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Autore: NorwegianWinds    25/04/2014    2 recensioni
Alex è un giovane musicista allo sbando: è appena stato cacciato dalla sua band, i We Love Thighs, e non sa cosa fare del proprio futuro. Tra tostapani molesti, amici fedeli, pornobimbe silenziose, vecchie guide ed ex mogli alla ribalta, riuscirà Alex a ritrovare la propria strada e la propria musica?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Il successo è istantaneo. Dopo pochi giorni, firmo con la Universal per stampare il disco del mio live all'Interzone e in capo a un mese mi hanno organizzato un tour di sei mesi in tutta Europa.

Mentre aspetto di partire partecipo agli eventi più celebri d'Inghilterra, compro una nuova casa che sia abbastanza grande per me, Debbie e il bambino, cerco di rimettere un po' in sesto il Dusty Den. Nel tempo libero faccio sesso con Debbie e la accompagno in migliaia di negozi per mamme e bebè a comprare montagne di vestitini (da maschio e da femmina, visto che il pupattolo che galleggia nell'utero della mia ex moglie alla ribalta è ancora, temporaneamente, ermafrodita) e culle e giocattoli e carrozzine, che poi si accumulano in varie stanze della casa senza più essere degnati di uno sguardo. Il tutto viene immortalato da schiere brulicanti di paparazzi che hanno abbandonato il loro covo, il ristorante Hilton, e ci seguono ovunque

La mia mano è guarita e appena ho potuto ho ripreso a suonare. Dawson mi ha trovato anche un batterista e un bassista, per rendere più ricche le mie canzoni. Le prove sono il mio unico momento di serenità e sollievo; eppure, quando riascolto il mio disco_ intitolato, come mi ero ripromesso, I Like Panties_ mi sembra che questi strumenti in più non riescano comunque a ricreare l'atmosfera densa, elettrica e surreale della sera del concerto.

L'inizio del tour è una liberazione dai doveri coniugali, se così si possono chiamare, e l'inizio di un nuovo ritmo di vita frenetico e scombinato.

Di giorno, in stato semi comatoso, ci spostiamo da un capo all'altro dell'Europa su un pullman nero gigantesco, e più o meno ogni sera c'è un concerto. Suoniamo in continuazione, facciamo spettacolo, e poi facciamo baldoria per il resto della notte.

A quanto pare sono tornato ad essere un gran figo, vista la quantità di ragazzine adoranti che cadono ai miei piedi e che fanno di tutto per venire a letto con me, tipo farsi stantuffare dai bodyguard per arrivare ai camerini. 
Perdo il conto di quante me ne faccio, ne trovo di tutti i tipi: quella che ripete le mie canzoni urlando mentre scopiamo, quella oh-mio-dio io ti amo e so che anche tu mi ami, solo che tu non lo sai, quella che ama il sesso violento quella che è vergine ma vuole che sia io a montarla per la prima volta e quella dolce e remissiva che la notte si trasforma, quella esibizionista, quella feticista e così via in un elenco infinito e svuotato di ogni senso.

Non è l'unica cosa che è vuota. La mia musica è meccanica, le mie canzoni appartengono a una vita fa, una vita ormai morta e sepolta e troppo distante da quella che conduco ora perché io possa capire davvero cosa ho scritto, cosa ho composto.

Ero davvero io quello con la mano incastrata nel tostapane?

Oppure: sono davvero io la rockstar, idolo incontrastato delle folle?

 

I sei mesi volano.

Ho appena finito un live a Parigi quando Dawson mi telefona esultante.

- Alex! Sei papà! E' nato qualche ora fa, ho provato a chiamarti ma stavi suonando. Comunque è un maschio e Debbie ha deciso di chiamarlo Eddie -

Eddie?

Eddie?!

Ma per favore!

- Devi tornare qui a Manchester, bello mio, non vorrai perderti i tuoi primi giorni di paternità! -

No, infatti. Però il nome Eddie proprio non mi va giù, eccheccavolo.

Mollo tutto e prendo il primo volo per Manchester. Arrivo il pomeriggio seguente.

Passo da casa per mollare i bagagli e cercare di ridarmi un aspetto decente. Con scarsi risultati. Ho le occhiaie scavate per troppe notti insonni, le gambe indolenzite per le troppe scopate, le mani raggrinzite per aver suonato mille e mille sere.

Pazienza.

Arrivo in ospedale nel tardo pomeriggio e mi perdo nelle varie corsie, alla ricerca della stanza di Debbie. Non ho idea di cosa fare con il bambino, non so come reagirò, non so cosa proverò.

