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Autore: A Modern Witness    29/04/2014    2 recensioni
- Avanti, perché stai mangiando i miei biscotti? Che c’è? – La conosceva troppo bene, per non sapere che lei si dava ai cibi che lui riteneva salutari (mentre per i resto del genero umano erano immangiabili) solo quando c’erano problemi nell’aria.
Audrey si morse una guancia – Niente .-
Mancava ‘solite cose’ e allora il cantante le avrebbe potuto credere. Forse.
- Hai le pantofole addosso – Le fece notare, indicandole – Tu non fai mai le scale con le pantofole, se non quando hai altro per la testa .-
Maledetto.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tutti i fatti narrati non sono reali ma pura invenzione, i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.


.3.

 
- Così adesso tutti gli Echelon hanno un nuovo mistero da risolvere! – Esordì Madison, dall’altra parte del telefono, dopo essere andata sul profilo di Twitter di Jared è aver guardato la foto che il cantante aveva caricato la sera precedente.
- Io lo uccido – Minacciò Audrey, poteva immaginare l’amica ghignare davanti alla foto, soddisfatta di quei risvolti.
- Daii, non sembri nemmeno tu. Assomigli… -
- …a una che si è appena fatta di qualcosa – Ripeté Audrey le stesse parole con cui Jared, la sera prima, l’aveva descritta. Si sistemò gli occhiali sul naso, mentre teneva il telefono stretto tra il viso e il la spalla destra, versandosi una tazza di caffè.
Madison, nel fra tempo, stava ridendo, cercando in tutti i modo di non farsi sentire dall’amica – Però ha qualcosa di bello come foto. Siete naturali, nel suo far schifo è originale – Commentò la ragazza.
Audrey lanciò un’occhiataccia al telefono, non potendo rifarsi sulla’amica – Come vuoi. Cambiando argomento, per il regalo di Manuel che si fa? – Le ricordò la mora, andandosi a sedere su di uno sgabello della cucina.
- Ho parlato con Jordan – Esordì Madison – Stava pensando a una servizio fotografico, solo che non sappiamo dove si può fare. –
Audrey ci pensò, mentre sorseggiava il caffè, guardando Jared entrare in cucina e farle un cenno con la mano come saluto.
- L’Alaska Photos potrebbe andare bene – Commentò, guadagnarsi un’occhiata curiosa da parte del cantante; Audrey gli fece segno di lasciar perdere.
- Come la conosci? – Le domandò repentinamente la ragazza.
Audrey roteò gli occhi – Ho miei scheletri nell’armadio. Ci vediamo a pranzo? –.
- Va bene, ma mi spieghi quali sono questi scheletri. A dopo – Salutò la ragazza, ricambiata poco dopo da Audrey che chiuse la chiamata. Incrociò lo sguardo con quello celeste di Jared: sospettoso e interessato a quello che aveva appena sentito.
- Cosa devi fare all’Alaska? – Chiese l’uomo. L’espressione seria, perché sapeva il motivo per cui Audrey era legata a quello studio fotografico.
- Niente di quello che ti sta passando per la testa – Lo rasserenò lei, alzandosi dallo sgabello e lasciando a Jared la possibilità di vedere la longette, che le fasciava le gambe.  Con lo sguardo salì al busto, coperto da una blusa, a maniche lunghe, color cipria, decorata con dei piccoli bottoncini bianchi, ma non chiusa del tutto. Era la prima volta che la vedeva così professionale, dovette ammettere che la preferiva più sbarazzina; magari con un semplice maglione e un paio di jeans. Tuttavia, la vide per la prima volta con gli occhiali, e nemmeno quelli gli piacevano. Le ombre che questi creavano sul volto della ragazza, la faceva sembrare più grande.
- Devo incontrare un cliente – Spiegò Audrey, a cui non era sfuggito il modo in cui l’amico la stava fissando – Savannah mi uccide se mi presento in jeans – Continuò, con un piccola smorfia.
Jared le sorrise, ma era rimasto con i pensieri al regalo di cui Audrey aveva parlato poco prima. I pensieri concentrati su quello studio fotografico in cui aveva incontrato l’amica otto anni prima.
