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Autore: Cicer93    29/04/2014    2 recensioni
Baelfire odia la magia eppure si trova costretto a imparare a usarla, a Hogwarts, lontano da casa e da Rumple, sempre più drogato di potere. Senza il padre, sarà più o meno solo? E questa Hogwarts è davvero sicura come sembra? Non si sarà mica coltivata una serpe in seno?
[...]«Qual è il prezzo?»
«Di una boccetta di essenza di Dittamo?»
«Di questa magia.»
«Anni di studio e ricerca, qualche ora di lavoro… Come il nostro dolce.» Tosca scosse le spalle, prima di riporre la boccetta nella saccoccia e tornare al loro lavoro.
«Non è la stessa cosa.»
«Ne sei sicuro?»
[...]
*Partecipa al contest "Un anno speciale a Hogwarts" di Dragone 97 sul forum*
I turno (Cap. 1&2) - Vincitore del premio "Tu sei una strega!"
Personaggi di HP: Tosca Tassorosso, Godric Grifondoro, Cosetta Corvonero, Salazar Serpeverde
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baelfire, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Trilli
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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1. La partenza
Erano trascorse quasi due settimane dalla partenza di madama Tosca, ma mai Baelfire ne aveva sentito la mancanza quanto gli ultimi tre giorni. Se la prima volta era stata una lotta, quella mattina aveva combattuto un'autentica battaglia per riuscire a scendere in paese. Durante il soggiorno della dama, tutte quelle battaglie non c'erano state o, perlomeno, non aveva dovuto combatterle lui. Se ci fosse stata la dama, d'altro canto, quel giorno non avrebbe dovuto scendere di nuovo al villaggio con una borsa tintinnante al fianco. Il sole era bollente e Baelfire sentiva distintamente l'umidità fresca del sudore sotto la solita casacca. Quel giorno neanche il bel tempo riusciva a migliorare il suo umore. Udì il belare del gregge della famiglia di Anna, che pascolava poco distante, e sentì distintamente le sue budella contorcersi. Due giorni prima, dopo una litigata e innumerevoli rassicurazioni, era riuscito a ottenere il permesso di scendere a farsi un giro per il villaggio o sulla riva del fiume, senza allontanarsi, mentre suo padre era impegnato. Per sicurezza, questi gli aveva dato un ciondolo con uno specchietto, dicendo che lui aveva il gemello e che questo gli avrebbe permesso di sapere se gli stava disubbidendo o se era in pericolo. Francamente, Baelfire aveva pensato che si stava trasformando in uno di quegli amuleti per scacciare il maligno appesi alle porte delle case del villaggio, quelli che ogni volta che aprivi la porta, per il fracasso che facevano, avevi la tentazione di seguire il maligno nella sua fuga. Non aveva, però, detto niente anche perché, nonostante non lo avesse abbandonato per seguire la dama, suo padre da quando questa era partita (o già da quand'era arrivata?) era incredibilmente inquieto, gli prestava molta meno attenzione, era continuamente in tensione e lo fissava con un misto di speranza e paura che, decisamente, Baelfire non capiva, neanche alla luce di quel tarlo che ultimamente gli rosicchiava il cervello.
Raggiunto il villaggio, Baelfire si fermò laddove le case si facevano più fitte e la sua mente, prima che potesse fermarla, ricostruì quelle strada che per i primi anni della sua vita aveva calpestato innumerevoli volte: raggiunse il forno di Gundahar, che gli regalava sempre delle pagnotte in miniatura, e la casa di Lorelei, capace di trasformare gomitoli in abiti, ripercorse la strada del carpentiere, che conduceva fino al porticciolo, di mattina invaso dal mercato, il pomeriggio da topi e uccelli che spazzolavano via i resti. Il ragazzo, tuttavia, non si addentrò tra i vicoli, ma svoltò presto a sinistra, prendendo una stradina sterrata che percorreva il perimetro del villaggio, inoltrandosi appena tra le case più esterne, per poi proseguire verso nord, accarezzando l’ultima casa del paese, la casa della famiglia di Emmerich, pastori che fornivano loro la lana grezza che suo padre filava trasformandola, talvolta in gomitoli per Lorelei, più spesso in oro. Involontariamente, Baelfire rallentò. Sentì qualcosa strizzargli le budella più forte man mano che si avvicinava al casa. Deglutì, rallentando ancora. Si umettò le labbra e quasi si fermò. Poteva sentire i brividi sulla schiena, nonostante il caldo, e le guance rosse, come se tutto il sangue vi si stesso accumulando. Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. «Coraggio…» mormorò prima di riaprire gli occhi e riprendere il cammino con più decisione. Qualcosa, nel frattempo, aveva deciso di piantarglisi in gola, dandogli la sensazione di soffocare, come due giorni prima.

