Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Shusei    29/04/2014    4 recensioni
Il migliore amico d’infanzia e ragazzo di Eren al liceo, Armin, muore in un incidente automobilistico in cui Eren era al volante. Incapace di evitare di incolparsi, la vita stessa diventa un’agonia per Eren e lui si rivolge ai metodi peggiori per affrontarlo. Alla fine, incontra uno studente del college chiamato Levi che sembra aver capito tutto, solo per scoprire che loro hanno più cose in comune di quante pensassero. Moderno! AU.
inoltre, Levi ha una moto perché era decisamente necessario.
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Armin, Arlart, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lemon, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Sommario:
Un breve sommario della vita di Eren dopo l’incidente.
Note:
Canzone suggerita (suggeritami da un lettore, e penso sia perfetta) : Schism dei Tool.
(guarda alla fine del capitolo per ulteriori note.)
Capitolo 2: Ponendo le basi
Il mio nome è Eren Jeager, e per dirlo senza mezzi termini, sono dipendente dall’autodistruggermi.
Un sospiro amaro mi sfugge dalle labbra sottili non appena sento il pungente bacio del rasoio contro la carne del mio braccio. Un familiare senso di sollievo mi inonda quando fisso le goccioline cremisi che zampillano dalla linea che mi sono appena scavato nella pelle. Il mio braccio è già ornato con una delicata rete di linee simili a questa, che variano da un rosso brillante a un bianco pallido. Sposto leggermente il braccio e guardo mentre una goccia di sangue comincia a scivolare giù dalla mia ferita. Se non muovo nuovamente il braccio questa cadrà sulla trapunta blu chiaro distesa sul mio letto. Non posso disturbarmi a muoverlo in tempo; nessuno viene in camera mia, in ogni caso. È da tempo che le persone hanno smesso di avvicinarmisi. Mikasa stessa era nel suo mondo, ritirata da tutti, incluso me. Mio papà non c’era mai, comunque, e mia madre è ignorante in modo inquietante sulle vite dei suoi figli. Per quanto la riguarda sta tirando su due adolescienti perfettamente felici che si sono elegantemente ripresi dopo la morte del loro migliore amico d’infanzia.
Al ricordo della morte di Armin tornai nuovamente inquieto, nonostante la ferita che mi ero inferto al braccio sinistro. Un anno dopo la morte di Armin, e ancora ero incapace di venirci a patti. Le persone mi avevano costantemente ripetuto che non avrei dovuto sentirmi in colpa, che non era colpa mia. Ma nessuno può convincermi che se non fossi stato un adolescente casinista che aveva deciso di guidare mentre era completamente ubriaco Armin sarebbe morto comunque. Perche non sarebbe successo. Armin non avrebbe più sorriso raggiante al mondo, ed era colpa mia. Sarà sempre colpa mia.
Il panico cresce in me ai miei pensieri rivolti ad Armin; i ricordi di lui sono ancora troppo dolorosi da sopportare, considerando che la mia salute mentale non è particolarmente forte in questi giorni. Una macchia di sangue piuttosto grossa si è espansa sul lenzuolo mentre ero perso nei miei pensieri. Sollevo la lama del rasoio nella mia mano destra per librarlo sulla carne del braccio prima di tagliarmi volocemente la pelle, guardando mentre la fessura si apre e il sangue appare quasi immediatamente. Mi è tornata la calma; il dolore fisico ha rimpiazzato quello emozionale per poi lasciarmi seduto con la mente annebbiata, fissando i tagli sanguinanti che mi sono appena inferto.
Mi sono fatto questo periodicamente per un anno. Per un anno sono stato un mostro privo di un normale funzionamento da essere umano. Non ho più alcun amico o nessun altro a cui importi qualcosa di me; ho tagliato i ponti con tutti (in modo intenzionale e non) da un bel po’. I miei unici amici sono la mia collezione di lame di rasoi e altri oggetti utili di cui dispongo.