- Jared? – La mora gli sventolò una mano davanti agli occhi – Non stavi pensando a come ci siamo incontrati vero? – Lo canzonò la ragazza, con un sorriso furbo sulle labbra.
In quei giorni ci aveva pensato anche e lei e, come tutte le volte, si era sentita sprofondare nell’imbarazza più sincero a quei ricordi.
 
Otto anni prima.
Los Angeles,  gennaio 2006
Studio fotografico: Alaska Photos
 
- Accavalla una gamba e nascondi il seno con un braccio – Le impartì il fotografo, mentre i suoi collaboratori le faceva cadere addosso piccoli mucchi di iris viola, che andavano a ricoprire parte della sua pelle candida.
Sentì qualcuno piegarsi accanto a lei e sistemargli i capelli, allungati dalla exstension, lasciando che alcune ciocche seguissero la linea delle spalle, altre le sentì accarezzarle il collo, mentre altre veniva sparpagliate sul pavimento.
La nuvola di profumo che l’avvolgeva era nauseante, ma cercava di non darvi peso, benché sentisse quel profumo dolciastro invaderle la bocca e scendere lungo la gola.
- Devi aprire gli occhi – Le intimò la voce del fotografo e le obbedì.
Spalancò gli occhi, osservando l’obbiettivo sopra di lei.
Il fotografo le sorrise compiaciuto e iniziò a dare forma al quel servizio, di cui Audrey ogni minuto si vergognava sempre di più, prendendosela semplicemente con sé stessa, che ingenua aveva lasciato che la generosa somma di denaro che le modelle guadagnavano, l’attraesse tentatrice. Tuttavia, tutto avrebbe immaginato, tranne che posare per un calendario di nudo, con tema i fiori.
Ridicolo.
- Sorridi – Esordì il fotografo, mentre l’immortalava un’altra volta. Audrey sorrise automaticamente, lasciando che quel sorriso truccato soddisfacesse l’uomo.
- Ho finito, fate entrare la prossima – Impartì l’uomo, allontanandosi da Audrey che, con la mano ancora stretta al seno, accetto l’accappatoio che le venne offerto da un’assistente.
Lo indosso con profondo sollievo, beandosi di quel tocco leggero che la fece sentire protetta e non più vulnerabile agli occhi di tutti.
Picchiettando con i tacchi sul pavimento, raggiunse il camerino, mentre l’altra ragazza si lasciava condurre sul set. Audrey ne osservò le forme accentuate, delineate dall’accappatoio, le gambe lunghe e magre, slanciate ancor più dai tacchi. Gli occhi celesti, limpidi, ma non puri. Meschini, come quelli di tanti che vivano in quell’ambiente, se non per quel lavoro.
Lei, appunto, c’era capitata per ingenuità, dettata dal desiderio di poter essere indipendente e aggiudicarsi il sogno che coltivava da molti anni. Un sogno per cui aveva concesso il suo corpo a un obbiettivo fotografico e a mani esperte di truccatori, che l’avevano resa irriconoscibile, di plastica.
Si sedette sulla sedia, davanti allo specchio e la prima cosa che fece fu togliere le exstension, applicate alla base della testa con dei pettini. Da lunghi, fino a metà schiena, i capelli ritornarono alla loro solita lunghezza, poco più in giù delle spalle.
Appoggiò le ciocche sul tavolo davanti a lei e prese un salvietta struccante.
Nel farlo si guardò allo specchio, ma non vide sé stessa, bensì due occhi azzurri, malamente cerchiati da della matita nera, osservarla dallo spiraglio della porta aperta.
- Te la potrei sbattere in faccia, la porta – Mormorò, continuando ad osservare quegli occhi dallo specchio, fin tanto che si passava la salvietta sulle guance.
- Come ti chiami? – Il ragazzo entrò nel camerino con nonchalance, mentre non schiodava il suo sguardo da quello scuro della giovane.
Audrey l’osservò attentamente, prendendo un’altra salvietta: portava i capelli lunghi neri, che gli accarezzavano i collo, con alcune ciocche rosse. Negli occhi aveva quell’azzurro chiarissimo, angelico, ma che stonava con l’abbigliamento scombinato o semplicemente, con l’espressione indagatrice che le stava rivolgendo.
