SOFFIA IL VENTO by
Chiara (
lealidiicaro@libero.it o http://lantrodidedalo.iobloggo.com )
PARTE TERZA: NEBBIA
-E così sarebbe
questo il cimitero...
C17 avanzò sulla neve
mentre C18 si guardava attorno. Il luogo era più grande di quanto avevano
pensato, ma non così grande da tenerli occupati troppo a lungo. Avevano volato
due ore prima di arrivare, e anche se non avevano in alcun modo dissipato
energia la noia stava cominciando a farsi sentire.
Nascosta dietro un
cespuglio a pochi passi da loro, Bulma si premette una mano sulla bocca.
Era istinto di
sopravvivenza? Con ogni probabilità sì, puro e semplice desiderio di portare a
casa la pelle e cucinare ancora la cena per Trunks.
Era egoistico
pensarlo, ma in quel momento sarebbe stata disposta a scavare e tirare a fuori
dalla terra uno ad uno quei cadaveri, pur di tornare a casa.
C 18 prese in mano
una manciata di neve.
-Chissà perchè ma ci
avrei scommesso che non ci sarebbe stato nessuno.
Sentendo le gambe che
cominciavano a intorpidirsi, Bulma pensò che forse Trunks aveva dimenticato le
chiavi in casa. A quell'ora lei sarebbe già dovuta esser tornata.
Magari Trunks in quel
momento era sulla soglia di casa a chiedersi dove fosse.
E lei non si era
neanche messa un po' in ordine nel caso la polizia ritrovasse il suo cadavere
nel cimitero.
C 18 alzò le braccia
al cielo stiracchiandosi.
-17, io non ho voglia
di mettermi a scoperchiare tutti questi cosi, diamo un'occhiata in giro poi
torniamo domani.
Bulma vide le scarpe
di C 18 muoversi nervosamente sul posto. Faceva freddo, molto freddo, e con
ogni probabilità il volo li aveva infreddoliti ancora di più rispetto al
normale.
Bulma non sentiva più
la gamba destra. Pensò con paura a cosa sarebbe successo se il piede avesse
ceduto. Sarebbe caduta a terra con una gamba bloccata dal formicolio, loro
l'avrebbero vista, sarebbe stata la fine. Era stata davvero stupida. Venire al
cimitero proprio quel giorno, proprio in quel momento, venire al cimitero...
(smettila)
forse anche con la
speranza di incontrarli...
(piantala)
e scoprire che non
era vero niente.
Le scarpe di C17
tornarono verso C18.
-Sì, anch'io non ho
voglia. Andiamo a farci un giro in campagna.
Bulma si tolse la
mano da davanti alla bocca e prese fiato lentamente.
Adesso sapeva che
loro erano veri. Se ne rese conto solo quando sentì la paura che le
attorcigliava lo stomaco.
Loro erano veri, in
carne e ossa davanti a lei.
Era un processo
strano, il convincersi che tutto questo poteva anche non essere vero. Il
cominciare a pensare che i cyborg potevano essere delle invenzioni, che non
potevano esistere esseri in grado di scoperchiare tombe solo perchè "ne
avevano voglia". Bulma ripensò a quello che le aveva detto Red al
commissariato. La gente stava perdendo la ragione. Se si girava per strada non
si capiva più che insultare un passante che ti urtava non era un buon
comportamento. Il limite fra bene e male si era assottigliato.
O il limite fra il
vero e il falso, come nel suo caso.
Bulma pensò a quando
due o tre notti prima aveva sognato Vegeta. Lei aveva la stessa età di adesso,
Trunks era lo stesso. Eppure accanto a loro c'era Vegeta. Erano un famiglia
felice, avevano passato le ultime vacanze al mare e Vegeta si era addolcito.
Non da cambiare radicalmente, ma quel che bastava per una vita da sogno.
L'aveva visto in cortile, coricato sull'amaca mentre i fiori di ciliegio
cadevano dagli alberi. Stava riposando per l'allenamento, con le braccia dietro
al testa e un'espressione tranquilla in volto. Lei era in cucina con Trunks,
finiva di ornare di panna una torta e lo guardava.
I cyborg non c'erano.
Il vento diede una
sferzata al cimitero e Bulma si svegliò dai propri pensieri. I cyborg erano
immobili davanti al cespuglio, in silenzio.
Bulma guardò le loro
scarpe a pochi centimetri da lei. Sembrava stessero aspettando qualcosa, come
se l'avessero vista o avessero percepito la sua presenza.
Bulma smise
istintivamente di respirare e rimase immobile. Stava per crollare dal dolore
alla gamba quando le quattro scarpe di fronte a lei si sollevarono da terra. I
cyborg volarono via e si allontanarono verso la città. Bulma aspettò ancora,
poi di colpo di accasciò sulla neve e respirò tutta l'aria che potè.