Non riesco più ad affrontare alcuno stress o peso emozionale; il mio primo pensiero quando qualcosa va anche solo leggermente peggio è che ho bisogno di farmi del male. Anche se è solo un graffio o una leggera scottatura, ho bisogno di dolore per superare la giornata; mi faccio del male in tutti i modi possibili. Ho bisogno di sonniferi per superare la notte; gli incubi sono diventati troppo estenuanti per riuscire ad affrontarli. Mi piace come mi sento con le droghe medicinali e mi sono innamorato della sensazione di vuoto del non mangiare per un intero giorno.
Credo che dovrei spiegare come tutto è andato a finire in questo modo così da rendervi tutto più comprensibile. Partirò dall’inizio; dal momento che confessai i miei sentimenti ad Armin Arlet.
-x-
Avevo quindici anni quando cofessai ad Armin di provare dei sentimenti per lui. Sapevo già da più di un anno che i miei sentimenti per lui andavano oltre la semplice amicizia, ma non avevo mai fatto niente fino ai miei quindici anni. Era il giorno di San Valentino, e avevo deciso che sarebbe stato il momento migliore per far sapere ad Armin cosa sentivo verso di lui veramente.
Gli avevo comprato una scatola di cioccolatini; niente di così complicato, semplicemente una normalissima scatola a forma di cuore che conteneva cioccolatini assortiti. Lo avevo invitato a casa mia dopo la scuola quel pomeriggio, e avevamo camminato l’uno affianco all’altro dopo il suono dell’ultima campanella (la Maria High School era vicina alle nostre case così che i nostri genitori ci avrebbero fatto andare e tornare a piedi finchè non avremmo preso il diploma). Indossava un maglione bianco e dei jeans chiari e scoloriti, io una maglietta grigia a maniche lunghe e dei jeans blu scuro. Armin era adorabile quano indossava i maglioni, che erano sempre leggermente troppo grandi per lui. Avevo lasciato la scatola di cioccolatini sul letto, così avrei dovuto assicurarmi di essere il primo ad entrare in camera mia per poter nascondere la scatola dietro la schiena prima di dichiararmi ad Armin. Mi affrettai davanti a lui e una volta che Armin entrò in camera chiudendosi dietro la porta, nascosi i cioccolatini secondo il programma.
Mi guardò con aria interrogativa non appena notò il mio sorrisetto imbarazzato e le mie braccia goffamente noscoste dietro la schiena. Prima che lui potesse dire anche una sola parola, gli dissi “ho una sorpresa per te.” Tirai fuori la scatola di cioccolatini e gliela porsi. Vidi un leggero colorito rosato spargerglisi lieve sulle guance mentre prese delicatamente la scatola dalle mie mani; sono sicuro che fosse l’ultima cosa che si aspettava.
Armin sembrava insicuro su cosa dire, così continuai io. “Volevo solo farti sapere che sei importante per me, Armin, ma più di un amico normale. Mi va bene se non provi anche tu le stesse cose, perché non mi aspetto che tu lo faccia, ma volevo semplicemente dirti quello che provo.” Avevo il viso accaldato e avrei scommesso che fosse cosparso di colore tanto quanto il suo. Il silenzio aveva riempito l’aria per un lungo momento prima che Armin prendesse un lungo respiro e mi regalasse il sorriso più raggiante che avevo mai visto. Mi gettò le braccia al collo con la scatola di cioccolatini ancora in mano e si protese verso l’alto così da avere il viso alla stessa altezza del mio. Il suo viso era di un rosso acceso mentre eliminava la distanza dei nostri volti, dandomi un inaspettato ma dolcissimo bacio sulle labbra. Sorrisi nel bacio, assaporando il sapore delle labbra morbide di Armin contro le mie. Il bacio era stato incredibilmente delicato, e non mi sarei aspettato nulla di meno da lui.
