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Autore: T_D_VLm    30/04/2014    2 recensioni
La storia e un proseguo di Twilight.
Cosa succede dopo Breaking dawn?
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Nessie non è pronta per essere adulta, e ha paura dei nuovi sentimenti che prova per Jacob.
Intanto il tempo passa, e la storia gira intorno alla piccola e inesperto Valium.
Bella come una dea e più furba di una volpe.
L'unica persona che riesce a tenerla con i piedi per terra si chiama Charlie Cullen. Ultimo arrivato della famiglia. Bello quando Edward - se non di più- e enigmatico quando basta per far uscire pazzi l'intera famiglia.
Ma il legame che gli tiene uniti e troppo forte.
Riusciranno a stare insieme? E Ness e Jacob?
La sete di pericolo di Valium farà cadere i Cullen nell'ennesima lotta contro i Volturi?
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TRATTO DAL RACCONTO
La vita e dura, ma e solo una. E se è eterna e ancora più difficile.
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ATTENZIONE: il raccontò si divide in due tempi, alternati fra loro, che raccontano la storia di Nessie e quella di Valium.
Vi auguro una buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Clan Cullen, Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga, Più libri/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The moon prohibited'
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Mio padre si precipitò a casa nostra, e fissò la donna che non smetteva di urlare.
Guardò un attimo mamma, poi carico la donna sulle spalle, e corse in direzione di casa Cullen, con mamma e me che avevo tra pe braccia Valium a seguito.
Lasciai Valium a zia Rose, che continuava a guardarci terrorizzata.
La portammo sul lettino di ospedale, nello studio di Carlisle.
«Bella, Nessie, fatela parlare!» ordinò papà mentre studiava il ventre tremolante della donna.
«Che hai?» chiese immediatamente mamma, prendendole il viso tra le mani, facendo si che la guardasse negli occhi.
«Sono incinta» mormorò la donna con uno strano accento portoghese.
«Chi sei?» chiesi io cacciando le mani di mamma dal suo viso.
«Mi chiamo Milihan... Sono una sorella di Nahuel... Lui mi ha detto che qui ci aiuterete... Che farete nascere il mio piccolo... Mi ha detto che c'è una nostra simile» mormorò la donna in preda agli spasmi.
«Bella, vai ha prendere dell'acqua calda!» ordinò papà.
Mia madre uscì senza proferire parola.
«Dov'è il nonno?» chiesi mentre stringevo la calda mano di Milihan, più calda per via della febbre.
«È ha caccia! Dobbiamo pensarci noi!» rispose lui. «Tranquilla, Milihan. Vi aiuteremo entrambi» mormorò papà.
La ragazza ansimava, e ci squadrava entrambi. Si vedeva da un chilometro che era spaventata.
«Chi è il papà?» chiesi cercando l'attenzione della donna.
Mia madre aprì la porta, e si mise vicino a mio padre, per aiutarlo, lasciando la bacinella colma d'acqua sulla scrivania di mio nonno.
«È un vampiro nomade... Veniva dall'Inghilterra per parlare con Senna e Zafrina ... Si chiamava... Alistar» mormorò Milihan.
Io e i miei genitori ci scambiammo uno sguardo, mentre i ricordi si facevano largo nelle nostre menti, per ricordare quel vampiro, che per paura dei Volturi, ci voltò le spalle, dieci anni fa.
«L'incontrai per caso... Era un giorno come tanti...» un urlò lancinante interruppe il suo racconto.
«Senti Milihan, noi vogliamo aiutarti, ma tu devi collaborare. Il tuo bambino starà bene, ma devi parlarmi, chiaro? Devi restare sveglia, qualsiasi cosa accada, capito?» incitai la ragazza, mentre mi guardava con gli occhi sbarrati.
I ricci capelli neri, erano zuppi di sudore, e i suoi occhi neri colmi di lacrime, mi supplicavano di ucciderla.
«Edward...?» fece mia madre, supplichevole.
«Bella...?» fece lui disperato.
«Aiutiamola!» decretò decisa Bella.
«Vai ad aiutare a Ness» ordinò papà. «Senti Milihan...» disse mio padre, rivolgendosi alla ragazza. «Ora tu ci devi aiutare, se vuoi tenere in vita il tuo piccolo, capito?» continuò mio padre.
Strappò il vestito di pelle selvatica di Malihan, e affondò i denti nella carne di Milihan, facendo urlare quest'ultima.
Il corpo di quest'ultima, venne colto da spasmi, mentre papà cercava di dare alla luce quel bambino.
Un urlo tremendo rimbombo per la stanza, seguito da un sonoro "crak".
Malihan svenì, ma le sue urla furono rimpiazzate dai gemiti di un bambino.
Mio padre aveva tra le braccia un bambino, pallido, con i capelli neri e gli occhi rosso sangue socchiusi.
Cercavo di mordere lo spazio fra noi.
«Bella, Nessie, andate di là, a lei penso io» mormorò mio padre.
Senza dire una parola, mamma prese il bambino, ed, insieme, uscimmo dalla stanza.
Valium dormiva tranquilla tra le braccia di zia Rose, e ciò mi tranquillizzò.
Pochi minuti dopo mio padre uscì dallo studio di Carlisle, e ci disse che Malihan stava bene, e che voleva vedere il suo bambino.
Mamma glielo portò, e dopo averglielo lasciato tra le mani, uscì, senza proferire parola.

