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Autore: Sam_gnammy_    18/04/2014    5 recensioni
Mia è una ragazza di sedici anni, stanca del suo carattere, dei suoi compagni di classe e della sua vita piena di delusioni e sofferenze, tra cui la morte del padre, approfitta del trasferimento della madre per cambiare vita e farà amicizia con il ragazzo che presto diventerà il suo migliore amico... non sa però che non molto lontano da lei esiste un posto meraviglioso, tanto, troppo tranquillo. Una semplice pietra, così piccola da poterla racchiudere in una mano, che raffigura una serpe, disegnata così bene nei particolari… potrà svelare quello che nessuno mai era riuscito a raggiungere...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia non inizia con il solito primo giorno di scuola dopo le vacanze estive, nel mio caso la scuola era già cominciata, da tre mesi, e andava tutto bene… fino a quando un freddo pomeriggio di Dicembre, dopo essere tornata stanca a casa, mia madre mi parlò del suo trasferimento… Ed è da qui che ha inizio la mia storia. Era notte fonda in città e correvo, ma stavolta in modo diverso, non era la solita corsetta nel parco vicino casa mia, perché ormai era diventata un’abitudine, ogni pomeriggio alle cinque e mezza in punto, ma no... questa era una corsa molto più intensa, quasi terrorizzata, sì, terrorizzata è la parola giusta, avevo il fiatone, ma, nonostante ciò, continuavo a correre senza un motivo, forse un motivo c’era ma ero troppo impegnata a correre per capirlo, era come se le mie gambe avanzassero da sole, senza una meta precisa, non rispondevano quasi più ai miei comandi. Sentivo dei passi dietro di me, qualcuno mi stava inseguendo ne ero certa. Appena me ne accorsi mi sforzai di correre più veloce per quanto fosse possibile, ma era inutile, più correvo, più quella cosa si avvicinava a me. Non era una cosa umana, si sentiva, ma io ero troppo spaventata per girarmi, e poi, se mi fossi girata sarei sicuramente svenuta, inciampata o caduta a terra come succede nei film horror e non volevo finire come le protagoniste che alla fine muoiono sempre. Ero talmente presa dal correre che non mi accorsi che intorno a me si stava facendo sempre più buio, non si vedeva quasi più niente, continuava a diventare tutto nero, le luci dei palazzi non si vedevano quasi più, era incredibile che, per quanto fossi in un luogo abitato, nessuno si fosse accorto della mia presenza o… almeno della sua. D’un tratto il paesaggio cambiò, non ero più in un grande e rumoroso centro abitato, non so nemmeno io a dir la verità dove mi trovassi e , a dirla tutta non è che mi interessava tanto saperlo, il mio scopo era di non farmi prendere da quella cosa che non mi voleva certo fare del bene anche se, a come stavano andando le cose, potevo correre per altre lunghissime ore che, secondo me, eravamo sempre allo stesso punto. “Ora basta!” pensai e, sbalordita di fronte al mio carattere, mi trovai davanti a una figura scura, un mantello nero che gli copriva dal volto fino al pavimento, non si intravedeva una sola parte del corpo, persino le braccia e le mani sembrava non le avesse, erano attaccate al resto del mantello. Un urlo agghiacciante mi attraversò i timpani e sparì quasi nello stesso momento…

<< Mia! Mia svegliati, siamo arrivati! >> era mamma che mi urlava dentro le orecchie e solo allora mi accorsi che stavo sognando, uno di quegli incubi che è difficile toglierteli dalla testa.
Mi trovavo in macchina…ah sì, ora ricordo, siamo partiti prestissimo e non ho avuto nemmeno il tempo di svegliarmi completamente, per fortuna avevo fatto la valigia la sera prima, una volta ogni tanto che ascolto mamma. Sembra quasi una di quelle gite che fai con i tuoi e che, una volta finite, non vuoi tornare a casa e in realtà, questa volta, non tornerò a casa.