“Mi piacevi da un sacco di tempo, Eren.” Ammise Armin parlando così piano che dovevo sforzarmi per sentirlo. Il mio cuore si agitava pieno di gioia allo stato puro quando Armin mi avvolse le braccia dietro la schiena e mi diede il più dolce abbraccio che avevo mai ricevuto. Buon Dio, tutto ciò che quel ragazzo faceva era così fottutamente adorabile. Quando il nostro abbraccio si sciolse, ci sedemmo fianco a fianco sul mio letto a doppia piazza, adornato con la stessa trapunta blu chiaro che ora è disseminata di macchie di sangue. Armin mi disse che aveva pensato a me come a qualcosa di più di un amico già da quando aveva tredici anni (più a lungo di quando io provavo qualcosa per lui) e aveva deciso di non dirmelo per paura di rovinare la nostra amicizia. La mia dichiarazione era andata mille volte meglio di quanto pensassi; il risultato era assolutamente perfetto.
Armin divise i suoi cioccolatini con me mentre chiacchieravamo finché alla fine del pomeriggio la finimmo tutta e Armin doveva tornare a casa sua. Prima di lasciare la mia stanza, lo afferrai delicatamente e gli diedi il bacio della buonanotte. Armin ridacchiò dopo avermi spinto via e io potevo letteralmente sentire il mio cuore sciogliersi.
Pensavo che saremmo sicuramente rimasti insieme per tutto il resto delle nostre vite.
E fino al giorno dell’incidente, lo eravamo stati. Tutti i nostri amici sapevano che stavamo insieme e tutti concordavano sul fatto che fossimo una coppia perfetta. Le nostre personalità erano opposte in generale; Armin era calmo e incredibilmente intelligente mentre io sono sempre stato impetuoso e testardo. Non c’è dubbio sul fatto che sarrebbe stato Armin a fare il discorso di commiato il giorno del diploma alla Maria High School. La consapevolezza che non ne avrà mai la possibilità mi fa male.
La nostra relazione era dolce e piacevole, una di quelle in cui entrambi i membri non desideravano altro che stare seduti l’uno vicino all’altro e essere connessi da un semplice abbraccio. Io e Armin non avevamo fatto sesso finché non compimmo entrambi sedici anni; erano passati solo sei mesi dal principio della nostra relazione quando decidemmo che era il momento. La nostra prima volta era stata impacciata e goffa (dato che era stata la prima volta per entrambi) ma era stata speciale perché eravamo così totalmente innamorati che avrebbe potuto fare schifo e sarebbe comunque stato il miglior momento di tutta la nostra vita. Non dimenticherò mai quello che provavo quando i nostri corpi erano premuti l’uno contro l’altro, l’essere connesso alla persona di cui m’importava di più in tutto il mondo.
Avevo conosciuto cosa fosse la felicità. La felicità era stringere la mano di Armin mentre camminavamo tranquillamente nel parco. La felicità era accarezzare la sua pelle morbida mentre era disteso fra le mie braccia, semplicemente godersi la compagnia l’uno dell’altro. Quell’anno passò in un batter d’occhio, e a volte sembra che nulla di questo sia mai realmente accaduto. Ogni tanto, ho ancora il dubbio che la nostra relazione sia avvenuta realmente. Sono giorni in cui mi sento insostenibilmente distaccato da tutto (beh, più del solito).
Armin era il mio tutto. Certo, era importante anche Mikasa visto che era mia sorella e la mia migliore amica, ma non ero perdutamente innamorato di lei. Tutto di Armin mi faceva sciogliere, dai suoi capelli biondo miele lunghi fin sotto le guance che raccoglieva in un codino nelle giornate calde. Era lui quello che non perdeva mai la pazienza con me, che non si era mai scocciato eccessivamente di affrontare le mie stronzate. E c’è molto da dire sulle persone che riescono ad affrontare le cazzate degli altri senza eccezioni. Non mi innamorerò mai di una persona come mi sono innamorato di Armin. In primo luogo, io sono un inutile pezzo di merda che non merita amore, comunque, ma ne parleremo dopo.
