;))))
Dai che son stata buona... per ora!!! X333333

Grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia :DDDD

   
 
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