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Autore: Tomi Dark angel    25/04/2014    5 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passi. Passi attutiti, lenti, misurati. Una figura longilinea sfila rilassata tra due ali ordinate di porte chiuse, aperte, accostate allo stipite. Alcune risultano blindate, ricolme di lucchetti, sigillate nella loro consistenza di forziere sacro, importante. Sherlock Holmes le conosce tutte, quelle porte. Le ha create lui stesso, le ha manipolate con le sue mani, mattone dopo mattone ha eretto il suo Mind Palace. È luogo di pace, è luogo di serenità e ragionamento.
Corridoio uno, primo giorno di vita: risulta vacuo, quasi assente. Sherlock non ci è mai tornato, le sue prime impressioni di bambino sono nient’altro che macchie di colore e vortici insignificanti di lacrime ed emozioni. No, decisamente no: non sta cercando niente del genere. Anzi, non sta cercando affatto. O forse sì?
Lui non cerca mai, non ne ha bisogno. Conosce a menadito il suo Mind Palace, i morbidi fiumi dei suoi ragionamenti, i loro andamenti tranquilli e mai instabili.
Avanza ancora, sfilando lungo le pareti bianche, oltre porte bianche, su un pavimento bianco. Ogni cosa è incolore, ogni cosa è calma e purissimo ragionamento. Sherlock cammina sulla logica, muove i passi su ragionamenti, dati, informazioni.
È sempre stato tutto bianco, qui.
Adesso no. C’è qualcosa di diverso, qualcosa di strano. Ripassa a mente tutti i corridoi che conosce, tutti quelli che ha percorso nello scorrere dei secoli. Sì, li riconosce tutti.
Eppure, sente che il Mind Palace è cambiato. La luce pare diversa, le pareti appena più sbiadite. Si è mosso un tassello, qualcosa che Sherlock non ha realmente toccato. Non è normale, non è sano. Il Mind Palace è suo e suo soltanto. L’ha costruito lui, l’ha edificato con mani di logica e mattoni d’intelligenza. Ne conosce ogni stanza, ogni dato.
Ma d’improvviso, un ammiccare di luce fuori posto, un sinistro scintillio alla sua destra. Qualcosa che prima non c’era, adesso si palesa ai suoi occhi. Alla fine del corridoio, dinanzi a lui, vi è una porta sconosciuta. Non l’ha mai edificata, non l’ha mai sentita innalzarsi. L’ipotesi più plausibile è che sia sempre stata lì, ma Sherlock si sente stupido solo a pensarlo: se ne sarebbe accorto, ovviamente. Ovviamente. O forse no.
Avanza lentamente, squadra la porta con diffidenza. Venticinquesimo piano. Non ci sono porte del genere al venticinquesimo piano.
Gli occhi scivolano, studiano, capiscono.
Superficie graffiata: qualcuno (chi?) ha cercato di aprirla senza successo.
Graffi non troppo in alto e poco profondi: bassa statura, debole, unghie corte.
Sangue raggrumato: vecchio di anni, causato dalla foga dei graffi.
Questi dati non dicono niente. Questi dati dicono tutto. Nessuno entra nel Mind Palace. In quel posto, le regole le stabilisce Sherlock, e lui non ha mai graffiato quella porta.
Allunga una mano rigida, tesa, pallida. Le dita si avvolgono intorno alla maniglia arrugginita, stringono convulse mentre forzano la porta ad aprirsi. Niente. Non che Sherlock si aspettasse il contrario. Ma non è normale, qualcosa sta andando storto. Le porte non si creano da sole, né tantomeno si sigillano in quel modo. Solo lui può farlo.
Perché ha sigillato quella porta? Agire inconsciamente non è da lui, non è logico, non è… normale.
Ma qualcosa lo distrae. Un rumore, la sensazione di qualcosa che gli sfiora il viso. Guarda in alto, verso il soffitto che poco a poco si fa trasparente mentre il Mind Palace scompare e, per ordine di Sherlock e Sherlock soltanto, la mente ritorna alla realtà.
 
Alcuni dicono che il sonno equivalga a una situazione di stasi, un limbo senza nome ove solo l’inconscio stende la mano, plasma i desideri, li realizza sottoforma di sogni… o di incubi. A volte però, quel limbo si svuota, s’appiana di tranquillità e d’improvviso finanche l’inconscio riposa. È una sensazione bella, di leggerezza. John Watson la prova in quell’istante, sulla pelle, tra i capelli, lungo ogni singola vena.
Nessun incubo, nessun sogno.
