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Autore: casty    28/04/2014    3 recensioni
Cosa ci fanno Sherlock e John travestiti da Merlin e Arthur al Comicon di Londra? Cercano un serial killer, che domande! Se la dovranno vedere con un gruppo di fanciulle furbe, spietate e ossessionate da una strana passione...
[post stagione 3][rapimento]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Sulle tazze da tè era stampata una foto di John e Sherlock inscritta all’interno di un cuore circondato da tanti cuoricini rossi più piccoli.
John chiuse gli occhi e strinse i pugni esasperato. Sentì improvvisamente la mancanza di quelle orrende tazze coi gattini che ogni tanto tirava fuori Mrs. Hudson.
Sospirando, prese il vassoio con tazze e teiera (anch’essa decorata con la stessa fantasia) e lo posò sul tavolo della cucina.
«Ci sono due cose che sfuggono alla mia comprensione» disse Sherlock dal salotto.
«E sarebbero?» rispose John mentre accendeva il bollitore.
«Punto primo: il motivo di questa carnevalata.» disse Sherlock accennando con un movimento della testa ai costumi da principe e principessa abbandonati sul divano. «Sei davvero sicuro di avermi raccontato tutto quello che è successo? Ci deve essere qualche particolare che non hai notato.»
Sherlock accavallò le gambe con un movimento fluido. Era seduto sulla sua poltrona. O meglio: sulla replica della sua poltrona. Dalle finestre, da dietro le tende, entrava una luce calda che sembrava in tutto e per tutto quella del sole. Ma John sapeva che era solo un’illusione, che si trovavano all’interno di un set che riproduceva con precisione il loro appartamento di Baker Street e che quella luce proveniva da fari cinematografici.
«Come ti ho già detto» disse John in tono forzatamente indifferente «mi sono svegliato in costume, poi sono venuto a cercarti e ho trovato la tua stanza trasformata e te con quella roba indosso. Poi quella tizia, Midonz, mi ha parlato e mi ha detto che siamo prigionieri. Mi ha mostrato gli ostaggi e ha detto che presto ci faranno delle richieste, non ha specificato di che tipo.»
John aprì il frigo e cercò il latte: non aveva mai visto ripiani tanto carichi di cibo.
«E poi dopo un po’ mi sono svegliato anch’io.» concluse Sherlock. Sbuffò. «E la shipper non ti ha fatto nessuna richiesta.»
John sollevò le sopracciglia e allargò le mani sorridendo debolmente: «Te l’ho detto, no.»
Sherlock non sembrava essersi accorto che stava mentendo. John era stato indeciso fino all’ultimo se dirgli o meno del bacio ma alla fine non ne aveva avuto il coraggio.
Sherlock, ovviamente, lo aveva sommerso di domande. E aveva scandagliato e analizzato ogni parete, angolo, suppellettile della casa. Per fortuna John si era risparmiato qualche ora di interrogatorio addormentandosi provvidenzialmente sul divano (lo stress aveva avuto la meglio sulla preoccupazione ed era crollato senza accorgersene).
 
Subito dopo il bacio John non ce l’aveva fatta a rimanere nella stanza insieme al bell’addormentato ed era tornato in salotto. Sul divano aveva trovato, accuratamente lavati e stirati, dei vestiti “normali” per lui e per Sherlock. Quando li avevano portati? Erano vestiti che provenivano dal loro guardaroba, non erano semplicemente modelli simili, John li aveva riconosciuti da alcuni piccoli particolari: l’etichetta strappata dalla maglietta, le maniche del maglione infeltrite, uno strappetto verticale sull’orlo dei jeans.
John si era cambiato. Per qualche momento aveva ponderato l’idea di tornare da Sherlock, togliergli l’abito da principessa, rivestirlo coi suoi indumenti, e trascinarlo a peso morto in salotto, per evitare al risveglio domande imbarazzanti sul significato di quei costumi. Poi aveva deciso che non era il caso: non avrebbe saputo dove nascondere i costumi e non poteva smantellare la scenografia nella stanza da letto, le domande ci sarebbero state ugualmente. Ma soprattutto voleva evitare di dare alle psicopatiche materiale equivoco su cui fantasticare. Lui che spogliava Sherlock: come aveva potuto passargli per la mente un’idea simile?
