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Autore: Pachiderma Anarchico    22/04/2014    1 recensioni
"Le persone che hanno sofferto sono le più pericolose, perché pur temendo il dolore conoscono la loro forza e sanno come sconfiggerlo. La loro paura è pari al loro coraggio. Non si fermeranno di fronte a niente e nessuno e sapranno ingoiare tutte le lacrime, sapranno alzarsi dopo aver toccato il fondo. Chi ha sofferto ha un cuore grande perché conosce il bene e conosce il male e ha rinchiuso in se tutto l'amore e il dolore. Sapranno sempre allungare una mano per fare una carezza e trovare una parola per confortarti, ma non sottovalutarle mai, perché sapranno ucciderti nel momento in cui tu cercherai di farlo con loro."
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Too frail to live, too alive to die.'
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Su consiglio della mia cara rompina Megara X ho ridotto notevolmente la lunghezza delle frasi dal capitolo in cui mi ha fatto notare che nei miei labirinti mi ci perdo anche io. Però qualche frasetta chilometrica me la dovete concedere in questo capitolo.
Come sempre ci saranno una miriade di errori ma rammentate che ho sempre quella benedetta licenza poetica xD e grazie come sempre a tutti coloro si prenderanno la briga di leggere. Grazie davvero.
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"Nessuno si avvicinerebbe tanto al fuoco.
Nessuno 
tranne chi ha un motivo valido per scottarsi."
Albert Einstein

 



CAP. 6 




I passi simili a una marcia militare riecheggiano nel silenzio della palestra quando la attraverso spedito, occhi puntati sull'unico essere vivente presente li a ridosso dell'ora di pranzo. Sta armeggiando con un cellulare in mano.
Il motivo che mi spinge a fare ció non lo inquadro, la ragione che mi trascina così urgentemente verso il perché Dominik è corso in mezzo secondo fuori dalla mensa. Forse non ci mi concentro abbastanza attentamente, forse, se mi fermassi un momento, potrei capire che cosa mi provoca questa lieve, persistente insofferenza da quando ho visto la sua testa nera schizzare fuori dalla porta, se solo mi concedessi il lusso di ascoltarmi per un secondo, probabilmente saprei perchè ciò che è accaduto non mi garba per niente.
-Asher che succede.-
La mia non é una domanda, è un'affermazione perché so esattamente cosa succede, e non mi sta bene. E il non starmi  bene qualcosa mi porta ad assumere un tono di voce autoritariamente aggressivo e dei modi per niente delicati. Asher ha alzato lo sguardo dorato su di me, e sorride.
-Aleks, che succede?-
-Dimmelo tu.- rispondo immediatamente, e la mia immediatezza é il risultato di tutti gli anni in cui ho imparato a conoscere e a combattere il fare millantatore di Asher.
-Non credo di sapere cosa..-
-Io credo che tu lo sappia benissimo.- i miei occhi cercano nei suoi la risposta che so non tarderá ad arrivare. -Perchè Dominik Santorski è corso via dalla mensa con una mano schiaffata sulla bocca?- 
Asher sorride, il miele delle sue iridi sorride, brilla a quella domanda che sa tanto di successo.
-Tranquillo- risponde con un certo tono soddisfatto -È sicuramente vivo.- 
-E perchè io non ne ero al corrente?-
-Mi divertivo.- fa lui in tutta risposta, depone il cellulare in tasca e si sfila il cappello da baseball nero e rosso dalla testa. -Ci divertivamo.- e sorride. Sorride ancora e io ho tanto la strana, inebriante voglia di mollargli un calcio negli stinchi. Mentre la sua mano destra si preoccupa di passare tra i fili senape che sono i suoi capelli, i suoi occhi non mi perdono di vista neanche per un secondo, né quando incrocio le braccia, né quando alzo il mento. Si, ho il classico comportamento dei gatti quando devono sembrare minacciosi sentendosi a loro volta minacciati, e come loro rizzano il pelo e gonfiano la coda, anche io gonfio il petto e mi piazzo davanti al mio interlocutore, immobile, in smaniosa attesa di sentire le motivazioni che ha da darmi.
-Ci divertivamo?- ripeto, -Non ti ho detto io di farlo.-
-Ma sapevo che avresti voluto farlo.-
Non sopporto quel suo accento perfetto, quel sibillino doppio gioco delle sue parole, l'incarto in cui sono caduto. Lui è davanti a me, aspetta che faccia un passo falso? Aspetta che dica qualcosa di inaspettato? 
-Non è così?-
L'altra faccia delle sue parole la sento troppo bene.
Potrei davvero dire qualcosa di inaspettato? Potrei difendere Dominik Santorski? Quasi certamente no. E allora perché, improvvisamente, l'accento di Asher, quel suo modo di trascinare armoniosamente le parole, mi suona particolarmente amaro? Perché, dopo quattro anni che me la sbatto davanti ogni mattina, la ghignante luce nell''oro dei suoi occhi non mi scende più giù? Asher è furbo, astuto e non pensa alle conseguenze. Un po' come me, ma in modo diverso. Lui è una faina, non una volpe. Le volpi passano la maggior parte della loro vita in fuga, abbastanza scaltre da sapere come nascondersi, abbastanza furbe da sapere come sopravvivere, ma non abbastanza audaci da provare a rallentare. Le faine, invece, hanno un modo tutto loro di gestire questa scaltrezza. Fanno sempre un passo avanti, sempre, più del dovuto, più del necessario, oltre quella linea sottilissima che separa la calma dal rischio, la pace dal tumulto. E la faina che ho davanti mi guarda con due occhi che aspettano solo di sentire ciò che uscirà dalla mia bocca, il verdetto di un leader, l'opinione di uno che conta. Qualcuno che non dovrebbe avere tanta esitazione in corpo per qualcosa che, stando al copione, avrebbe dovuto solo fargli accendere il viso di un'espressione beffardamente compiaciuta.