Ero sempre stata una persona elastica; solitamente riuscivo ad affrontare qualsiasi porcheria la vita tentasse di rifilarmi. Armin solitamente era la ragione principale del mio essere capace di affrontare qualunque problema. Con Armin al mio fianco, ero invincibile. Credevo che ci fosse un futuro ad aspettarmi, che la vita valeva la pena di essere vissuta. Tutto ciò si era frantumato dopo l’incidente.
-x-
Avevo pregato costantemente Dio di farmi tornare alla notte fatale del party, avevo pregato Dio di prendere me e non il mio Armin. Uno sforzo inutile; non esistevano cose come seconde chance nella vita reale, ora lo avevo capito. Una volta che sei fottuto, sei fottuto, cazzo. E io ero davvero fottuto.
Il funerale di Armin era stato uno dei due momenti peggiori della mia vita, secondo solo al reggere tra le braccia il suo corpo sanguinante e senza vita mentre pregavo di non essere portato via da lui. Potevo sentire gli sguardi accusatori della famiglia di Armin; mi avevano detto che non era colpa mia ma si capiva bene che non intendevano veramente le parole che uscirono dalle loro bocche tormentate. Armin era stato talmente straziato dall’incidente che la sua bara era rimasta chiusa durante tutto il funerale. Mi distruggeva completamente la consapevolezza che l’ultimo ricordo che avevo di lui fosse il suo viso angelico insanguinato e menomato e non mentre mi assicurava con serenità che avrebbe superato con successo tutto ciò che lo avrebbe atteso nell’aldilà. Mikasa mi stette vicino lungo tutta la cerimonia, cercando di darmi conforto; non piangeva. Fissava lo spazio davanti a lei in modo assente, che sarebbe diventata la sua espressione tipo per tutto il resto dell’anno seguente.
Lacrime calde e terribili mi scorrevano sul viso durante tutto il funerale e continuarono a scendere abbondanti anche a casa la sera. Mia madre mi teneva come un bambino, cullandomi nel suo grembo mentre piangevo. Ero stanco di piangere, cazzo; le lacrime non aiutano. Piangere non fa tornare in vita le persone morte a scapito dei tuoi futtuti errori. In quel momento non volevo altro che fermare le lacrime, anche solo per qualche momento. Quella notte per la prima volta mi feci del male da solo apposta; un tormentoso momento di disperazione che mi avrebbe portato a molte più cose di quanto mi sarei aspettato.
Non ho iniziato a tagliarmi da subito; ci avrei impiegato un paio di mesi per arrivare a quel punto. Quando mi sedetti nella stanza chiusa, non avevo a disposizione nessuno strumento che si sarebbe potuto dimostrare utile. Quindi ciò che feci fu alzarmi la manica sinistra della felpa nera che stavo indossando (mi ero cambiato dopo il funerale e anche se era ancora estate da allora mi sono sempre sentito freddo fin nelle ossa), ho poggiato la punta di un’unghia su un lembo di pelle per poi trascinarla bruscamente su quest’ultimo. Le mie unghie avevano bisognio di essere tagliate, infatti erano abbastanza taglienti dal momento che grazie a loro riuscii a graffiarmi per bene il braccio. Una solo movimento non era stato abbastanza; si era formato un segno rosso ma non sentivo nemmeno un po’ di dolore. Così riportai l’unghia sul punto che avevo graffiato e lo feci ancora e ancora finché anche gli ultimi brandelli di pelle non erano stati strappati via dal vigoroso avanti e indietro dell’unghia, lasciando una chiazza di pelle viva che bruciava al tocco. Premetti le dita sulla ferita ovale, focalizzado tutta l’attenzione su quanto pizzicasse subito dopo il contatto.