Era andato subito da Gundahar per prendere uno dei suoi krapfen e gustandoselo aveva raggiunto il mercato, dove aveva comprato un po’ di verdura e pesce, perché era quello che avrebbero mangiato a cena; quindi aveva costeggiato il porticciolo, preso a sassate un ratto, e aveva proseguito lungo la costa del fiume, ancora dentro i confini dettati dal padre, per uno di quei sentieri che tanto amava da ragazzo. Era su quel sentiero che l’aveva incontrata: Anna. Anna che aveva la sua età ed era stata a lungo la sua compagna di giochi. Anna che aveva detto che suo padre era un mostro, senza che Baelfire sapesse come rispondere. Anna che aveva i capelli castano chiaro, che al sole sembravano pieni di pagliuzze dorate, e gli occhi dello stesso colore del cielo. Anna che prima era sua amica e ora non lo era più. Anna che stava girando con un agnellino e Baelfire non aveva idea del perché.
Non avrebbe voluto incontrarla, davvero. Era proprio per non dover incontrare nessuno dei suoi vecchi amici che aveva solo fatto un rapido giro nel paese, per poi allontanarsi lungo quel sentiero. Avrebbe dovuto ricordarsi perché gli piaceva tanto…
Aveva provato a essere gentile, a salutarla con cortesia, ma la ragazza si era spaventata e il suo terrore era cresciuto proporzionalmente alle rassicurazioni di Baelfire. Non trovando soluzione al suo infondato terrore, Baelfire le aveva annunciato che sarebbe passato oltre e che non aveva altro interesse che proseguire la sua passeggiata. Anna aveva smesso di indietreggiare, ma si era frapposta tra lui e l'agnellino, fissandolo con quell'aggressività tremante che può derivare solo dalla paura. Lui aveva ripreso a camminare, lentamente, incapace di decidere come comportarsi di fronte a una sua vecchia amica che lo guardava come se fosse un mostro. Si pensa sempre che l'inevitabile avvenga in pochi attimi, ma non è vero: talvolta l'inevitabile ha il tempo dei fiori che sbocciano, fatto di milioni di attimi in cui i petali fanno movimenti invisibili. A volte, l'inevitabile è fatto dei piccoli passi avanti di un ragazzino e dei minuscoli passi indietro di una sua coetanea, che lo ritiene un mostro. Aveva appena superato la ragazza e già aveva fatto un sospiro di sollievo, quando aveva sentito il belato spaventato dell'agnello. Si era voltato di scatto e aveva visto Anna fissare terrorizzata il cucciolo bianco scivolare giù per la sponda del fiume, particolarmente ripida in quel punto. Aveva cercato rapidamente un punto da cui poter scendere, ma non ne aveva trovati e nel frattempo il cucciolo era caduto in acqua, accompagnato dalle urla della ragazzina. Il senso di d'impotenza, il dispiacere, il desiderio di fare qualcosa avevano risvegliato la
bestia. Prima che Baelfire potesse realizzare cosa stava accadendo, l'agnello aveva cominciato a levitare, trascinato fuori dall'acqua da una mano invisibile. Anna si era lasciata sfuggire un urletto di gioia... E Baelfire si era reso di cosa stava facendo, di cosa stava usando. Il terrore e l'orrore avevano avuto la meglio. Un attimo dopo l'agnello era sparito tra i flutti e Anna urlava che era tutta colpa sua.

Baelfire era tornato alla fattoria proprio per cercare di porre rimedio alla sua incapacità di usare la magia, anche se secondo suo padre non era necessario. Il ragazzo, più che altro, temeva che qualsiasi risarcimento sarebbe stato inutile, sarebbe stato considerato un'offesa. Fuori dalla casa, all'ombra di un giovane albero, c'era un ragazzo che stava intagliando il legno. Gli sfuggì un singulto. Timotheus, il fratello maggiore di Anna, era probabilmente l'ultima persona che desiderava vedere; ma non poteva rinunciare dopo essere arrivato fin lì. Si avvicinò, ma aveva appena aperto la bocca per salutare, quando il ragazzo, più grande di lui di pochi anni, si accorse di lui.
«Che cosa vuoi?» l'apostrofò con aria tutt'altro che pacifica.
Il senso di colpa spinse Baelfire a fare una cosa che non amava: abbassare il capo.
«Io... Sono qui per scusarmi... Volevo solo aiutare...»
«A farlo affogare? Perché ti è riuscito bene.»
Con la coda dell'occhio Baelfire si rese conto che Timotheus aveva lasciato il suo lavoro per avvicinarglisi.
«No! Volevo tirarlo fuori! Volevo salvarlo!»
«Dillo a mia sorella, che ti ha visto spingere Sommer e poi affogarlo!» gli ringhiò vicino al viso
«Ma questo non è vero!» esclamò rialzando di colpo la testa. Non si sarebbe preso colpe che non aveva.
«Stai forse dicendo che mia sorella è una bugiarda?»
«No...» "sì" «ma solo che probabilmente tu non hai capito quello che lei ti ha raccontato»
A giudicare dall'espressione dell'altro, la sua non era stata una grande uscita. Gli si avvicinò così tanto che Baelfire poteva contare i denti che già cominciavano a marcirsi.
«Stai dicendo che sono stupido?»
«No, io...»
«Sai secondo me com'è andata?» continuò Timotheus, sovrapponendo la propria voce ringhiante ai balbettii di Baelfire, «Secondo me, tu hai cercato mia sorella perché ce l'hai con lei, perché siamo stati i primi a capire cosa sei... e quando hai visto Sommer hai deciso di vendicarti.»
«E cosa sarei?» chiese Baelfire, sentendo la rabbia montare prepotentemente.
«Un mostro...» sibilò l'altro con rabbia e soddisfazione, «Un mostro esattamente come tuo padre e come lui diventerai»
«Mio padre vi protegge!» ribatté con una convinzione che non pensava di avere.
«E chi ci protegge da tuo padre? E da te? Chi ci protegge da mostri come voi? Che si rifanno sui più deboli e si sfogano uccidendo innocenti?»
«Non facciamo nulla di tutto ciò!»
«Ah no? E allora che sta succedendo al mio lavoro?»
Baelfire spostò gli occhi dal ghigno del ragazzo alla sedia in fieri e inorridì: aveva preso fuoco. Baelfire neanche si era reso conto di aver usato la magia... Stava succedendo sempre più spesso. Senza staccare gli occhi dalla sedia, si tolse la bisaccia dalla vita e gliela lanciò. Si voltò e corse via, senza dire una parola, gli occhi sbarrati. La prossima volta cos'avrebbe fatto? Avrebbe ferito qualcuno? Si sarebbe accorto del risveglio della bestia o ne avrebbe solo visto gli effetti?


