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Autore: J85    20/04/2014    0 recensioni
Protagonista di questa mia prima storia urban fantasy è Sara Silvestri, personaggio secondario (ma non troppo) di un mio vecchio racconto intitolato "Casa mia".
La ragazza, alla ricerca di un edificio da adibire a negozio di parrucchiera, s'imbatte, su suggerimento di una sua amica, in un cupo e tetro fabbricato, situato in una zona isolata fuori città.
Nonostante sia estremamente titubante, alla fine la giovane si decide ad entrare, certa che al suo interno sia totalmente disabitato.
Con suo grande stupore, ed orrore, scoprirà che la situazione è ben differente da quella sperata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2

“Dentro l’orrore”

 

 

 

Purtroppo la speranza, da parte di Sara, di trovare dentro il fabbricato un ambiente migliore rispetto a ciò che aveva trovato fuori, fu subito spazzata via. Infatti, dentro si presentava ancora più cupo ed orrendo, con ragnatele che decoravano l’ingresso dell’edificio, che all’interno sembrava ancora più grande.

La nostra protagonista, tutta infreddolita per il clima presente lì dentro, che pareva arrivarti fino alle ossa, continuava a maledirsi per essersi imbarcata da sola in quest’avventura, senza neanche un oggetto contundente con cui potersi difendere da qualcuno… o qualcosa.

Mentre scrutava con occhi spalancati da tutte le parti, notò la scritta sopra una porta, “IL DIRETTORE”, e, incuriosita, si avviò verso questa seconda entrata.

Le due parole non erano sicuramente stampate ma, anzi, sembravano scritte da qualcuno con la mano non certo fermissima e, soprattutto, erano scritte sulla superficie un cartone da pacchi.

Sara vi s’introdusse dentro, trovandovi il buio più totale. L’unica cosa che si riusciva a vedere era una massa informe, ma Silvestri pensò che fosse soltanto un inganno ottico dell’oscurità stessa e non ci fece caso inizialmente.

Quasi senza pensarci, la ragazza si mise a cercare con la mano sinistra nella parete qualcosa che assomigliasse ad un interruttore e, dopo tanto tastare, lo trovò, premendolo subito.

Un attimo per abituarsi alla luce, che non aveva certo una luminosità irresistibile, e si trovò davanti, nello stesso punto in cui prima aveva intravisto una forma anomala, vi era ora una montagna pelosa e parecchio puzzolente, che, appena accesa la lampadina, iniziò ad emettere degli orrendi versi.

La povera fanciulla era terrorizzata e completamente appiattita al muro, nel contempo non aveva la forza di tirare uno dei suoi urli, limitandosi a tenere la bocca semi aperta e gli occhi sbarrati mentre assisteva a quel nauseabondo spettacolo.

Ad un tratto, quella cosa cominciò a girarsi e, dietro a quella che si rivelò essere un’enorme gobba, comparì una testa umana, altrettanto enorme, anch’essa piena di peli scuri e aggrovigliati tra loro. Dopo un attimo di silenzio, quell’essere chiese, alzando il voluminoso sopracciglio, “Buonasera signorina, posso esserle d’aiuto?”

Sara, dopo un attimo di silenzio, trovò il coraggio, per rispondere ironica “Mi perdoni ma… penso di avere sbagliato ufficio… arrivederci!” e nel pronunciare quest’ultimo saluto, la ragazza si stava voltando verso l’uscita.

Ma, si sa, nelle situazioni assurde le cose non vanno mai come si vorrebbe e, proprio dietro le spalle della bella bionda, la voce della bestia tuonò “Dove crede di andare signorina!!!!!”.

Alla povera Sara toccò fare dietrofront ed aspettare che l’orrenda creatura parlasse di nuovo: “Come mai è qui nel Fabbricato?”.

“Fabbricato? È così che chiama questo posto?” si chiedeva mentalmente la ragazza, mentre escogitava anche una risposta accettabile per quella follia.

alla fine scelse di dire solamente le cose come stavano “Beh… a dir la verità sono qui per visionare l’impianto…”.

“Ah, capisco”, l’orco era più ragionevole di quanto sembrasse “Lo vuole sapere come siamo arrivati qui io ed i miei colleghi?” chiese infine.

Altri pensieri comparivano nella psiche di Sara: Che significa questa domanda? Che intende con “suoi colleghi”? Perché non sono rimasta a casa?!