Finalmente la trovo. Debbie è, come sempre, bellissima, anche col pancione e col viso stanco e un po' sformato dalla gravidanza. La sua stanza è invasa dai fiori, se ne può sentire il profumo anche da qui, dietro al vetro che mi separa da lei.

C'è un uomo seduto al suo fianco, sulla sponda del letto. Le tiene la mano e parla con aria seria.

Immediatamente lo identifico come un suo parente. E' troppo ben vestito e pettinato, troppo perfetto, troppo businessman rampante, troppo simile a lei per non essere qualche suo cugino, o qualche nipote, qualche zio, non so.

Faccio per bussare, ma mi rendo conto che la porta è socchiusa. Arrivano le loro voci, e quello che sento mi paralizza.

- Deborah, tu dovresti stare con me, e lo sai -

- Marc, ti prego, non ricominciare... -

- E' mio figlio. Non c'è nemmeno bisogno del test del DNA, è la mia copia sputata -

- Già. Ma Alex questo non lo sa, e non lo saprà mai -

... Ah, ecco.

- Debbie, io sono un uomo benestante. Posso mantenere il bambino e te. Posso darti tutta la stabilità economica di cui hai bisogno -

Debbie sorride in modo soave e micidiale - Oh, tesoro. Sei tanto carino. Ma io non ho bisogno solo di quello. Hai idea di tutto ciò che ho fatto per arrivare fin qui? Io vengo dal nulla. La mia famiglia è sempre stata povera, e mi sono fatta strada con le unghie e con i denti. Da sola, con le mie forze. Ora posso avere tutto.... Tutto-. Pronunciando queste parole, la voce di Debbie si è fatta aspra e affannosa. La mia perfida dea dorata sembra rendersene conto. Si ricompone con grazia - Alex non è semplicemente benestante: è ricco sfondato. Ed è famoso. Da quando mi sono rimessa con lui, ho già avuto un sacco di offerte per servizi fotografici, e ne ho altrettante in programma, anche con Eddie... Sai, ora va di moda farsi fare le foto coi bambini appena nati; e poi ci sono le interviste e... Oh, Marc, caro, non guardarmi così! Tu non hai niente che non va. Non è che Alex sia meglio di te, semplicemente... Ha più cose di te -.

Questo è decisamente troppo.

Spalanco la porta, sentendo le mani tremare per la rabbia. Debbie si gira di scatto e il sorriso muore sulle sue labbra perfette. Impallidisce, poi un istante dopo si ricompone - Alex, amore mio, sei tornato! Che bello, non vedo l'ora di farti vedere Eddie, secondo me ti somiglia! Mio cugino Marc se ne sta giusto andando, vero Marc? -

Vorrei ricoprirla di insulti. Mi ha usato. E non ha usato solo me, ma anche quel povero sfigato che adesso cerca maldestramente di spacciarsi per suo cugino e che è palesemente innamorato perso di lei.

E ha usato anche il bambino che portava nel grembo. Quello che credevo essere mio figlio.

E' questo pensiero tristissimo a calmarmi.

Perciò sorrido. Debbie si illumina, non ha ancora capito cosa sta per succedere.

- Falla pure finita con la sceneggiata, cara - dico mestamente, - Ero fuori dalla porta. Ho sentito tutto. Tutto. -

Marc Granbelluomo si irrigidisce, lei spalanca la bocca.

- Ma no, tesoro - balbetta, - Posso spiegare. E' Marc che si è convinto di questa cosa, ma... Il bambino è tuo, io lo sento, io lo so... -

- Il bambino non è affatto mio e lo sappiamo tutti quanti qua dentro. Comunque per sicurezza farò un test del DNA. Se scopriremo che è mio, lo manterrò e gli darò tutto il necessario, ma non voglio mai più vedere te. Se invece è del nostro amico qui presente Marc... -

Mi giro verso di lui - Beh, suppongo siano affari tuoi. A casa mia ci sono tonnellate di vestiti e stronzate simili, potete tenervele. Per il resto, non voglio più sapere niente di voi -.

Meno di un'ora dopo, nonostante la crisi isterica simulata da Debbie (l'avevo detto che era una grande attrice) il test del DNA è stato fatto. Grazie alla mia fama e ai miei soldi, riesco ad avere i risultati entro mezzanotte. Ovviamente, dicono quello che già sapevamo.

Me ne vado dall'ospedale senza più forze.

 

In tutto questo io non l'ho nemmeno visto, il bambino.

  
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