***


Il letto a baldacchino era coperto da un tendaggio blu leggero, non una sua scelta. La finestra era lontana dal letto: anche al mattino presto e d'estate la luce ne raggiungeva appena i piedi. In quel momento era lontana, illuminava solo lo spicchio dinanzi alla finestra. Il tendaggio del letto era una massa scura ricca di ombre, priva di luce. I primi tempi per non guardarlo entrava nel letto a occhi chiusi. Ora si era abituato. Ci si abitua a tutto, no?
Due colpi alla porta. Senza dover spostare lo sguardo, seppe che suo padre aveva fatto capolino e che lo stava guardando con un affettuoso timore, non privo di una certa curiosità: probabilmente non capiva cosa lo turbasse, non era molto bravo in questo.
Il lato del materasso si piegò. Una mano preso la sua. Baelfire la strinse.
«Succederà sempre più spesso?» mormorò e odiò sentire la propria voce tremare.
Il padre ricambiò la stretta. Baelfire sapeva che lo stava guardando, ma in quel momento trovava più interessante il tendaggio del baldacchino. Sì, molto più interessante.
«Probabilmente sì.» Il padre buttò fuori quelle parole meccanicamente, quasi gli costasse fatica.
«È parte di me.» borbottò amareggiato, ricordando le parole di Tosca.
La pressione sul letto cambiò, Baelfire si arrischiò a dare un'occhiata con la coda dell'occhio: il padre si era parzialmente voltato verso di lui.
«Però,» sentì la voce del padre tremare, “di cosa ha paura?”, mentre diceva convinto: «non è per forza una cosa cattiva... È per persone speciali... È un dono!»
«Non l'ho chiesta!» sbottò Baelfire.
"I maschi non piangono" ordinò a se stesso.
Rumplestilzchen lasciò la sua mano. Un attimo dopo, gli accarezzava il capo. Baelfire si voltò e incontrò lo sguardo condiscendente del padre. Prese un bel respiro.
«Voglio imparare a controllarla...»
Represse la stizza quando la propria voce s'incrinò appena su "controllarla". Lo sguardo del padre non mutò ma vi si accese una piccola luce. Baelfire esitò, perché non voleva ferirlo.
«Da Tosca.»
In un attimo, il volto di suo padre passò dalla gioia alla rabbia e, nonostante Baelfire l'avesse previsto, sentì fortissima quella fitta alla pancia comunemente chiamata "senso di colpa".
«Perché?» sputò fuori Rumplestilzchen: «Io posso insegnarti la magia! Io posso insegnarti a fare meraviglie con la bacchetta! Io posso insegnarti a creare le pozioni più potenti! Io!»
«Io...» azzardò il ragazzo, spaventato dal padre: «Io non voglio fare meraviglie o pozioni potentissime! Io... Voglio solo tenerla sotto controllo.»
«Perché odi così tanto la magia? È bella... Ci rende speciali... Ci permette di fare cose impossibili agli altri uomini...»
«Tipo mozzare un orecchio con un movimento del braccio? O provocare un sonno così profondo che è impossibile interromperlo?»
Il padre esitò: «Posso insegnarti anche io a tenere sotto controllo la magia...»
«Prima d'insegnarlo a me dovreste impararlo voi stesso...» disse a bassa voce, timoroso, mentre additava la mano annerita del padre. Quando rialzò gli occhi su suo padre vide dolore e imbarazzo e sentì le proprie guance scaldarsi di vergogna. Sapeva che quello era un colpo basso.
«Per piacere, padre, lasciatemi andare...» continuò rivolgendogli uno sguardo supplichevole: «Tornerò d'inverno, d'estate... Vi accorgerete appena del tempo trascorso senza di me.»
E questa era una bugia, Baelfire lo sapeva, ma aveva avuto molti giorni per rifletterci, giorni in cui Rimplestilzchen aveva trovato la porta chiusa, il figlio addormentato, giorni in cui l'unica cosa che aveva guardato oltre il baldacchino erano stati i libri, che erano arrivati a Tosca durante il suo soggiorno e che lei aveva 'dimenticato' da loro alla sua partenza.
«Appena riuscirò a controllarla, tornerò a casa... Ve lo prometto»