Vuoto, silenzio.
Poi, il sottile manto di pace sussulta, si contorce infastidito. John avverte uno strano fastidio agli occhi, ascolta il pulsare del battito cardiaco nelle orecchie. E d’improvviso, il mondo ricomincia a scorrere.
Come dipinto a pezzi da un pittore esperto, il mondo riprende a respirare poco a poco, attraverso i sensi di John. È un mondo strano, diverso… forse sta sognando davvero, stavolta.
Tatto: c’è calore. Un calore piacevole, non esagerato, ma abbastanza dolce da trasmettergli la temperatura perfetta. Tutto intorno, sotto i polpastrelli che timidi cominciano a muoversi, qualcosa di sottile ma talmente morbido da sembrare splendida seta, la più soffice che John abbia mai toccato.
Olfatto: profumo. Aghi di pino? Sì. Profumo speziato? Anche. Aroma di fiori selvatici? Decisamente.
Udito: mormorio d’acqua che s’infrange contro… cosa? Massi? Sì, parecchi, a giudicare dal fragore. Non è fastidioso, solo… rumoroso.
Lentamente, con cautela, John solleva le palpebre, le sbatte più volte per abituarsi al bacio dorato del sole. Osserva il completarsi di quel nuovo, splendido mondo che soltanto nei sogni può edificarsi. Respira i suoi profumi, tocca le sue appendici di soffice erba,  osserva il danzare di scaglie e ali lontane lì, nel cielo dipinto di pallida aurora boreale, visibile poco più dell’arcobaleno che, più vicino, s’inarca proprio sulla testa di John per poi tuffarsi giù dalla cascata, compagno delle acque.
John si muove, sposta le mani dall’erba soffice di seta per toccare qualcos’altro, una coperta tanto sottile da apparire quasi inconsistente tra le dita, ma tiepida e profumata più dei fiori sottostanti. Lo abbraccia senza stringere, poco invadente, gentile, inarcata su di lui come involucro materno, dolce di un tocco fugace. John riconoscerebbe quell’ala d’oscuro e variopinto arcobaleno ovunque.
Volta appena il capo, posa strabiliato gli occhi sul suo proprietario. Non ha mai visto Sherlock così da vicino. Lo fissa dormire, le palpebre calate, l’espressione appena contratta, la pelle luminosa come preziosa madreperla. Ha i capelli scompigliati, morbidi sulla fronte mentre scendono giù, lungo le guance, fino ad adagiarsi sull’erba sottostante. Le corna affondano nella terra, rilanciano lucenti riflessi cristallini tutto intorno, sulla pelle scoperta del collo e del torace, dove le squame ripetono il gioco di luce in un eterno, incantevole cerchio infinito. È un sogno, è il sogno più bello che John abbia mai fatto.
Non sa cosa lo muove, non sa cosa lo spinge ad agire, a rischiare. Timoroso, allunga una mano, sfiora con cautela i ricci scombinati, soffici come nuvole. Vi affonda la mano come ha sempre sognato di fare, si bea delle carezze che scivolano gentili lungo la pelle. Vuole osare di più, ha bisogno di sentirlo, di toccare Sherlock e sapere che no, non l’ha immaginato.
John si accosta al suo corpo, scivola silenzioso al suo fianco, timoroso di svegliarlo, di cadere di nuovo in quell’inferno senza di lui, come è stato l’ultima volta. Di nuovo, torna a muovere le dita, le lascia scendere lungo l’orecchio, sul collo, leggere come ali di farfalla. Poi risale, e ad ogni tocco, ad ogni sfiorare di soffice striscia di pelle, John si sente completo, sereno. Sta toccando un sogno, sta vivendo una rarità unica.
I polpastrelli viaggiano, osano, azzardano nuovi tocchi gentili. John non ha mai accarezzato qualcuno così. È un ex soldato, sin da ragazzo ha sempre impugnato armi, ha sempre chiuso le mani in pugni serrati, volti solo ed unicamente all’autodifesa. Adesso però, quelle stesse mani ruvide si fanno gentili, leggere come mai in vita loro.
Il corpo di John reagisce, s’accosta silenzioso e inconsapevole all’ottava meraviglia del mondo.
Le dita continuano la loro esplorazione, muovono sapienti su quei tratti che gli occhi hanno ammirato, studiato, memorizzato. Infine, i polpastrelli s’adagiano sule labbra a cuore, appena schiuse in un soffio di respiro profumato. John le fissa, deglutisce a stento.
Può osare?
Merita seriamente d’accostarsi dall’angelo più bello che la storia abbia mai avuto modo di ospitare?
