Spero vi piaccia anche se ci sono dei punti di cui non sono del tutto convinta.
Buona lettura.
2
Per qualche giorno si era trascinato per casa con indosso solo i pantaloni del pigiama. Mangiava meccanicamente e distrattamente quello che Mrs. Hudson gli portava. Non aveva avuto nemmeno voglia di suonare il violino, cosa che normalmente lo faceva sentire meglio.
Poi, una mattina, si era svegliato pieno di energia da sfogare. Rabbia, per essere più precisi. Aveva passato ore a frugare nel suo armadio alla ricerca di qualche distrazione e alla fine lo aveva trovato. Aveva quasi dimenticato la sua esistenza. Lo aveva tirato fuori e lo aveva portato in sala. Accanto allo smile dipinto tempo prima, aveva attaccato un foglio di carta con disegnato un bersaglio e aveva iniziato a prendere la mira.
Non lo avrebbe creduto, ma era molto più soddisfacente che usare una pistola. Prendere una freccia, posizionarla e tendere l'arco per tutto il tempo necessario, era rilassante ma allo stesso tempo era un modo di sfogare tutta l'energia inutilizzata che fremeva nel suo corpo sino a scoppiare. Per certi versi era come suonare il violino, l'arco teso era come le corde dello strumento.
Gli permetteva di essere mobile e statico insieme.
La potenza della freccia che scoccava trasmetteva una sensazione di sollievo al suo corpo e alla sua mente. Dopo averle lanciate tutte, le aveva raccolte dal bersaglio e aveva ricominciato. Svariate volte.
Quando era arrivato John, ormai all'ora di cena, aveva ormai perso il conto.
“Sherlock! Cristo Santo, che diavolo stai facendo? Mrs. Hudson ti ucciderà!”
Lui aveva replicato facendo spallucce e aveva ripreso la sua attività.
“Mi ha chiamato Greg, non riesce a rintracciarti.”
“Il telefono è spento.”
“Tu non lo spegni mai. Che è successo?”
Aveva nuovamente alzato le spalle con fare incurante.
“E va bene... Comunque, Lestrade ha bisogno del tuo aiuto. Che ne dici di vestirti e andare a dare un'occhiata? Magari fai una doccia prima... Non profumi proprio di fiori.” aveva commentato il dottore con una smorfia.
“Di che si tratta?”
“Un uomo è andato a Scotland Yard per denunciare un omicidio, ma prima di poterlo fare è caduto morto stecchito. E la causa della morte è sconosciuta.”
“E l'autopsia?”
“Molly non ha trovato niente di niente. Nessuna malattia, nessun veleno o altre sostanze nel sangue. Niente.”
Si era irrigidito nel sentire il nome di lei. Avrebbe dovuto affrontarla prima o poi, ma era troppo presto. Non era ancora pronto a rivederla. Non aveva la forza di fingere, non ancora. Si sentiva esausto.
D'altra parte, però, almeno aveva un caso. Qualcosa che potesse distrarlo e dargli la possibilità di impegnare il suo cervello rimasto troppo a lungo inattivo.
E, così, aveva posato l'arco, rassegnato.
“Ho bisogno di un'ora.” aveva detto recandosi in bagno.
Aveva deciso che sarebbe stato indifferente, come era sempre stato. Avrebbe pensato solo al lavoro e non avrebbe indugiato in altri pensieri. Non l'avrebbe nemmeno guardata. Dopotutto, era stato perfettamente glaciale per anni e lei gli aveva saltellato intorno come un cucciolo innamorato. Quindi, forse...
No.
Non era quello il suo scopo.
Non stava andando al Bart's con l'intento di riconquistarla. Era lavoro. Solo lavoro. E, in merito a ciò, avrebbe dovuto sgridarla. Come era possibile che non avesse scoperto la causa della morte? Una brillante patologa come lei non avrebbe mai potuto sbagliarsi, quindi aveva chiaramente eseguito l'autopsia in maniera superficiale. Era l'unica spiegazione. Si sarebbe preso la soddisfazione di dirglielo una volta risolto il caso. E poi, dopo averla umiliata pubblicamente, l'avrebbe invitata fuori a cena. Sì, sarebbe stato un buon modo per farsi perdonare. Forse anticonvenzionale, ma avrebbe funzionato. Aveva sempre funzionato con Molly. Alternare scortesia e complimenti, insulti e gesti gentili, l'aveva fatta innamorare di lui.
Cullandosi con questa idea, era entrato in obitorio con passo deciso e sicuro di sé.
Era andato direttamente al cadavere, fingendo di non aver visto la minuta figura chinata sul tavolo. Aveva usato la sua lente portatile e aveva osservato il corpo.
Non c'erano ferite o altri segni che potessero far pensare a un avvelenamento ma, d'altra parte, esistevano modi molto fantasiosi per introdurre del veleno.
“Voglio vedere i risultati delle analisi del sangue.”