***


«Buongiorno Bae!»
La voce di suo padre arrivò squillante al suo orecchio e Baelfire riuscì solo a pensare "Troppo presto!". Socchiuse gli occhi nella penombra della stanza: la striscia di sole sul pavimento era ancora troppo lunga, inclinata e fioca.
«Che succede?» mugugnò, passandosi una mano sugli occhi.
«Ti porto dall'imperatore!»
A dire la verità, l'imperatore neanche lo sfiorò con lo sguardo, ma questo aveva poca importanza: erano ad Aquisgrana! I maliziosi avrebbero detto che tra la Aquisgrana del 993 e il borgo sul Fiume del Sale da cui Baelfire proveniva non vi era che una differenza di dimensioni (e una cappella palatina in più), ma lui non la pensava così: si aggirava per le vie della città assaporando voci e colori, mangiandosi ogni casa (ve ne erano a tre piani!), ogni bottega, ogni persona, ogni cosa con gli occhi, senza averne mai abbastanza. Sotto lo sguardo sereno – una volta tanto – del padre, Baelfire saltellava felice per le vie della città imperiale, continuando a sbagliare strada prima di essere prontamente corretto. Era così contento che non si accorse degli sguardi diffidenti o dei mormorii al loro passaggio.
«Ma dove andiamo?» esclamò all'ennesima svolta.
Il padre sorrise con l'aria di chi cela un grande, bellissimo, segreto: «Siamo quasi arrivati...»
Svoltò a destra e lo precedette sotto un arco. Appena Baelfire lo varcò resto a bocca aperta di fronte al più grande mercato che avesse mai visto: l'odore del formaggio di univa al verso dei gufi e al gracchiare dei rospi, accanto al macellaio un giovane ragazza offriva le proprie pozioni promettendo mirabilie, il mercante di stoffe di fianco a quello di calderoni. Era il più grande mercato che avesse mai visto e non riusciva a conciliare la sua repulsione per la magia con la meraviglia che gli aveva stampato in faccia un sorriso, contro la sua volontà. Suo padre si chinò sul suo orecchio, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Se vuoi andare a scuola dovrai procurarti un po' di cose...» disse e, di fronte al suo sguardo interrogativo, spiegò: «Ho scritto a Tosca, mi ha spiegato cosa ti serve per iniziare la scuola. Seguimi!»
Lo condusse tra i banchi, senza che nessuno osasse importunarli; Baelfire non poté non accorgersi degli sguardi e dei mormorii e improvvisamente sentì freddo – nonostante quella fosse una delle giornate più calde di quell'estate torrida – e si avvicinò al padre, che lo strinse a sé senza abbassare lo sguardo, ma offrendo a tutti quel sorriso vagamente folle che da quattro anni a quella parte di tanto in tanto emergeva. Si fermarono di fronte a una banco di calderoni: il proprietario era un uomo robusto e tondo, con una rada barba scura e il sorriso di chi sa che in qualche modo riuscirà a fregarti, sorriso che perse appena li vide. Baelfire osservò suo padre scegliere un calderone un po' più piccolo della media, saggiarne la resistenza e contrattare il prezzo, rifiutando la proposta del commerciante («Un furto!») e fissando il prezzo che a lui pareva più idoneo. Quando loro se ne andarono, il commerciante riprese colore, ma fu solo quando gli ripassarono accanto quasi alla fine del loro giro che rivide il sorriso furbo su quel volto. Dopo aver comprato un grosso baule – che suo padre incantò perché li seguisse volando a mezzo metro da terra, un'infinità di provette di vetro e un bilancino, raggiunsero il commerciante di tessuti, dove attesero a lungo a causa di un folto gruppo di contadini rossi prima di poter comprare delle stoffe, rigorosamente nere («Tosca ha detto che dovete essere tutti vestiti così per non imbarazzare nessuno... Bah!»).
Infine, Rumplestilzchen lo condusse al banco più chiassoso. Stridii di gufi e miagolii di gatti erano i suoni preponderanti uniti però al forte gracidìo di rane e rospi, allo squittio di vari roditori (per lo più topi) e al verso di tanti altri animali. Baelfire arricciò il naso per il forte, quanto inevitabile, odore e si chiese perché comprarsi un topo, quando bastava scendere nelle cantine o sul lungo fiume per trovarne a bizzeffe. Suo padre fece un gesto d'invito sulla mano, ma Baelfire guardò confuso lo spettacolo dinanzi a sé: anche nei suoi momenti di maggiore solitudine non aveva mai voluto un animale e non capiva ora che farsene di un famiglio; avevano già un gufo per la posta di che altro avevano bisogno? Una seri e di tonfi regolari attirò la sua attenzione, su un piccolo banchetto aggiunto in basso. Abbassò lo sguardo e si trovò a fissare un giovanissimo rospo che saltava contro le sbarre della gabbietta come se credesse davvero di poterle rompere. Dopo qualche tentativo si fermò solo per emettere un gracidìo infastidito prima di ricominciare. Sentì il proprio cuore stringersi e un attimo dopo era accucciato davanti alla gabbietta accarezzando il dorso viscido e costellato di verruche del rospo.
«Voglio questo.»
«Un rospo?» Suo padre non riuscì a mascherare lo sconcerto: «Ma Bae… Sicuro di non volere un bel gufo? Per portare le tue lettere…»
«Ce l’abbiamo.»
«Un gatto allora?»
«Che me ne faccio?»
«Che te ne fai di un rospo?»
Baelfire alzò le spalle come fosse la cosa più ovvia del mondo: «Lo rendo libero»
Suo padre ammutolì, ma un corpo si pose tra Baelfire e il sole. Alzì gli occhi sul proprietario del serraglio. Incurvato e rugoso, aveva occhi di brace e parlò con voce bassa e arrochita: «Non sopravviverebbe… Vuole la libertà ma è nato nel mio serraglio, da rane del mio serraglio. Non è in grado di sopravvivere senza che qualcuno si prenda cura di lui.»
Baelfire rivolse uno sguardo triste al rospo che si era di nuovo fermato a fissare le sbarre della sua gabbia.
Cercò lo sguardo di suo padre.
«Voglio lui.»