-Avresti fatto meglio ad avvisarmi.- 
La butto sul "Non si deve muovere una foglia se non lo so io", devio il discorso sulla consapevolezza che tutti, in questo liceo, devono possedere, ovvero il lampante dovere che di ciò che accade io devo essere il primo a saperne. E mentre le mie battute sgusciano rapide e indolori tra le mie labbra verso l'esterno, ho la sgradevole sensazione di stare davvero leggendo qualcosa di già scritto, di aver preferito tramutare il messaggio nell'opposto di ciò che era realmente. E' di me che stiamo parlando, non di lui. E' stato l'averlo deciso e messo in atto senza che io ne sapessi alcunché ad avermi urtato, non il cosa è stato fatto e a chi. Il messaggio che voglio si legga chiaro e luminoso come un'insegna al neon in un vicolo buio è che, se mi avessero messo al corrente, avrei anche partecipato, qualunque cosa sia stata architettata.
-Certo, hai ragione, la prossima volta sarai il primo a saperlo.- Asher mi poggia un braccio sulle spalle. Sembriamo due complici, mi ha automaticamente coinvolto nel suo gioco. -In ogni caso sarai lieto di sapere che probabilmente ora il frocetto-dark-emo avrà lo stomaco accartocciato e l'acido in gola- ridacchia, e quel suono rimbomba fastidiosamente nella palestra, -per non parlare della nausea che si ritroverà..alle stelle.-
Ho ricevuto tanti colpi in vita mia, e brillantemente li ho incassati tutti. Sono un campione di Judo e, dopo tutti gli anni che mi dedico a questo sport, dopo tutti i combattimenti, posso dire, non senza un certo vanto, di essere stato colpito moltissime volte; sono un incendiario, un amante dello spingere i limiti oltre, la benzina che indurrà la fiamma, il creatore per eccellenza di risse e scontri e so prevedere alla perfezione un pugno, un calcio, qualunque cosa si protenda a minacciosa velocità verso lo spazio d'aria del sottoscritto, che siano regolati da rigide tecniche e subordinati a regole, come nel Judo, sia che si tratti di colpi resi pericolosi dall'imprevedibilità del caotico, durante una sera in cui, magari, eravamo ubriachi più del solito. E alcuni colpi ormai non fanno più male, semplicemente ti sfiorano il lembo di pelle che vanno a marcare, ma non mi piegano più in due e non mi mozzano più il respiro in gola, semplicemente non li sento. E poi c'è ne sono altri. Altri che contro ogni previsione, anche quelle di Nostradamus, ti si piantano nel corpo con una violenza d'impatto tale che non te lo ricordi più come si respiri. Le ultime parole di Asher, infatti, mi centrano in pieno nel petto, nel ventre, vibrano persistentemente di un'insopportabile forza, come un pugno assestato così bene da non permetterti nemmeno di piegartici in due, prima che tu te ne accorga sei già a terra. Detesto la coltellata che le sue parole mi hanno scagliato e detesto i pensieri che scaturiscono dallo squarcio aperto dalla lama, e mi rendo conto di non voler neanche immaginarmelo lui, a terra, piegato su un gabinetto, stremato dall'aver caracollato fuori dal corpo le forze rimaste, le mani strette su qualunque cosa possa sorreggerlo, e il braccio di Asher sulle spalle diventa più pesante mentre la mia mente vagheggia su quegli occhi che non dovrebbero guardare il fondo di un cesso, e si sposta lentamente su quelle labbra, troppo attraenti per meritare una cosa del genere.
Mi rendo conto di avere la bocca serrata in una linea dura, il mio corpo ha i nervi a fior di pelle e le mie spalle scostano bruscamente il braccio di Asher fuori dal mio raggio d'azione. Mi volto verso di lui con una foga che ha rimontato il suo disappunto dentro me, la sento persino nelle viscere e so perfettamente che i miei occhi non irradiano di pacifiche saette. Apro la bocca e non so cosa ne uscirà, quali parole rotoleranno fuori, se saranno piume o pugnali, di acqua gelida o cera bollente, impreviste o accidentali, ma so per certo che non ci aspetterebbe questo da.. 
-Siamo una squadra, vero?-
Ho richiuso la bocca. Il copione non dice di prendersela tanto per una cosa così stupida, per una cazzata fatta a qualcuno di cui non me ne importa niente. Anzi, come ho già fatto limpidamente intendere, gli avrei fatto di peggio che causargli una banale nausea. E' questo che ci aspetta da me, no? E io sono pronto a dare al mondo lo spettacolo che vuole. Lo spettacolo che pretende. Sono una volpe, sopravvivo, e per sopravvivere devo fare tutto ciò che è in mio potere per stare sempre dal lato che vince. Dal lato più forte. 
-Sabato voglio una sbronza epica- lo spingo sorridendo. -Andiamo a comunicarlo agli altri idioti.-

 

***

 

Il cellulare si è messo a vibrare nel mentre di un' interessantissima conversazione con il mio psichiatra preferito. E non sono ironico, il suo modo di farmi il terzo grado assomiglia molto a quello delle interviste doppie in TV, cosa anche alquanto irritante dal momento che ti da si e no cinque secondi per formulare una frase di senso compiuto e sputarla fuori. E cinque secondi non mi bastano per dire tutto ciò che lui vorrebbe sentirmi dire.
-Stai prendendo le medicine?-
-Si.-
-Stai avendo allucinazioni?