“Non c'è nulla.” aveva risposto Molly con tono secco.
“Ah, bene, allora il caso è chiuso. Quest'uomo è morto di buona salute!” aveva commentato con cinico sarcasmo.
“Sherlock...” cercava di fermarlo John.
“Non c'è bisogno di essere così...” aveva timidamente obbiettato la patologa.
“Cosa, Molly? Logico? Qualcosa deve pur aver ucciso quest'uomo. Rifai tutte le analisi e mostramele.”
Lei si era tolta i guanti con rabbia ed era uscita dall'obitorio sbattendo la porta.
“Sai, Sherlock, qualche volta non posso fare a meno di chiedermi se tu lo faccia a posta o se in realtà tu sia solo un maledetto orco.” aveva commentato il suo migliore amico uscendo e lasciandolo solo con il cadavere.
Aveva osservato a lungo il cadavere e letto la cartella. L'uomo, Jack Grint, si era presentato alle otto del mattino a Scotland Yard e aveva chiesto di parlare con un detective per denunciare un omicidio. Poco dopo era morto per quello che sembrava essere un infarto. Solo che aveva un cuore perfettamente sano. Le analisi del sangue non indicavano nulla di particolare.
Ormai ne sapeva fin troppo.
Così aveva lasciato l'obitorio ed era passato a prendere del caffè e delle patatine prima di recarsi in laboratorio da Molly.
Lei era china sul microscopio e John era seduto accanto a lei, parlando a bassa voce, con un sorriso, mentre leggeva dei documenti. Forse cercava di tenerla allegra. Lui era entrato senza bussare e aveva posato il caffè vicino a loro e poi si era seduto di fronte al secondo microscopio.
“Hai portato il caffé?” aveva chiesto John con tono sorpreso.
“Ci sono anche delle patatine.” aveva replicato senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
“Immagino sia il tuo modo per...”
“John, forse dovresti tornare a casa. Mary inizierà a preoccuparsi.”
“Mary sa che farò tardi.” lo contraddisse immediatamente il dottore. “Tuttavia, vado a farle almeno una telefonata.”
Uscito lui dal laboratorio, il silenzio divenne estremamente pesante.
“Sto rifacendo le analisi del sangue. Sono identiche alle precedenti.”
“Non limitarti ai controlli di routine. Potrebbe trattarsi di qualcosa di insolito.”
“Pensi a un'intossicazione?”
“No, penso a un vero e proprio avvelenamento. Penso che qualcuno gli abbia somministrato di proposito una dose letale.”
“L'autopsia non ha rivelato sintomi particolari.”
“Non era un avvelenamento cronico in cui i sintomi hanno il tempo di manifestarsi. Prima che uscisse di casa, o al massimo qualche ora prima, qualcuno ha somministrato la dose fatale. Qualcuno che sapeva che stava per denunciare un omicidio. Qualcuno molto vicino alla vittima che aveva la possibilità e le conoscenze per avvelenare il suo cibo o fargli inalare qualcosa di tossico.”
“Era asmatico.”
“Allora bisognerà verificare le sue medicine.”
“Me le hanno portate, erano tra i suoi effetti personali vado a prenderle.”
Molly si era alzata per allontanarsi ma, nel momento in cui gli passò accanto, lui la fermò afferrandole un braccio.
“Molly, dopo, ti andrebbe di... cenare insieme?”
Lei rimase immobile a guardarlo. Era sorpresa ma dopo qualche secondo si riprese e abbassò lo sguardo, con aria infastidita.
“Ho già un impegno.”
“Allora, magari, domani?”
“No, Sherlock.” e così dicendo si era liberata dalla sua presa ed era uscita dal laboratorio.
Lasciandolo solo, di nuovo. Rifiutandolo, di nuovo.
Aveva risolto il caso il giorno dopo.
Avvelenamento da ricina. La colpevole era la sorella di Grint. Aveva già ucciso il loro padre per l'eredità e suo fratello lo aveva capito. Purtroppo, quando si era recato a denunciarla, non sapeva di essere, in realtà, già morto.
Sherlock e John stavano rientrando in taxi e il consulente investigativo era silenzioso come sempre. Nonostante la brillante risoluzione del caso, era di malumore. La causa era ovviamente l'ennesimo colpo al suo orgoglio per mano di Molly. Doveva trovare una soluzione.
“Allora io vado. Ci sentiamo domani.” aveva detto John tenendo il taxi quando lui era sceso a Baker Street.
“Preferirei che restassi.”
“Mary mi aspetta...”
“Ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego. È importante.” lo aveva implorato in preda allo sconforto.
Se c'era qualcuno che poteva dargli consigli su quel genere di cose era proprio il suo migliore amico. Doveva solo trovare il modo per spiegargli la situazione. Il che non era affatto facile.
Salito al piano di sopra, aveva cercato di prendere tempo sperando di trovare le parole. E così si era diretto in cucina.
“Sherlock, cosa stai facendo?”