***


Baelfire guardò la luna alta fuori dalla finestra e lasciò correre lo sguardo sui campi e sul paese, sul quale affacciava la sua camera da letto. Un gracidìo lo costrinse a girare lo sguardo. Dror si era finalmente svegliato.
«Domani partiamo.» sussurrò nella sua direzione in un misto di eccitazione, spavento e nostalgia. Lo sguardo raggiunse il comodino dov’era poggiata la sua bacchetta. Non l’aveva più toccata da quando suo padre gliel’aveva regalata.
Aveva bussato alla porta con lo stesso sorriso di quando erano andati ad Aquisgrana, ma il viaggio era stato molto più lungo – e traumatico – e li aveva condotti a Lundenburgh nel Regno d’Inghilterra, dove in una via diagonale1 avevano trovato una piccola e disordinata bottega, di proprietà del più famoso fabbricante di bacchette d’Europa. Erano stati accolti da un uomo della stessa età di suo padre, che con uno sguardo penetrante l’aveva squadrato dalla testa ai piedi, aveva misurato l’altezza, la lunghezza delle braccia e del suo naso prima di cominciare a tirar fuori, apparentemente a caso dal mucchio di sacchettini di velluto, delle bacchette magiche, pretendendo che lui le provasse. Baelfire aveva tentato di convincerlo che per lui “qualsiasi stupido legno che faceva magia” andava bene, ma il bottegaio («fabbricante di bacchette, prego…») non aveva voluto sentir ragioni e l’aveva costretto a provare poco meno di dieci bacchette, aumentando il caos nel negozio, fino a che l’ultima non l’aveva “riconosciuto”, ossia aveva fatto una gran luce senza far danni.
Una volta tornati a casa, e compiuto un altro viaggio traumatico, Baelfire aveva poggiato il corto legnetto sul comodino e lì era rimasto fino a quel giorno.
Baelfire si chinò e Dror gli saltò quietamente in mano, gracidando basso.
«Non mi va per niente di andarmene da qui…» mormorò, badando bene a non sfiorarlo con le labbra: era stato avvertito che le verruche del suo amico erano molto urticanti per le labbra. Non che avesse intenzione di baciare un ranocchio.
«Nessuno ti obbliga.»
Sobbalzò alla voce acuta ma debole di suo padre.
«Devo imparare a controllare la magia.»
«Posso insegnartelo io.»
«No, voi non potete.»
«Sì e te lo dimostrerò.»
«Ci avete già provato…» Baelfire ricordò con un brivido tutte le volte in cui suo padre aveva provato a convincerlo a imparare a usare la magia, per difendersi, per prevalere, per essere più forte di altri: «Io non la voglio imparare la vostra magia.»
«Tu credi che Tosca sia tanto diversa da me, sia tanto speciale…» sibilò suo padre, mentre lenta e inesorabile emergeva la sua rabbia: «Ma lei e i suoi amici hanno un solo scopo: separarci, dividerci per sempre. Odiano la nostra famiglia. Odiano me e ti vogliono usare per colpirmi.»
«Non è vero! Lei vuole solo che io impari a usare la magia!»
«Piantala Bae! Tu non capisci! Non conosci! Se ti separassero da me… Tu saresti in grave pericolo.»
Baelfire sbuffò, guardando scettico suo padre.
«Non credo.» disse con calma: «Padre, lo so che sono tutto per voi…» e nel fondo dello sguardo dell’uomo comparve, immancabile, quello sguardo di profondo bisogno che lo spaventava sempre per la sua enormità: «E voi siete tutto per me… E non vorrei abbandonarvi…»
«Non c’è bisogno di dire altro!» lo interruppe l’uomo con uno sguardo rassicurante, ma vagamente folle, che a Baelfire non piacque affatto: «Hai detto tutto quello che c’era da dire. Nessuno ci separerà mai. Resterai qua, con me, sarò io a insegnarti a controllarla, solo a controllarla, non avrai bisogno di altro.»
«No, padre… Io lo faccio per me e per voi!» supplicò Baelfire.
«No, Baelfire, la questione è chiusa.»
«Magari Hogwarts scoprirò come curare la vostra malattia!»
Il padre spalancò gli occhi, sorpreso: «Quale malattia?»
«Quella che vi sta facendo diventare rapidamente vecchio, che vi fa annerire la mano…»
«Non c’è nessuna malattia,» disse brusco l’uomo, avviandosi alla porta, «e tu non andrai in nessuna scuola.»
«Rumplestilzchen.»
Al suono di quella voce morbida e a quel profumo di torta, Baelfire quasi soffocò. Voltò tanto velocemente il capo da farsi male, trovandosi a fissare Tosca.
«Come?»
La donna lo guardò un attimo, poi spostò lo sguardo sul suo collo e lui, in quel momento, si accorse di stringere spasmodicamente il ciondolo a coppa..
Tosca, si rivolse di nuovo a suo padre e severamente lo avvertì: «È la sua scelta, Rumplestilzchen, non intralciatelo.»
«Io sono suo padre Tosca, siete voi a non dovervi immischiare... È mio compito la sua educazione! È mio compito la sua formazione!»
«Lasciatelo venire o lo porterò via io!»
«Non potete!» esclamò l’uomo, la voce sempre più acuta, il volto distorto dalla rabbia: «Non oserete!»
«È per il suo bene!»
La donna nel frattempo gli si era avvicinata rapidamente e Baelfire vide comparire la paura sul volto di suo padre che rispose rabbiosamente: «Il suo bene è stare con me!»
Poi più nulla. Baelfire, troppo impegnato a vedere il volto di suo padre contrarsi per rabbia e paura, non si rese conto che Tosca aveva estratto la bacchetta; di conseguenza, ora si trovava a osservare un litigio muto, senza sapere come ciò fosse avvenuto. Sul volto di Tosca la stessa espressione ferma e dura che si era tolta solo per rivolgergli quel fugace sguardo, sul volto di suo padre rabbia, terrore, supplica, furia, di nuovo terrore e, infine, sconfitta. Suo padre, però, non perdeva mai, faceva patti ma non perdeva. Infatti, un attimo prima che la dama alzasse la bacchetta, per sciogliere l’incanto, lui la bloccò, le disse qualcosa, lei ribatté stupita, vagamente scocciata, ma lo sguardo di suo padre era determinato… quando sciolsero l’incanto, glielo lesse nel sorriso, una mezza vittoria l’aveva ottenuta.