-No.-
-Stai facendo come ti ho detto? Niente ansia, stress, emozioni destabilizzanti?-
Lo guardo. E' una mezza verità quella che esce dalla mia bocca.
-Si.-
Ho ancora le budella sottosopra e il sapore del sangue tra i denti, ma perlomeno l'emicrania mi ha abbandonato un'ora fa. Non so cosa è peggio: convincermi di aver dissotterrato l'ascia di guerra solo adesso o accettare la certezza che è sempre stata nelle mie mani, solo che è stata nascosta dietro le spalle. Rubinowich mi scruta attraverso gli occhiali, non la finisce di fissarmi.
-La scuola ha comunicato ai tuoi che oggi, all'ora di pranzo, hai avuto un attacco di tosse violento e sei corso fuori dalla mensa. Era nausea?-
Meraviglioso, qualcun altro che non ne è al corrente così posso dirglielo personalmente? Si fa prima. Tanto vale dire la verità, ovvero che mi sono buttato sopra un WC, se è un medico lo capirà da se.
-Si.-
-Hai rimesso?-
-S..- 
-Cos'hai mangiato stamattina, prima che ti venisse l'attacco di nausea?-
-Un tè.-
-Quindi vale anche per il "cosa hai bevuto"? Dominik devi mangiare lo sai.-
Lo so, ma non per questo mi viene l'appetito e si, riconosco anch'io che è una fregatura, perché se dovevo rimettere almeno avrei rimesso qualcosa di più consistente che liquidi gastrici e globuli rossi.
-Non costringermi a darti anche gli integratori alimentari.- il suo dito fa su e giù su un foglio che tiene davanti al naso, prima di posarlo con un colpo secco e incrociare le mani davanti al viso. 
-Come ti senti?-
Aggiornamento di stato: se mi affibbia anche gli integratori alimentari sarà la seconda volta che scaricherò pillole nello scarico di un gabinetto, potete starne certi.

Il cellulare aveva vibrato perché era stato svegliato da un messaggio ben preciso, spuntato dal nulla come un fiore nelle coltri innevate dell'Alaska. Inaspettato, sorprendente, totalmente fuori luogo. E totalmente fuori luogo fu la mia risposta la quale è la causa per cui, uscito dalla seduta di psicanalisi, sono in macchina, stravaccato sui sedili posteriori, in viaggio verso una meta del tutto priva di senso logico. I lampioni scorrono veloci oltre il vetro del finestrino e il clangore del traffico e della vita del centro si dirama man mano che ci inoltriamo in una residenza privata alla periferia della città. La schiera di graziosi villini che mi si presenta davanti è una successione degli stessi mattoni color salmone sparsi qua e la ad arte su un intonaco panna, degli stessi giardini verdi perfettamente curati, degli stessi cancelli bianchi dai motivi intricati. Persino i fili d'erba sono della stessa lunghezza. L'unica dettaglio che differenzia una casa da tutte le altre è la ragazza appena apparsa sulla sua soglia. La porta si richiude alle sue spalle e lei scende aggraziatamente i gradini, oltrepassa il candido cancello aperto e si avvicina alla macchina. Posso sentire il suo profumo prima che spalanchi la portiera e si sieda sul sedile accanto a me. Le gambe eleganti fasciate da sottili calze bianche, il cappotto blu notte che lascia intravedere una delicata camicetta rosata, i boccoli perfetti che le ricadono ad arte sulle spalle. E' esattamente come l'ultima volta che l'ho vista, impeccabile e surreale. Mi sorride appena. E' discreta, riguardosa e signorile, e non ci penserebbe neanche una volta a fare la prima mossa. Troppo audace. E Dio se ha ragione. Do l'indirizzo del locale all'autista e mi immergo nel delicato aroma di rosa che la ballerina si è portato dietro. Mi sfilo le cuffiette dalle orecchie.
-Ciao Weronika.-
-Buonasera Dominik.-
E io, dal picco della mia coerenza, mi ritrovo di nuovo sprofondato nel mondo delle gambe perennemente accavallate perché non sia mai si veda un millimetro di pelle dal ginocchio in su e nella dimensione della finzione, dove ogni essere vivente finge di avere l'oro tra le mani, perennemente legate dal platino del portafoglio e della terra che si sgretola sotto i loro piedi mentre loro credono davvero di poter comprare qualsiasi cosa: le case grandi, i vestiti firmati, lo champagne di qualità, le macchine costose, l'amore, la lealtà, l'amicizia. Questa volta però, ci sono sprofondato per mia scelta. Ho accettato l'invito di Weronika, sono passato a prenderla con l'ausilio dell'autista perché si, non ho la patente ma avere i genitori con un conto in banca merlettato di zero servirà pure a qualcosa, e ritrovarmela accanto dopo l'aver declinato la sua presenza nella mia vita confessando a entrambe le nostre famiglie in una strana combo della mia omosessualità latente e averne dato la dimostrazione slinguazzandomi un'innocua statua mi fa un certo effetto. Ah, e avevo anche l'eye-liner quella sera, quindi il perché lei, non solo sia uscita con me ma me lo abbia anche proposto, rimane un mistero. Forse non è così superficiale come il suo ceto sociale vuol far credere.
-..si sto danzando, a breve verrò convocata per un'audizione per la Danzica Accademy..- 
Sono attratto dagli uomini? Sono attratto dagli uomini come ho negato, ostentato, ritrattato? 