“Ehm, accendo il bollitore. Per il tea.”
“Lascia stare il tea. Dimmi di cosa si tratta.”
Aveva sospirato e si era diretto alla sua poltrona, sedendovisi e pensando che non gli era mai sembrata così scomoda.
John lo aveva imitato e si era seduto di fronte, ma a differenza sua, era perfettamente rilassato.
“Allora?”
“John, ehm... Come sai, nonostante le mie vaste conoscenze, ci sono ancora dei campi in cui... In cui non ho idea di come muovermi.”
“Parecchi, direi. A quale ti riferisci, esattamente?”
“Ehm. Le donne.”
John alzò le sopracciglia per la sorpresa e la sua bocca formò un'ironica O.
“Questa poi...” aveva esclamato prima di scoppiare a ridere in maniera incontrollabile.
“John.” lo aveva richiamato trovando fuori luogo quell'ilarità. “John.” ripeteva, ma l'amico sembrava proprio non riuscire a smettere di ridere. “John!” aveva infine urlato riuscendo ad attirare la sua attenzione.
“Oh, Cristo Santo!” aveva esclamato il dottore asciugandosi delle lacrime agli angoli degli occhi. “Non ridevo così tanto da anni!”
“John, pensavo dovessi essermi amico. Ridere di me così sfacciatamente non è un comportamento da amico.”
“Hai ragione, hai ragione.” aveva ammesso alzando le mani in segno di resa. “È solo che...” aveva detto ricominciando a ridere, per poi fermarsi immediatamente. “Ok, ora sono pronto. Ti ascolto.”
“Ho bisogno di consigli.”
“Su quale argomento? Perché, sai, dire semplicemente “donne” non restringe molto il campo. Oddio, ti prego, dimmi che non si tratta di consigli sul sesso!”
“No!” aveva esclamato alzandosi in piedi. “Non ho bisogno di consigli da quel punto di vista, dottore. È molto più complesso.”
“Va bene, allora spiegami.”
“Corteggiamento.” aveva detto infine dopo un profondo respiro. “Come si svolge?”
“Vuoi dire che non lo sai? Non hai mai corteggiato nessuno?”
“No.”
“Oh.” aveva esclamato John con una piccola smorfia. “E invece il sesso non ti crea problemi?”
“Il sesso è chimica. Niente di più semplice.” aveva detto con un gesto noncurante.
“Oh, beh, se lo dici tu.” aveva replicato l'amico con sarcasmo. “Allora, vediamo, da dove potresti cominciare... Ci sarebbero le basi. Fiori, regali, un invito a cena...”
“Ha detto di no.”
“A un invito a cena?”
“Esatto.”
John lo guardò accigliandosi.
“Ma questa donna prova un minimo di interesse per te? O ti stai buttando alla cieca come un kamikaze?”
“È Molly.”
“Ah. Allora vuoi dirmi che ieri... Il caffè e le patatine... Era un tentativo di corteggiamento?”
“In un certo senso.” confessò lui cercando di contenere l'imbarazzo.
“Meno male, temevo ci provassi con me.”
“John!”
“Sherlock, l'avevi appena maltrattata di fronte a me. Era infuriata e umiliata. Molly sarà anche paziente, ma non puoi aspettarti che assorba ogni tuo malumore senza conseguenze!”
“Io... L'ho sempre fatto. E prima lei mi amava... Ora, invece... Ho rovinato tutto.” aveva ammesso abbassando lo sguardo con sconforto.
“Sherlock, non sono solo gli insulti, vero? Cos'altro le hai fatto?”
A quel punto aveva girato per la stanza sino ad arrivare alla finestra dando le spalle all'amico.
“Sono andato da lei una notte. E... Puoi immaginare.” aveva iniziato facendo dei profondi respiri per trovare il coraggio di ricordare quella notte.
“Oh, cielo... E dopo? Cosa hai fatto dopo?”
“Sono andato via. E nelle settimane seguenti ho cercato di dimostrarmi freddo nei suoi confronti. Non volevo che si illudesse... Non volevo ferirla.”
“E invece lo hai fatto, non è così?”
“Sembrerebbe. Inoltre, io... Ho dedotto male i sintomi della sua influenza.”
“La sua influenza? Cosa diavolo... Oh. È per questo che mi hai chiesto di visitarla? Credevi che lei fosse...”
“Sì, credevo fosse incinta. E, dal momento che tu non collaboravi, sono andato a parlare con lei.”
“E non è incinta.”
“No, infatti. Grazie per non avermelo detto, avrei evitato tutto quello che è successo dopo.” rimproverò l'amico con disappunto.
“Dovevi confidarti prima con me. È solo colpa tua.”
“Comunque, le ho parlato e... Lei ha creduto che io... Non ho affrontato la discussione con sufficiente tatto, a quanto pare. Lei ha creduto che fossi terrorizzato all'idea perché avrebbe significato legarmi a lei. O qualcosa del genere.”
