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Autore: _Arika_    14/07/2008    5 recensioni
Nel mondo del futuro è inverno. Mirai no Trunk e Mirai no Bulma mandano avanti le proprie vite, Trunks con il liceo e Bulma con le invenzioni.
Ma un giorno arriva una terribile notizia.
I Cyborg stanno cominciando a distruggere i cimiteri.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: 17, 18, Bulma, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOFFIA IL VENTO by Chiara ( lealidiicaro@libero.it o http://lantrodidedalo.iobloggo.com )



PARTE SECONDA: PIOGGIA



Il commissario Regan stava scartabellando una fitta pila di denunce riguardanti i cyborg, quando la furia dai capelli azzurri piombò nel suo ufficio.

-Cos'è questa storia dei cimiteri?-disse Bulma Brief, sbattendogli davanti la prima pagina del giornale cittadino senza troppe cerimonie.

UCCIDERE I VIVI NON BASTA PIU', recitava il titolo in caratteri cubitali.

Il commissario sollevò lo sguardo su Bulma senza nemmeno guardare il giornale.

-Buongiorno Bulma cara-disse con tono affabile.

-Buongiorno un corno Red, cosa diavolo sta succedendo?

Regan era oltremodo stupito dell'arrivo della donna, non per il tono con cui gli si era rivolta-se fosse stata gentile e affettuosa non sarebbe stata Bulma Brief- ma più per il suo arrivo in sè.

Aveva il volto congestionato dal freddo e un cappotto nero con una sciarpa rossa sopra. Dava l'aria di essere in piedi già da un pezzo, e di aver faticato parecchio prima di arrivare lì.

Doveva esser uscita di casa in fretta, visto che per la prima volta in vita sua la vedeva senza quel trucco così impercettibile quanto perfetto che la caratterizzava.

Era rimasto per alcuni secondi a fissarla, ripensando a quando parecchi anni prima aveva passato notti insonni pensando a lei.

Ma Bulma non era lì per perdere tempo.

-Allora?

Regan piegò in due metà perfette il giornale portato dalla donna e glielo restituì con calma.

-I telegiornali stanno ingigantendo la cosa, ma la sostanza è vera.

Regan fece cenno a Bulma di sedersi sulla sedia davanti alla scrivania e di togliersi il cappotto, se voleva.

Bulma fece un segno di diniego con la mano. -Non mi fermerò, ma voglio capire cosa sta succedendo. Come sai ho parecchie persone care seppellite al cimitero principale.

Chi fossero queste "persone care" rimase sospeso nell'aria, e benchè Bulma cercasse di sembrare distaccata, Regan capì che la notizia degli attentati ai cimiteri le era arrivata come un pugno allo stomaco.

Regan si alzò e prese dallo schedario alle sue spalle un sottile fascicolo giallo.

-Hai già fatto colazione?-disse, tirando fuori delle fotografie capovolte.

Bulma esitò un istante.

-Non ti preoccupare Red, non ti vomiterò sulle foto, se è di questo che hai paura.

Regan porse allora le foto a Bulma.

-Questo è quello che abbiamo trovato a Westway City. Ci sono stati altri sei episodi, nel distretto di West-ranch.

Bulma rimase immobile con le foto in mano, poi le voltò e improvvisamente Regan la vide impallidire.

Regan pensò che Bulma stesse per svenire, quella che stava guardando era la peggiore, delle foto.

-Bulma, forse è meglio se ti siedi-disse Regan, poggiando una mano sulla spalla della donna.

Bulma si sedette senza distogliere gli occhi dalla foto.

Era l'immagine di un cadavere ancora intatto, una donna sui vent'anni, bionda, con i capelli striati di sangue rosso.

Indossava un vestito nero lungo, senza spalline e con una giacchetta di buon taglio sopra.

Era sistemata seduta come una bambola con la schiena appoggiata a quella che doveva essere la sua stessa lapide, con gli occhi aperti e i capelli scarmigliati.

Ma la cosa peggiore era cosa teneva fra le mani.