Il centro riprende vita mentre la macchina sfreccia sulla strada principale. Ristoranti e pub scintillano di insegne brillanti e risuonano di tacchi alti,
ticchettanti sui marciapiedi. Weronika sta dicendo qualcosa circa una borsa di studio e io non posso fare a meno di chiedermi se sono gay. Okay, certamente sono accaduti fatti discutibili, sicuramente equivoci sull'orientamento della mia sessualità, fatti che non hanno mancato di farmi clamorosamente notare, ma allora come si spiegherebbe lei ? Ero nel mio periodo peggiore, stanco, solo, e lei era stata la mia luce in fondo al tunnel, nonostante fosse una luce malata, è stata l'unica che abbia mai davvero cercato di capirmi, di ascoltarmi, almeno. Forse volevo solo qualcuno che tenesse a me, forse non mi piacciono le donne, forse non mi piacciono neanche gli uomini, forse mi sentivo incredibilmente distante prima che me ne rendessi davvero conto, prima che, accorgendomene, il mondo che conoscevo si rompesse. In ogni caso, mentre i miei occhi osservano la figura snella di Weronika,  qualcosa mi dice, contro ogni mio forzo di negarlo, che io non sono attratto nè dagli uomini nè dalle donne, io sono attratto da un uomo e da una donna. O almeno lo ero.
-Andrò a Washington a giugno, appena gli esami saranno terminati.- 
Annuisco sedendomi sul divanetto in pelle rossa. Ah non ve l'ho detto? Siamo arrivati, siamo scesi dall'auto, siamo entrati, abbiamo sorpassato l'affilamento di persone intorno al bar e lei ha continuato tranquillamente a parlare, senza pormi domande, senza aspettarsi interruzioni o eclatanti cenni di assenso. E questo è un punto a suo favore, in quanto Weronika non si aspetta che tu ti beva ogni parola che esce dalla sua bocca, non ti chiede conferme e non pretende pareri sull'argomento, semplicemente ti culla con il cristallino della sua voce e lascia che la tua mente fluttui tra i pensieri senza fermarsi a controllare che tu stia seguendo il suo discorso ne toccandoti per richiamarti all'ordine. Altra cosa decisamente a suo favore. Detesto essere toccato. Lo detesto da quando sono uscito dall'ospedale, detesto che qualcuno possa anche solo sfiorarmi senza il mio permesso e Weronika neanche ti guarda per più di cinque secondi senza il tuo permesso, e mi ritrovo ad ascoltare davvero ciò che sta dicendo perché non è così noiosa e fastidiosamente altolocata come pensavo e perché parla di Washington come un innamorato parlerebbe del suo amante.
-C'è un'università niente male lì.-
-E' una delle migliori- i suoi occhi brillano di desiderio. -Sarebbe un sogno riuscire ad entrarci.-
-Avresti la mente adatta.-
-Anche tu- le sue labbra si illuminano di un incantevole sorriso, 
-Solo non ambiamo alle stesse cose.-
La guardo con un cipiglio abbastanza perplesso. -In che senso?-
-Nel senso..- la sua voce ricorda il succo dolciastro delle fragole 
-Che non credo tu sogni con tutte le tue forze di essere ammesso ad un'università importante.- vedo la sua attenzione scivolarmi addosso. Ha una luce curiosa negli occhi. -Credo che le tue priorità siano altre..- Già, cercare di non uccidermi. 
-Non ho tutte queste priorità.-
-..Solo che ovviamente è quasi impossibile sapere quali. Sembri un prolungamento della notte, e un filosofo una volta disse che è nella notte che si nascondono le cose più interessanti. 
Alzo le sopracciglia.
-Voglio dire che..cioè non volevo dire..beh si volevo ma intendevo..
Sorrido. -E la danza?- 
La mia domanda non le fa piacere, è palese la repentinità con cui ha abbassato lo sguardo, il modo in cui si sfiora le mani o come improvvisamente sembra che non trovi la pelle di questo divano più tanto comoda. Oh mio Dio, guai in Paradiso?
-La danza non è più una mia priorità.- è un filo di voce la sua. 
-No?- potrei lasciare stare, potrei semplicemente lasciar cadere il discorso o deviarlo su strade più bianche, su strade meno sofferenti, ma non mi sento in vena di fare sconti, e se anche la vita più aurea protetta dalla più spessa campana di vetro ha subito dei colpi, beh, anche malignamente ma voglio sapere cosa è successo.
-No, io..E' al mio futuro che devo pensare.-
-La danza non fa parte del tuo futuro?-
-La danza non può far parte del mio futuro.-
E' tutto chiaro, ti sei dovuta scontrare con la realtà ballerina. Leggo nei suoi occhi la stessa oppressione che giurerei si potesse leggere nei miei, la stessa, devastante sensazione che non conta chi sei, conta cosa puoi diventare e quanto in alto devi puntare per soddisfare le aspettative di qualcuno mentre deludi le tue. 
-Ti piace Washington Weronika?- la sto scrutando, nel vero senso della parola, sto studiando ogni imperfezione che, senza alcun preavviso, si è mostrata su un quadro che io ricordavo perfetto. Troppo per essere anche solo lontanamente vero.
-Adoro Washington e quell'università è meravigliosa ma..- Ma non è la danza. 
E sono passato per eccentrico, sono passato per folle, sono passato per problematico, sono passato per complessato e adesso scopro che l'erba del vicino non è poi così verde. Mi verrebbe voglia di spararmi un colpo in bocca, siamo senza speranza. 
-I tuoi non vogliono.- affermo con convinzione saccente spostando i miei occhi su un bicchiere dal contenuto rosato non ben identificato. Il tuo mondo non vuole, esattamente come non voleva il mio.
-Se non supereró l'audizione alla Danzica è finita. Ho provato a spiegare loro che riusciró a far tutto, a ballare e a studiare, ma non..-
-Ascoltano.- 
Lo sguardo color cioccolata di Weronika mi passa attraverso con un'intensità che mi graffia in gola. Mi specchio in quel colore e so che non sono così cattivo da augurare quello che ho passato io a qualcuno, neanche alla principessa del galà. Perché mi sono riconosciuto nella perfezione crepata di lei, ho visto il riflesso del mio stesso dolore nella sua fragile inattaccabilità.