Lei sorrise – Ophelia – Gli disse, girandosi verso di lui e accavallando le gambe.
Lui osservò quel movimento, concentrandosi su quanto fosse corto l’indumento che lei indossava.
- Ophelia? – Chiese titubante, che strano nome.
Lei fece spallucce – Se preferisci puoi chiamarmi Grace -.
Il ragazzo corrugò la fronte, confuso.
- o Audrey – Continuò divertita.
- Forse Iris, se ti va -.
Lui continuava a fissarlo stranito, da tutti quei nomi, non capendo cosa stesse facendo o se semplicemente fosse pazza.
 – Credo, però, che l’unica cosa che tu possa fare è uscire – Aggiunse con freddezza, cambiando repentinamente sguardo.
- Mi piace Iris – Intervenne il giovane.
Lei assottigliò lo sguardo – Audrey Ophelia Grace, mi chiamo così – Confutò la mora continuando a fissarlo. Era bello, ma quegli occhi celesti, limpidi, erano il punto caldo del fascino di quell’uomo. In quelle due gocce d’acqua si riversavano sensazione che Audrey non sapeva descrivere. L’effetto quasi ipnotico di quello sguardo, sembrava pura follia alla sola portata di chi sapeva coglierla.
- Ti offro un the? – Le chiese il giovane facendo spallucce.
Audrey lo guardò alzando un sopraciglio – Mi vuoi offrire un the? – Ripeté confusa – La norma non vuole che si offra un caffè? -.
- Non mi piace i caffè. Tuttavia se vuoi berne uno ti presento mi fratello – Propose.
Adesso era Audrey quella confusa: aveva addirittura un fratello?
- No – Si limitò a dire.
Il ragazzo sorrise – Io sono Jared, comunque. Ti aspetto fuori – Le disse voltandosi per uscire dal camerino, anche se una parte di lui (forse tutte) avrebbe preferito rimanersene lì a godersi la ragazza rivestirsi.
- Non ho detto… - Iniziò Audrey, ma lui si voltò.
- Mi hai chiesto perché non ti ho offerto un caffè, non hai rifiutato l’invito – Le palesò, quasi con disappunto. Come se lei fosse costretta oramai ad accettare quella tazza di the.
- Posso rifiutarla adesso – Precisò Audrey.
Lui la inchiodò con lo sguardo – Non puoi -.
Lei strinse le labbra, gli avrebbe volentieri lanciato addosso le scarpe che stava indossando, augurandosi che gli centrassero quegli occhi dannati.
- La mia non era una domanda -.
Lui sospirò, indispettito – E la mia non era un risposta -.
 
 
- Eri più acida di adesso – La prese in giro il cantante, mentre lei guance di lei si tingeva di un delizioso porpora; un po’ per la vergogna, un po’ per il fastidio.
- Tu invece sei peggiorato. Eri un tiranno allora,lo sei tuttora – Lo canzonò la ragazza.
Lui mise un broncio giocoso, che fece sorride Audrey – Non è vero! – Piagnucolò il cantante teatralmente, mentre la ragazza lo guardava divertita.
D’un colpo lui ritornò serio e fissandola negli occhi – Ma tu mi vuoi bene per questo? Cattivo o buono, che sia. Sai che non sono così – Glie lo chiese con una tale dolcezza, che sembrava una profonda insicurezza, nata negli anni di quel successo che lui si era creato, permettendosi tutti i sogni che desiderava.
Il sorriso di Audrey cambiò e a Jared piacque quello che vide. L’amica sorrideva, sincera a quella domanda. Come risposta valeva più di mille sì detti con sincerità.
