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Autore: lulubellula    28/04/2014    3 recensioni
OutlawQueen
Regina si ritrova catapultata in un luogo sconosciuto dopo Neverland, qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, è sola, stanca e ferita.
Sola con la sua coscienza, si ritroverà a fare un bilancio della sua vita, delle sue scelte e delle sue azioni, in un luogo in cui, dimenticare chi è stata non può farle che bene.
Un nuovo inizio, una nuova vita e anche un nuovo amore.
Alla ricerca della felicità e del lieto fine che ha sempre rincorso e che ora si merita.
"Robin si fermò un istante ad osservarla, i suoi occhi si soffermarono su di lei, pur non conoscendola, pur non sapendo chi lei fosse in realtà, non poté far a meno di restare stregato da lei, dalla sua figura sottile, da quel lampo di luce e di dolore che aveva colto quando lei si era voltata, qualche istante prima che perdesse i sensi".
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Finding true love (because everyone needs a happy ending)
Blood

 
Regina si svegliò di soprassalto poche ore dopo, era a malapena mattina e, uscita dalla tenda, vide l’alba e i suoi colori, il rosso e l’arancio che si stavano schiarendo e perdendosi in quello che sarebbe pian piano diventato un azzurro tenue, circondato da qualche pennellata di bianco, le nuvole.
Si sgranchì, probabilmente gli altri stavano ancora dormendo e non li voleva svegliare, non dopo il benvenuto furioso che aveva ricevuto il giorno precedente da Little John e che, con buona probabilità, era condiviso anche da molti altri.
Gli unici che non sembravano pensarla allo stesso modo erano Robin Hood e il suo dolcissimo figlioletto Roland.
Quel bambino era così piccolo e fragile ai suoi occhi, così bisognoso di cure materne, cure che di certo la moglie di Robin non gli avrebbe mai fatto mancare.
Eppure è strano, pensò, non c’era traccia della donna nei dintorni, né Robin gliel’aveva ancora presentata.
Forse era presto per nuove presentazioni, di sicuro l’avrebbe incontrata quanto prima.
Si immaginava una donna forte, nobile e fiera, del resto era pur sempre stata la promessa sposa di quello scellerato del Duca di Nottingham, una delle persone più noiose e untuose che le fosse mai capitato di incontrare.
Strano, pensò, una nobile che rifugge agli agi e alle ricchezze per inseguire il vero amore, nel bel mezzo della foresta con un taccheggiatore dal sorriso estremamente seducente.
Non era di certo da tutte, si disse, quella Marian doveva essere di certo una donna che sapeva il fatto suo.
Regina prese a camminare, persa nei suoi pensieri, finché noto che non era l’unica ad essere sveglia di prima mattina.
Robin.
Anche lui era in piedi, abbigliato in quel buffo modo, calzoni, quasi una calzamaglia a dir la verità, verde muschio e un mantello più pesante appoggiato sulle spalle che gli ricadeva fin sopra i polpacci.
Aveva qualcosa con sé.
“Fiori” mormorò la donna tra sé e sé, ogni stelo e ogni petalo come una coltellata al petto, al cuore, e anche se non sapeva come né perché, anche se sapeva sin da principio come stessero le cose, sentì una profonda, forte, pungente sensazione di gelosia.
Si ritrovò a seguirlo, malgrado il buonsenso, malgrado la sua nomea di Regina Cattiva e tutto il resto, lei si ritrovò a distanziarlo quanto bastava a non farsi scoprire da lui.
Voleva proprio vedere che direzione lui stesse prendendo, dubitava che sua moglie si trovasse molto lontano da lì.
Che avesse forse un’altra donna ancora?
No, si disse, non era un mascalzone dopotutto, le era sembrato sin da subito un uomo sincero e leale, una persona meritevole di fiducia, persino della sua.
Camminarono per una manciata di minuti in silenzio, l’uno quasi raccolto nel suo cammino, l’altra silente per ovvi motivi, non era proprio il caso di fare la figura della ficcanaso, non dopo il debito di riconoscenza che aveva contratto nei suoi confronti.