S’azzarderebbe a chinarsi su un principe decaduto, parte vivente di quelle favole che ascoltava da bambino?
John pensa, si pone tante domande, e nel mentre, non s’accorge di essersi chinato. Le labbra posano leggere e fuggevoli su quelle di morbida seta di Sherlock. Se quello è veramente un sogno, John decide che è suo e suo soltanto. Vuole viverlo, almeno per una volta, almeno nella sua testa.
Poggia una mano sul collo morbido di Sherlock, l’altra si adagia sulla sua guancia. Muove appena le labbra, schiude quelle della splendida creatura per insinuarvi la lingua, toccare la sua, così calda, così morbida. Le labbra di Sherlock hanno un sapore speziato, che si mescola perfettamente al profumo.
Morbide volute di fumo argentato, dolce di vaniglia, riempiono la bocca di John, giocano col palato, fuoriescono dalle labbra ancora schiuse, che lasciano passare la lingua esploratrice, azzardata.
È un sogno, è il più bel sogno che John abbia mai fatto. Vorrebbe non svegliarsi mai, vorrebbe che anche nella realtà fosse così facile osare, accostarsi a Sherlock per baciarlo. È come affondare tra acque calde, piacevoli, appena sgorgate da una purissima sorgente. È come varcare le soglie del Paradiso. John non avrebbe mai immaginato di poter provare sensazioni del genere.
La lingua si ritrae, gli occhi di John si schiudono un’ultima volta sul viso dormiente del suo angelo. E all’istante, l’incanto si spezza: Sherlock ha gli occhi socchiusi. È sveglio… e quello decisamente non è un sogno.
John si ritrae di scatto, preme una mano sulla bocca chiedendosi cosa ha fatto. Ha osato troppo, ha azzardato un passo troppo lungo, troppo invadente. Sherlock volerà via di nuovo, lo lascerà lì: sarà Inferno un’altra volta.
Ma niente di tutto questo accade. Semplicemente, Sherlock lo fissa ancora stordito e si gira su un fianco, verso di lui. Chiude nuovamente gli occhi, non lo rifiuta né lo respinge. Piega un braccio per adagiarvi la testa e si rilassa di nuovo, affonda tra le pieghe del suo Mind Palace.
John non sa cosa fare: osare ancora o alzarsi?
-Sei sveglio?- si accerta, più per rompere il silenzio.
Sherlock apre un occhio di vetro, lo fissa sollevando un sopracciglio: -Non fare domande stupide, John.-
Solo allora però, John si accorge che Sherlock ha un pugno serrato e la coda contratta. Si sta sforzando di non muoversi, si sta sforzando per lui. John lo guarda trattenere il respiro, costringendosi a restare immobile e a fingersi tranquillo. Quella scena lo intenerisce, espone la parte più sensibile di uno Sherlock più umano degli umani stessi.
E allora, sorridendo, John gli afferra una mano. Gli accarezza il palmo, costringe le dita a distendersi a scatti, ancora nervose. Gli artigli brillano minacciosi alla luce del sole mentre Sherlock contrae gli addominali, irrigidisce ogni arto, osserva interdetto i gesti dell’umano. Con dolcezza, John tira la mano di Sherlock, lo costringe a distendere il braccio sotto i suoi occhi vigili di predatore, finché il palmo non posa sul collo dell’umano, laddove la vena pulsa vitale, accelerata dall’emozione, calda di vita.
Sherlock trattiene il respiro, assapora quel calore, quella sensazione. Ha tra le mani un’anima, il pulsare di una creatura che potrebbe spezzarsi con facilità impressionante. Eppure, John non è spaventato e anzi, lo guarda con estrema fiducia, senza timore, senza indecisioni. Al contrario, sorride.
-Fai quel che ti dice l’istinto. Io sono qui, Sherlock: non scapperò.-
Sherlock lo guarda negli occhi, si accorge soltanto in quel momento che le iridi di John sono più belle di quanto abbia mai notato in precedenza. Hanno riflessi cangianti, che dall’azzurro danzano al verde. Lo conosce così poco? Ha osservato così poco di lui?
Sherlock non ha mai avuto paura in vita sua, quella porta è chiusa da anni ormai, e il Mind Palace quasi non la conta più. Eppure, all’improvviso il lucchetto scatta, schiude l’uscio, lascia filtrare quel po’ di luce soffusa che proviene dall’interno.
Ossa rotte. Sarebbe così facile spezzarle a John, adesso. Sherlock potrebbe piegare le falangi, stringergli appena il collo.