Regan allentò la presa sulla sua spalla.

-Si chiamava Amanda Green, i cyborg la trovarono che tornava a casa con il figlio di pochi mesi dal supermercato.

Bulma non disse nulla, e si sa solo che impiegò diversi mesi, per scordare quell'immagine.

La testa di quel bambino senza corpo fra le mani della madre.

Regan lanciò uno sguardo alla città innevata oltre la finestra. Le gocce di neve cadevano dai tetti come un sottile pioggia. Sembrava quasi autunno.

Regan restò immobile.

-La situazione sta peggiorando. I crimini in quest'ultimo periodo sono triplicati. Furti, stupri, violenze ingiustificate contro estranei, sembra che la gente stia perdendo la ragione.

Bulma decise che non voleva vedere le altre foto, e le posò capovolte sulla scrivania.

-E' la paura- disse, con un tono che a lei stessa sembrò atono.

Regan annuì.

-E' come per i cani. Quando sentono che la tempesta si avvicina danno di matto, la stessa cosa sta succedendo agli uomini ora.

Bulma annuì con la testa.

-Sentono che il cerchio si strige- proseguì Regan -siamo sempre meno e loro uccidono sempre più velocemente. E' l'attesa che li logora, questa continua incertezza. Poi questa storia delle tombe, Dio che mostri...

Regan si passò una mano fra i corti capelli neri striati di grigio.

Bulma cominciò a torturare uno dei bottoni.

-Ma siete sicuri che colpiranno qui, la prossima volta?

Regan si sedette di nuovo alla scrivania.

-Non ne siamo certi, ci affidiamo ai loro messaggi. Negli altri sei posti hanno lasciato indicazioni precise su dove avrebbero colpito la volta dopo, e finora non hanno mai mentito.

-E cosa contate di fare?

-A dire il vero niente. Non possiamo permetterci di perdere inutilmente quei pochi uomini che ci restano. La cosa migliore è conservarci per renderci utili dove possiamo, e cioè contro i delinquenti umani, non contro i cyborg.

Bulma esitò alcuni secondi, quasi stesse cercando di capire se per caso aveva sentito male.

-VUOI DIRE CHE LASCERETE CHE DISTRUGGANO IL CIMITERO?

Scandì ogni parola come se man mano che la frase si srotolava diventasse sempre più assurda.

Regan guardò la donna e annuì.

-E' una cosa orribile lo so, ma è il minore dei mali che possiamo commettere.

Bulma si alzò dalla sedia. Aveva l'espressione più gelida che le avesse mai visto in faccia. Un misto fra il disgusto e il contegno.

Regan capì qual era il problema.

Bulma capiva la sua posizione, che quello che aveva appena detto era quanto di più logico si potesse fare, in quella situazione.

Capiva che tutta la polizia era ormai da tempo in un vicolo cieco, e che non mettersi contro gli androidi era l'unica cosa saggia da fare.

Eppure se il suo cervello diceva che era giusto e logico, qualcosa dentro lei urlava.

Per questo la lasciò uscire senza dire altro, lasciando che il freddo la riavvolgesse e l'aiutasse a pensare.

La professoressa Tyler spiegò come suo solito ma Trunks sembrava su un altro pianeta. Se ne stava lì, immobile con gli occhi fissi alla finestra, non al di là di essa, proprio sulla croce di legno che l'attraversava.

Aveva l'espressione che aveva fatto innamorare le sue compagne, quell'espressione smarrita e assorta, come se qualcosa di immane, di catastrofico, stesse per verificarsi.

Alissa lo guardava dal suo banco una fila più indietro.

Aveva capito qual era il problema, forse lei e Trunks erano stati gli unici a sentire quella notizia prima di uscire.

Alissa era una ragazza riservata, dai lunghi capelli neri raccolti in due trecce ordinate dietro la schiena. Non parlava molto nè con Trunks nè con gli altri, ma guardare quel ragazzo era sempre stata la sua occupazione preferita.