-Ribellati.-  
-Co..come scusa?-
-Ribellati- ripeto nel tono spudoratamente ovvio della prima volta. 
-Non..non posso loro..mi hanno dato tutto..-
-Non ti hanno dato niente- la interrompo bruscamente, più bruscamente di quanto avessi voluto, -se non è quello che vuoi.-
La ragazza si sporge sul tavolino dinnanzi a noi e prende il suo bicchiere tra le dita. -Cosa ne penseranno gli altri?-
-Gli altri- è sprezzante la mia voce, amara nel più profondo delle mie viscere -ti giudicheranno, ti reputeranno un'ingrata, una pazza, un'instabile ragazzina viziata. Ma sai che c'è?- ho unito le mani in grembo, mi sono avvicinato a lei quel tanto che basta perchè i miei occhi non perdano i suoi neanche per un secondo e perché le mie parole arrivino sparate con inaudita forza dov'è giusto che arrivino. -Tu sarai quello che vorrai essere, farai quello che vorrai fare, e se non ci riuscirai pazienza, sarà perchè hai tentato e fallito, non perchè non ci hai provato affatto. Non devi essere all'altezza di nessuna condizione sociale, di nessuna società, di nessun conto in banca.- 
Poso con slancio e anche un pizzico di ben celata teatralitá il mio bicchiere vuoto di cocktail sul tavolino. Spero che senta bene le mie parole perché sono le parole che vorrei qualcuno avesse detto a me.
-E al diavolo le voci, al diavolo le parole, al diavolo le persone, al diavolo le aspettative. Brucia tutto e fottitene Weronika, fottitene come se non ci fossero mai state. Non fare come me.-
Mi alzo, lei si è alzata con me.
-Vado alla..-
-Si, e io vado al..-
Mi allontano un attimo prima che lo faccia lei. Vedo la sua gonna lillà scomparire nel corridoio che si affaccia sui bagni. Io invece ho bisogno di bere qualcosa di più forte che un analcolico cocktail alla frutta. Intorno all'angolo bar si è radunato un nutrito drappello di persone e io mi faccio largo tra i corpi mollemente poggiati al bancone.
-Due Vortix.- 
Il barista annuisce e si accinge a preparare ciò che gli ho chiesto. La risata angelicamente goffa di una donna mi porta a emergere dalle spine che mi punzecchiano la mente proprio quando mi viene servito l'ordine. Vorrei fare un cenno di ringraziamento all'uomo ma alla fine mi prendo i bicchieri e mi dirigo alla mia postazione senza neanche degnarlo di uno sguardo. Mi siedo e.. No, non ditemi che è stata una coincidenza. Qualche goccia del contenuto di uno dei due bicchieri mi schizza sull'avambraccio. Il cocktail profuma di ciliegia, ma è rosso sangue. Spicca, brilla, ammicca sulla mia pelle che fa di tutto per farne risaltare l'accattivante colore. Due minuscole goccioline mi osservano silenziose dal braccio destro e io sono come ipnotizzato dal raffinato contrasto tra il porpora e la porcellana. Sono scivolate, languide, sul punto perfetto. La cicatrice potrebbe aprirsi, sono solo due gocce, due gocce che sarebbero ancor più belle se provenissero dalla mia vena. Due gocce non hanno mai ucciso nessuno. Sono così belle..Così vive. 
Stringo il pugno, serro le labbra, mi passo una mano tra i capelli, sto ansimando. Emergo dal caos nella mia testa con un colpo doloroso, ma necessario e mi concentro su poche consolazioni che forse mi evitano, almeno per stasera, di andare fuori di testa.
Non sono in una discoteca, sono in un elegante pub, non ho cicatrici aperte o in procinto di aprirsi, ho solo vecchi ricordi, il rosso sul mio braccio non è sangue, è succo di ciliegia. Su un tavolo difronte serpeggia dominante il rosa di qualche alcolico, un rosa tanto forte, tanto violento da provocarmi un'emicrania che mi urla in testa, la seconda in un giorno. Rosso, rosa e il sottile tracciato di un eye-liner troppo nero intorno ad un occhio troppo azzurro.
Weronika è uscita dal bagno, mi sta raggiungendo, non ha fatto neanche quattro passi che io sono già perso.