Dopo circa un’ora, durante la quale John si era sforzato in tutti i modi, senza riuscirci, di non pensare al bacio, aveva sentito dei deboli rumori provenire dalla stanza di Sherlock. Gli orologi segnavano l'una del mattino, ma era impossibile sapere se fosse l'ora reale. John aveva represso un lieve, inspiegabile senso di nausea, si era diretto verso la stanza, e quando era arrivato al corridoio la porta della camera si era spalancata sulla figura di Sherlock avvolta in quel ridicolo abito azzurro scollato. Sherlock teneva in mano la rosa rossa; aveva fatto un passo incerto e si era appoggiato allo stipite della porta. Poi aveva guardato la rosa, quasi come se volesse porle una domanda. L’aveva buttata a terra. Aveva sollevato un lembo dell’abito con aria disgustata. «Stai bene?» aveva chiesto John. Sherlock l’aveva guardato stringendo gli occhi per metterlo a fuoco. Poi aveva percorso il corridoio e scostato John per andare in cucina. Arrivato lì si era guardato intorno per qualche secondo e aveva concluso: «Questa non è casa nostra.»
 
«Quindi ci hanno vestiti da principe e principessa solo per ridicolizzarci. Se è così sono profondamente deluso.»
Il tè era pronto, John sapeva che a Sherlock piaceva ben zuccherato: portò il vassoio in salotto e porse la tazza a Sherlock.
«Erano, ehm... le uniche tazze disponibili.» si giustificò John, vergognandosi quando i suoi occhi caddero su quella stupida foto coi cuoricini.
Sherlock prese la tazza senza nemmeno guardarla.
Bevve qualche sorso di tè ed emise un mormorio di approvazione; poi posò la tazza sul tavolino accanto a sé, premette le mani una contro l’altra come se stesse pregando e le portò davanti alla bocca. Era il suo tipico gesto di concentrazione.
Sprofondò nello schienale della poltrona.
«Io conosco la mente delle shipper » disse «conosco gli insondabili abissi di morbosità delle loro macchinazioni mentali. Ah, John, se solo avessi analizzato qualcuna delle loro fanfiction li conosceresti anche tu. Non è possibile che fosse solo un tentativo di prenderci in giro, dovevano avere qualche altro scopo.»
John aggrottò le sopracciglia e annuì, fingendo perplessità. Sedette anche lui sulla sua poltrona e prese un sorso di tè. Uhm, era davvero ottimo!
Pensò alle parole di Sherlock: gli insondabili abissi di morbosità. Gli sembrava una descrizione calzante della psicologia delle loro sequestratrici. Un bacio. E poi? Cosa avrebbero chiesto?
Forse avrebbe dovuto dire a Sherlock quello che aveva fatto. Quello che lo avevano costretto a fare. Prima o poi sarebbero tornate all’attacco con una nuova pretesa, e forse avrebbero raccontato tutto loro stesse: del bacio, di quanto era stato romantico e stupidaggini simili. Certo, quella donna, Midonz, gli aveva promesso che non avrebbe detto nulla: ma come poteva fidarsi di una malvagia shipper – come la chiamava Sherlock – serial killer psicopatica?

«La seconda cosa che non riesco a capire» disse Sherlock «è perché non ci hanno più contattato. Sono passate quasi dieci ore da quando mi sono svegliato e la presenza degli ostaggi significa che vogliono farci delle richieste. Ma ancora niente. Sembra quasi che stiano aspettando qualcosa.»
John scosse la testa e strinse le labbra. «Non lo so, Sherlock.» disse.