Senza neanche aspettare la risposta della giovane donna, l’energumeno iniziò “Vede signorina, deve sapere che noi creature della notte, fino a poco più di un secolo fa, dominavamo incontrastati in questo territorio, tutti ci temevano e stavano alla larga da questa zona” a questo punto Sara, inspiegabilmente, cominciò ad interessarsi al racconto “Poi la… come si chiama? Ah sì, la scienza rese più sicuri e cattivi gli uomini. E noi, povere creature, fummo costrette ad abbandonare i nostri domini per rifugiarsi nei boschi o in qualunque altro posto dove poter stare al sicuro”.

Nel terminare questa frase, l’orco rimase immobile con gli occhi chiusi, quasi a rimembrare ciò che aveva appena descritto. Fu allora che Sara commentò “Però… signore… vedo che a lei non è andata molto male, per quanto riguarda il rifugio”.

L’interpellato riaprì gli occhi, mostrando le sue pupille scure, e rispose “Beh… sì, devi sapere che io e gli altri abbiamo lasciato giusto una settima fa il nostro bosco-rifugio, venuti a sapere dell’esistenza di questo paradiso incontaminato, anche perché il nostro bosco-rifugio stava venendo a poco a poco distrutto dall’uomo, senza che noi sapessimo perché”.

A questa rivelazione, la ragazza ricordò tutte le lezioni scolastiche in cui venne affrontato, come argomento principale, il disboscamento, le gravi conseguenze che esso crea e le cause idiote che hanno portato a questa situazione. Ma quello non era il momento di pensare a tali argomenti, visto che stava affrontando un’incredibile avventura proprio ora.

“Ma perché allora non vi siete difesi come ai vecchi tempi?” chiese lei.

“Perché l’uomo usava contro di noi oggetti che facevano molto male!”.

“Ma certo! Le armi! Perché non ci ho pensato prima!” rifletté tra sé e sé.

Dopo un momento di pausa, a Sara tornò in mente la scritta sopra la porta e domandò “Perché allora lei è “Il Direttore”?”.

“Semplice, perché l’ho deciso io!”.

Stupefatta da quella risposta ingenua, la testa di Sara era ora un enorme uragano, con una moltitudine di domande da poter fare a quello scherzo della natura, ma la giovane temeva l’innervosirsi di quell’energumeno ad una di queste domande e tentennò.

La creatura, in cuor suo, se ne accorse e pronunciò la sua prima domanda rivolta alla bionda “Tu invece chi sei? Come ti chiami?”.

Dopo un attimo di smarrimento lei rispose “Ah… io mi chiamo Sara e… beh ero venuta qui perché mi avevano detto che questo posto era abbandonato ed io… insomma… volevo farlo diventare il mio negozio…”.

Una delle cose più difficili in natura è forse spiegare qualcosa ad un orco, poiché ad un enorme testa, causata più che altro dallo loro intera fisionomia, non è collegato un cervello di altrettante dimensioni: questa sarà la prossima lezione imparata da Silvestri.

“Quindi tu tagli i capelli delle altre persone per mangiarli!”.

“No le taglio e basta!”.

“E per farci cosa?”.

“Niente! Li butto via!”.

“E questo ti fa sentire felice?”.

“Beh… sì, in un certo senso sì. Poi se aggiungi il fatto che vengo pagata per questo, mi da ancora più soddisfazione…”.

“E perché ti devono pagare per farsi tagliare i capelli?”.

“Perché sono una parrucchiera all’ultimo grido!” ogni tanto la piccola Sara era presa da questi lampi di superbia, seppur in maniera umoristica.

La discussione andava avanti da un buon quarto d’ora. La ragazza si era ormai abituata alla compagnia di quell’essere, di cui aveva sentito parlare solo nelle favole della buonanotte per bambini.

Ad un tratto, si cominciò a sentire un lamento disumano per tutta la stanza e Sara si ritrovò di nuovo appiattita al muro ad urlare “Che cos’è questo verso?”.

“Non avere paura” la tranquillizzò il mostro “è solo mio figlio…” e, detto questo, si girò con grande lentezza, ad afferrare qualcosa con la sua enorme mano.

Sara provò a sbirciare, ma era una cosa quasi impossibile, visto che la gigantesca figura dell’orco occupava la maggior parte dei metri quadrati della stanza e, rinunciatovi, aspettò il ritorno del “Direttore”.

Mentre era ancora in fase di rotazione verso la sua ospite, portò la sua mano sinistra vicina alla ragazza che, una volta aperta, vi trovò dentro un batuffolo di pelo rossiccio, come quella dello stesso orco, che si rivelò essere il figlio dell’interlocutore con cui aveva parlato finora.

Il piccolo, che poi era alto qualche centimetro più di Sara, assomigliava parecchio al padre, odore compreso, ed emetteva solamente dei versi disumani.

“Ti presento Grim, mio figlio!” disse entusiasta la figura gigante.