 
***

 
Suo padre diceva che i cavalli c’erano, ma che solo chi aveva vissuto particolari esperienze poteva vederli; quali fossero queste particolari esperienze non era dato saperlo, così Baelfire, da quando suo padre era arrivato vantandosene, si era convinto che non esistessero strani cavalli visibili solo ad alcuni e che la carrozza nera si muovesse solo per magia. Carrozza nera che, per inciso, ora era carica del suo baule, dei viveri e pronta a partire per Hogwarts. Vi salirono, suo padre diede il via ai cavalli immaginari e partirono. Baelfire, immediatamente, si spiaccicò contro il vetro sul lato destro della carrozza: lui non l’aveva mai usata, non avendo mai fatto viaggi troppo lunghi, ma aveva visto suo padre prenderla un paio di volte. Avevano appena preso velocità, quando la carrozza s’inclinò all’indietro e si sollevò da terra.
«Yuuuuuhuuuuuu!» gridò e la sua voce invase il piccolo spazio interno. Schiacciò il naso contro il vetro guardando il borgo, la fortezza, il fiume del Sale farsi piccoli e lontani e non riuscì a trattenere un’esclamazione di meraviglia.

Diverse ore dopo, quasi al calar del sole, la carrozza s’inclinò verso il basso. Il paesaggio sotto di loro era cambiato ripetutamente e ora sorvolavano una zona verdissima, sulla quale scendeva una leggera pioggerellina di fine estate. Avvicinandosi, Baelfire distinse un castello enorme, come non ne aveva mai visti prima, e si distrasse a contarne torri e torrette, tanto che quasi non si accorse del piccolo ammasso di case alle pendici del castello e dell’enorme lago scuro sotto di loro, accanto al quale vi era un certo movimento, come di tante formichine. Scendendo ancora, vide ragazzi della sua età e molto più grandi e tanti uomini e donne, di età diverse, al loro fianco. Alcuni li abbracciavano, altri gli sistemavano gli abiti, qualcuno stava palesemente dando gli ultimi consigli ai figli… In ogni caso si trattava di appena un centinaio di persone.
L’impatto con il terreno fu violento e inaspettato e Baelfire, troppo impegnato a mangiarsi il nuovo mondo con gli occhi, fu scaraventato giù dal sedile.
«Bae, tutto bene?»
La voce premurosa del padre arrivò immediata e prevedibile assieme alla mano, che Baelfire accettò di buon grado.
«Sì… mi ero… distratto» borbottò, cercando di non guardare negli occhi suo padre, come aveva fatto sempre di più nelle ultime ore: non riusciva a sopportare quello sguardo di nostalgia, da cucciolo abbandonato.
Scesero dalla carrozza e non protestò, come non aveva fatto neanche quella mattina, quando suo padre usò la magia per tirare giù il suo baule. Si odiò un po’ per quello: era proprio il genere di gesto che non aveva bisogno di essere compiuto con la magia, se non per pigrizia o per far mostra di sé; eppure, lui non aveva protestato.
Si avviò ma la mano di suo padre si strinse attorno al suo braccio.
«Non è il caso,» disse questi a fatica, «che io ti accompagni oltre.»
«Ma.. Padre…»
«Vieni qui.» ingiunse l’uomo, con dolcezza, tendendogli le braccia.
Baelfire schiacciò il viso sul suo petto, inspirò forte concentrandosi sull’odore di suo padre – acre, forte, di lana e pozioni – e non riuscì a trattenere una lacrima.
«Già mi mancate…» mormorò, soffocando un singhiozzo.
«Sarà Natale prima che tu abbia il tempo di accorgertene.» mormorò suo padre, dandogli un bacio sul capo. «Ora vai!» soggiunse sciogliendosi dall’abbraccio e dandogli una leggera pacca sulla spalla.
Baelfire prese la maniglia del baule e se lo trascinò su per la collina verso l’entrata del castello, mentre con l’altra mano si tastava la tasca della tunica per verificare la presenza di Dror. Ovviamente, non si era mosso dalla sua tasca neanche quando lui era stato sbalzato dal sedile e, ovviamente, non si era svegliato… L’avrebbe infastidito quella notte, non aveva dubbi.
Si riunirono all’interno di una grande sala dopo aver lasciato i loro bauli all’ingresso, imitando gli studenti più grandi. Una volta entrato, Baelfire commise l’errore di guardare in alto. Il soffitto non esisteva, al suo posto Baelfire si trovò a fissare il cielo nuvoloso da cui scendeva quella pioggerellina leggera che li aveva accolti e che loro si erano portati dentro al castello, lasciando dietro al loro passaggio pozze d’acqua. Riabbassò lo sguardo, diviso tra l’entusiasmo per lo spettacolo e la diffidenza, e vide che era rimasto quasi da solo all’entrata della sala, assieme a un altro paio di suoi coetanei. Si maledì per essere sempre così distratto e cercò rapidamente con lo sguardo gli altri studenti del primo anno. Li trovò ammucchiati dall’altro lato della sala, oltre i quattro tavoli quasi pieni e si affrettò a raggiungerli. Non fece in tempo a rallegrarsi dell’essersi di nuovo nascosto nel gruppo che accanto a sé sentì una risata allegra, appena soffocata da una mano. Si voltò verso una ragazzina della sua altezza, con gli