Contusioni. Un colpo di coda, una pressione di troppo.
Tagli. Squame, troppe. Se incidessero quella pelle così morbida, così umana, potrebbero tagliarla come foglie fatte a pezzi da artigli di iena.
Sherlock cerca di ritrarre la mano, ma John glielo impedisce, stringe con forza le sue dita, si avvicina a lui fino ad accostare il viso al suo.
-Mi hai salvato la vita, mi hai restituito la mobilità fisica. Credi veramente di potermi ferire?-
-Non essere stupido. Ti ho fatto a pezzi le mani, John.-
-Mi aggrappai alle tue squame, non fu colpa tua.-
John si appoggia su un fianco, accosta il viso a quello di Sherlock, che studia ogni sua mossa, preparandosi a scattare via, ad allontanarsi. Il suo Mind Palace freme, apre troppe porte, e d’improvviso i dati gli affollano la mente, strane sensazioni lo pervadono.
-Sono qui.-
Quegli occhi sono così dolci, così gentili… hanno uno sguardo strano, che al drago ricorda qualcosa di dimenticato.
Dio, no.
Sherlock sbatte le palpebre, cerca di calmare il caos che poco a poco si ammucchia nel Mind Palace, tingendo le pareti di colori indesiderati, scombussolanti, caotici. Poi, all’improvviso, la porta sigillata trema.
La serratura vibra, il lucchetto rischia di scattare. Dall’interno, Sherlock sente una voce indesiderata, un timbro che conosce bene e che tutt’oggi popola ogni incubo, ogni brandello di emozione che ancora sopravvive in lui.
D’improvviso, l’ala che abbraccia John scatta, facendolo rotolare di lato, sull’erba. L’umano perde la presa sulla mano di Sherlock mentre quest’ultimo si alza a sedere, afferrandosi la testa tra le mani.
Il Mind Palace trema, vibra di lampeggianti rossi. L’unica cosa che Sherlock capisce, è che quella maledetta porta deve chiudersi di nuovo.
Serra le palpebre, il tempo smette di scorrere mentre nella sua testa, tutto accade troppo velocemente.
-Che stai facendo?-
Nel Mind Palace, Noah compare alle sue spalle, pallido come non mai, privo d’ali e coda. Lo fissa con quattro grandi occhi di bambino, che tuttavia, nella testa di Sherlock esprimono una piccola scheggia razionale della sua intelligenza.
-Chiudi quella porta.- dice un’altra voce, e Irene Adler compare, lo fissa con occhi incolori, privi d’emozione. –Chiudila subito.-
Sherlock si volta, improvvisamente la porta appare troppo alta, troppo grande per lui. Si fissa le mani, e le vede rimpicciolite, appena più paffute, con dita corte e artigli appena accennati. Si tocca i capelli; sono troppo lunghi. Si sfiora il naso; troppo inarcato, troppo sottile.
È uno Sherlock bambino quello che corre verso la porta, è un bambino che graffia la sua superficie nel disperato tentativo di forzare la maniglia a non abbassarsi.
-Ti prego, ti prego!- urla Sherlock con voce acuta, fragile. –Chiuditi, resta sigillata! Ti prego!-
Ma la porta non lo ascolta, e rischia di spalancarsi. Sherlock sente il Mind Palace tremare, scricchiolare minaccioso come castello di carte in procinto di cadere.
-Non riuscirai a chiuderla semplicemente forzandola a farlo.- dice allora una voce ragionevole, una voce fredda come il ghiaccio. Una terza persona compare, Sherlock non lo guarda in viso perché sa bene di chi si tratta.
-Cosa devo fare?!- urla allora, nel panico. Si guarda intorno alla disperata ricerca di qualcosa che blocchi quella porta, qualcosa che sigilli ciò che preme per uscire.
-Devi calmarti. Trova qualcosa che ti calmi.-
-NON CI RIESCO!!!-
E d’improvviso, Sherlock riapre gli occhi sulla realtà. Ha le labbra sigillate, che trattengono a stento il fumo che le dilania e la sfera di oscura materia che gli lacera il palato e ustiona la gola.
Sherlock scatta in piedi, si stringe la gola mentre dalle labbra fuoriesce un fiotto di sangue. Spalanca le ali, schizza in volo ancora instabile, sforzando i muscoli per salire di quota. Poi, d’improvviso, leva il capo e rilascia il getto di materia oscura, che schizza velocissima in lontananza e più in là, quasi invisibile agli occhi, esplode in un terribile boato che fa tremare terra e cielo, acqua e fuoco.