Si inoltrarono ulteriormente nel folto del bosco, la foresta di Sherwood pareva essere un labirinto intricato alle volte, gli alberi si assomigliavano tutti, i sentieri anche; avrebbe dovuto far attenzione a non perderlo di vista perché smarrirsi in quel luogo era davvero semplicissimo.
Ad un certo punto lui si fermò, si inginocchiò nel bel mezzo di una piccola radura e si portò le mani alla testa, come raccogliendosi su se stesso.
Appoggiò i fiori variopinti su quella che aveva tutta l’aria di essere il luogo dell’ultimo riposo di una persona a lui cara.
“Oddio!” pensò Regina, realizzando di colpo il tutto.
Sua moglie non c’era più e Roland era orfano di madre.
Le si strinse il cuore, pensando a quel dolcissimo e vivace fanciullino che le aveva dipinto un sorriso sulle labbra sin da subito.
Fece per andarsene via nel modo più silenzioso possibile, ma, suo malgrado, pose il piede su un ramo secco, che si spezzò con un rumore sordo.
L’uomo si alzò immediatamente in piedi e fu lesto a recuperare una freccia, pronto a scoccarla contro il malintenzionato di turno: il suo accampamento doveva restare nascosto allo Sceriffo di Nottingham e ai suoi bravacci.
Regina soffocò un moto di paura, aveva timore che l’uomo l’avrebbe attaccata e che fosse offeso dalla sua presenza.
Si fece tuttavia coraggio e avanzò di qualche passo.
“Sono solo io, Regina, mi dispiace di avervi fatto spaventare. Io … non avrei dovuto, mi dispiace, ho sbagliato” fece per andarsene via, ma l’uomo la prese per un lembo della giacca.
“Regina, non vi preoccupate! Sono lieto di vedere che non siate uno degli scagnozzi del Re che vogliono farmi la pelle un giorno sì e l’altro pure. Siete una piacevolissima visione in confronto a loro” fece un leggero inchino.
“Questi inglesi- pensò lei – con tutti i loro modi e le loro cerimonie!” ma in fondo ne era piacevolmente colpita e anche se non l’avrebbe ammesso mai e poi mai, a maggior ragione a se stessa, ne rimase lusingata.
“Io mi sono alzata presto – disse lei per giustificarsi – e avevo bisogno di un po’ di spazio per respirare in santa pace, soprattutto dopo ieri. Non stavo seguendoti, cercavo solo di non perdermi in questa foresta infinita”.
Robin sorrise, a quanto sembrava Regina lo stava seguendo eccome!
“No, certo che non mi stavate seguendo – iniziò – Capisco che voi abbiate avuto bisogno di una pausa da tutti i trambusti di ieri e mi scuso ancora con voi per il comportamento riprovevole di Little John. Non aveva alcun diritto di attaccarvi in quel modo, siete un’ospite qui, non un ostaggio, non una prigioniera, Regina” disse sottolineando con una dolcezza il nome della donna.
“Stavate cercando qualcuno?” chiese Regina, felice di cambiare argomento e di saperne di più della vita dell’uomo, ma cercando di avere quanto più tatto possibile, visto che la situazione lo richiedeva.
Robin abbassò lievemente il capo e annuì.
“Sono venuto a trovare qualcuno, qualcuno che non c’è più”.
Regina si sentì in profondo imbarazzo e si pentì amaramente di averglielo chiesto.
“Scusatemi, non avrei mai dovuto permettermi di chiedervi nulla. Sono cose private, cose vostre”.
“No, avete fatto bene, venite con me – le porse la sua mano destra – vi voglio presentare a qualcuno”.
Regina gli strinse la mano, la stessa sul cui polso aveva il tatuaggio, quello del leone, sentì come una scossa, come se un flusso di elettricità le avesse percorso il corpo, cercò di sciogliere la presa ma Robin la strinse a sé e non la lasciò scappare via.
Lei lo lasciò fare e si lasciò condurre da lui nel piccolo cimitero.