La neve aveva ripreso
a scendere, sottile come spilli, sul suo volto. Era viva, e questo era
l'importante.
Aspettò che il
formicolio alla gamba si placasse, poi si alzò scuotendo via la neve dai
vestiti. Fece qualche passò avanti tornando sul vialetto. E fu solo allora che
si accorse della scia di impronte che aveva lasciato sulla neve andando dietro
il cespuglio.
La collina del
cimitero era coperta di neve immacolata e intoccata, tranne che per una serie
di impronte fino alla tomba di Vegeta e un'altra dallo spiazzo battuto su cui
si erano posati i cyborg fino al cespuglio.
Avevano capito che
era lì ma non l'avevano uccisa. Bulma impallidì. Avevano capito che era lì.
L'avevano vista. Eppure non l'avevano uccisa. Non ne avevano voglia.
Per la prima volta
Bulma pensò di essere la donna più dannatamente fortunata del pianeta.
E quindi da donna
dannatamente fortunata ritornò in sè e prese il cellulare.
-Pronto, Trunks? Sono
io, sono andata un attimo al cimitero...no, non ho incontrato nessuno stà
tranquillo, aspettami ai Tre re che non ho avuto il tempo di cucinare.
Prendiamo qualcosa lì. Dieci minuti e arrivo. Ciao.
Trunks accompagnò
Alissa fino a casa, due vie prima del ristorante Tre re.
La ragazza cercava di
tenerlo occupato, parlando di scuola e cinema. Stava cercando di rallegrarlo,
di fargli dimenticare la notizia.
Arrivarono davanti a
casa di Alissa, una piccola costruzione di inizio secolo lasciata in eredità di
generazione in generazione.
-E’ carina- disse
Trunks, guardando gli infissi intarsiati delle finestre.
Alissa aprì lo zaino
per prendere le chiavi. –E’ particolare in una città quasi tutta nuova.
Trunks pensò che
sarebbe stato un peccato se i cyborg fossero arrivati lì, anche solo per quella
piccola casa.
-Il centro storico è
davvero bello- disse, continuando a fissare le finestre.
Alissa trovò le
chiavi e richiuse lo zaino. –Già, secondo me è la parte più bella.
Rimasero alcuni
secondi in silenzio, poi Trunks dovette spostarsi dalla strada per l’arrivo dei
camion della raccolta dei rifiuti.
-Bhè- disse,
sistemandosi lo zaino su una spalla –allora io vado.
Alissa sorrise. –Ok,
ci vediamo domani a scuola.
-Ok, ciao.
-Ciao.
Trunks si diresse
verso il ristorante guardando attentamente il marciapiede per non prendere le
lastre di ghiaccio e scivolare. Non c’era nessuno in giro, o meglio nessuno che
non fosse costretto ad esserci. Qualche studente, addetti alla nettezza urbana,
lavoratori in pausa pranzo. Trunks esaminò la via principale su cui si
affacciava il Tre re.
Bulma era sulla
soglia che lo aspettava, con i pantaloni neri che metteva per andare a fare la
spesa e il cappotto dello stesso colore.
Trunks la raggiunse
agitando una mano.
-Scusa il ritardo-
disse, dando un bacio sulla guancia alla madre –ho accompagnato Alissa a casa.
Bulma mise il
cellulare nella borsa. –Non ti preoccupare, entriamo?
Entrarono nel Tre re
scuotendosi i vestiti e lasciando
l’ombrello all’entrata. Bulma si sfilò la sciarpa e la mise nella tasca del
cappotto che lasciò all’entrata.
Si sedettero a un
tavolo vicino alla vetrata. Il locale era mezzo vuoto, ma l’atmosfera era
comunque calda e tranquilla.
Bulma prese il menù
bordato di rosso. –Ho una fame che mangerei un lupo, vediamo cosa c’è di buono.
Trunks annuì con la
testa e si concentrò sul menù.
Il Tre re era un
posticino tranquillo, non per gente chic ma nemmeno per studenti. Lui e sua
madre ci andavano d'abitudine, quando lei tornava tardi dal laboratorio o
quando il sabato sera lui non aveva impegni. E non poteva nascondere la cosa
non gli dispiacesse. Dacchè Trunks se ne ricordasse, sua mamma non aveva mai
mancato l'appuntamento settimanale al Tre re, non per un uomo, non per un
lavoro.
Soprattutto non per
un uomo.
Ma c'era stato uno,
qualche anno prima, con cui aveva creduto la madre stesse facendo sul serio. Un
bel tipo, moro con gli occhi chiari e la mascella quadrata. Un manager,
probabilmente. Non l’ideale per sua madre, comunque.