Tossisce forte, lascia scorrere lungo il mento un nuovo, corposo fiotto di sangue. Vorrebbe allontanarsi, vorrebbe nascondere la sua debolezza, ma anche adesso, qualche ragionamento logico riesce a farlo.
-Torna indietro.- dice l’Irene nella sua testa. –Torna indietro adesso.-
-Fallo, o cadrai.- ribadisce Noah con freddezza calcolatrice.
E Sherlock ubbidisce, piega un’ala e si abbandona a una corrente ascensionale che lo accosta al terreno, abbraccia ogni sua cellula, come una madre cullerebbe affettuosa il figlio addormentato.
Le ali sbattono un’ultima volta, Sherlock cade carponi al suolo e tossisce, la testa pulsante, gli occhi serrati. La porta sta per aprirsi.
-Sherlock.-
Poi, una voce. No, non una voce: La Voce.
John si inginocchia davanti a lui, non pare disgustato dal suo mento sudicio di sangue e saliva, né dall’espressione per la prima volta sofferente, quasi umana. John lo guarda come al solito, coi suoi grandi occhi colorati, traboccanti di un umanità che Sherlock credeva scomparsa. Lo lascia fare mentre si copre una mano con la manica del maglione e gli accarezza il mento, ripulendolo con cura, facendo emergere le dita per sfiorargli le labbra, per toccarlo senza paura.
È un tocco gentile, che Sherlock non riconosce, che non riesce a classificare. Nessuno l’ha mai toccato così… no, mai.
John continua a pulirlo, con affetto sfiora i suoi zigomi, la mandibola possente da predatore, la bocca schiusa. Gli occhi di Sherlock seguono ogni suo movimento, studiano, incapaci cercano di carpire ciò che mai nella loro vita hanno avuto modo di classificare.
-Chiudiamo quella porta.- dice John alla fine. Si sporge, intreccia una mano con la sua e appoggia l’altra sulla sua guancia, facendo combaciare affettuoso le loro fronti. Respira calmo, fa in modo che automaticamente, Sherlock lo imiti.
Entrambi chiudono gli occhi, entrambi inconsapevolmente accostano i visi fino a mescolare i respiri, ormai totalmente identici, ormai perfettamente calibrati l’uno sull’altro.
Nel Mind Palace, Sherlock bambino allunga ancora la mano, contrae il viso disperato alla consapevolezza che la maniglia è ancora troppo alta e la porta troppo grande.
Ma qualcosa cambia, e improvvisamente il suo Mind Palace smette di tremare. Una mano si appoggia sulla sua, un braccio gli circonda la vita e lo solleva da terra.
-Chiudiamo quella porta.- sussurra John mentre Sherlock sorride, allunga la mano intrecciata alla sua e si appoggia alla maniglia. C’è una chiave dorata, nella toppa. Non l’aveva notata prima.
-Chiudila, sciocco ragazzino.- dice l’uomo alle loro spalle, colui che Sherlock riconosce ma che stavolta ha la forza di ignorare. Non è solo. C’è una mano che lo sostiene, c’è un uomo abbastanza forte e paziente da stargli vicino senza pretese.
Afferrano insieme la chiave, la girano senza paura, insieme.
E infine, la porta si chiude, il Mind Palace smette di tremare. Nella realtà, Sherlock rilassa i nervi, combatte paziente il pulsare alla testa finché non si calma. Si affida al respiro di John, al suo calore, alla stretta gentile di quella mano sulla sua. Ogni cosa scivola al suo posto, riempie di aria pulita i polmoni feriti di Sherlock, ormai luridi di sangue.
Tutto ciò che resta è John Watson, col suo piccolo sorriso, col suo calore, con la sua umana pazienza. Non lo respinge, non fa domande. Semplicemente, si allontana appena da lui e, fissandolo in volto chiede: -Tutto bene?-
Sherlock annuisce e basta, le labbra serrate e una strana sensazione all’altezza del petto. Non è qualcosa di spiacevole, e in ogni caso, Sherlock è troppo stanco per opporsi.
Semplicemente, si abbandona al suolo, ansima appena per il dolore alla bocca. Erano anni che non si sentiva così debole, fragile come il cristallo. Non lo ammette a se stesso, ma è in procinto di rompersi sul serio, stavolta.