- Sì, non dubitarne a patto che tu non mi faccia male, io ti vorrò sempre bene, Jared –
Si alzò – Ma non farmi più un tiro del genero! Dovrebbero negarti la possibilità di dire certe frasi, sono illegali sparate così all’improvviso – Borbottò scocciata, mentre si alzava per andare a mettere la tazza nel lavello. Quando se ne usciva con quelle frasi, così sincere, ma deboli al  tempo stesso, la spiazzava. C’era una tale ingenuità in quelle domande, stupide, che Audrey non sapeva cosa pensare e, soprattutto, come rispondere. Gli voleva un bene che nemmeno lei capiva; Jared era diventato così indispensabile in quegli anni, che il tormento di perderlo per il lato peggiore di sé stessa a volte le faceva abbassare la guardia, che alzava con tutti. Tuttavia Jared era così, contraddizione resa materia. In lui c’era l’artista-guerriero, combattivo, superficiale a volte, affascinante nelle parole, che non voleva perdere i propri sogni, non permetteva a nessuno allontanarlo da essi. Poi c’era l’uomo-sognatore, che si preoccupava per gli atri, attento, premuroso, in primis con la madre e il fratello; colui che desiderava trasmettere ciò che la vita gli aveva impartito, ma essendo uomo aveva i suoi difetti: l’egocentrismo, il stacanovismo, la maniacalità per la perfezione. Però, erano questi difetti a renderlo l’artista che era e non si poteva accettare Jared, volergli bene, senza abbracciare anche questo suo lato.
- E’ bello sentirselo dire – Audrey si voltò. Lui la stava guardando, pensieroso.
- Shan e mamma, me lo dicono spesso, ma loro sono la mia famiglia. Gli Echelon dicono di amarmi, ma non mi conoscono così affondo, guardano e basta. Tu, invece,… mi piace quando mi dici che mi vuoi bene -.
Audrey gli sorrise. C’erano tanti demoni dentro quell’uomo, così forte. Era sinceramente sorpresa di aver quell’effetto, lenitivo? Poteva considerarsi tanto? Davvero le sue parole potevano allievare qualche turbamento di Jared?
Gli sorrise semplicemente, perché non sapeva cosa dire. Lei era sincera quando diceva quelle parole. Le diceva automaticamente, non vedendole sotto quell’ottica positiva, che il cantante le stava mostrando.
- Sono sincera quando lo dico Jared, non saprei che altra risposta darti – Proferì, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzata dallo sguardo dell’amico.
- Lo spero Audrey – Le disse alzandosi – Ti voglio con me, come una squadra – Le disse poggiando anche la propria tazza nel lavello – Ho la possibilità di ucciderti, se menti -.
Lei spalancò la bocca dallo stupore – Sei… sei impossibile, Jared. Un momento prima tutto piccolo, piccolo a fare domande idiote e poi liberi la tua furia omicida – Berciò lei – Mai pensato di andare da qualcuno di bravo, dato che te lo puoi permettere. Magari si tratta di bipolarità -.
Lui la guardò divertito – Se ci vado, viene anche tu però. Non sono il solo ad aver qualche problema – La punzecchiò, guardandola dritta negli occhi.
Lei sbuffò alzando gli occhi al cielo – Da qua, - Gli disse, prendendogli la tazza che stava le mani – Sei abituato troppo bene, Leto – Biascicò – E sappi che mi sono offesa -.
- Shannon vuole sapere se vi va bene, ordinare greco per sta sera? – Tomo entrò in cucina, ritrovandosi due paia d’occhio che lo fissavano – Che c’è? – Domandò, notando l’espressione corrucciata di Audrey e lo sguardo divertito del cantante.
- Lascia stare, per me va bene, Shan sa cosa prendere… - Commentò Jared, facendo spallucce.
- Audrey? – Si rivolse il musicista alla ragazza, che ancora aveva tra le mani la tazza da lavare.
- Beh… non ho mai mangiato greco, ma non è un problema – Accettò sorridendo all’uomo, che sparì nuovamente in salotto.
- A pranzo torni? – Le chiese Jared, guardandola ancora divertito, poiché aveva ancora quell’aria scocciata a delinearle i lineamenti. Era buffa.
Lei gli scoccò un occhiataccia – No, però aveva pensato di andare a fare un po’ di spesa. Tra un po’ vi mettere a mangiare i ripiani del frigo, intanto non sono di derivazione animale per te non dovrebbe essere un problema, o sbaglio? – Lo canzonò lei, sistemando la tazza sulla griglia lì affiancò per farla asciugare.
- Sono, comunque, nocivi – Controbatté il cantante.