“In effetti, non hai fatto una bella impressione, amico. Anzi, direi che hai fatto proprio un casino.” commentò John con tono rassegnato.
“Lo so. È per questo che ho bisogno del tuo aiuto.”
“Sherlock, tu cosa vuoi?”
A quel punto si era voltato a guardarlo. Il suo amico era in piedi alle sue spalle, in attesa di una risposta.
“Io voglio Molly.”
“E perché?”
“Perché... Non lo so. Non riesco a smettere di pensare a lei. La sua presenza mi tranquillizza. Mi sento a casa quando sono con lei. E mi manca quando non la vedo. Solo l'idea che lei possa stare con un altro uomo, come quel Kevin con cui lavora, mi fa stare male.”
John sorrise e gli mise una mano sulla spalla.
“Allora, amico mio, tu sei innamorato.”
“Io non... Ma cosa dici? Io non sono... innamorato! È una cosa completamente diversa!”
“D'accordo, esperto. Dimmi, in cosa è diverso?”
Avrebbe voluto rispondere a quella domanda, ma la verità era che proprio non sapeva la risposta.
“Io non posso... Non è possibile che io sia...”
“Prenditi pure qualche ora per accettare lo shock. Io me ne torno a casa.”
“Aspetta, John!” lo fermò prima che uscisse dall'appartamento. “Cosa devo fare?”
“Devi dirglielo. Dille quello che hai detto a me. Magari con l'aria un po' meno scioccata e disgustata.”
“E credi che funzionerà?”
“Comprale anche dei fiori. Scusati e sii sincero. Piangi, se necessario. Le donne adorano queste cose.”
“Io non so se...” obbiettò poco convinto.
“Sherlock, Molly ti ama da anni. Non posso credere che abbia smesso solo perché sei stato un po'... insensibile. Dopotutto, tu lo sei sempre. Sarà sicuramente ferita, ma se chiedi perdono e giochi bene le tue carte, ce la puoi fare.”
Avrebbe voluto crederci, davvero. L'ottimismo di John era musica per le sue orecchie, ma temeva che non sarebbe stato così facile.
“Ora vado. Prenditi qualche ora per prepararti un discorso di scuse e poi vai da lei. Poi fammi sapere come va, appena ti liberi.” aveva concluso facendo l'occhiolino prima di scendere per le scale.
Aveva passato ore a pensare a cosa dirle e come, ma più lo faceva, più si sentiva confuso. Alla fine, esausto e deciso a metter fine alla sua agonia in un modo o nell'altro, era uscito di casa dirigendosi al suo appartamento.
Camminava sentendosi a ogni passo più scoraggiato, ma ormai aveva preso una decisione. Doveva lanciarsi. A ogni costo.
Era quasi arrivato, quando si era ricordato del consiglio di John di comprare dei fiori. Fece mentalmente una lista dei fiorai più vicini, ma non sarebbe mai riuscito a raggiungerne uno prima dell'orario di chiusura. Ormai rassegnato a presentarsi a mani vuote, il suo sguardo fu attirato dalla vetrina di una libreria. Beh, non erano fiori, ma...
Dieci minuti dopo, ne uscì con in mano un libro incartato. Nonostante ciò, però, era quasi certo che non ce l'avrebbe mai fatta. Molto probabilmente, lei avrebbe usato il libro per colpirlo.
Pieno di ansie e timori, era comunque arrivato a destinazione. Mentre faceva le scale continuava a ripetersi che stava sprecando il suo tempo. Non avrebbe mai funzionato. Tuttavia, suonò il campanello.
Solo che ad aprire la porta non fu Molly.
La sensazione allo stomaco fu come una frustata. Acuta e dolorosa.
“Salve, Mr. Holmes.” lo salutò Kevin con un sorriso.
Lui deglutì, incapace di dire una parola e nascondendo il regalo dietro la schiena.
“Kevin, chi è?” aveva chiesto la voce di Molly alle sue spalle prima di comparire. “Oh, Sherlock...” aveva esclamato sorpresa. “Cosa fai qui?”
“Io… Ho bisogno di parlarti.”
“Sono occupata ora.”
“Mi basterebbero cinque minuti.”
Molly aveva sospirato e poi si era voltata verso Kevin con una muta richiesta. Lui aveva sorriso e si era ritirato all’interno dell’appartamento. Era uscita nel pianerottolo, chiudendo la porta alle sue spalle, e aveva guardato Sherlock, in attesa.
“Ecco, io… Vorrei scusarmi.”
“Hai molto di cui scusarti. Ti riferisci a qualcosa in particolare?”
“Nell’ultimo periodo sono stato insopportabile.” Aveva iniziato a spiegare lui. “Beh, più del solito.” Aveva aggiunto notando la sua espressione.
“Sherlock, vieni al punto.”
“Vorrei farmi perdonare. E darti questo.”