<< Mia ti vuoi decidere a scendere da questa macchina? >>
<< Un attimo mamma, sto prendendo le borse >>
<< Lo sapevo, dovevamo mettere le tue valigie nel bagagliaio, sarai stata scomoda per tutto il viaggio, perché non mi dai mai ascolto?>>
Ecco che inizia la predica del “perché non mi dai mai ascolto” lo dice sempre, anche quando non trovo l’mp3 nella mia stanza perché dice che dovevo mettere prima a posto sennò non troverò mai niente, non lo sopporto. Scesi dalla macchina e vidi davanti a me una villetta richiusa in una ringhiera rigorosamente dipinta di bianco, un giardino con un’erba corta e ben curata, a sinistra un albero possente ma spoglio, che aveva da poco attraversato il freddo dell’autunno e che si stava preparando per l’inverno gelido. Era un paesaggio meraviglioso, ma a quel punto mi sorse un dubbio:
<< Mamma ma come possiamo permettercelo?>>
<< Tesoro, di questo non te ne devi assolutamente preoccupare>>
<< Ma… mamma è… enorme!>>
<< Beh… rispetto a quella catapecchia che avevamo prima si… >> disse lei << Ma grazie a questa promozione ora siamo sistemate per un po’>> continuò e io le sorrisi.
Entrammo in casa nuova, era bella quanto fuori, la famiglia che prima abitava qui aveva lasciato tutti i mobili, ovviamente erano stati inclusi nel prezzo. Appena entrai vidi un salotto abbastanza grande, uno di quei soggiorni in cui stai poche volte tra cui la sera del cenone di capodanno, con un tavolo da pranzo così grande da poter contenere il doppio dei tuoi parenti compresi i bimbi che giocano tra di loro e scappano allegri dagli adulti che li vogliono far stare seduti per paura che rompano qualcosa. Mi girai e sulla destra vidi un bel divano, rivestito di stoffa scura, un misto tra violaceo e verdastro, vicino ad esso un caminetto e immaginai già le serate che avremmo passato con mamma abbracciate davanti al fuoco a bere una tazza di cioccolata calda. Dovevano avere dei gusti davvero bizzarri queste persone perché, sopra il caminetto, c’era una testa di un alce appesa al muro e devo dire che la cosa mi spaventava un po’… Per quanto riguarda i quadri però erano abbastanza belli, la maggior parte raffigurava paesaggi che dovevano essere di questo posto essendo immersi nel verde e pieni di colore. A sinistra, invece, c’era la cucina separata dal salotto da due scalini di parquet scuro e, tra il salotto e la cucina, una scala a chiocciola che portava al secondo piano.
<< Dai Mia, aiutami a portare le ultime valigie>>
<< Sto arrivando>> dissi studiando ancora nei minimi particolari tutta la scena. Aiutai mamma a portare le nostre valigie.
<< Grazie Mia, ora sali che ti faccio vedere la tua camera così potrai sistemarti>>
<< Sì ma’, arrivo>>.
Una volta sopra mamma mi mostrò la camera in cui avrei dormito, era abbastanza grande e spaziosa per una disordinata come me, sistemai la mia roba e passarono delle ore, erano le sei meno un quarto di pomeriggio e pensai che a quest’ora nella mia vecchia città, stavo correndo nel parco vicino casa, guardai fuori ma mi resi conto che era troppo buio per andare a correre e soprattutto faceva un freddo cane anche se per me non era un problema, ero abituata a correre anche in pieno dicembre. Scesi sotto per vedere se mamma aveva bisogno di una mano e la aiutai a sistemare le ultime cose, allora disse:
<< Domani è il gran giorno! Cerca di fare una buona impressione sui professori e anche sui tuoi nuovi compagni>> annuii ma solo al pensiero mi venne un brivido, non ero tanto brava a fare amicizie, è per questo che i compagni della mia vecchia scuola mi prendevano in giro, non avevo molti amici lì, ma non perché io non ne avevo voglia, è che sono talmente timida che quando cerco di fare amicizie non mi viene in mente niente da dire, perciò tutti, anziché aiutarmi e cercare di “attaccare bottone”, mi deridevano e mi parlavano alle spalle.