-Non muoverti.-
John si allontana, si sfila il maglione sotto gli occhi vigili, diffidenti di Sherlock. Adesso che è ferito, tiene maggiormente d’occhio qualsiasi cosa si muova. Eppure, qualcosa lo distrae: John è solito indossare maglioni larghi e sformati, orribili secondo i gusti di Sherlock, quindi nessuno indovinerebbe il fisico che l’ex soldato nasconde quasi vergognoso sotto la stoffa.
Adesso Sherlock lo vede, e si pente di non averlo guardato meglio dall’inizio, di non aver dedotto prima il vero aspetto di John, il suo vero essere, il colore dei suoi occhi così come la bellezza del suo corpo.
John è un ex-soldato, è vero, però la guerra continua, e lui la combatte ogni giorno, senza mai stancarsi. Questo ha fatto sì che il suo fisico di militare non scivolasse nella morbidezza. Ha addominali appena accennati, braccia nerborute, spalle larghe. Al contrario di Sherlock, alto e slanciato, il corpo di John è più massiccio, ma appare comunque armonioso nel suo complesso.
Sherlock non gli toglie gli occhi di dosso mentre l’umano si inginocchia, accosta  un angolo del maglione intriso d’acqua corrente al suo viso. Piccole gocce trasparenti si mescolano al sangue, ripuliscono affettuose ogni sozzura, ogni scintilla di dolore. Sulla pelle di Sherlock, quelle gocce appaiono preziose come cristalli frantumati. John segue con gli occhi il corso di una scia d’acqua che gli bagna le labbra e fuoriesce da un angolo, scivola lungo la mandibola e piove infine sull’erba. Vorrebbe toccarla, ma non osa. Adesso Sherlock è instabile, gli deve un po’ di tranquillità.
-Riposa.- mormora. –Riposa, e prenditi i tuoi tempi.-
Ma è con sorpresa di entrambi, che Sherlock solleva improvvisamente una mano. Sulla punta di un artiglio, si trattiene una piccola, scintillante goccia d’acqua che drago e uomo osservano incantati. È John che tuttavia non riesce a trattenersi dal piegare il busto in avanti e posare le labbra su quella goccia, bagnandole, ferendosi appena contro l’artiglio acuminato. Si ritrae all’istante, con lentezza studiata, ma all’improvviso qualcosa lo ferma.
Quella stessa mano artigliata, quella stessa mano di creatura fantastica, adesso poggia sui suoi pettorali.
John fissa Sherlock, scopre i suoi occhi luminosi intenti a studiare interessati quella pelle così morbida, così fragile.
La mano scivola lungo gli addominali, su un fianco, risale accarezzando senza malizia le costole. John trattiene il respiro, resta immobile per non spaventare quella meraviglia rarissima, unica nel suo genere, che improvvisamente sceglie di prestare attenzioni a lui, di guardare lui. Sherlock non capisce, non sa cosa scatena in John con quel tocco puramente incuriosito, ma all’umano va bene così.
È bello vedere quegli occhi di vetro rianimarsi.
È bello sottostare a quello sguardo.
È bello sentire la mano quasi bollente di Sherlock su di sé.
-Sei… fragile.- dice Sherlock, e John non riesce a trattenere un sorriso intenerito.
-Più di quel che sembro, ma meno di ciò che pensi.-
-Questo lo so. Hai sparato a Irene.-
-Non ci tenevo a diventare la sua cena.-
-Non gliel’avrei permesso, quindi non dire assurdità.-
John lo guarda, e capisce che è vero: Sherlock non l’avrebbe abbandonato in nessun caso, in nessun momento. Sarebbe arrivato al momento giusto, come sempre, e gli avrebbe salvato la vita.
John sa, capisce. Perché improvvisamente, ai suoi occhi, Sherlock diventa un angelo. Perché improvvisamente, quella splendida creatura si rende reale, tangibile, soltanto per lui. Ha dormito stringendolo tra le ali, l’ha protetto dal mondo anche durante il sonno.
-Grazie.- mormora John. Sorride, gli occhi lucidi di lacrime trattenute. –Sembrerò monotono, ma grazie.-
Sherlock smette di accarezzarlo, solleva gli occhi su di lui e lo fissa senza dire niente, senza smentirlo. Semplicemente, capisce e accetta.
-Siamo sentimentali.-
John si raddrizza, velocemente estrae dalla tasca posteriore dei jeans la pistola che non ha mai abbandonato da quando Sherlock l’ha salvato dall’attacco di Irene. Probabilmente, se il meccanismo all’interno non è asciutto il grilletto non scatterà, ma John deve almeno bluffare… per quanto non ce ne sia bisogno.