Le aveva teso il regalo che lei aveva guardato con sospetto per qualche secondo, prima di prenderlo in mano.
“Cos’è?”
“Aprilo.”
Lei aveva obbedito scoprendo il libro e aveva sussultato vedendo il titolo.
“Wild Flowers Guide?” aveva chiesto divertita.
“Il fioraio era già chiuso.” si era giustificato alzando le spalle.
“Grazie, sembra bello e utile.”
Lui era rimasto a guardarla alla faticosa ricerca delle parole giuste da dire. Improvvisamente non ricordava più il discorso che aveva preparato.
“Senti, Sherlock… Apprezzo il gesto e le scuse, ma ora dovrei andare.”
“Vorrei solo aggiungere una cosa.”
“Va bene, dimmi.” Aveva acconsentito lei con un sospiro mentre cercava un punto qualsiasi da guardare che non fosse lui.
“Quella notte…” aveva iniziato faticando per tirare fuori le parole. “Quella notte avevo bisogno di te. Solo che non avevo idea che…” si interrompeva ancora sentendosi mancare l’aria. “Non avevo idea che, in realtà, io ho sempre avuto bisogno di te. E sempre ne avrò.”
“Sherlock, quella notte… Cerco di dimenticarla in tutte le ore in cui sono sveglia perché mi tormenta sufficientemente la notte!”
“Tormenta anche me.”
Lei stringeva le mani attorno a libro nervosamente e fece uno scatto d'ira accompagnato da un verso di insofferenza.
“Smettila! Tu non puoi venire qui e dirmi queste cose, dopo più di un mese in cui mi hai trattato come… non lo so! Come qualcosa di inutile e disgustoso che cerchi di cancellare dalla tua vita!” aveva urlato mentre i suoi occhi diventavano lucidi. “Tu non hai idea di come mi sono sentita. Per settimane mi hai ignorato. Era evidente che ti vergognavi come un cane per quella notte… L’unica volta in cui ti sei preoccupato per me era quando credevi che fossi incinta, ma in realtà l’unica persona per cui eri preoccupato, come sempre, eri tu!”
“Molly, mi dispiace, davvero…”
“No, basta. Non mi interessa. Non pensavo che avresti mai potuto farmi soffrire più di quanto non avessi già fatto in passato. Mi sbagliavo. Mi hai spezzato il cuore e lo hai calpestato. E ora non c’è più nulla che tu possa dire o fare per tornare indietro.”
“Non mi perdonerai mai.”
“Accetto le tue scuse e sarò sempre disponibile ad aiutarti sul lavoro, ma non aspettarti nient’altro. Mai più.”
Aveva osservato i suoi occhi lucidi e aveva capito che ogni speranza era svanita.
“Va bene. Mi spiace di averti disturbato. Non succederà più. Addio, Molly Hooper.” Aveva salutato scendendo per le scale senza perdere tempo nel guardarla per un’ultima volta.
Camminava
lentamente. Una volta raggiunta la porta, aveva sfiorato
delicatamente la superficie di legno color pastello e aveva esitato
un momento. Non avrebbe voluto arrivare a quel punto, ma era l’unica
soluzione. Dalla sua tasca aveva estratto un grosso lucchetto e lo
aveva usato per chiudere per sempre quella stanza. La piccola chiave
era rimasta nella sua mano, bruciandogli la pelle. Doveva disfarsene.
Doveva gettarla in un abisso tanto profondo che nessuno, nemmeno lui,
avrebbe mai potuto recuperarla.
“Sherlock!”
La
voce di John lo aveva strappato dal suo Mind Palace. Il dottore era
in piedi di fronte a lui e lo osservava accigliato.
“Non
hai una bella cera.”
“Sto
benissimo.” Aveva replicato lui, più per abitudine a contraddire
che per altro.
“Senti,
lo so che con Molly non è andata bene, ma non puoi passare tutto il
giorno raggomitolato su questo divano. Devi reagire.”
“Sono
occupato.”
“A far cosa?”
“Pensare.”
“Spero
che tu stia almeno mangiando.”
“Mrs.
Hudson mi ha fatto i biscotti.”
“E
stai mangiando solo quelli?”
“Non mi va altro.”
John
aveva sospirato e aveva fatto un giro in cucina alla ricerca di
qualcosa di commestibile ma poco dopo aveva urlato disgustato,
imprecando pesantemente.
“Sherlock,
se l’ufficio di igiene facesse un ispezione in questa casa, ti
arresterebbe!”
“Perché?”
“Ci sono delle parti umane in
decomposizione nel tuo frigorifero!
“Erano
di un esperimento… Ho dimenticato di disfarmene.”
“Lo
sospettavo… E ora c’è… Santo cielo, è indescrivibile. Ti
prego, disfatene.” lo aveva implorato con una smorfia.
“Lo
farò.”
“Non
in un futuro remoto. Ora!”
“Sono
rimasti lì per giorni, qualche ora in più non cambierà nulla.”