Avevo smesso di piangere. Mi ero distratto dal dolore delle mie emozioni e avevo sospirato di sollievo quando il dolore fisico aveva rimpiazzato la mia tortura psicologica per qualche minuto. Quadrava tutto perfettamente. Meritavo di provare dolore. Meritavo di soffrire per essere stato dal lato del guidatore quella notte. Mi ero ripromesso che farmi del male non sarebbe diventata un’abitudine, comunque. Lo avrei fatto solo in situazioni estreme come oggi. Armin non avrebbe mai voluto questo per me, anche se lo meritavo del tutto. Avevo tutte le intenzioni di rendere l’autolesionismo un’occasione rara, e credevo veramente che ne sarei stato capace. Se qualcuno avesse notato il graffio sul mio braccio, tutto ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato dire che avevo graffiato il braccio da qualche parte. Nessuno avrebbe avuto motivo di dubitarne, perché sembrava un graffio che ci si fa quando si cade dal marciapiedi e si struscia la pelle sull’asfalto.
Visto che era ancora estate da quando Armin se ne era andato, avevo tempo prima di dover affrontare nuovamente la scuola. Se non altro, il bisogno di distrazioni giornaliere e interazioni sociali si sarebbe dimostrato più d’aiuto delle lunghe giornate seduto da solo a piangere nella mia stanza e fissare il muro mentre la realtà continuava a schiaffeggiarmi in viso con il ricordo che il mio ragazzo non avrebbe mai più avuto la possibilità di camminare in terra. Nonostante ciò, mantenni la mia decisione di non farmi del male se non assolutamente necessario. Tuttavia, dopo il mio isolamento autoimposto, persi in fretta la capacità stringere relazioni sociali, e ritornare a scuola fu brutale.
Mi irritavo facilmente; molto più facilmente di quanto avessi mai fatto prima. Le parole di consolazione della gente che avrebbero dovuto confortarmi non facevano altro che farmi incazzare. Stavo bene e dovevano smettere di cercare di aiutarmi. Non ero un poveraccio. Assicuravo tutti che stavo venendo a patti in modo normale con la morte di Armin come tutti, e le persone sembravano essere felici di ciò. Il che mi faceva incazzare, perché stavo mentendo in modo così ovvio. Le persone credono troppo in fretta a tutte le stronzate che escono dalla mia bocca. Stai bene? Certo, dico mentre gli occhi mi bruciano, le lacrime minacciano di uscire dai miei occhi e mi tremano le labbra facendomi a malapena farfugliare. Oh, bene! Dicono; sono contenti di sentirsi dire che tutto sta adando al meglio.
Onestamente, non so se sono davvero così fottutamente stupidi e ignoranti o se semplicemente non gliene fotte un cazzo. Probabilmente entrambe le cose insieme. Non me ne fotte un cazzo in realtà, finché non lasciano in pace me.
Ho fatto in fretta a spingere via tutti i miei amici e isolarmi ancora di più dal mondo. Hanno cercato di farmi distrarre dalla mia tristezza; hai voglia di vederti un film insieme, Eren? No, in realtà, non ne ho proprio voglia, cazzo, qiundi lasciami in pace e fammi andare a casa a chiudermi a chiave in camera mia per il resto della notte. Nonostante la preoccupazione dei miei amici fosse più vera di quella degli altri, non ha comunque mai smesso di farmi incazzare. Ho addirittura quasi iniziato una rissa con uno dei miei vecchi amici e gli avevo dimostrato di essere l’ultimo dei loro pensieri. Mi hanno detto che avevano tentato pazientemente di aiutarmi con il mio dolore, ma se avevo intenzione di prendermela con loro fino al punto di arrivare a picchiarli, non avrebbero potuto continuare a essere miei amici. Gli sibilai sputacchiando che lo volevo anche io, comunque, quindi potevano smetterla di sprecare tempo con me e stare fottutamente fuori dalla mia vita. Senza contare che ero considerato una causa persa. La cosa che fa più schifo è che non riesco neanche dimostrargli il contrario; sono veramente una causa persa in un mondo di merda.