Stava di nuovo mentendo. Non poteva esserne certo, ma sospettava che il motivo di quell’attesa fosse il gusto di vedere John sulla graticola. Chissà quanto si stavano divertendo a osservare il suo imbarazzo, a guardare come reagiva alle domande e ipotesi di Sherlock. Loro sapevano che lui l’aveva baciato. John sapeva che loro sapevano. Loro sapevano che John sapeva che loro sapevano. Eccetera. E ogni volta che Sherlock parlava della sera precedente, e di quello che era e non era successo, la scena del bacio si proiettava nuovamente nel cervello di John e lui non riusciva – semplicemente non ci riusciva! – a guardare Sherlock negli occhi. Sherlock, per fortuna, sembrava non farci caso (o fingeva di non farci caso, ipotesi forse più probabile). Ovviamente non era solo il ricordo del bacio a metterlo a disagio, anzi, forse il bacio era stato l’episodio meno sconvolgente della serata (nonostante fosse quasi l’unica cosa a cui la sua mente continuava a tornare). Erano stati drogati, rapiti, e insieme a loro erano state rapite anche altre persone, degli ostaggi. I loro più cari amici, probabilmente: Mrs. Hudson? Molly? Harry? John non poteva saperlo. Aveva visto un gruppo di persone, in quel video, ma non avrebbe saputo dire quante fossero: dieci? quindici?
Non era detto che fossero tutti ostaggi: in fondo il killercon era un’organizzazione formata da un gran numero donne. Forse avevano inserito nell’inquadratura qualcuna di loro, per far numero, per far sembrare che gli ostaggi fossero tanti. Per avere più potere contrattuale con John e Sherlock. Ma se fosse stato un bluff l’avrebbero scoperto presto.
 
«C’è qualcosa che mi sfugge, qualcosa che non sappiamo...» disse Sherlock con stizza.
Diglielo, John.
E come avrebbe potuto dirglielo?
Ah, senti, Sherlock, quasi dimenticavo: ti ho baciato.
Troppo casuale.
Sherlock, perdonami!
Troppo patetico.
Sono stato costretto! Volevano uccidere Mike Stamford!
Troppo melodrammatico.
«Oh, questa è una novità interessante!» disse Sherlock battendo le mani.
John udì un familiare ronzio elettronico e capì cosa stava succedendo ancora prima di voltarsi a guardare: uno schermo piatto stava calando dall’alto, lungo la parete del caminetto. Era molto più grande di quello che era apparso la sera prima in camera di Sherlock.
Ci siamo, pensò John, nuovo ostaggio, nuova richiesta.
Lo schermo si fermò davanti allo specchio sopra al caminetto. John si schiarì la voce, nervoso. Sherlock si alzò in piedi e si allontanò di qualche passo, come per osservare meglio.
Lo schermo si accese.
Sfondo rosso, una scritta gialla a caratteri gotici: Evil Shipper League™ productions is proud to present... In sottofondo partì una musica dal carattere trionfale: archi, ottoni, ritmo sostenuto. A John sembrava vagamente familiare, ma non riusciva a identificarla.
Cambio di titoli: ...based on a true story...
John lanciò un’occhiata a Sherlock che osservava lo schermo quasi affascinato.
Nuovo cambio: ...the greatest love story ever told... La musica trionfale cresceva, sembrava portare verso una conclusione.
Sfondo blu, due nomi affiancati: Sherlock Holmes - John Watson
«Dio, no.» sussurrò John che temeva di aver capito. Si morse un labbro.
Cambio di inquadratura. Un libro intarsiato su un tavolo verde: arazzi sullo sfondo, una candela in primo piano. La telecamera strinse sul libro, sulla copertina era inciso un titolo:
 
Sleeping Consulting Detective.
 
No, no, no!
John si passò una mano sul viso.
«Sherlock...» disse debolmente.
«Zitto!» sussurrò Sherlock concentratissimo. Con un gesto della mano impose a John di tacere.
La sontuosa introduzione musicale terminò in una dolce melodia, una melodia che John riconobbe all’istante: era il valzer della Bella Addormentata di Tchaikovsky.1
Il libro si aprì. All’interno c’era un disegno a colori pastello, un principe biondo seduto ai piedi di un letto, sul quale dormiva una figura dai capelli scuri. I disegni sfumarono e si trasformano in un’inquadratura reale, identica al disegno: i protagonisti erano il principe John e il bell’addormentato Sherlock. Il principe John aveva un’aria sconsolata, quasi disperata. Stacco. Primo piano di John, un’espressione triste sul suo volto. Altro stacco, primo piano di Sherlock addormentato.
