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Autore: ChibiNekoChan    12/04/2014    0 recensioni
La vita di ogni pony è colma di eventi di ogni genere, ed ognuno di essi contribuisce a cambiare la loro storia. Il passato va portato nel cuore, non nel presente. Bisogna imparare da esso, non viverci all'interno. Il futuro si costruisce con scelte dettate dalle nozioni imparate dal passato. Questa si chiama Vita.
Non ne esistono due uguali e chiunque può trascorrerla come preferisce.
- - - - -
Volavano entrambi per aria, lui trasportava la puledrina sulle sue spalle e lei rideva divertita, le nuvole li circondavano, potevano sfiorarle con gli zoccoli. Le stelle brillavano come dei maestosi diamanti in quel cielo notturno ed entrambi sapevano che quell'attimo sarebbe rimasto per sempre nei loro ricordi: così sfuggevole e nonostante ciò così eterno.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Hey papà, ma... la mamma dov'é? Perché non la vedo mai? -

Quella domanda colpì Skyride dritto al cuore.

 

Dov'era la sua amata sposa?

Erano ormai passati sei anni da quando si era spenta, così come una stella pian piano perde il suo splendore e si prepara alla sua fine, rimanendo però nella memoria di chi l'aveva cara, così come una rosa lentamente perde i suoi meravigliosi petali ed appassisce, vivendo però ancora nelle foto di intrepidi ricercatori di particolari speciali.

Ricordava con rammarico i colori che erano ormai divenuti spenti del suo manto e del suo crine, rispettivamente rosso e bianco, i suoi ammalianti occhi ambrati e le sue dolci parole.

Ricordava quel momento quasi fiabesco quando si conobbero e si scambiarono un tenero bacio in un campo di margherite quand'erano ancora giovani, in un giorno di primavera, momento che gli valse il cutiemark, ed il bacio altrettanto speranzoso che si scambiarono quando ormai il crine della puledra era già tutto caduto, bacio condito da amare lacrime, segno che pareva quasi un rassegnato "addio".

Rammentava anche la tenera creatura di appena un anno che strinse fra le braccia dopo la perdita della sua anima gemella, con afflizione, mentre tentava di mostrarsi forte almeno con la prole frutto del loro amore condiviso e la cullava tirando su col naso.

Balbettava "Rose... non posso dimenticarti... e non lo farò..." fra un singhiozzo e l'altro.

Pensò tuttavia di doversi fare forza, "Per lei!" si disse, e nel mentre posò lo sguardo sulla fragile neonata e non riuscì a trattenere un sorriso intenerito che nascondeva una punta di malinconia.

- Principessa mia... ti amo... sei l’unica cosa che mi rimane… la mia vita non avrebbe avuto più senso se non ci fossi stata tu ora... -

 

- ... Papà? - Skyride scosse la testa risvegliandosi dai suoi ricordi.

Gli venne naturale comparare la piccina che teneva fra le zampe quel giorno e la puledrina che era diventata, e mentre la osservava quasi compiaciuto un sorriso appena accennato si disegnò sulle sue labbra.

- Uhm... - si fermò un attimo quando si accorse di non avere le parole giuste da dire, a quel punto si ricordò della sera precedente - ... lei vola lassù nel cielo, sai? ... persino ieri ci osservava coi suoi occhioni gialli vegliando su di noi coprendoci con le sue magnifiche ali splendenti. -

- Ali? Ma... hai sempre detto che la mamma era un earth pony. -

- Beh, vedi... queste di cui parlo io… - sospirò - … sono ali diverse. Ali che le ha donato il cielo e che ora la legano ad esso per sempre. -

La piccola sembrò confusa - Non può scendere da noi? Nemmeno per un pochino? -

Skyride osservò per qualche istante Silverlake con uno sguardo privo di parole quando un improvviso vuoto al petto lo costrinse ad avvolgerla in un abbraccio. Cominciò a carezzarle la criniera.

- No... - proferì affranto.

- N-No?! E se volassimo noi da lei? - Si staccò dall'abbraccio.

- Il cielo tiene a cuore ogni puledro che prende con sé, non ci permetterebbe di vederla. - Tentò di spiegare con rammarico.

La piccola non sapeva come replicare - Io... Io lo odio, il cielo! - sbottò, correndo poi in camera sua.