“Questo è il luogo in cui mia moglie riposa in pace da quattro anni ormai. Regina, lei è Marian, l’amore della mia vita e la madre di Roland”.
Regina si sentì come morire di fronte a quelle parole, l’amore della sua vita, Trilli aveva ragione, lei era davvero arrivata troppo tardi.
Una lacrima le sfuggì dagli occhi e le scivolò lungo le guance.
“Vi siete commossa, Milady” le chiese Robin incuriosito e anche un po’ preoccupato.
Regina parve non ascoltarlo.
“Devo andare, non avrei dovuto, è stato uno sbaglio. Mi dispiace, mi dispiace per tutto”.
Iniziò a correre via, tutto ciò che aveva scoperto quella mattina era troppo, troppo da sopportare.
Aveva già sofferto abbastanza, non poteva permettere che succedesse di nuovo: conoscere qualcuno, innamorarsi, fare dei progetti con lui e poi dover sopravvivere alla sua perdita.
Il suo cuore non avrebbe retto, non un’altra volta.
Non hai solo rovinato la tua vita, hai distrutto anche la sua.
Le parole di Trilli le ronzavano nella testa, nelle orecchie: doveva fermarsi, tutto si stava facendo sfocato, confuso.
Si tocco la fronte, madida di sudore e calda, la febbre era tornata, avrebbe fatto meglio a starsene a letto e a riprendersi del tutto.
L’unico a cui forse sarebbe importato qualcosa del suo stato di salute era probabilmente Robin, gli altri, Little John tra i primi, avrebbero banchettato sulla sua tomba se solo fosse stato loro possibile.
Si sedette per terra, la schiena appoggiata contro le fronde di un vecchio abete.
Iniziò a respirare in modo più regolare, sentiva il cuore batterle veloce nel petto, le pulsazioni sembravano essere schizzate a mille.
Chiuse gli occhi.
Iniziò a piangere senza alcun ritegno, le lacrime le sgorgavano copiose lungo le guance pallide e smunte, erano come un fiume in piena dopo un lungo periodo di siccità, scorrevano e portavano con sé tutto ciò che trovavano lungo il percorso: il rimorso, la paura, la nostalgia, il suo passato oscuro, Daniel e ora Robin, tutta quest’amalgama di emozioni stava tuonandole nel cuore, come un temporale improvviso e rovinoso di mezz’estate.
Sentiva Robin chiamarla in lontananza, ma non rispose, non avrebbe saputo cosa dirgli, non avrebbe saputo come prenderlo, né spiegargli la ragione del suo gesto.
Si portò una mano al fianco sinistro, non vi dava un’occhiata da due giorni, né l’aveva medicato, cambiando la benda sporca con una pulita.
Con buona probabilità la febbre era dovuta a questo: l’infezione non si era arrestata e la ferita stava peggiorando a vista d’occhio.
Si tolse la giacca a fatica.
Era stata così stupida nei giorni precedenti a spingere il suo corpo ben oltre le proprie possibilità e forze; prima le sette miglia per giungere sin lì, poi seguire Robin nel folto del bosco … per cosa poi?
Strinse i denti, le lacrime a scenderle per il dolore fisico provato questa volta.
La stoffa di cotone di cui era composta la benda aveva aderito completamente alla pelle e si era quasi unita a lei, dovette respirare, farsi coraggio e staccarla con decisione.
La ferita era rossastra e le abrasioni ai bordi non avevano per niente un bell’aspetto.
Che cosa si aspettava dopotutto? Che sarebbe rimarginata come per magia?
 
Le forze la stavano abbandonando definitivamente, aveva zittito i segnali di sfinimento del suo corpo troppe volte ormai, anche quella mattina, ma aveva finto di non sentirli e si era cocciutamente recata a spiare il ladruncolo.
Respirò e decise di attendere qualche minuto, provò a reggersi in piedi e ci riuscì a malapena; si guardò attorno e trovò un bastone al quale appoggiarsi per tornare indietro all’accampamento, anche se era quasi del tutto certa che non sarebbe riuscita a fare ritorno sulle sue gambe.