«John, cos’è questo?» chiese Sherlock con sguardo accigliato.
John sprofondò nella poltrona. Non avrebbe saputo dire se era più imbarazzato o arrabbiato: manipolando le inquadrature sembrava che il principe John si stesse struggendo per il bell’addormentato Sherlock, quando invece in quel momento, quando era crollato a sedere accanto al letto, era semplicemente scoraggiato e sopraffatto dalla situazione: il rapimento, gli ostaggi, le richieste delle shipper.
Sullo schermo, il principe si alzò in piedi, con il costante accompagnamento della colonna sonora di Tchaikovsky. John abbassò gli occhi: non aveva il coraggio di guardare. Sprofondò ancora qualche centimetro nella poltrona, desiderando ardentemente di potersi trasformare in un pezzo d’arredamento. Incrociò le braccia davanti al petto. Lanciò un’occhiata furtiva a Sherlock che fissava lo schermo immobile, sopracciglia aggrottate, bocca lievemente socchiusa.
John si fece forza e guardò di nuovo lo schermo: doveva guardare, doveva vedere quanto la sua performance era stata convincente, e quindi quanto avrebbe dovuto vergognarsi alla fine.
Il principe si avvicinò al bell’addormentato e lo osservò, figura intera. Riguardandosi John notò una serie di tic nervosi di cui non si era reso conto: si mordicchiava l’interno del labbro, sollevava a intermittenza il tallone destro e passava il pollice su e giù lungo il pugno chiuso. Aveva uno sguardo amaro, triste. A cosa stava pensando in quel momento? Cercò di ricordare: a Mary? Poi lo sguardo del principe si addolcì e un sorriso quasi sognante gli illuminò il viso. John si sentì avvampare. Sono un bravo attore, pensò.
Il principe si chinò sul bell’addormentato. John mise una mano davanti agli occhi ma sbirciò la scena dalle dita aperte. La presenza silenziosa di Sherlock incombeva alle sue spalle. Chissà cosa sta pensando. No, non voleva saperlo.
Il principe posò una mano sul volto del bell’addormentato, e maledizione! cos’era quello sguardo estasiato? John non avrebbe mai pensato di essere un attore così convincente. Si agitò a disagio sulla poltrona mentre il viso del principe si avvicinava a quello del bell’addormentato e... alla fine John serrò gli occhi: non riuscì a guardare il culmine della scena.
Tenne gli occhi chiusi per un tempo indefinito. La musica sfumò in sottofondo.
Silenzio.
Silenzio totale.
Non si sentiva nemmeno un respiro.
Ok. L’ho ucciso, pensò, Sherlock è morto per lo shock.
Alla fine John si fece forza e guardò Sherlock con la coda dell’occhio.
Sherlock stava ancora fissando lo schermo ormai spento con le palpebre spalancate e John si stupì nel notare un lieve rossore sulle sue guance. Girò gli occhi di scatto e si guardò i piedi che erano rannicchiati sul bordo della poltrona.
Sono riuscito nell’impresa impossibile di imbarazzare l’impermeabile Sherlock Holmes?
Doveva dire qualcosa. Diede un colpo di tosse che riecheggiò minaccioso nella stanza.
Posò i piedi a terra e si stiracchiò. Gli sembrava di avere tutti i muscoli intorpiditi. Abbozzò un sorriso. Voltò la testa verso Sherlock ma non riuscì a fermare lo sguardo su di lui, e si mise, invece, ad ammirare ogni piega del divano sullo sfondo.
«E quindi...» abbozzò John.
«Mh.»
Colpo di tosse: «Non...»
«Sì?»
Si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi John si voltò verso lo schermo.
«Ok, credo...» cosa avrebbe dovuto dire? Doveva spiegare le circostanze. Doveva dirgli di Mike Stamford. Perdonami Sherlock, cerca di capire.
John aprì la bocca per parlare, ancora indeciso su ciò che avrebbe detto.