occhi azzurri appena troppo distanti e i capelli biondi intrecciati con dei nastri e incrostati di sale. La riconobbe come una dei due ragazzi che era rimasta indietro assieme a lui, presa dalla visione del soffitto-non-soffitto, e le rivolse un sorriso timido. Fu allora che successe qualcosa di davvero imbarazzante: lei parlò e Baelfire ascoltò un suono molto carino – la ragazzina aveva una voce trillante come il suo sorriso e il ciondolo che portava al collo – ma assolutamente incomprensibile nel suo significato. La guardò confuso, ma prima che potesse in qualche modo chiarire la situazione, la sua attenzione fu attirata oltre le teste dei suoi coetanei, sul tavolo degli insegnanti. Tosca si era alzata, generando il silenzio tra tutti gli studenti, e aveva cominciato a dire parole, che per Baelfire erano sensate quanto quelle della ragazzina un attimo prima. Come avrebbe potuto imparare a controllare la magia se non capiva neanche la lingua che veniva parlata? L’unica consolazione era che, guardandosi attorno, era palese che tutti i nuovi arrivati erano nella sua stessa situazione, salvo forse un paio, mentre evidentemente tutti gli studenti più grandi capivano ciò che Tosca diceva. La dama aveva appena finito di parlare, quando si alzò la donna al suo fianco: alta e magra, indossava una tunica blu scuro, al contrario di quella gialla di Tosca, e portava un elegante diadema sui liscissimi capelli neri. Era Cosetta Corvonero. Il suo discorso fu più breve di quello di Tosca, ma il linguaggio fu ancora diverso, morbido e rotolante, e qualcuno di loro sembrò capire che diceva. Dopo di lei, si alzò un uomo robusto, vestito con una tunica rosso e oro che, da quello che Baelfire ricordava dal racconto di Tosca, era generalmente nascosta sotto una pesante armatura. A giudicare dal suono e dall’espressione della ragazzina al suo fianco era la lingua della giovane; mentre quando parlò l’ultimo dei fondatori, Salazar, probabilmente il più anziano, incurvato sotto la sua tunica verde smeraldo, Baelfire vide l’altro ragazzino che era rimasto indietro assieme a loro due – capelli biondi e finissimi e sguardo sveglio – seguire con attenzione e fatica le parole del fondatore. Fantastico! Era l’unico a non capire niente! Proprio in quel momento, però, Tosca riprese la parola: «Benvenuti» disse nella sua lingua, facendogli finire il cuore in gola: «Siamo lieti di accogliervi a Hogwarts. Per le prossime due settimane vi sarà permesso di parlare la vostra lingua originaria, ma poi dovrete parlare solo il latino…» gli rivolse, o almeno così credette, uno sguardo benevolo: «che impareremo insieme. Messer Godric ha il potere di leggere la mente, ma non lo userà contro di voi!» fece una mezza risata, mentre il timore in Baelfire cresceva: «Lo userà per voi, per capire quale tra noi sia la guida più adatta a voi… o chi di voi sia più adatto a noi, secondo i punti di vista.» li guardò seriamente tutti, nonostante stesse parlando, molto probabilmente, a un esiguo gruppetto: «Ora, noi vi chiameremo e voi verrete qua davanti, guarderete messer Godric negli occhi e lui scruterà la vostra mente, prima di consultarsi con noi e scegliere a quale casa assegnarvi! La casa di Tosca Tassorosso2, dove si predilige la lealtà e la voglia di lavorare, la casa di Cosetta Corvonero dove si ricerca una grande intelligenza e desiderio di conoscenza, la casa di Godric Grifondoro, casa dei coraggiosi e dei puri di cuore, o la casa di Salazar Serpeverde, dimora degli ambiziosi e dove vi potrete fare ottimi amici.»
Nel descrivere le diverse case la dama indicò ogni volta il capo della casa e il tavolo dove stavano seduti i suoi appartenenti; quindi, si fece avanti, superò il tavolo, tirò fuori da una tasca della tunica una pergamena, bella come Baelfire non ne aveva mai viste e cominciò a chiamarli per nome.
Spostò un attimo lo sguardo sul tavolo, rendendosi conto che vi erano altre persone, come un grosso uomo, che sedeva accanto a Tosca e portava sulle spalle una pelliccia, una giovane ragazza biondissima che non aveva mai alzato lo sguardo, un uomo dallo sguardo arcigno seduto tra Cosetta Corvonero e Salazar Serpeverde.
«Baelfire!»
Il cuore gli saltò in gola, gli tremarono le gambe ed era sicuro che gli si sarebbero sciolte prima di poter arrivare da messer Godric. Qual era il suo posto?
Il mago gli puntò la bacchetta la bacchetta contro e pronunciò una formula che Baelfire non comprese. Improvvisamente, decine e decine di ricordi cominciarono a scorrere davanti ai suoi occhi e Baelfire fu consapevole del fatto che non era il solo a guardarli. Il contatto s’interruppe dopo poco e Godric andò a consultarsi con gli altri tre maghi, ma fu anche questo molto rapido. Si girarono e Tosca lo guardò ammiccandogli.
«TASSOROSSO!»
Baelfire si voltò sorridente e, godendosi l’applauso, raggiunse il tavolo della sua nuova casa.