Audrey si asciugò le mani su uno strofinaccio – Allora vado a fare la spesa. Ci vediamo sta sera – Gli disse, mentre usciva dalla cucina. S’infilò le la scarpe, semplici decolté nere non troppo alte, che si era portata giù prima e aveva lasciato accanto all’entrata della cucina.
- Hey, te ne vai già? – La salutò Shannon, mentre scendeva dalle scale.
- Sì. Ci vediamo sta sera! – Salutò, afferrando la borsa e uscendo da casa.
 
 
Chiuse la porta sbadigliando e ripose le chiavi sulla ciottolina accanto alla porta.  Dopo aver incontrato il cliente della mattinata, era uscita a pranza con Madison. Si erano accordate per il regalo di Manuel e Audrey le aveva lasciato il numero dello studio fotografico. Come promesso, dopo pranzo, era andata a fare un po’ di spesa. Dopo ciò aveva messo in programma di andare in palestra, il suo fondoschiena si stava afflosciando. Tuttavia i piani erano saltati uno dopo l’altro: Savannah l’aveva chiamata, proprio mentre stava pagando, sensibilmente irritata. Una delle ricamatrici era dovuta tornare a casa perché figlio aveva avuto un incidente in macchina e l’abito, che Audrey avrebbe dovuto consegnare a New York il giorno dopo, era incompleto e senza una mano in più sarebbe rimasto incompiuto.
Audrey non aveva avuto altra scelta se non quella di chiamare Jared e farsi mandare qualcuno a prendere la spesa, per poi, tra un imprecazione e l’altra, dirigersi all’atelier e darci sotto con ago e filo, maledicendosi per ogni singolo ricamo messo su quell’abito.
Aveva, così, saltato la cena greca con gli altri; non aveva nemmeno preparato la valigia per il giorno dopo. Sbadigliò nuovamente, togliendosi le scarpe guardando l’orologio: le dieci e quarantotto.
Aveva una fame terribile addosso. Mollò con poca grazia scarpe, cappotto e borsa all’entrata e si diresse in cucina.
- Ti abbiamo lasciato dell’insalata – Le urlò Jared dal salotto, mentre lei si fermava sullo soglia della porta. Insalata? Le venne nausea al solo pensiero, alle undici di sera di certo non si sarebbe messa a mangiare dell’insalata per placare la fame che le attanagliava lo stomaco.
- Mi dispiace ferire i tuo sentimenti da capretta – Iniziò, cercando il pane nei vari scompartimenti della cucina – Ma, per placare la mia fame, non mi basteranno quattro foglie d’insalata – Disse trovando il pacco di pane. Aprì il frigo, afferrando la confezione di fettine di  rosbif, comprato quel pomeriggio, e vi ci imbottì il panino. Una volta soddisfatta, afferrò una bottiglia di birra dal frigo e raggiunse Jared in salotto.
Lui la guardò arrivare – Non ti vorrai mica avvicinare con quella cosa? – Le disse fintamente disgustato, indicando il panino che l’amica stava addentando.
Lei lo guardò assottigliando gli occhi – Sono stata seduto su una sedia di plastica tutto il pomeriggio, non provare nemmeno a negarmi la morbidezza del tuo divano – Gli disse sedendosi e allungando le gambe sul tavolino, come Jared,
Lui le sorrise divertito – Avete almeno concluso? – Chiese il cantante.
Audrey sbuffò, esausta – Sì. Ci ho rimesso le mani – Disse, mentre gli mostrava gli svariati cerotti che aveva sulle mani – ma almeno è finito, stirato, impacchetto e pronto per New York – Biascicò, prendendo un sorso di birra.
- Voi, cosa avete fatto? – Chiese al cantante, addentando nuovamente il panino.
Lui fece spallucce – Lavorato in studio, modificato qualche melodia e provato. Tra non molto andremmo a registrare – Le raccontò, cambiando canale – A che ora hai l’aereo?-
- Alle dieci se non sbaglio. Ho biglietti in borsa, no ho voglia di alzarmi – Replicò, gemendo con disappunto al vedere la serie televisiva su cui aveva fermato Jared – American Horror History? – Chiese girandosi verso l’amico.
- Non avrai mica paura? – La canzonò.