Era venuto a casa
loro un paio di volte a cena, e Trunks ricordava che quell’anno era tornato
dalla gita scolastica con il terrore di scoprire che aveva passato la notte
da loro.
Appena entrato in
casa aveva fatto qualche domanda, più sull’allusivo, ma sua madre aveva
risposto in modo giusto a tutto.
Lui comunque non si
fidava, così un pomeriggio che la Bulma era uscita aveva chiuso la porta,
spento ogni elettrodomestico per avvertire subito il rumore della madre che
rientrava, ed era entrato nella camera da letto di Bulma.
Aveva trovato il
letto rifatto alla meglio, nessuna traccia di lenzuola cambiate o altro. Aveva
frugato nei cassetti, niente abbigliamento da uomo.
L'ultima prova era
stato il bagno.
Aveva passato a
setaccio ogni singolo centimetro di quel luogo in cerca della prova
incriminante. Un capello o un pelo scuro.
Era saltato fuori che
l'unico pelo nero che aveva trovato era del gatto che i nonni avevano lasciato
loro prima di trasferirsi in periferia.
Trunks ripensò che
mentre frugava fra le cose della madre non sapeva neanche perchè stesse cercando quelle prove.
Non era nemmeno particolarmente contrario alla relazione.
Si rendeva contro di
starsi comportando come un marito geloso che fruga nella borsetta della moglie,
e forse in parte era così.
Aveva la sensazione
che un altro uomo in quella casa -che era sempre stata così pulita- avrebbe
sconvolto il loro ecosistema.
E per questo non
aveva sofferto troppo quando la madre le aveva confessato di aver troncato la
storia.
-E' che non ho voglia
di legarmi- la solita risposta.
Fine della
trasmissione.
Scottata una volta,
quella dopo Bulma Brief si era fatta furba.
Seduti al Tre re,
madre e figlio posarono simultaneamente i menù sul tavolo.
Ordinarono due
hamburger con patatine, un gelato per Trunks, e una pasta al pomodoro per
Bulma. Il cameriere era un po’ lento, ma visto che non avevano fretta non si
lamentarono.
Bulma sistemò la
borsa sulla sedia accanto a lui e chiese a Trunks com’era andata a scuola.
Parlarono del più e del meno, le solite
domande di rito per istaurare un buon rapporto madre-figlio.
Stavano per
cominciare a parlare del tempo, quando Bulma prese un fazzoletto dalla borsa.
-Ti consiglio di
mangiare più che puoi-disse, senza guardare il figlio -stanotte dovremo darci
da fare.
Trunks fissò la madre
con aria interrogativa. -Darci da fare?
Bulma esitò.
-Oggi LI ho visti al
cimitero.
Trunks credette di
non aver sentito bene.
-COSA?
Il cameriere
interruppe la conversazione portando la coca cola per Trunks e e il mezzo litro
di bianco per Bulma. I due aspettarono che il ragazzo si allontanasse, poi
Bulma si verso un po' di vino nel bicchiere.
-Erano venuti a
vedere il luogo. Domani attaccheranno.
Trunks non riusciva a
bere. Continuò a fissare la madre. -Ma ti hanno vista?
Bulma fece spallucce.
-Nascondendomi ho lasciato delle impronte che probabilmente hanno visto, ma
l'importante è che non mi hanno fatto nulla.
Trunks stava
cominciando ad agitarsi sulla sedia. Per la prima volta pensò a cosa avrebbe
fatto se a sua madre fosse successo qualcosa.
-Non devi andare in
giro così da sola- disse, con tono serio.
Bulma era meno
allarmata di quanto avrebbe creduto. Probabilmente con il tempo i cyborg le
erano diventati indifferenti. O forse aveva avuto una paura terribile che ora
cercava di nascondere. Se da una parte era capace di infuriarsi con gli
stivali, dall'altra ci teneva a non mostrarsi mai fragile e indifesa.
-Non ti preoccupare
Trunks, la prossima volta andremo assieme.
Trunks spezzò un
altro grissino ma non lo mangiò.
-Ok. Comunque cosa
intendevi con dobbiamo darci da fare?
Bulma guardò il
figlio poggiando il bicchiere sul tavolo.
Il male minore che si
può commettere. Nella mente di Bulma quella frase rimbombava come un'eco. Il
male minore. Andare al cimitero con egoismo per non rischiare la vita anche di
suo figlio.
Lasciare che i cyborg
facessero cosa dovevano fare. Senza fermarli.
Fuori dal locale i
vapori che salivano dal tombino proprio al centro della strada creavano uno
strano effetto sulla sua vista. Sembrava quasi ci fosse la nebbia. Nella sua
mente e in tutto il mondo attorno.
Ma non era reale,
quella nebbia, e anche lei doveva tornare lucida e riflettere.
Bulma prese un
grissino.
-Stanotte porteremo
via le tombe.