Prese a camminare, un passo avanti all’altro, destra, sinistra, di nuovo destra e poi sinistra.
Le ginocchia le tremavano, aveva la gola arsa e non aveva acqua con sé, né si era preoccupata di ingerire cibo nelle ultime ventiquattro ore.
Era stremata, era distrutta, a pezzi.
Daniel era morto, Robin era vedovo e innamorato per sempre di una donna che aveva avuto il coraggio di correre incontro al suo lieto fine.
Una volta che hai perso la tua anima gemella, è persa per sempre.
Le risuonavano nella mente le parole pronunciate da David molto tempo prima.
Perso.
Per.
Sempre.
Poi tutto si fece buio.
 
Robin continuò a chiamarla e a cercarla per parecchi minuti, ma non riuscì a trovarla da nessuna parte.
La foresta di Sherwood era sterminata, ettari e ettari di vegetazione a perdita d’occhio, sarebbe stato impossibile per un uomo solo, setacciarla palmo a palmo.
“Forse è tornata verso l’accampamento” si disse, fiducioso di poterla ritrovare lì o magari nella sua tenda, rifece ritorno dai suoi.
Impiegò poco più di una decina di minuti, arrivò quasi correndo dinnanzi al focolare e Roland gli corse incontro, contento di vedere il suo papà.
“Papà”.
“Ehi, piccolo. Hai visto Regina?”.
“No, papà. Perché? L’hai forse persa?” domandò il piccolo incuriosito e spaventato.
“Forse è solo qui intorno, vai a fare colazione con gli altri, poi ti raggiungo”.
Si diresse verso la tenda di Regina, sperando di trovarla lì, ma la trovò vuota, il letto sfatto e le lenzuola macchiate di sangue.
Si preoccupò, non era per niente un buon segno, sperava che la ferita al fianco fosse guarita e si maledisse per non aver insistito di più la sera prima affinché lei si lasciasse medicare.
Era troppo testarda e orgogliosa!
Troppo testarda e orgogliosa!
Strinse i pugni e prese con sé lo stretto necessario per curarla nel caso si fosse sentita male, acqua, cibo e frecce per ogni evenienza.
Si avvio verso le stalle in cerca del suo cavallo e lì vi trovò anche Little John.
“Robin. Sembri sconvolto. Qualcosa non va?”.
“Regina”.
Little John gli lanciò un’occhiata di disapprovazione.
“Lo sapevo che quella donna sarebbe stata una fonte di guai e nient’altro. Che ha combinato stavolta?” gli chiese senza nascondere tutta l’antipatia che covava nei confronti della regina.
“No, non si tratta di questo. Regina è scomparsa, era nella foresta con me e, ad un tratto è fuggita, non si trova più”.
“Un problema in meno per noi quindi. Avrà di sicuro tagliato la corda” sentenziò.
“Little John! Non ti permettere mai più di parlare di lei in quel modo! Regina è ferita, sta male ed è dispersa chissà dove a Sherwood! Ora  levati di mezzo e fammi prendere il cavallo perché non ho nessunissima intenzione che le accada qualcosa di male e non mi importa minimamente se tu non approvi!”.
Little John lo lasciò passare, rimase basito di fronte alle parole dell’amico, non lo vedeva in quello stato da quando era andato dall’Oscuro a rubare la bacchetta magica per salvare la sua Marian.
“Vuoi che venga con te?”.
“No, occupati di Roland, potrei stare via un bel po’, ma non preoccuparti, so badare a me stesso”.
L’uomo annuì.
“Ora vado”.
Salì a cavallo, ripercorse l’accampamento e si inoltrò nei boschi.
Era metà mattina, quasi mezzogiorno ormai, oltre due ore da quando aveva incominciato a cercarla e ancora non vi era alcuna traccia di lei in nessun luogo.
Decise di legare il suo destriero ad un albero e di proseguire a piedi per cercare qualche traccia in modo più agevole e accurato.