«Permettetemi di interrompere questo momento di gelo» disse una voce dal nulla, quasi ridacchiando. Era Midonz. John non avrebbe mai creduto di essere felice di sentire di nuovo quella voce, ma in quel momento salutò l’interruzione con gratitudine.
«Finalmente ci sentiamo.» disse Sherlock in tono pacato. Improvvisamente sembrava tornato di nuovo padrone della situazione.
«Allora? Vi è piaciuto il film?» chiese lei.
«Maledetta, mi avevi promesso che non gli avresti detto niente!» sbottò John ritrovando il coraggio di parlare.
«Certo, e ho mantenuto la promessa. Non ho detto nulla. Ho mostrato.»
«Come sei ingenuo, John.» commentò sottovoce Sherlock.
John strinse i pugni e abbassò la testa. Ingenuo era un aggettivo clemente.
«Sei Midonz?» chiese Sherlock.
«Sì, sono io. Ci siamo già incontrati al Comicon, ma permettimi di dirti ancora una volta che è davvero un grande onore conoscerti, Sherlock Holmes.» proseguì lei «Sono... anzi, dovrei dire, siamo tutte vostre grandi ammiratrici.»
«Mie grandi ammiratrici.» la corresse lui, presuntuoso come sempre.
«Oh, no no. Vostre ammiratrici. Noi pensiamo che il vostro amore sia il più bello, puro, perfetto...»
«Di nuovo questa storia?» la interruppe John.
«Come l’avete costretto a baciarmi?» chiese Sherlock inaspettatamente. Ostentava sicurezza e indifferenza, ma a John era sembrato di sentire un lieve, quasi impercettibile inciampo della voce sulla parola “baciarmi”.
«Guardando il film non mi è sembrato proprio di vedere una persona costretta.» disse lei.
«Gli ostaggi.» disse John cupo «Mike Stamford.»
«Gli ostaggi sono solo un incentivo per farvi fare quello che non volete ammettere di voler fare.»
«Travestirmi da principessa Disney?» disse Sherlock sarcastico «È vero, era il mio desiderio segreto. Grazie di avermi dato questa opportunità.»
Midonz rise. «Sai benissimo di cosa sto parlando.»
«La vita non è una fanfiction» disse Sherlock.
«Ma se lo fosse sarebbe tutto più semplice. Pensa! Gli innamorati restii a dichiararsi troverebbero sempre una stanza da letto in cui sono costretti a dormire insieme, una scommessa che li obbliga a baciarsi, un armadio stretto e buio dove devono nascondersi. Esisterebbero il TARDIS, Hogwarts, i vampiri, gli elfi, e tutti potremmo finire in un universo alternativo in cui la magia esiste o in cui le persone si legano per la vita dopo il primo rapporto sessuale. Nella realtà invece le persone non riescono a comunicare. Due persone innamorate potrebbero non riuscire mai ad amarsi per paura o incomprensione. Noi vi stiamo dando l’opportunità di vivere una fanfiction. Vi costringeremo ad amarvi, per darvi la possibilità di amarvi liberamente.»
Ci fu qualche secondo di silenzio.
«Tu. Sei. Completamente. Pazza.» disse infine John. Poi guardò Sherlock. Aveva un’espressione che sembrava quasi... ammirata?
«Ora sì che vi riconosco.» disse Sherlock «Finalmente riconosco la vostra ossessiva, compiaciuta, ingegnosa perversità.»
«E ti piace?» chiese Midonz.
«Apprezzo il modo intelligente in cui avete messo in atto il vostro perverso piano.»
John guardò Sherlock perplesso. Sherlock si fece improvvisamente serio.
«Ciò che non apprezzo» continuò con voce dura «e che, anzi, mi rende furioso, è il modo in cui avete umiliato John. E risparmiati i commenti sdolcinati su quello che ho appena detto. Voi non sapete con chi state giocando. Siete riuscite a incastrarmi, ve lo concedo, avete vinto questa partita. Ma il gioco non è ancora finito.»