“Ciao piccolo!” provò ad avere un primo dialogo con l’essere, Sara.

Il bimbo salutò a suo modo la ragazza, ma con delle parole che la giovane, pur con tutto l’impegno del mondo, non riuscì a comprendere.

“Mi sa che gli sei simpatica, signorina…” disse l’orco, per poter far ritornare Sara il più possibile a proprio agio, anche dopo questa ulteriore raccapricciante scoperta.

“Beh… è carino, a me piacciono molto i bimbi piccoli. Pensa che mi è capitato anche di fare da baby sitter, ogni tanto…” questa affermazione, spudoratamente falsa, era la prima che era venuta in mente a Silvestri per mostrarsi falsamente felice, alla conoscenza di quell’orrenda cosa che ora le stava tirando una ciocca dei suoi capelli biondi e lisci.

“Grim… comportati bene!” lo ammonì suo padre per farlo smettere.

Il piccolo ubbidì subito senza proteste al richiamo dell’ingombrante padre.

Così Sara aveva liberi i suoi capelli, che controllò velocemente, una volta l’orchino ebbe mollata la presa, e aggiunse “Grim… che bel nome! Simpatico e breve…”.

“Non lo devi temere, sai? Grim è un bravo figlio, forse un po’ esuberante alcune volte ma, in fondo, lo eravamo tutti alla sua età…” questo discorso ricordava a Sara i soliti discorsi fatti dai genitori per scusare il loro figlio monello.

Poi, guardandoli giocare insieme, la ragazza si accorse della mancanza di un membro fondamentale per qualsiasi famiglia, forse anche per quella specie, e non resistette alla curiosità “E sua madre dov’è in questo momento?”

Al sentire questa domanda, il bestione si incupì di colpo, mentre Sara pensava che avrebbe fatto molto meglio a tenere la bocca chiusa per una volta. L’energumeno guardò un attimo il piccoletto, per poi rispondere “Vedi lei è da un po’ che non c’è più…”

Sara, visibilmente rattristata, si scusò “Oddio scusami. È colpa della mia curiosità, molte volte parlo prima di pensare”.

“Non ti preoccupare. La cosa che mi fa stare sereno è il fatto che, mentre moriva, dava alla luce il piccolo Grim. Mi chiese di promettergli che mi sarei preso cura di nostro figlio. Il suo ultimo regalo per me e per  il mondo…” e mentre narrava questo commovente racconto, qualche lacrimona scendeva dai suoi enormi occhi scuri.

Anche la nostra protagonista riuscì a stento a trattenere le lacrime, che spingevano agli angoli dei suoi occhi castani, mentre Grim, a cui suo padre aveva provveduto a tappare le orecchie, continuava beatamente a giocare con pezzi di materiali vari raccolti dal pavimento.

Dopo altri attimi di silenzio Sara ebbe un ironico, vista la situazione in cui si trovava, pensiero che volle condividere con la creatura che le stava accanto e, sorridendo, gli disse “Ed io che credevo che gli orchi mangiassero i bambini…” mentre ancora stava osservando i divertimenti del piccolo Grim.

“Infatti li mangiamo!”.

A questa risposta secca la giovane sgranò gli occhi e, con una puntina di terrore che si era rifatta viva nel suo cuore, si voltò chiedendo spiegazioni “Come?”.

Il mostro, che non aveva minimamente intuito il nuovo stato di agitazione in cui aveva sprofondato la ragazza, si chiarì “Cioé li mangiavamo…”.

“In che senso li mangiavate?” chiese l’altra, alquanto incuriosita.

“Devi sapere che i bambini…” nel pronunciare queste parole, avvicinò ulteriormente il suo enorme capo, come a rivelarle un grande segreto, in modo tale che in pochi venissero a sapere tale informazione, “Hanno cominciato a lavarsi!”.

Questa scoperta sconvolgente lasciò Sara con un’aria sbigottita in volto ma pronta a replicare “Sul serio?”.

L’orco, totalmente ignaro dell’ironia che Sara aveva messa in quest’ultima frase, continuò “Sì. Una volta, i ragazzini erano tutto tranne che puliti; Erano impregnati di fango, sudore e libertà… quelli di oggi invece… PUAH!”

Quest’ultimo verso dell’orco fu talmente forte che rimbombò per tutto la struttura.

Una volta terminato l’eco, Sara continuò ad ironizzare “Sono i tempi che cambiano…”.

“Già!” scosse la testa in maniera affermativa la creatura.

La ragazza provava sempre più tenerezza per lo scherzo di natura che aveva davanti, mentre il suo unico figlio proseguiva nel suo divertimento personale.