Gli insegnanti del terzo anno di scuola superiore erano stanchi della mia svogliatezza nel fare i compiti. Mi avevano dato la possibilità di essere in lutto, ma avevano deciso in modo unanime che due mesi erano abbastanza e che la morte del mio migliore amico non era più una scusa tollerabile per non fare niente. Mia madre riceveva spesso chiamate con la comunicazione che avrei dovuto iniziare a impegnarmi. All’inizio, trattò le chiamate con preoccupazione e si assicurava di parlarne seriamente con me ogni volta che ne riceveva una, ma si arrese col tempo. La mia mancanza di intresse per ogni singola situazione ha fatto arrendere anche lei, con la speranza che avrei trovato da solo un modo per uscirne, perché solo io potevo riuscirci ora.
I professori mi stanno ancora attaccati al culo, ma difficilmente si proccupano di tentare di farmi fare qualcosa, perché sanno che probabilmente non lo farò. Ora come ora, mi domando se qualche college al quale potrei iscrivermi mi potrebbe accettare. Ma comunque... che importa il college quando posso rimanere seduto da solo nella mia stanza per il resto della notte a guardare il sangue scendere dal mio corpo?
Credo che dovrei sforzarmi un po’ di più a spiegare l’autolesionismo che ho praticato dall’incidente fino a ora. Da quel primo graffio ho resistito un paio di settimane prima di iniziare a sentire la prurigginosa voglia di dolore fisico. Ho provato a trattenermi dal farlo di nuovo per non deludere Armin, ma una notte dopo una chiamata di mio papà, non ce l’ho più fatta. Aveva tentato di essere un “papà amorevole” dopo la perdita di Armin. Ma da quando io sono diventato più distante, lui è diventato più frustrato. Quelle telefonate sono presto diventate una scusa per dirmi che razza di pezzo di merda sono, che dovevo piantarla con tutte quelle stronzate e iniziare a lavorare seriamente per diventare un funzionale membro della società. Non so nemmeno perché facevo ancora lo sforzo di tirare su la corentta; tutto ciò che mi diceva erano cose che sapevo già. Confermava solo il mio disgusto verso me stesso, e lo rendeva ancora peggiore.
Dopo che una delle chiamate di papà mi aveva lasciato più sconvolto del solito, prima che potessi anche solo elaborare quello che stava accadendo, stavo già grattando con furia le mie unghie avanti e indietro sulla superficie della mia pelle. Una gocciolina di sangue si formò sulla ferita; mi ero graffiato abbastanza forte da sanguinare. Fissai la ferita come intontito. Bruciava. Oh dio, bruciava così bene. Questo tipo di ferite rendevano le doccie del giorno dopo un inferno; un’esperienza che faceva proprio al caso mio. Mi meritavo di sentirmi bruciare come se stessi all’inferno. L’acqua bollente mi scorreva sempre sulle ferite fresche e il dolore mi trapassava da parte a parte, chiudevo gli occhi e lasciavo che il dolore lavasse via il mio intero essere. Una sensazione che crea dipendenza.
Ero ancora deciso a non diventare dipendente dal dolore, anche solo per il volere di Armin. Ma Armin non era più qui, e questa consapevolezza affondava sempre più profondamente in me al passare del tempo. La mia determinazione vacillò, e il mio braccio sinistro venne coperto di larghe ferite ovali dovote al mio stesso graffiarmi. Alla fine, anche quelli smisero di saziare la mia sete di dolore tangibile. Mi impossessai di un accendino e presi a posare il braccio direttamente sulla fiamma, lasciando la mia carne bruciare mentre sospiravo di sollievo. Potevo controllare il mio dolore, era bellissimo.