Lei girò gli occhi – Sono rimasta traumatizzata a vedere l’esorcista, ti basta come spiegazione? – Confessò irritata, con un boccone ancora in bocca.
Jared si girò a guardarla con un sopraciglio alzato, genuinamente stupito – Sul serio?- Domandò.
Lei sbuffò, quanto voleva tirarla lunga? – Sì, non sono riuscita a dormire bene per una settimana, sentivo continuamente il letto tremare – Borbottò sempre più scocciata, come le era saltato in testa di raccontarglielo?
Jared la guardò qualche attimo e poi scoppiò a ridere. Una risata di cuore, tanto che sentì le lacrime salirgli agli occhi  e il respiro venire meno, mentre Audrey lo guadava come se lo volesse soffocarlo infilandogli il telecomando giù per la gola, lasciando perde quella parte della sua testa che stava gongolando per aver provocato quella risata tanto cristallina e sincera. Non lo aveva mai sentito ridere così.
Si alzò con il sorriso sulle labbra, contagiata dall’ilarità dell’amico, e ritornò in cucina a gettare la bottiglia di birra finita, mentre Jared, in salotto, stava ancora ghignando per quell’ingenua confessione. Adorava quella semplicità con cui lei si fidava di raccontargli quegli aneddoti della sua vita.
- Quanti anni avevi? – Le chiese, quando lei riapparve in salotto.
- Sedici, avevo sedici anni – Borbottò, andando a recupera la borsa all’entrata. Per lei quel film era stato tremendo, l’aveva lasciata veramente terrorizzata. Lo aveva guardato a scuola con tutti i compagni e in un primo momento non l’aveva spaventata più di tanto. Tuttavia una volta tornata a casa le scene del film l’aveva tormentata. Dal quel giorno ogni volta che sentiva parlare di possessioni, esorcismo le venivano i brividi.
 Prese la borsa e controllò sui biglietti che il volo fosse davvero alle dieci. Raccolse, anche, le scarpe e ritornò in salotto.
Trovò Jared alle prese con un fazzoletto di carta che gli ricopriva il viso – Tutto bene? – Gli chiese.
Il cantante annuì – Naso chiuso, niente di più. Stai andando a letto? – Le chiese, spegnendo la televisione.
- Faccio la valigia, prima. Tu cosa fai? – Gli chiese, appoggiandosi allo stipite della porta.
- Andrò a letto – Fece spallucce il cantante – Ti devo svegliare domani mattina? – Le chiese alzandosi e prendere il computer, che aveva abbandonato tempo prima sul tavolino affianco al divano.
- No, punto la sveglia – Rispose la ragazza salendo le scale, seguita dal cantante.
- Ah Jared! – Si voltò a metà scala – Quando torno da New York, inizierò a cercare un’appartamento… - Gli disse sorridendo.
Quelle parole ebbero uno strano effetto su Jared. Furono tristi per il cantante, che non le rispose, lasciando il suo sguardo immerso in quello scuro di lei. Perché voleva andarsene così presto?
- Perché?- Chiese solamente.
Audrey lo guardò confusa – Non voglio disturbare troppo, Jared. Te l’ho già detto qualche giorno fa – Gli ricordò,
- Ma, ti trovi bene qui, no? Insomma… - Si sentiva deluso da Audrey, ma non ne capiva il significato, in fondo lei aveva la sua vita.
Lei lo guardò sorpresa – Sì. Ti sono grata di avermi ospitato, ma è momentaneo Jared te lo avevo detto. Non capisco questo tuo stupore – Biascicò impacciata, la prendeva sempre in contropiede con quelle domande.
- Hai ragione – Si riprese, Jared, salendo gli ultimi gradini – Scusami Aud, buon viaggio se domani non ci vediamo – Tagliò corto il cantante andando in camera.
Audrey salì le scale, ma si fermò a fissare la porta chiusa della camera di Jared, turbata da quel comportamento, non se lo spiegava.
Tuttavia, quello che lo piacque della conversazione, fu come l’aveva chiamato. Non l’aveva mai chiamata Aud, perché Jared sapeva perfettamente quanto lo odiasse. 



Nda:
Buondì, un regalino per voi e anche per me dato che oggi è il mio compleanno!

Un bacio, 
Blume.
  
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