Era mattina presto, l’odore del cappuccino caldo mi attraversava ed ero distesa sul letto aspettando il suono della sveglia, di solito non mi alzo mai prima che suoni la sveglia, ma l’ansia da primo giorno di scuola non mi aveva fatto dormire per tutta la notte ed avevo un gran sonno, ma dovevo essere in perfetta forma se non volevo dare l’impressione di una ragazza timida e riservata, come in realtà ero. Mi alzai di scatto pensando che erano già le sei e dovevo ancora fare colazione e prepararmi, così scesi di sotto per bere un po’ di latte e caffè. C’era mamma sul divano che mi faceva cenno di sedermi accanto a lei, non mi ero ancora accorta che il divano era molto comodo. Nonostante era il sette di Dicembre, era una bella giornata, guardai dalla finestra, i raggi del sole illuminavano il paesaggio che mi sembrava una vera e propria meraviglia: il verde era ovunque e devo dire che ciò portava molta allegria e serenità, dietro la piccola stradina di fronte casa mia, e dopo qualche metro di terreno coperto di foglie gialle e arancioni, che avevano ormai attraversato il fresco dell’autunno, notai una piccola discesa e mi chiesi dove portasse. “E’ davvero affascinante, ho trovato un posto in cui poter andare a correre” pensai. Ad interrompere i miei pensieri fu un rumore insopportabile che proveniva da sopra, mi ero dimenticata di spegnere la sveglia che non aveva ancora suonato, poggiai il latte sul tavolino del salotto e salii a spegnerla. Dopo circa mezz’ora ero quasi pronta, dovevo solo aggiustarmi i capelli, il che era un’impresa aggiustare i miei ricci rossi, e potevo finalmente uscire di casa. La scuola non distava molto da casa mia per fortuna, quindi la raggiungevo a piedi ed era anche più comodo, quando ero in anticipo potevo anche fare il giro lungo e osservare il paesaggio, e potevo anche esplorare un po’ quella discesa tanto misteriosa, sempre se non mi congelavo le mani. Davanti scuola c’erano parecchi ragazzi in attesa di entrare e riscaldarsi ai termosifoni della propria classe ed io non facevo eccezione. Suonò la campanella e aspettai che nella mia classe entrassero tutti per non occupare il posto di qualcun altro ed evitare litigi già il primo giorno eccetera eccetera. Dopo qualche minuto entrai nell’aula e tutti mi fissarono con stupore e nello stesso tempo con una punta di interessamento, e sembravano intenzionati a fare amicizia, almeno la maggior parte, e questo già prometteva bene. L’unico posto libero era all’ultimo banco, accanto ad un ragazzo a mio parere molto carino: capelli e occhi castano scuro, abbastanza alto e magro, così mi avvicinai e gli domandai:
<< Questo posto è occupato?>>
<< No, tranquilla puoi sederti>> rispose sorridendomi
<< Grazie>> ricambiando il sorriso.
Cercai di sorridere ed annuire davanti al professore della prima ora, era apparentemente molto vecchio, capelli grigi, quelli che erano rimasti dopo anni e anni di insegnamento, e un po’ bassino, insomma, il solito prof odioso che non faceva mai un sorriso e che con lui tutti prendevano voti bassi, stavamo proprio iniziando bene l’anno, però d’altronde, non si può giudicare un libro dalla copertina…
<< Ragazzi, da stamani avremo in classe una nuova studentessa: Mia Evans. Mia, io sono il professor Richmond, di letteratura. Per favore alzati in piedi e presentati ai tuoi compagni >> disse quasi imponendomelo.
Mi alzai e cercai di dire ad alta voce:
<< Allora, io mi chiamo Mia Evans, ho sedici anni e mi sono trasferita qui da poco… prima abitavo in una piccola città vicino Londra insieme a mia madre. >>
<< E tuo padre? >> fece un ragazzo che non sembrava molto interessato a quello che stavo dicendo
<< Mio padre è morto quando io avevo cinque anni>> risposi io con un tono di amarezza ma allo stesso tempo cercando di farmi vedere forte.
In classe calò un silenzio imbarazzante e ad interromperlo fu quella stessa voce:
<< Scusami >>
<< Figurati, non è colpa tua >> già quello mi stava antipatico
 << Bene, grazie Mia>> concluse il professore e si mise a parlare dell'argomento del giorno.
Cercai di seguirlo per non sembrare distratta, ma mi sembrò difficile e notai anche che solo tre persone, al primo banco, lo stavano ascoltando.
<< Non ti conviene sai?>> una voce alla mia destra mi fermò il cuore per due secondi, era il mio nuovo compagno di banco, quello carino, me ne ero completamente dimenticata.
<< Come scusa?>>
e lui ripeté:
<< Non ti conviene, starlo ad ascoltare, parla solo di fatti suoi, una volta ci ha detto che sua moglie aveva dimenticato di mettersi gli occhiali ed essendo mezza cieca senza, ha cenato un’intera serata con un appendiabiti e lui è uscito a mangiarsi una pizza>> risi spontaneamente e lui continuò << Comunque mi chiamo Austin Thompson >> tendendomi la mano
<< Piacere, Mia, come avrai appena sentito. >> stringendogliela.