“Voglio
assicurarmi che tu lo faccia. E che disinfetti tutto dopo.”
“E
va bene…” aveva acconsentito infastidito alzandosi dal divano.
A
quanto pare non c’era altro modo di disfarsi della premurosa
presenza di John.
La
chiave nella mano continuava a fargli male. Era come se lo
ustionasse, pur non essendo calda. Doveva liberarsene, il prima
possibile. Immaginò una profonda cascata e salì in cima. L’avrebbe
lanciata, lasciandola scorrere per chilometri e sarebbe svanita per
sempre. E, con essa, anche la stanza nel suo Mind Palace sarebbe
presto scomparsa.
Aprì
la mano, pronto a lasciarla andare, ma esitò.
“Non
farlo.” Lo fermò una voce familiare alle sue spalle. “Non
lasciarmi andare.”
Si
voltò trovandosi di fronte un’immagine di Molly.
“Non
dovresti essere qui. Ho chiuso la tua stanza con un lucchetto.
Dovresti essere lì dentro.”
“Puoi
rinchiudere delle informazioni, ma i sentimenti non sono altrettanto
facili da circoscrivere. Quello che provi resterà, anche se
cancellerai quella stanza.”
“E allora che ti importa se lo
faccio o no?”
“E'
a te che importa. Io sono solo un riflesso dei sentimenti che provi.”
Strinse
gli occhi, cercando di non lasciarsi sopraffare.
“Devo
distaccarmi. Non riesco a lavorare, a pensare, a dormire. Devo
cancellarti.”
“Tutto
questo non finirà.”
“Lo
so, ma non ho altra scelta.” Concluse ruotando la mano e lasciando
che la chiave cadesse nell’acqua e si perdesse nell’oblio.
Quando
ripassò di fronte a quella porta chiusa con il lucchetto, immaginò
di vederla scomparire e, al suo posto, comparve un muro.
Lo
aveva fatto.
Aveva
cancellato Molly Hooper dalla sua mente.
Cercava
di aprire gli occhi ma le sue palpebre erano pesanti. Cercava di
ricordare cosa stesse facendo ma non riusciva a focalizzare nessun
pensiero preciso. Tutto nella sua testa era sfocato.
Ricordava
quella sensazione, l’aveva provata in passato, e sapeva che non era
una cosa buona. Perdere il controllo della propria mente non andava
bene. Certo, aveva un po’ di sollievo da quell’insieme
martellante di pensieri che non si fermavano mai, ma il suo cervello
era tutto quello che aveva, doveva preservarlo.
Si
sforzò ancora di aprire le palpebre, sentiva di doverci riuscire.
Forse erano quei suoni. Li sentiva in lontananza e doveva capire cosa
fossero. Con estrema fatica, schiuse leggermente gli occhi e si
trovò di fronte alla faccia di John.
“Sherlock,
grazie a Dio!” esclamò l’amico con un tono di sollievo.
“Ascoltami. Hai la febbre altissima. Devi cercare di ingoiare la
medicina.” Aggiunse portandogli un bicchiere alla bocca.
Lui
si scansò, non voleva prendere nulla. Voleva solo tornare a dormire.
“Non
essere sciocco. Bevilo e poi ti lascerò in pace.”
Rassegnato
al fatto che fosse l’unica soluzione mandarlo via, alla fine
bevette quello schifoso intruglio.
“Ora
andrà meglio, amico. Te lo prometto.”
Richiuse
gli occhi e sprofondò nuovamente nell’oblio. Pochi istanti dopo, o
almeno così sembrava a lui, John lo svegliò di nuovo.
“Stavolta
mangia anche qualcosa. Mrs. Hudson ti ha preparato del brodo. Solo
qualche cucchiaio.”
Non
voleva mangiare. Voleva solo essere lasciato in pace.
“Andiamo,
non fare il bambino.”
Alla
fine aveva acconsentito ancora, aveva mangiato un po’ di brodo e
ripreso la sua medicina, solo per fare in modo che lo lasciassero
solo. E poi si era rituffato nella pace del sonno senza sogni.
Era
stato male per due settimane. Aveva avuto la febbre alta per giorni
interi. John era stato talmente preoccupato da aver chiamato Mycroft.
Il
maggiore degli Holmes era venuto scortato da un’equipe medica super
equipaggiata. Era stato curato con le medicine più avanzate, alcune
delle quali ancora fuori mercato.
“Solo
la famiglia reale può vantare di meglio.” Aveva comunicato l’uomo
che nelle sue mani aveva l’intero Governo Britannico.
Pian
piano, la febbre aveva iniziato a scendere e Sherlock riusciva a
essere lucido alcune ore al giorno, ma una parte di lui non ne era
felice.
Voleva
stare male. Voleva essere incosciente. Non voleva sentire più nulla.
Non
appena fu in grado di alzarsi dal letto, John lo aiutò a sistemarsi
e lo portò in sala per prendere il tea insieme.