 

***

 

-Santorski ricorda l'allenamento venerdì, sarebbe un peccato se lo perdessi.-
-Si Mr. Ris.-
E' un'abitudine ormai quella di assecondare le parole dell'istruttore di boxe. Lui dice che ho potenziale, io dico che non vedo nessun potenziale, lui dice che non mi sono mai guardato mentre colpisco. In ogni caso, potenziale o no, la boxe mi aiuta a scaricarmi, a non pensare per qualche ora, a sentire qualcosa che non sia il vuoto, e questo mi basta. Gli spogliatoi sono deserti, segno che mi sono trattenuto più a lungo e che la marmaglia di anime, tovaglie, accappatoi, deodoranti, indumenti e scarpe è evaporata un bel po' prima che decidessi di scollarmi dal sacco e dai guantoni. Approfitto della calma assoluta e del prezioso silenzio per concedermi una doccia bollente. L'acqua calda mi accarezza piacevolmente la pelle, vi si insinua attraverso, distende i muscoli, mi porta a piazzare il viso sotto il getto e avvertirne il calore sulle palpebre chiuse, sulle guance, sulle labbra semi aperte nel tentativo di bearmi maggiormente del tepore che sprigiona. La sento percorrermi la schiena, sfiorarmi i fianchi, baciarmi le linee dell'addome, invitarmi a darle di più mentre le sue gocce ammaliano ogni centimetro della mia pelle, dischiudo le cosce, lascio che l'arroventata lingua dell'acqua stuzzichi lascivamente il ventre, giù, sempre più giù, troppo più giù, portando calore nelle stanze gelate del mio corpo, sgretolato, rotto, e l'avvolgente incandescenza si preoccupa di penetrare, addentrarsi nelle crepe dell'inesistente difesa di cui si è vestito il mio orgoglio, e il calore le tocca, le incalza, le porta alla luce, mormora sensualmente che posso mostrarle, che è il momento di.. Chiudo l'acqua, mi infilo nell'accappatoio bianco. Asciugo in fretta la pelle surriscaldata. Tutto questo bianco non mi sta bene addosso. Questo non ha niente a che vedere con la mia pelle. Sono bianco su bianco, lei e il tessuto con cui ho cancellato le gocce brucianti, ma non sono lo stesso bianco. Uno è immacolato, l'altro macchiato. Mi infilo il boxer grigio e il jeans nero sotto l'accappatoio poi lo getto su una panca e mi infilo maglia e felpa in un colpo solo. Mi sento potente per questo, non chiedetemi perché. Passo una tovaglia sulla testa, svogliatamente, e questo rende i fili scuri dei miei capelli delle ciocche anarchiche dove ognuna prende la via che gli sembra più conveniente. Gli do una ritoccata con le mani gettandomeli verso sinistra e le dita affusolate sono il netto contrasto tra il colore dei capelli e quello della mano. Sono una contraddizione vivente, tutto di me è privo di buonsenso, persino i colori dei miei tratti fanno a cazzotti. Oh che gioia. 
-Ti sei fatto la fidanzata?-
Rimango con la tovaglia a mezz'aria. Sono giusto li li per riporla nel borsone quando quella particolare voce riconducibile a una fin troppo distinta presenza mi folgora sul posto e folgora nello stesso istante ogni muscolo adibito al movimento delle braccia. Lascio cadere placidamente la tovaglia e mi volto. Mi scontro con i suoi occhi. Ho perso un battito. O forse due, o forse tre, o forse ne perdo uno ogni volta che mette un piede davanti all'altro e fa un passo verso di me. 
-O te la sei solo fatta?-
L'incandescenza dell'acqua che mi ha accarezzato non è neanche paragonabile a quella dei suoi occhi che scivolano lenti sul mio corpo soffermandosi più del dovuto. Le labbra dalla linea marcata, decisa, irruente come lui si piegano in un sorriso compiaciuto e io mi ritrovo ad alzare di più la zip della felpa. Mi sento nudo davanti a lui. I capelli spettinati, il piacente caffè-latte della sua pelle, l'immancabile, luccicante aria di chi ha il mondo ai suoi piedi, l'arcana, indecifrabile scrittura che si cela dietro l'ardente bronzo di quelle iridi che hanno il maledetto potere di marchiarti a vista. E sento quel marchio ardermi addosso.
-Non siamo tutti come te.- dico a mezza voce, inespressivo, atono, fermo nella rigidità dell'aria che si è improvvisamente accaldata. Quanto ci vorrà primi che inizi a scottare? Sono immobile come si starebbe immobile dinnanzi a un serpente, indeciso se attaccarti o meno e che lascia a te l'ultima parola per decretare la tua salvezza o la tua condanna. E il particolare serpente che mi scruta in questo momento ha un veleno potente. 
-Eppure.. Avrei giurato che non ti piacessero le ragazze..-
Un sorriso indomito si accomoda sulle mie labbra prima che risponda. Questo non va bene.
-Questo, comunque, non è affar tuo.-
E tanti saluti al contenere il pungente colore della mia voce, alle celate spine, all'incatenato sarcasmo.
-Ma come, io mi preoccupo di informarmi sui tuoi gusti e tu mi rispondi così?-
Un ghigno divertito sboccia sulle sue labbra già sferzanti. La camicia azzurra dal taglio perfetto che gli fascia il corpo come se gli fosse stata cucita addosso mi ricorda un'altra era. È passato poco più di un mese, ma sembra un'eternità, ricordi che affiorano da un mondo parallelo a questo, un mondo popolato dalle stesse facce, dalle stesse presenze, ma non è lo stesso. Quel mondo è cambiato, o forse è cambiato il modo di guardarlo. Aleksander fa un passo avanti e mio ne faccio uno indietro. Io voglio mantenere la giusta distanza, lui sembra volerla annientare. 
-Non ti sto vedendo a Judo.-
-Sarai in lutto.- mi volto riempiendo la borsa con movimenti decisi. Butto tutto alla rinfusa, una cosa sull'altra come una Tour Eiffel disordinata.
-Fai boxe- tiro i guantoni dentro con un movimento fulmineo. -Tu?- 
Lo sento sghignazzare alle spalle. 
-E tu mi hai abbandonato per Asher?- 
Alzo gli occhi. Detesto il gioco delle sue allusioni.
-Cosa c'entra l'amico tuo.-
-Lui fa boxe.- sorride. Lo sento che sorride. Lo sento come se c'è lo avessi davanti. E allora mi volto e impercettibilmente sussulto trovandomelo a un metro di distanza. I suoi occhi vibrano di scura sicurezza, ma c'è dell'altro nell'ambra accattivante delle sue iridi che mi osservano troppo vividamente. 
-Perchè, tu sei diverso da lui? Da tutti gli altri?-
-Io sono tutti gli altri?-
Il cuore sobbalza. Non se lo aspetta. 