Sette ore di scuola ed ero ancora viva grazie a Austin che mi tenne allegra anche durante il pranzo in mensa. Finalmente suonò l’ultima campanella ed uscii velocemente dall’aula, non sapevo se attiravo l’attenzione per il fatto che ero nuova o per i miei capelli rosso fuoco e gli occhi azzurro chiaro, in ogni caso avevo dimostrato, almeno per ora, di sapere il fatto mio e di questo ne ero immensamente soddisfatta. Mi avviai verso casa con una certa rapidità ma ad un tratto sentii la voce di Austin in lontananza:
<< Mia! Aspetta Mia!>> urlò a squarciagola. Mi girai e me lo ritrovai davanti
<< Come hai fatto ad arrivare qui in così poco temp… >>
Mi accorsi solo in quel momento che aveva il fiatone, tanto da non riuscire a parlare ed io:
<< Però, gran risultato Thompson, corri veloce quasi quanto me, cosa volevi dirmi di tanto importante?>>
<< Volevo… ecco… tu corri?>>
<< Sì, nella mia vecchia città correvo quasi ogni pomeriggio>>
<< Io corro ogni giorno e qui è bellissimo, c’è un posto magnifico dietro una piccola collina, ti ci devo portare>>
<< Sì, non vedo l’ora>> sorrisi e poi continuai: << Ma tu non volevi dirmi qualcosa?>> e lui
<< Oh… si, ti vuole parlare il professor Richmond>>
<< Chi?>>
<< Il professore della prima ora, Richmond>> rimango sorpresa, saluto Austin e mi avvio di nuovo a scuola.
Incontro Richmond nel corridoio
<< Voleva vedermi professore?>>
<< In effetti si, signorina Evans. Volevo consegnarle l’elenco degli argomenti che ho svolto fin ora, sono disposto a farle scegliere una data in cui preferirebbe essere interrogata, per agevolarla dato che si è trasferita da poco. Ora, vista la situazione, io non so personalmente cosa abbia fatto nel suo precedente istituto, ma è doveroso istruirsi e se è necessario approfondire su tali argomenti in modo da essere assimilati, ed è rilevante inoltre che lo faccia nel minor tempo possibile chiaro signorina?>> disse con un timbro di voce così basso e così lentamente da diventare quasi insopportabile, quasi come se io non capissi.
Adesso lo sapevo di certo, a volte anche i detti possono sbagliare.
<< Certo professore, tutto chiarissimo>> cercai di dire con un tono quasi apprezzabile e, provando a sorridere, presi l’elenco e me ne andai salutandolo. Nel tragitto mi accorsi, guardando la schermata del telefono che, tra Richmond e la chiacchierata con Austin avevo perso più di venti minuti, ma soprattutto che mamma mi aveva chiamato tre volte ed io avevo la vibrazione, così la chiamai:
<< Ma’?>>
<< Mia ti ho chiamata più di una volta perché non mi rispondi?>> mi chiese con il tono preoccupato e rimproverante che hanno le madri comprensive
<< Scusa mamma, un professore mi ha tenuto un po’ di più per darmi la lista degli argomenti della sua materia che devo studiarmi>>
<< Ho capito, com’è andato il primo giorno?>>
<< Un po’ stancante ma nel complesso non male>>
<< Meno male! Io sono a lavoro, ci vediamo stasera, vai a casa e riposati>>
<< Lo farò, ciao ma’>>
Tornai a casa distrutta accesi la tv per sentirmi meno sola, ma, dopo una manciata di minuti, decisi di uscire per andare a correre, forse così mi sarei riscaldata. Misi le mie scarpe da ginnastica ormai consumate per le troppe camminate, sciarpa, cappello e giubbotto imbottito. Uscii di casa e un vento gelido mi attraversò, quasi come se mi penetrasse dentro, ero abituata a correre anche con la neve, nonostante le sgridate di mamma quando le prime volte mi prendevo un raffreddore sentire i suoi “perché non mi dai mai ascolto”. Era una cosa che mi rilassava, più correvo veloce, più i pensieri scivolavano via per qualche ora. Mi misi a correre a denti stretti, non so come, caddi a terra, avevo sbattuto contro qualcosa, un albero forse? No, non poteva essere un albero era qualcosa di più morbido, si stava muovendo ed io iniziai ad avere paura.
  
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