Di tutti i draghi che ha visto fino a quel momento, quello è decisamente il più bizzarro: moro, coi capelli ordinatamente pettinati all’indietro e gli occhi felini di un blu scuro, quasi nero. Le scaglie che partono dai lati del collo, ricoprono la coda, il dorso delle mani strette intorno a un ombrello e le zampe, sono di un bronzo lucente come pietra preziosa e le corna sulla sommità del capo appaiono ricurve, da ariete. John pensava che i draghi non indossassero vestiti. Eppure, quello lì veste tranquillamente un completo nero di giacca e cravatta. Le ali non si vedono.
-Che c’è, Mycroft?- chiede Sherlock, scocciato. Ancora disteso al suolo, rovescia il capo all’indietro per guardarlo dal basso della sua posizione. Mycroft storce la bocca.
-Che hai fatto alla faccia?-
-Niente.-
-Non dirmi idiozie, Anthea ti ha visto esplodere a mezz’aria come un dilettante. Non voglio chiederti cosa penserebbe nostra madre se ti vedesse così.-
-Parliamo invece di cosa direbbe del tuo doppio mento… riuscirai a ingrassare ancora o hai intenzione di abbandonare la tua poltrona da governante della nazione per fare un po’ di ginnastica?-
Mycroft contrae le labbra, stringe appena le dita intorno al fragile ombrello nero, che sotto i suoi terribili artigli appare più come una farfalla ingabbiata tra le zampe di un giaguaro.
-Allora è vero: hai portato un umano qui.-
-Fino a prova contraria, questa è casa mia. E visto che Anthea passa tutto il tempo a seguirmi, ordinale anche di tenermi alla larga gli idioti che tentano di ammazzarmi. Li trovo noiosi.-
-Non ti starebbe male una bella lezione, fratellino.-
E allora John guarda meglio il nuovo arrivato, abbassa la pistola mentre lo stupore si dilata nei suoi occhi. Anche se ingrassato e con meno capelli, Mycroft Holmes è decisamente il ragazzo raffigurato sul libro di storia. John sente di avere davanti un altro principe, un altro erede decaduto, che tuttavia non trasuda la dignità e l’eleganza di Sherlock.
-Se scoprono questi umani, darai agli altri una buona scusa per attaccarli.-
-Ce l’hanno già da secoli, ma nessuno di loro trova il coraggio per fronteggiarmi apertamente. Quindi puoi anche sparire, Mycroft. E portati dietro Anthea: se la rivedo nelle vicinanze, le do fuoco.-
Mycroft non reagisce, non si muove. Attende qualche istante prima di parlare ancora: -Ero venuto soltanto per avvertirti, Sherlock. Se continui così, scatenerai una sommossa contro gli Holmes.-
-Holmes? Quali Holmes?-
Sherlock lo guarda, pare non capire davvero. Lì, davanti ai loro occhi, egli rinnega il suo essere, la sua carica. Non sarà sovrano, non sarà nulla. Per lui, Holmes è solo una parola.
-Attento, fratellino…-
Ma Sherlock si alza, col petto ancora intriso di sangue e le labbra bagnate. Si avvicina a lui di tre passi, lo fronteggia senza paura, senza rabbia. Semplicemente, lo guarda e attende finché Mycroft non si volta con un sospiro.
-Mi dispiace che tu debba soffrire così, Sherlock.-
-Io non soffro.-
Ma Mycroft si volta appena, gli sorride da sopra la spalla. –No? Credevo che il tuo Mind Palace avesse traballato, ma forse mi sbagliavo.-
Mycroft Holmes raggiunge il bordo del precipizio e salta con grazia, l’ombrello chiuso e la coda rigida per mantenere l’equilibrio. Sparisce oltre le nubi, bucandole con la sua mole insignificante e lasciandosi alle spalle il silenzio e il peso di una realtà non tanto lontana.
-John.-
Sherlock si alza in piedi, stiracchia gli arti senza fatica sotto gli occhi ammirati di John.
In quello stesso momento, la porta si apre e Molly esce, accompagnata da Noah, che si guarda intorno circospetto.
-Ho sentito male io, o c’era tuo fratello qui, Sherlock?-
-Non piazzare ipotesi stupide, Noah. Sai benissimo che c’era, i tuoi gesti ti tradiscono.-
Sherlock si volta verso la cascata, fissa il precipitarsi dell’acqua, la danza del vento che sferza impetuoso i cristalli liquidi, trasparenti come vetro.