Mentre ogni fibra del mio essere è paralizzata dal comando centrale della mente di rimanere imperscrutabile, perfettamente freddo come un pezzo di marmo, quel maledetto non se lo aspetta. E lo sento contro la cassa toracica, scalpitante come un dannato al mutamento della voce di Aleksander. Lui addolcisce la piega delle sue parole e c'è chi me lo fa immediatamente notare. Quell'improvvisa catena percorsa da dolcezza tocca qualcosa, non lo nego. Ne è la prova la velocità con cui corre quel muscolo che dovrebbe solo limitarsi a pompare sangue e mantenermi in vita. Ma non è più tempo di sguardi rubati e piccanti provocazioni in una classe di scuola. 
-Ti sei comportato come tutti gli altri- ,lo guardo negli occhi, lo vedo come guarda nei miei occhi, -Sei diventato tutti gli altri.-
E' più veloce della mia capacità di prevederlo. Un scatto repentino degno di un serpente e io mi ritrovo a sbattere contro gli armadietti dietro le mie spalle. Si è avvicinato troppo. Ed è a cinque centimetri di distanza da me e contare, approssimare, supporre quanti beati millimetri ci dividono mi serve a non concentrarmi sui nostri corpi che adesso si scambiano il calore. I suoi occhi stanno bruciando, scandagliano nei miei qualcosa che non trovano, o forse l'hanno trovato e non se lo spiegano, perché adesso le sue pupille sono dilatate e le palpebre appena socchiuse. 
-E' bastata un'aranciata a farti stramazzare al suolo?- 
Uno schiocco possente e silenzioso. Sono le mie mura che si erigono in difesa del mio spirito di conservazione. E' tornata l'accesa strafottenza nella sua voce e sono tornati gli schieramenti di strati e strati di muraglia nella mia. 
-Siete stati molto bravi, una trovata ironica, sagace.. Una cosa che credevo troppo intelligente per vo..-
-Non sono stato io.-
-Non mi interessa.- sorrido, una smorfia graffiante che graffia anche me. -Tu..lui, lei..loro..- Quale malsano coraggio mi porta ad avvicinarmi, a sopraffare quei cinque centimetri per trovarmi il suo sguardo contro il mio e il suo respiro sul viso, non lo so. So solo che sento di doverlo fare come sentivo di volere la sua lingua ancora nella mia bocca, quella notte. Percepisco il suo profumo adesso e posso credere che lui percepisce il mio, se lo ho un profumo, non lo so, non so niente nel momento in cui una convinzione solitaria sboccia nella calca di pensieri inaspettatamente ammutoliti, ovvero quella fulminante che se camminare sul filo di due sguardi incandescenti per dieci secondi più del dovuto era stata una mossa sbagliata, riuscire a scorgere ogni dettaglio dorato nel chiaroscuro dei suoi occhi deve esserlo cento volte di più. Non ci è concessa a noi, questa vicinanza. Dischiudo le labbra, le mie palpebre si abbassano, avverto l'arresto del suo respiro, le distanze si annullano, non esistono più.. -Non fa differenza.- 
Un'impercettibile cambio d'aria e la sua mano si è bloccata a mezz'aria, immobilizzata davanti al mio viso. Non mi rendo conto di cosa è successo fino a quando non sento il polso sinistro di Aleksander tra le mie dita in una morsa efferata e i nostri sguardi che combattono una feroce battaglia. Ho il cuore in gola. Quasi lo sento sibilare, il fuoco dei loro attacchi. 
Mi allontano di un passo senza lasciare il suo sguardo, per quanto il poco spazio che ho a disposizione mi concede.
-E così tutti noi ti abbiamo fatto sentire male? Oh, povero Dominik..- fa una smorfia prima di aprire quelle amabili labbra in un sorriso sprezzante. -Ti ricordavo meno fragilino.. Ma, dopotutto, sei sempre uno piccolo frocio.- L'ambra si illumina.
-E tu un grande coglione.- Sorrido nell'espressione più indolente che la vista del suo sguardo ostentatamente schifato riesce a suscitarmi. -Ma non si può essere tanto coglioni naturalmente.. Confessa, ti alleni.-
Non riesco a leggerlo e questo mi irrita profondamente. Soltanto oggi, dopo anni, in uno spogliatoio, ho scoperto che venature di sottili fili d'oro si intrecciano nell'oscurità delle sue iridi e adesso il sorriso appena accennato che anima la bocca di Aleksander mi porta a domandarmi quante altre cose non riesca a decifrare di qualcuno che, agli occhi del mondo, è un libro aperto. Sembra quasi soddisfatto mentre l'ammaliante occhiata che riserva alla pelle nuda del mio collo fa alzare nettamente la temperatura.
-Hai tirato fuori gli artigli Santorski?-
Sarei tentato di sfiorare l'epidermide all'altezza della carotide per constatare che l'ambra dark quanto i miei capelli intorno alle sue pupille non stia bruciando sulla mia vena. Un fremito al bassoventre mi dice che le mie vene stanno bruciando. Non mi concedo il lusso di abbassare lo sguardo neanche per un secondo. Sono in fiamme.
-Hai perso il diritto di toccarmi.-
Inclina la testa di lato quel tanto che basta perché mi faccia sentire come un quadro studiato a tavolino. In soggezione? Si. Sul punto di incazzarmi sul serio? Anche.
-E' questo il Dominik che volevo.-
Ritrae bruscamente il polso con la mia presa ancora addosso e quel passo indietro che avevo faticosamente riguadagnato si disintegra insieme a me contro il suo corpo. Sbatto l'addome al suo prima che riesca a inibire l'impatto e fermare il cuore che è dovunque tranne che al suo posto. Non dovrei sentirlo nelle tempie il suo battito, non dovrei sentirlo nel bassoventre. Ho fatto letteralmente un salto indietro facendo un baffo alla velocità del suono.