“Mi
hai fatto prendere un bello spavento, idiota che non sei altro.”
Aveva detto quando si erano seduti uno di fronte all’altro.
“Ti
spaventi per poco.”
“Non
farlo.” Lo aveva sgridato l’amico poggiando la tazza. “Non
sminuire quello che è successo. Avresti potuto morire. E perché?
Perché hai passato le notti a camminare sotto la pioggia per ore!”
Il
silenzio calò nella stanza, diventando un muro opprimente che si
chiudeva su di loro.
“Senti,
lo so che stai male.” Aveva aggiunto poco dopo il dottore con tono
comprensivo. “Lo so che la storia con Molly ti ha fatto soffrire,
ma non puoi autodistruggerti così.”
“Io
sto bene. Febbre a parte.” Aveva negato non sopportando di parlare
di quell’argomento.
“Oh,
certo. Perché quando tu stai bene piangi nel sonno. E chiami il nome
di Molly.”
“Io
non…”
“Non negare. Ero lì.”
“Solo
tu o anche qualcun altro?” aveva chiesto preoccupato all’idea.
“Solo
io, per tua fortuna.”
Aveva
voltato il viso dall’altro lato e chiuso gli occhi. Non riusciva a
sostenere lo sguardo di John.
“Senti,
è passato un po’ di tempo, magari potresti provare a parlarle di
nuovo.”
“No.
La sua risposta era definitiva.”
“Se
vuoi, posso provare a parlarle io.” Aveva proposto l’amico
sorseggiando il suo tea.
“Perché
mai lo faresti?”
“Perché
non posso restare a guardare mentre ti fai questo!”
Erano
rimasti di nuovo in silenzio. Sherlock stava valutando se l’aiuto
di John potesse davvero essere utile.
“John,
fai quello che vuoi. Non cambierà nulla comunque.”
“Allora ho
il tuo permesso di parlare con Molly?”
“Sì, certo.”
“Bene,
perché l’ho già fatto.”
“Tu…
Cosa?”
aveva esclamato sorpreso raddrizzandosi sulla poltrona. “Quando?”
“Ieri.”
“E
cosa… Come ha reagito?”
“Non
ho voluto strafare, le ho solo chiesto di venire a trovarti.”
“E
verrà?”
“Sì. Una volta finito il turno al Bart’s. Cioè
tra poco.”
“John
Hamish Watson, questa me la pagherai.”
“Con
tutto quello che mi hai combinato tu, siamo pari.”
“Ma
cosa le hai detto? E lei come ti è sembrata? Insomma, si sentiva
obbligata a passare a trovarmi perché sono stato male o…”
“Calma,
Sherlock. Le ho solo detto che eri molto dispiaciuto di quello che
era successo e che lei ti mancava. E, naturalmente, che stavi molto
male, tanto che avevi rischiato la morte.”
“Hai
cercato di scatenare la sua pietà nei miei confronti?”
“Le
donne hanno l’istinto da crocerossina. Fidati di me, lo so. E Molly
è premurosa di carattere. E ti
ama. Ne sono sicuro. Gliel’ho
letto negli occhi mentre le parlavo. E, comunque, non ho mentito.”
“Sei
l’unico a credere che ancora mi ami. E, comunque, non voglio la
compassione di nessuno, tanto meno la sua.”
“Lascia
perdere il tuo orgoglio per stavolta e fidati di me.”
John
aveva guardato l’ora e si era alzato per mettere la giacca.
“Dove
vai?”
“Molly sarà qui a momenti.”
“E
vuoi lasciarmi solo?”
“Sherlock,
credo che sarei davvero di troppo…”
“Ma… Io non sono pronto.”
“Sei
lavato e vestito. Mi spiace non essere riuscito a farti la barba, ma
dovrai accontentarti.”
“Non
intendevo fisicamente.”
John
aveva sospirato e poi si era avvicinato posandogli una mano sulla
spalla.
“Andrà
tutto bene. Ho fiducia in te.”
“John,
tu mi hai sempre idealizzato.”
Il
dottore era scoppiato a ridere e poi era andato via con un gesto di
saluto.
Sherlock
aveva finito il suo tea ma continuava a tenere in mano la sua tazza,
aggrappandosi ad essa come a un'ancora di salvezza. Non sapeva come
si sarebbe sentito rivedendola, né cosa avrebbe detto.
Era
ancora in preda alla confusione quando c’era stato un lieve
bussare. Aveva poggiato la tazza e si era schiarito la voce prima di
dire “Avanti.”
La
porta si era aperta lentamente e la minuta figura di Molly aveva
fatto un passo all’interno della stanza.
La
fitta allo stomaco si fece risentire. Le mani gli prudevano per il
desiderio di toccarla, ma allo stesso tempo desiderava scappare per
non affrontare il dolore che provava nel guardarla negli occhi.
“Ciao
Sherlock.”