Il nodo che fino a quel momento aveva stretto lo stomaco di John si allentò. Tutto il disagio, la rabbia e la tensione che aveva accumulato fino a quel momento iniziarono a dissolversi. Sherlock aveva capito. Non avrebbe dovuto spiegare nulla, aveva capito tutto. Erano in quella situazione insieme e ne sarebbero usciti. John aveva fiducia in Sherlock.
«Il gioco in realtà è appena iniziato» disse Midonz «Ed è arrivato il momento della prossima partita. Per ora temo che dovrete continuare a giocare con le nostre regole.»
Lo schermo, che era ancora sopra al caminetto, si accese di nuovo e apparve il mezzobusto di Philip Anderson. Non sembrava legato, non era incappucciato. La sua fronte luccicava di sudore, ma a parte questo particolare sembrava tranquillo.
«Posso parlare?» disse Anderson guardando alla sua destra. Attese qualche secondo poi si rivolse di nuovo alla telecamera. «Ciao Sherlock, ciao John. Mi hanno detto di dirvi come sto. Sto bene.» Fece una risatina isterica. «Be’, ho paura, non lo nego. Ma mi hanno trattato bene. Mi hanno dato da mangiare, mi...» all’improvviso il suo volto si deformò, come se non riuscisse più a sopportare la tensione e si ruppe in pianto «Ommioddio, ho paura, Sherlock! Ho paura! Aiutami ti prego! Aiutami!»
Sherlock sollevò gli occhi al cielo. «Potrebbe anche darsi un po’ di contegno...»
«Ti devo ricordare che è prigioniero di un gruppo di serial killer?» lo rimproverò John.
«Lo siamo anche noi, ma non facciamo tutte quelle scene.» disse Sherlock arricciando il naso.
«Come potete vedere il vostro amico Philip sta bene, isteria a parte.» disse Midonz.
«Anderson non è mio amico.» puntualizzò Sherlock quasi offeso.
John lanciò a Sherlock un’occhiataccia.
«Ho già spiegato tutto a John, ma siccome non ti ha detto granché lo ripeterò: gli ostaggi saranno trattati bene fino al momento in cui verranno scelti. Poi la loro vita sarà in mano vostra: se vi comporterete bene e farete quello che vi chiederemo verranno, uno a uno, rimandati a casa vivi. Se vi comporterete male faranno una brutta fine. Tutto chiaro?»
«Chiarissimo.» rispose Sherlock. Congiunse le mani dietro la schiena e fece qualche passo per la stanza. «E quindi cosa dobbiamo fare per liberarvi dai noiosi piagnucolii di Anderson?»
«Non preoccuparti, i piagnucolii di Anderson li trovo divertenti. Ma me ne priverò volentieri se porterete a termine la prima prova d’amore.»
«E all’improvviso il sequestro si trasformò in un brutto incrocio tra il Gioco delle Coppie e The Hunger Games» commentò John.
«E quale sarebbe questa prova?» chiese Sherlock.
«Il bacio di John era solo un’introduzione, volevamo mostrarvi quanto siete belli insieme. Adesso è arrivato il momento che prendiate coscienza dei vostri sentimenti.» disse Midonz. Fece una breve pausa. Sherlock inclinò la testa e socchiuse gli occhi.
«Non sarà difficile, dovrete solo aprire il vostro cuore.» disse infine «Dovrete scrivervi una lettera d’amore.»

***

Note:
1. Penso che lo conosciate tutti, ma in caso non lo conosciate, questo è il brano in questione. Il balletto La Bella Addormentata di Tchaikovsky è la suite su cui è basata (con rielaborazioni) la colonna sonora del film Disney, e sulla melodia del valzer è stata costruita la famosa canzone di Aurora "Sooo chiii sei, vicino al mio cuor, ogni or sei tuuu" (ahah, le traduzioni italiane vintage delle canzoni Disney mi fanno sempre ridere ^^).
Piccola nota extra: l'inquadratura del libro con la candela, nel film Sleeping consulting detective (un film che vorreste vedere tutti, ci scommetto!) è identica alla prima inquadratura del lungometraggio Disney. Le shipper fanno le cose per bene ;)
   
 
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