-Stronzo..- sibilo a mezza voce lasciandogli malamente il braccio. 
-Mi serve una mano Dominik.- è consapevole dell'effetto che ha su di me? 
-Di qualunque cosa si tratti- chiudo con un colpo secco la cerniera del borsone -scordatelo.-
Me lo carico sulle spalle e lo oltrepasso senza degnarlo di un altro sguardo.
-Facciamo uno scambio.-
Mi fermo. Perchè mi fermo? La sua voce è sicura, determinata, spavalda e allettante. E io mi volto. Stringo la mano intorno all'mp3. Sto già srotolando gli auricolari. "Non ho intenzione di perdere altro tempo per te e i tuoi giochetti", è questo quello che voglio che afferri mentre infilo l'attacco delle cuffiette
nell'inserto nero. Insieme al piccolo scatto alzo gli occhi nei suoi. La sua é l'esemplare posizione di chi sa di avere le redini del cavallo in perfetto controllo.
Attento Aleks, questo cavallo sta per scalciare.
-Quanto avevi in fisica?-
Lo guardo. Lo sa benissimo quanto avevo..
-Sei.-
-E ora quanto hai?-
..Ma vuole sentirmelo dire.
Lo guardo, sbarro i miei condotti uditivi con le testine bianche degli auricolari e faccio per dileguarmi.
-Va bene, va bene- alza le mani avvicinandosi. -La tua letteratura per la mia fisica.- 
Ha il tono convincente di un uomo d'affari, l'espressione persuasiva di un uomo d'affari, la posizione del corpo ferma di un uomo d'affari.
-Tu vuoi uscire di qui, io voglio uscire di qui. Ci guadagniamo entrambi, allo stesso modo.-
È una volpe, non un serpente. É questa bella volpe, perchè è bella, la volpe che ho davanti, è la prima che ha iniziato a spogliare il mio mondo, il nostro mondo, di ogni cosa che nascondeva ció che era realmente, rivelandone le crepe dalle quali non passava alcuna luce. Quel Paradiso, più velocemente di quanto avessi mai creduto possibile, é divenuto il più freddo degli Inferni, quella dimensione che credevo di conoscere, quella realtà che era la mia, la sua, quella di tutti coloro i quali adesso mi guardando come se non avessi mai respirato il fumo della loro stessa sigaretta o il boccale della stessa bottiglia, ha decretato l'inizio della notte più nera che abbia mai attraversato, una notte all'insegna del buio, della perdizione, dell'anima spiritata persa in qualche insana parola che le dichiarava un fievole affetto attraverso il monitor di un computer. Eppure quella notte ha rischiarato gli angoli del giorno, rivelando un giorno che non era così chiaro come si pensava, mostrando spaccature prive di luce su tutto ciò in cui avevo creduto, su tutto ciò in cui forse, credo ancora. 
Ha infilato le mani nelle tasche del jeans che coprono quelle cosce che chiunque sano di mentre troverebbe fantastiche, i ciuffi spettinati dei capelli che gli donano da sempre un'aria ribelle, l'espressione insofferente sul viso che solo un mese fa trovavo attraente e il costoso orologio ancorato saldamente al polso che riporta tutta la sua indocile figura su un piano che sprofonda nel reale, che piomba nell'effettiva verità che il talento di Judo è inabissato nella società di cui si ostina a condividerne i valori, di cui è forse convinto davvero di farne parte. Recita un ridicola parte in un ridicolo spettacolo del quale lui non ha la possibilità di decidere alcunché, si limita a fare ciò che gli altri si aspettano da lui, sempre, è stato plasmato per soddisfare le aspettative più alte, per ambire a quelle più alte, senza poter mai abbassare lo sguardo e vedere chi sta al di sotto del suo livello, senza poter mai voltare il viso per vedere chi ha lasciato indietro. Combatte ogni giorno per tenere a freno chi è realmente, per mascherare se stesso quando le porte sono aperte e lui è esposto agli occhi del mondo, e il mondo fa lo stesso, si veste di menzogne e si copre di falsità per non vedere oltre le corazze con cui si ricevono i colpi dell'andare avanti. Ma il suo mondo non è più il mio. Lo è stato, e insieme ad esso ha demolito ogni certezza che sorreggeva i resti di una vita che era già morta. Ma le cose sono cambiate. E mentre lo osservo mantenere meravigliosamente il ruolo che gli è stato assegnato dal portafoglio dei suoi genitori, dal suo grado sociale, so che non sarà mai una partita combattuta alla pari, so che non posso farci niente se c'è un altro che si nasconde sotto quei muscoli e quella vista arrogante perché tanto non verrà mai fuori, non gli è permesso e lui starà al gioco, proprio come tutti gli altri. So che non cambierà mai. 
Così chiudo fuori ogni scheggia di dolore che mi ha causato con la merda che ha fatto si che uscisse dalla sua bocca sullo schermo di un computer, mi lascio abbracciare dalla freddezza che torna placidamente ad aleggiare sul mio viso. I battiti persistono nelle tempie e lo sguardo che mi cade sulle sue labbra per una frazione di secondo troppo lunga è convincente nel farmi notare che non sono affatto indifferente al chiaro ambrato di quella pelle o alla profondità di quegli occhi, ma sopravvivere è più importante e lui è il primo a ricordarmi che siamo in guerra, e che questa volta non sarà l'oscurità di una stanza chiusa a chiave a proteggermi.
-Domani alle quattro a casa tua.-
Scorgo il mezzo sorriso insolente che mi vende e che lo rende un provocante stronzetto, prima che mi volti e mi volatilizzi a passo veloce fuori dagli spogliatoi.
La sorte è una puttana di prima categoria, ma una cosa è certa: Aleksander Lubomirski non mi farà del male mai più.

  
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