Camminò ancora, ancora e ancora, finché non notò un particolare che lo lasciò quasi tramortito: la giacca di Regina, lei la indossava sempre e, poco più in là delle bende macchiate di sangue, il suo.
Non poteva di certo essere lontana, visto che era ferita.
Sperò in cuor suo che le belve feroci che si nascondevano nella foresta non l’avessero attaccata, sedotte dall’odore del suo sangue.
Riprese a camminare, era sconvolto, la preoccupazione si era accresciuta esponenzialmente tanto che era divenuta vera e propria disperazione.
Poi, finalmente, la vide.
Era distesa per terra in posizione fetale, sembrava che dormisse.
Sembrava.
“Ti prego, fa che sia viva, fa che sia viva” mormorò l’uomo a tutti e a nessuno in particolare.
Si gettò a terra, incurante della terra che gli imbrattava le vesti, si avvicinò a lei e la prese tra le braccia.
Era fuoco ed era ghiaccio.
La fronte scottava, mani e piedi sembravano invece congelati, le labbra quasi blu.
Tirava vento, un vento forte e crudele.
Erano ore che se ne stava in balia del freddo.
Si fece coraggio e avvicinò la sua fronte al petto della donna: respirava ancora.
Piano, con dolcezza, si avvicinò a lei e la strinse a sé, una lacrima gli cadde dal volto e le finì sul collo.
Baciò le sue labbra nella speranza di riuscire a risvegliarla, a guarirla, a rivederla sorridere.
Non accadde nulla.
Non era sotto l’incantesimo di una qualche strega cattiva.
Lei era la Regina, lei era stata cattiva.
Lei stava morendo tra le sue braccia e lui non poteva farci nulla.
Poteva solo sentire la vita della donna che stava scivolandogli tra le dita.
Si sentì inutile, si sentì impotente, la prese tra le braccia e la strinse ancora più forte a sé.
Lei parve risvegliarsi.
Era debole, ma tentò di parlare.
“R-Robin”.
Lui prese a piangere, poi a sorridere.
“Regina? Come ti senti?”.
“S-sto morendo, non manca molto. Non credo che vedrò nascere un nuovo giorno” iniziò a mancarle il respiro, ma si sforzò di sorridergli debolmente.
“N-no, non è vero! Non puoi! Io … io non ti permetterò di lasciarmi da solo”.
“Non sentirai la mia mancanza, mi conosci solo da una manciata di giorni. La tua vita riprenderà a scorrere come prima, ti dimenticherai presto di me”.
“No, anche se non ti conosco da molto, io sento, non so come spiegartelo, io provo dei sentimenti profondi nei tuo confronti. Io, io ti amo, Regina”.
La donna gli sorrise e gli disse: “I cattivi non si meritano un lieto fine, Robin. Sono pronta a saldare il mio debito, sono pronta ad andarmene”.
“No! Dev’esserci un modo! Io voglio salvarti, voglio che tu viva!”.
Regina prese fiato e rispose: “Il lago di Nostos”.
“Cosa ?”
“Le sue acque hanno poteri curativi. Se vuoi salvarmi, mi devi portare lì, si trova a mezza giornata di viaggio da qui. Ma, Robin, questa è una scommessa con il destino, nulla ti dice che io sia ancora in vita quando arriveremo sulle sue sponde”.
Robin la prese tra le braccia, la fece salire a cavallo e salì a sua volta.
“Cerca di resistere e di tenerti aggrappata a me, se dovessi sentire che le tue forze vengano meno, avvertimi, che ti legherò a me per non farti cadere da cavallo. Viaggeremo il più velocemente possibile, spingerò il mio destriero oltre le sue possibilità per salvarti la vita”.
Regina si strinse a lui, le sue braccia ad intrecciarsi alla vita di Robin, lui le strinse a sé e si voltò a baciare la fronte della compagna di viaggio.
Regina rimase senza parole, Robin incitò il cavallo alla corsa.
“Tenetevi forte, Milady, stiamo andando a riprenderci il vostro lieto fine!”.
 
NdA:
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