“Ciao
Molly.” Aveva replicato cercando di controllare il tremore nella
voce. “Accomodati.”
Lei
si era tolta i guanti e la sciarpa e si era seduta nella poltrona di
fronte alla sua.
“Sei
dimagrito.”
“E
tu sei pallida.”
“Hai
la barba lunga.”
“E
tu le occhiaie.”
“Dobbiamo
smetterla di farci tutti questi complimenti…” aveva commentato
lei con ironia ed entrambi avevano riso.
“Sono
contento di vederti, ma spero che tu non ti sia sentita costretta a
venire.” spiegò lui cercando di darsi un contegno dignitoso anche
se non era certo di riuscirci.
“John
ha detto che sei stato molto male. Volevo assicurarmi con i miei
occhi che stessi meglio.”
“Eri
preoccupata per me?”
“Io mi sono sempre preoccupata per te,
Sherlock.”
Lui
si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle gambe. Una piccola
flebile speranza si stava facendo strada nel suo cuore.
“Pensavo
che mi avessi cancellato dalla tua vita.”
Lei
lo imitò, avvicinando così il viso al suo.
“E
io pensavo che tu volessi cancellarmi dalla tua.”
“Ci ho
provato, con tutte le mie forze, ma tu continuavi a tornare nel mio
Mind Palace.”
“E
cosa facevo?”
“Commentavi
ogni mio pensiero. Era piuttosto irritante.”
Molly scoppiò a
ridere.
“Quello
sei tu, non io.”
“Era una tua versione creata dal mio
subconscio, dopotutto.” Aveva spiegato trattenendo un sorriso. “Mi
manchi.” aveva ammesso infine, non riuscendo a controllarsi.
“Anche
tu.” aveva replicato lei arrossendo.
“E
Kevin?”
“È
solo un amico.”
“Hai
detto che non ti importava più nulla di me. Che avremmo avuto solo
un rapporto lavorativo.”
“Ho mentito. Ero arrabbiata.”
Spiegò lei alzando le spalle. “Dimmi solo una cosa. Perché quella
mattina sei fuggito?”
“Perché
non potevo accettare di avere così bisogno di un altro essere
umano.”
“Oh,
Sherlock...”
“Lo so, lo so. Sono un idiota.” aveva ammesso
prendendo le mani di lei fra le sue. “Ora, però, ne sono
consapevole. Ora so che ho bisogno di te come dell'ossigeno nel
sangue.”
“E
che mi dici di quando credevi che fossi incinta?”
“Non
ho gestito bene la faccenda, me ne rendo conto...” aveva detto lui
con una smorfia. “Ma avevo iniziato a credere che fosse vero e...
non mi dispiaceva.”
“Eri
terrorizzato!” obbiettò lei ridendo.
“Solo
all'idea che tu avresti potuto non accettarmi, escludendomi dalla
vostra vita...”
“Dici
sul serio?”
“Avevo
pensato anche a dei nomi, se mai avessi voluto concedermi l'onore di
sceglierli.”
“E
sarebbero?”
“Viola
e Joseph.”
“Mi
sarebbero piaciuti.” aveva commentato lei con un sorriso timido.
Sherlock
aveva avvicinato le sue mani a sè e le aveva baciato i palmi
delicatamente.
“Sono
il peggior idiota di questo mondo, ma non posso fare a meno di te.”
aveva confessato sussurrandole le parola a pochi millimetri dalla sua
pelle. “Ti prego.”
“E
io sono la più grande sciocca mai esistita, perché nemmeno io posso
fare a meno di te. E, se me lo permetterai, vorrei prendermi cura di
te.”
Sherlock
l'aveva attirata dolcemente a sé, costringendola a finire nella sua
poltrona, tra le sue braccia. Lei si era seduta di traverso e aveva
poggiato la testa sulla sua spalla mentre con una mano gli
accarezzava il viso.
“Posso
dormire qui, stanotte?”
“Molly
Hooper, io ti adoro.” aveva dichiarato con tono meravigliato prima
di baciarla.
Camminava
lungo un ruscello. La luce del sole filtrava nell'acqua trasparente
creando dei riflessi colorati. E poi l'aveva vista. Luccicava come
l'argento. L'aveva raggiunta e raccolta. Tenerla in mano non era più
doloroso. Era fresca e piacevole al tatto.
Ripercorrendo
i corridoi era tornato lì. Quel punto che aveva cercato di evitare
per tutto quel tempo, ma invano. Quel punto in cui una volta c'era
una porta.
Concentrandosi,
la fece riapparire. Era uguale a come l'aveva lasciata. Liscia,
perfetta, profumata e color pastello. Aprì il lucchetto con un
sorriso. Ormai non serviva più. Spalancò la porta e una marea di
ricordi e sensazioni lo travolsero come un'onda, facendolo sentire
appagato. Non avrebbe mai più richiuso quella porta. La stanza Molly
Hooper era destinata a restare aperta.
Fine