-x-
La mia discesa nell’autolesionismo è stata così veloce che ero stato a malapena in grado di elaborare in che casino mi ero cacciato. Un paio di mesi di scuola ed ero limitato alle maniche lunghe; avevo troppe cicatrici e bruciature da poterle far passare per incidenti. Finché era autunno, le felpe facevano parte dell’abbigliamento standard e nessuno faceva domande sul mio evitare le maniche corte. Non che a qualcuno fottesse un cazzo. Ma comunque il punto è che quello fu l’inizio della mia vita in cui letteralmente non ho mai mostrato le braccia in pubblico. Non avevo mai realmente capito che privilegio fosse quello di avere l’opzione di indossare una maglia a maniche corte fiché non me lo ero tolto. Nonostante questo tecnicamente avrei potuto indossare ancora magliette a maniche corte se davvero avessi voluto, ma preferivo essere io l’unico a chiamarmi mostro. Nessun altro poteva capire che il dolore era un meccanismo di difesa per me, un modo per affrontare i demoni che davano la caccia alla mia anima in ogni momento della giornata.
Il mio autolesionismo mi faceva capire quanto ero solo al mondo, e quanto lo sono ancora.
Dopo pochi mesi di graffi, scottature e occasionalmente colpi o morsi sulla pelle, la mia curiosità sul come doveva essere provare sollievo con la lama di un rasoio era troppo forte per resistere. Avevo avuto una giornata di merda a scuola; i professori avevano passato la giornata a farmi la predica sul come mi sarei rovinato completamente il futuro se non avessi cambiato qualcosa al più presto. Per quanto mi riguardava, era stato rovinato nel secondo in cui avevo causato lo schianto che aveva portato Armin via da me. La chiamata di papà la notte prima era stata abbastanza dura da farmi tremare di rabbia dopo avergli attaccato in faccia senza salutare; l’intera conversazione era letteralmente stata lui che mi diceva quanto cazzo sono inutile ed è arrivato a dire che avrebbe voluto che fossi morto anche io nell’incidente. Oh, come vorrei essere morto anche io assieme ad Armin. Mi sarei risparmiato questo inferno autoinflitto con cui mi ero ossessionato. Ma mi aveva comunque scosso sentirmi dire una cosa simile dal mio stesso papà; non eravamo mai andati molto d’accordo, ma non era mai stato così crudele prima. Anche la beata ignoranza di mia madre mi irritava; come faceva a non notare che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato nei suoi figli?
Essenzialmente, faceva schifo tutto e la vista del mio stesso sangue non era mai stata tanto invitante. Così per la prima volta, dopo l’ultima campanella, non sono tornato subito a casa. Mi sono fermato al primo ferramenta e ho comprato una piccola scatola che conteneva alcune larghe lame di rasoio, infilato nella tasca dei jeans nella via del ritorno. Mamma era a casa quando sono arrivato; doveva essere uscita da lavoro prima. Mi aveva sorriso e non appena mi aveva visto oltrepassare la porta di casa mi aveva chiesto come era andata la giornata. Evitai i suoi deprimenti occhi inconsapevoli e borbottai che era andato tutto bene prima che scendessi dal letto, chiusi la porta dietro di me. Anche Mikasa era già in camera sua.
Mi sedetti a gambe incrociate sul letto e pescai la scatoletta dalla tasca. Indossavo una felpa bianca quel giorno; aveva un paio di ali ripiegate stampate sul retro ed era sempre stata una delle mie preferite. L’avevo comprata insieme ad Armin e quando l’avevo provata aveva battuto le mani e aveva detto che mi calzava a pennello. Alzai lentamente la mainca, esposi in mio braccio pieno di cicatrici all’aria ed aprii la scatola di rasoi. Ne afferrai uno e me lo rigirai diverse volte nella mano, ammirando il suo brillare maligno prima di abbassarlo sul braccio. Lo affondai nella superfice del mio braccio più in fretta che potei; il freddo taglio del metallo aveva pizzicato più di quanto credessi e guardai la mia pelle aprirsi. Il sangue arrivò dopo solo un secondo, riversandosi oltre i confini del taglio e scorrendo giù dal mio braccio. Mi innamorai all’istante della bellezza grottesca che avevo appena creato. La ferita non era molto profonda ma faceva davvero male, cosa della quale ero grato. Avevo imparato che guadarti sanguinare era calmante, tranquillizzante nel suo orrore.