-Andiamo. Vi riportiamo a casa.-
 
Angolo dell’autrice:
Ok, forse questo capitolo è un po’ lunghetto… volevo dividerlo in due parti, ma non sapevo in che punto spaccarlo. Ma! Passiamo ad alcune puntualizzazioni: sì, il John Watson riportato in questa storia, ha un fisico tendente a quello del soldato che era. Non dimentichiamo che in questo scritto, Londra è continuamente sottoposta agli attacchi e, per quanto il ruolo di John in questa lotta sia stato, dopo la ferita alla spalla, marginale, egli ha comunque contribuito a modo suo a combattere i draghi. Quindi diciamo che il John descritto è più o meno così: http://intryck.deviantart.com/art/Army-Doctor-289646570
Ma non è finita. Orrore degli orrori, ho cercato di disegnare almeno il volto della madre di Sherlock: volevo pubblicarlo, ma a quanto pare al sito non piace il mio disegno. Ha ragione, vi ha appena salvato la vita! E ora, spazio ai ringraziamenti!
FKk: eheh, anche il violino qui avrà una sua importanza, eh! Mai sottovalutare un oggetto del genere, specie se impugnato da Sherlock Holmes. Per quanto ne sappiamo, potrebbe esserci una bomba, lì dentro XD No, l’assassino nominato da Sherlock all’inizio non è comparso e probabilmente non comparirà. Mi serviva per uno scopo ben preciso, ma CREDO che non sia necessario farlo comparire. Credo. Insomma, non fidarti delle mie risposte. Ehi, io il mio disegno l’ho messo. Adesso tocca a te, voglio vederlo!!! Altrimenti niente capitolo nuovo! A prestissimo!
Fatelfay: no, scusa! Non volevo farti piangere! No dai, non scrivo bene. Pensa che io non ragiono proprio quando lo faccio, quindi sono più che certa di aver scritto certe cretinate allucinanti, ma preferisco sempre non rileggere, altrimenti cancello tutto… eheh, riguardo al finale felice… vedremo. Muahahahah sono tutti nelle mie mani! Temete, lettori! A presto e grazie mille e mille volte per il bellissimo commento!
Sonia_0911: in effetti, Molly è parecchio maltrattata… povera. Anzi, no: poveri tutti loro. Si licenzieranno tutti, me lo sento. Sherlock ci ha già provato, ma ho in ostaggio le sue sigarette, quindi non può fuggire. In realtà, tendo a basare tutte le mie storie sulle mie correnti di pensiero. Ai miei occhi, qualsiasi guerra nasce per un motivo che poi, tuttavia, a lungo andare si dimentica. La gente muore, e chi uccide non ricorda neanche più perché lo fa. È una realtà triste, ma vera. Ora, lasciando perdere la mia deficienza e tutte le cretinate che scrivo, grazie mille per il commento e a prestissimo!
Kimi o Aishiteiru: Molly FORSE non darà problemi ai due piccioncini. In realtà, per ora ci sta pensando Sherlock, ma John è una testaccia dura, quindi la nostra cara Furia Buia può provare a fare il signorino quanto vuole, ma non ci riuscirà. Qui ho già degli striscioni appesi con su scritto “FORZA JOHN”. (Sono bellissimi, vero? nd Gabriel)(no, Gabe. Sono terrificanti. E cosa sono quegli scarabocchi?!)(non si capisce? Ho disegnato quei due che copulano come conigli! Devono accoppiarsi! Ora! Lo aspettano tutti, parlo a favore delle folle! Nd Gabriel)( cos… E TU APPENDI IN GIRO I DISEGNI DI GENTE CHE SI ACCOPPIA?! Che poi non sembrano neanche Sherlock e John! Li avevo scambiati per due gibboni paralitici!)( fingerò di non essere offeso… nd Gabriel). Non ci vuole tanto per scrivere meglio di prima, eh! Eee comunque, Irene spunterà di nuovo, ma un po’ più in là. Avrà il suo ruolo, stanne certa. Moriarty… silenzio stampa, non anticipo niente. E, come ultima cosa: come al solito, grazie dal profondo del cuore e saluti ad amiche e splendida sorellina!
Sparrow: nnnnooooo non morire! Visto? Stavolta John si è preso la sua rivincita, togliendosi il maglione davanti a Sherlock. E mica può girare solo lui a torso nudo, il pubblico reclama. Eh, credo che più in là la storia di John tornerà a farsi presente, ma per ora ci occupiamo di quella di Sherlock. Grazie per il commento e per la pazienza dimostrata nel leggere ogni volta i capitoli che pubblico. Grazie di cuore, a presto!

Tomi Dark Angel
 

 
  
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