Il padre la osservò scappare via e per un istante gli sembrò quasi di perderla così come sei anni prima aveva perso Rose, a quella vista non riuscì a trattenere le lacrime, non ci provò neppure, semplicemente esse cominciarono a sgorgare dai suoi occhi con naturalezza.
L'ultima cosa che sentì, prima di un profondo silenzio, fu la porta della camera di sua figlia chiudersi sbattendo, probabilmente con rabbia.

Salì le scale ed uscì in balcone, si affacciò in cerca di conforto.

Il cielo puntato di stelle sembrava quasi abbracciarlo ed avvolgerlo, per qualche istante si sentì consolato. Guardò in alto, in qualche posto lontano da lì.

- Manchi, Rose… a me… alla piccola Silverlake… ci manchi… - Sussurrò, per poi sedersi ed appoggiare le zampe ed il capo sul freddo parapetto del balcone.

Sospirò.

 

La puledrina si buttò a peso morto sul letto, puntando lo sguardo verso il soffitto.

Allungò lo zoccolo verso l’alto - Mamma… - Ma quando le lacrime cominciarono ad offuscarle gli occhi, lo ritirò delusa e, girandosi, affondò la testa nel cuscino.

Non ricordava nulla di sua madre, non aveva idea del suo profumo o di come ci si sentisse in uno dei suoi abbracci, la conosceva soltanto per via delle vecchie foto di lei che aveva ritrovato nei cassetti del padre. Delle volte si immaginava ritornare da scuola e, saltellando, mostrarle fiera un bel voto per poi sentirle dire con la sua splendida voce “Congratulazioni cara!”, o magari fuori nello sconfinato prato smeraldo a correre in sua compagnia, fare a gara a chi è la più veloce per poi finire distese sul suolo a coccolarsi e ridere.

Sapeva però che tutto questo non sarebbe mai accaduto.

Pensava a tutti gli eventi ai quali ella non avrebbe mai partecipato: i suoi compleanni, la sua laurea, il suo matrimonio…

Più rimuginava su tutto questo e più le lacrime le solcavano il volto incessantemente, non riusciva più a controllarle.
Non voleva controllarle, poiché per quanto ci provasse era ormai inevitabile.
Era abbastanza orgogliosa da trattenersi dal mostrarsi debole, ma era ormai sola nella sua camera, il silenzio regnava.
Era soltanto lei e le sue frustrazioni.
- Perché non sei con me... ? - Singhiozzò mentre la sua voce si rompeva senza che lei potesse farci nulla.
Prima che potesse accorgersene si ritrovò a stringersi il petto, tirando su col naso mentre alcune ciocche le piombavano davanti agli occhi come se non fosse già difficile per lei riuscire a vedere a uno zoccolo dal muso.
Si arrese e chiuse gli occhi, rimanendo però vigile.
- Mi manchi... - Sussurrò.

Tentò di prender sonno ma le continue apparizioni di tutti i bei ricordi che si costruiva con sua madre per non sentire la sua mancanza semplicemente la tormentavano, in quel momento più che mai non sarebbe riuscita ad entrare nella dimensione dei sogni, non con quella confusione in testa.
Alzò il capo solo leggermente, sporgendolo per guardare fuori dalla finestra.
Il cielo era davvero buio, lasciando suggerire che fosse ancora piena notte.
Decise infine di alzarsi, e quando lo fece i suoi occhi vennero sommersi dall'intenso splendore che quella sera le stelle emanavano. Sembrava quasi come se la stessero chiamando.
E proprio come un richiamo lo seguì e, a passo felpato, uscì fuori casa senza produrre nemmeno un suono.
Chiuse la porta alle sue spalle e appena fu fuori venne inondata dal verde del prato, splendente nonostante l'oscurità; un leggero vento le scosse i capelli quando, preso coraggio, galoppò verso l'orizzonte non ben sicura della sua meta, curante solo di seguire quella voce che le diceva di uscire e incontrare sua madre, ovunque ella si trovasse, seppure in cielo.
L'assenza di ali per Silverlake non sarebbero state un problema, si diceva, si può sempre trovare una soluzione a questo.
E più il vento le investiva il viso più sentiva le guance gelide quando si accorse di averle coperte di lacrime che ancora non avevano smesso di scorrere.
- Dannazione, devo smetterla di rendermi ridicola in questo modo... - si rimproverò, ma realizzando la solitudine in cui era in quell'istante, decise di disobbedirsi e continuare, mentre il fruscìo dell'erba sotto i suoi zoccoli diveniva soltanto un piccolo suono di fondo per quelli che erano i suoi numerosi pensieri, ai quali infine si abbandonò, malinconici o felici che fossero.

  
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