Non gli aveva mai parlato molto-quando per molto si intende parlare anche di cose inutile pur di dirsi qualcosa-, ma era l'unica che si sarebbe potuta vantare di qualche sporadica confidenza da parte del ragazzo più bello-figo-intelligente della scuola.

Perchè Trunks non era un ragazzo solitario, anzi era uno dei più famosi della scuola, ma tutti capivano che quella dell'allegria era una maschera, e per questo tutti cercavano di capire quale terribile segreto nascondessero quei profondi occhi azzurri.

Se Alissa sapeva dei Sayan?

In parte lo sapeva. Sapeva che il padre di Trunks era un "alieno" arrivato sulla Terra anni prima e che era morto battendosi coi cyborg, sapeva che Trunks aveva in sè una forza che nessun ragazzo normale avrebbe mai potuto avere, ma si era sempre ben guardata dal ficcanasare nella sua vita.

Trunks si confidava e lei ascoltava in silenzio, gli porgeva una lattina di Coca presa dal suo pranzo- due pomeriggi a settimana c'era il corso pomeridiano di fisica- ma non chiedeva mai nulla d'altro.

Trunks avrebbe parlato quando avrebbe voluto.

Insistere era inutile.

Tornando al giorno della notizia, Trunks sembrava sotto effetto di qualche strana droga, e Alissa lo guardava invitando con lo sguardo i compagni a lasciarlo stare.

La lezione strascorse lenta e noiosa, piena di nozioni che finivano per tutti in uno sguardo alla neve, al suo potere ipnotico e tranquillizzante.

A mezzogiorno in punto la campanella di fine lezione svegliò l'intera classe dai propri sogni, e in pochi minuti tutti si rianimarono e corsero fuori a giocare a palle di neve.

Il vento sibilava tutt'intorno la scuola, ma nessuno sembrava curarsene.

Alissa attese che tutti fossero usciti poi si sedette in silenzio nel banco accanto a Trunks.

-Hai sentito il telegiornale- disse il ragazzo, senza smettere di fissare la finestra -vero?

-Già.

-Sono dei mostri.

La voce di Trunks era atona e indifferente, quasi le avesse detto che stava nevicando.

Aveva un tono così vuoto, così da voce preregistrata, che Alissa per un attimo ebbe il desiderio di scuoterlo per assicurarsi che fosse ancora vivo e non avesse solo un registratore attaccato al corpo senza vita.

Trunks continuò a guardare la neve.

-I tuoi sono sepolti lì?-disse, senza cambiare tono.

Alissa prese tra le dita la punta della treccia destra.

-No, mio zio li ha seppelliti nel retro del giardino di casa.

-Capisco.

Alissa tacque tormentandosi il piccolo ciuffo di capelli che spuntava dai tre giri dell'elastico.

-Sai,-riprese Trunks -io non volevo che seppellissero Gohan lì.

Alissa lasciò andare la treccia.

-Era come se me lo sentissi, che non era la cosa giusta.

Alissa non sapeva cosa dire, o meglio pensava che Trunks non stesse davvero cercando in lei una risposta.

-E' che io non lo so, quale sia la cosa giusta. Vorrei poterli combattere e ucciderli una volta per tutte, vendicare Gohan e mio padre.

Trunks continuò a fissare la finestra.

-Ma il fatto è che ho paura.

Alissa avrebbe voluto abbracciarlo.

-Paura?

-Paura per mia mamma...

-...

-...di abbandonarla anch'io...

---

Bulma arrivò al cimitero prima di mezzogiorno, sicura che non avrebbe trovato nessuno.

Attraversò le file di lapidi cercando di non scivolare e non sgualcire i tre mazzi di fiori che teneva in mano.

Aveva di nuovo indosso gli stivaletti del giorno prima, era sempre stata brava a simpatizzare coi nemici.

Cinque file oltre l'entrata, trenta lapidi a destra, accanto al grande olmo.

La lapide di Vegeta era coperta di neve anche sulla parte verticale della parete, probabilmente per il taglio obliquo che il vento aveva dato alla neve.