Note:
1Diagon Alley deriva da diagonally, cioè diagonale. (fonte: Harry Potter Wiki)
2Ho scelto di mettere, alla fine, i nomi nella versione italiana, perché in fondo lei stava parlando tedesco e perché forse così sarà più facile per voi seguirmi senza sorbirmi le mie elucubrazioni sul perché in un caso debbano essere in lingua originale e in un altro nella versione italiana.


Spazio autrice:
Ciao a tutti e grazie di essere arrivati fino in fondo a leggervi questa rottura di scatole. Ho solo un paio di cose da dire:
1. Questa storia è fatta per un contest e quindi deve sottostare ad alcune esigenze, che nel caso specifico significa che, essendo in ritardissimo con la consegna (e a rischio di squalifica), ho fatto malissimo lo smistamento senza riuscire a presentarvi tutti i personaggi, che volevo presentarvi (i principali e non). Prossimamente, le esigenze saranno il dover rientrare in 4500 parole (Argh!).*
2. È la prima storia che pubblico e che quindi viene letta da qualcuno che non sia un'amica o mia sorella, quindi, un piccolo riscontro sarebbe utile.. Vi dico le domande cui vorrei risposta: l'IC secondo voi è rispettato pur trattandosi di un Bae giovane e di un Rumple agli albori del suo potere oscuro? Lo stile è noioso, piatto, sciapo o invece vi piace? I dialoghi come sono? Cosa non vi piace? Cosa non vi convince?
3. Le dimensioni dei caratteri vanno bene per tutti i dispositivi (pc, tablet e smartphone?)
Let me know!
A presto, Cicer


*Per le suddette esigenze di contest non è detto che io riesca a raccontare tutto quello che vorrei (vedasi dialogo Rumple-Tosca per dirne una...) in questa prima versione, ma probabilmente dopo tre mesi dalla fine del contest ne farò una riedizione completa, in cui sicuramente ci sarà un capitolo a parte per l'arrivo a Hogwarts e lo smistamento

  
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