“Nonostante questo, noi orchi siamo ancora abbastanza sparsi in giro per il mondo…”

“Vuol dire che qualche suo “parente” lo posso trovare anche in altre nazioni?” chiese sorpresa la bionda.

“Certo!”

“Beh, in effetti, di gente strana in giro ce n’è tanta, ma francamente non ricordo proprio di aver mai incontrato un altro orco in giro per la città…”.

“Forse perché non sono tutti simili a me…”.

“Cioè?”.

“Per esempio, ci sono gli orchi dei paesi freddi, loro si che sono davvero brutti…”.

“Ah! Loro sarebbero brutti…” pensava dentro di sé Sara, cercando di non scoppiare in una fragorosa risata.

“Dicono addirittura che provengono direttamente dagli inferi. Devono mettere davvero paura se li incontri…” proseguiva nella sua spiegazione la creatura.

“Un altro tipo, se non ricordo male, sono gli orchi asiatici. Anche loro sono molto brutti ed hanno il viso rosso, due corna sulla testa e indossano sempre degli abiti leopardati…”.

“Sono per caso quelli che chiamano oni?” intervenne lei.

“Sì, esatto! Brava signorina! Mi fa piacere che anche tu usi il cervello!”.

“Prendiamolo come un complimento…” bisbigliò appena la Silvestri.

“Poi ci sono anche quelli americani, che dovrebbero avere la pelle verde e delle antenne al posto delle orecchie, ma purtroppo non ne so molto di questa specie…” sembrava aver concluso l’orco, che era tornato ad osservare la sua prole che si trastullava con i suoi balocchi.

Anche Sara tornò a squadrare nuovamente il piccolo, se così si può chiamare. Poi gli tornò alla mente il reale motivo per cui era giunta in quello stabilimento e, soprattutto, non voleva di certo arrivare alla fine dei suoi giorni con quella particolare compagnia.

“Beh… si è fatto piuttosto tardi e visto che, da quanto ho capito, questa struttura non è per niente abbandonata, mi secca ammetterlo ma devo rientrare a casa” spiegava con voce decisa la bionda, mentre si affrettava a grandi passi verso la porta.

“Ooooh ma come? Te ne devi già andar via?” chiese rammaricata l’enorme figura.

“Sì! Purtroppo ho ancora molte cose da…” ma la ragazza non riuscì a terminare la sua scusa dato che, il piccolo Grim, le si era avventato addosso cercando di stritolarla in quello che, per lui, era semplicemente un tenero abbraccio di affetto.

“Lasciala Grim!” gli urlò contro suo padre.

Ma il figlio continuava imperterrito a ridere, sballottolando di qua e di là la povera Sara che, stretta in quella morsa, non aveva nemmeno il fiato per gridare.

“GRIM!” tuonò ancora più forte e minaccioso il genitore.

A quell’ultimo avvertimento, l’orchetto lasciò andare la giovane che, per un attimo, rischiò anche di collassare al suolo.

“Non ci si comporta così con gli ospiti!” lo ammonì severo l’orco.

Il colpevole stava tornando al suo angolo, con gli occhi sempre più lucidi e la bazza che traballava pericolosamente, minacciando un pianto a dirotto.

“Non lo tratti così, è solo un bimbo…”.

La creatura ruotò nuovamente il suo enorme capo in direzione della bionda.

“Stai bene?” domandò preoccupato.

“Sì certo! Mi piego ma non mi spezzo!” rispose lei che subito raggiunse Grim.

Una volta che gli fu davanti, accarezzandogli dolcemente la manona, gli disse “Mi ha fatto piacere conoscerti, Grim”.

Dopo ciò, tornò ad avviarsi verso l’uscita. Girandosi indietro mentre era ancora in moto, salutò anche il padrone di casa “Sono felice anche di avere parlato con te!”.

“Anch’io Sara! Torna a trovarci quando vuoi!” esclamò l’orco, visibilmente commosso da quell’inaspettata visita.

“Certo, volentieri! Ciao alla prossima!” concluse sorridendo ai due, mentre chiudeva la porta.

 

Ora era di nuovo da sola. Ripensando a tutto quello che le era capitato, la ragazza era quasi tentata di riaprire nuovamente l’entrata, per controllare se tutto ciò apparteneva alla realtà.

Ma subito vi rinunciò, scuotendo vigorosamente la testa. Ora più che mai doveva riuscire a venire fuori dal quell’assurdo ambiente. Immediatamente però si accorse di una cosa: non riusciva più ad identificare l’uscita di quel capannone.

Per assurdo, uno strano pensiero prendeva vita dentro la sua mente: Il Fabbricato la voleva ancora dentro di lui.

 

  
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