Non si leggeva la scritta del nome ma non poteva sbagliarsi, ci era andata troppe volte per confondersi coi passi.

Bulma posò il mazzo di fiori sulla neve e tenendo gli altri due in una mano, con l'altra pulì la pietra liscia e grigia.

VEGETA.

Solo questo c'era scritto.

Non un cognome, non una data di nascita.

E' strano come si possa andare a letto con un uomo e viverci assieme senza sapere quanti anni abbia.

-Non sono cose che ti interessano...

La voce di lui sembrava risuonarle ancora intorno, anche se era ormai convinta di aver dimenticato il vero timbro di quella voce.

Se l'avesse sentita l'avrebbe riconosciuta, ma nei suoi pensieri Vegeta parlava ormai con una voce muta, senza espressione.

E' brutto dimenticarsi.

Bulma fissò quella lapide spoglia.

Ma rendersi conto di non aver mai saputo è ancora peggio.

-Ma sì che te l'avrà detto!-dicevano le sue amiche quando lei ammetteva di non sapere il cognome di Vegeta -Magari te lo sei solo dimenticata.

Magari te lo sei SOLO dimenticata.

Ma come spiegare tutto quanto?

Come dire che lei non sapeva nemmeno se Vegeta ce l'avesse, un cognome.

Come dire che suo figlio si chiamava Brief perchè nessuno aveva mai trovato certificati di nascita o documenti legati al suo uomo?

Come dire che quell’uomo forse non era mai neanche stato suo?

Bulma costrinse i suoi pensieri a volare altrove, disse una breve preghiera, poi tornò indietro di due lapidi.

Yamcha, Crilin, Gohan, Junior....

Aveva fatto seppellire lì anche loro, tutti insieme.

Una specie di piccolo bar in cui ritrovarli, magari solo un po' più triste.

Posò uno dei due mazzi in terra e lasciò una rosa su ciascuna delle tombe. Sulla tomba di Gohan si fermò, già un altro mazzo giaceva sulla neve.

Chichi doveva averli portati il giorno prima.

Bulma si rese conto che dal funerale di Gohan non l'aveva più sentita.

Da quando...

-Fai presto a dirti dispiaciuta. Non è mica morto il TUO, di figlio...

Era colpa di Trunks se Gohan era morto, era colpa di Trunks se Gohan prima di morire aveva vissuto per mesi senza un braccio. Era colpa di Trunks...di Trunks...

Ed era colpa sua, se Gohan aveva lasciato gli studi per allenare Trunks, se quando era ancora vivo stava quasi sempre da loro a cena.

Se Gohan parlava ormai più con lei che con sua madre.

-Mia madre non capisce-diceva Gohan.

Eppure Bulma la capiva, lei stessa aveva cercato mille volte di persuaderli a stare calmi, a convincere Gohan a tornare a scuola.

La capiva soprattutto ora che Trunks era nella situazione di Gohan prima di morire.

Era da solo contro i cyborg, si sentiva in dovere di sconfiggerli ma non in grado di farlo.

Bulma fissò la lapide di Gohan ancora lucida di lisciatura, posò la rosa accanto al mazzo lasciato da Chichi, poi riprese il mazzo che aveva lasciato appoggiato sulla neve.

Come si aspettava anche sulla tomba di Goku c'era già un altro mazzo, Bulma sistemò il suo accanto al grosso mazzo di gigli e si incamminò verso l'uscita.

Fortunatamente aveva smesso di nevicare, ma la neve che cadeva sciolta dagli alberi dave l'impressione che stesse piovendo.

Il rumore dei suoi stivali sulla coltre bianca era come poggiare una mano nella panna quasi montata, esattamente lo stesso.

Era quasi arrivata in fondo al vialetto, quando due figure inconfondibili apparvero in cielo.

Istintivamente Bulma si ranicchiò dietro un cespuglio, sperando che i cyborg non l'avessero vista.

Smise di respirare nell'esatto momento in cui le All Star di C17 toccarono il terreno, e pregò tutti gli dei che conosceva che non fossero venuti lì per fare quello che pensava.

  
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