Avevo ricordato di prendere uno straccio dal bagno mentre andavo in camera così che il sangue non sarebbe andato dappertutto, e lo premetti delicatamente contro la ferita, macchiandola di un po’ del sangue che si era formato. Non appena il sangue se ne andò, fu rimpiazzato da una nuova ondata.
La sostanza cremisi continuò a scorrere dal mio braccio e io lo fissavo ipnotizzato. Quel primo taglio era stato il primo di tanti altri.
Poiché non indossavo bendaggi, quando la ferita sul braccio mi si riapriva nel sonno, il sangue mi scorreva sulle lenzuola. Mi feci una nota mentale dicendomi di lavarle visto che comunque non lo facevo da un po’. Il bucato sarebbe presto diventato un lavoretto a cui avrei spesso preso parte visto che non avevo mai capito quanto potessero essere utili delle bende ed ero spesso costretto a lavare le macchie di sangue da lenzuola e vestiti. Alla fine avrei smesso di fare anche questo e avrei lasciato le macchie di sangue dove erano.
Non avrei mai creduto prima di poter arrivare a tagliarmi. Era sempre stato lo stereotipo di un taboo che gli autolesionisti fossero come meno di esseri umani agli occhi di chi non aveva mai sentito il bisogno di vedersi sanguinare. Mi ero sempre fatto beffe dell’idea, dicendo che la gente doveva essere messa proprio male per essere disposta a premere una lama sulla loro stessa pelle. E ora guarda dove sono; coperto da una rete di linee rosse lungo tutto il braccio. Sto perdendo me stesso, pezzo dopo pezzo, taglio dopo taglio. Lascio andare via il ragazzo determinato e avventato che ero. Ogni tanto un flashback doloroso mi ricorda che ero più di questo. Solitamente rimedio ai flashback con una pillola nella bottiglietta che tengo sul comodino. Tengo le mie armi a distanza di un braccio, perché odio stare separato da ciò che mi sta tenendo in vita e uccidendo allo stesso tempo.
Mi scuso del povero resoconto che sono riuscito a fornirvi, ma spero che abbiate colto il sentimento generale della mia vita da quando è avvenuta la tragedia che ha portato via da me il mio ragazzo e di aver impostato lo scenario della mia vita corrente. E così, vi lascio con questa breve storia. Sperando che potrete capire i meccanismi interni della mia mente quando inizierò a raccontarvi tutto sulla mia vita a partire da oggi.

Note dell’autrice:
ci ho messo un po’ per capire come iniziare la storia in se, e ho ricominciato tutto da capo tre volte prima di capire che il modo migliore sarebbe stato un sommario della vita di Eren prima di iniziare a spiegere la sua vita giorno per giorno. Spero abbia senso, aha.
Note della traduttrce:
Capitolo tosto ma assolutamente bellissimo. L’ho davvero amato e anche la traduzione è stata piacevole (nonostante le solite difficoltà). Non vedo l’ora di postare il prossimo capitolo. J
Spero apprezzerete! anche perchè comparirà per la prima volta Levi che è il momento che aspettavamo con ansia u.u (mi auguro di non avervi spoilerato troppo).
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti se vi va! Ringrazio tutti quelli che hanno seguito, commentato, messo nei preferiti/da ricordare o anche solo letto! Vi amo ragazzi :’)
A presto!
  
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