Quando tornò Carlisle, visitò Malihan, e ci disse che stava bene.
Fu un sollievo per tutti.

Più tardi, arrivò Jacob, e dopo avergli spiegato la situazione, gli affibbiai Valium, per andare -con mia madre- a parlare con Malihan.
Era ormai buoi, e lei si trovava nella camera di papà, sul letto da ospedale.
La stanza era completamente al buio, e lei era china sul bambino, a cui dava del sangue di donatore con un biberon di ferro.
«Malihan?» la chiamò mia madre.
La giovane alzò lo sguardo, e i suoi occhi neri incrociarono quelli di mamma, e in un attimo, sulle sue labbra , gli si dipinse un sorriso lieve.
«Grazie» mormorò nel suo strano accento.
«Aiutarti e stato un nostro dovere. Con quale coraggio credi che ti avremmo potuto lasciare là, da sola?» rispose mamma sorridente.
«Con il coraggio che solo un vampiro puoi avere» mormorò la ragazza, con un tono triste nella sua voce.
Il silenzio calò fra di noi, consapevoli tutti della ragione che aveva quella ragazza.
«Sapete, avrei tanto voluto crescere in questa famiglia» mormorò nella sua voce melodiosa, rompendo il silenzio.
«Be', se vuoi, puoi pure rimanere» mormorai.
«Ho detto crescere, non vivere. Non so come farei senza la mia foresta amazzonica» rispose ridendo. «Sapete...» cominciò Malihan, guardando il bambino. «... Mio padre non mi avrebbe mai aiutata. Per canto suo, gli umani erano solo cibo, ed avere qualche problemi ad livello fisico, nella nostra "famiglia", significava morte» continuò in un mormorio.
«Tuo padre ti avrebbe ucciso?» chiesi senza pensarci.
«Ha lasciato che le nostre madri morissero. Non mi sarei sorpresa se mi avesse lasciato lì a soffrire o a morire» mormorò lei in risposta.
Restammo in silenzio per qualche minuto, prima che una domanda mi uscì di bocca. «Come lo chiamerai?» chiesi.
Lei mi sorrise. «Non posso dirtelo ora. E una vecchia tradizione del mio popolo. Non posso dare un nome a mio figlio fino a la prima notte di luna piena, cioè domani. E poi non lo devo scegliere prima, mi deve venire spontaneamente, senza pensarci su» spiegò lei.
«Oh...» mormorai.
«Perché non ci racconti come hai incontrato Alistar?» propose mia madre.
Lei rise e iniziò a raccontare la sua storia: «lo conosciuto per caso. Un giorno venne a parlare con Zafrina e Senna. Era venuto per conto di un clan irlandese, a chiedere di voi.
La nostra storia, durò mesi. M'insegnò a leggere e a scrivere. L'unica cosa che non riuscì a condividere, fu il fatto di non avere lo stesso rispetto per la vita umana, ma rispettammo le nostre scelte.
La nostra vita poteva essere perfetta...» nel bel mezzo del racconto, una lacrima gli solco il viso. «... Un giorno, mi alzai, e lui non c'era più... Al suo posto, c'era una lettera col scritto che il suo posto era a londra, e se volevo, potevo raggiungerlo quando volevo.
Tre settimane dopo capì di essere incinta, e Nahuel mi disse di venire qui, per essere aiutata... Ed eccomi qua» mormorò stringendo di più il sui bambino al petto.
«Credo che dovresti riposare» mormorò mamma.
Si avvicinò al bambino, e Malihan le lo porse, e lei lo afferrò.
Uscimmo dalla sua stanza, e Valium si precipitò fra le mie braccia, con Jacob a seguito, e papà, che prese mamma per la vita.
«Sta bene?» chiese papà guardando la sua vecchia camera.
«Dorme» rispose mamma, che strinse più forte il piccolo.
«Nonno! Nonno!» mormorò con insistenza Valium, tirando la camicia a mio padre.
«Si, piccola?» rispose mio padre, prendendola in braccio.
«Voglio vedere il bambino» rispose Valium, sporgendosi dalle braccia di mio padre, per vedere il piccolo.
Restò un attimo imbambolata, mentre mio padre impalidiva e sgranava gli occhi.
Tirò immediatamente via Valium, che pretese di scendere.
«Che succede?» mormorai sospettosa e preoccupata al tempo stesso.
Valium, intanto, iniziò a girovagare per il corridoio, strofinandosi l’occhietto destro.
«Valium, che hai?» chiesi andandole vicino.
«L’occhio, mi brucia» disse in un lamento. Dopo pochi minuti, smise di strofinare l’occhio, e lo apri.
Era rosso sangue, più di quelli del bambino. «Ma che cosa è successo?» chiesi a Jacob, terrorizzata.
«Rose! Rose!» chiamò mio padre, con molta rabbia nella voce.
Zia Rose si precipitò nel corridoio del terzo piano della grande casa, e dopo aver ricevuto delle istruzioni da papà, portò giù i piccoli, mentre papà si dirigeva nello studio di Carlisle, proferendo solo una parola: «seguitemi!».
Entrammo nello studio, dove papà mi fece sedere.
«Che succede?» chiesi terrorizzata, rivolgendomi a papà.
«Ho il... Presentimento che... Valium... Abbia avuto l'imprintigh!» rispose intimorito.
«Valium … Valium ha avuto l’imprinting?» chiese Jacob sbigottito quando me.
«Scherzi, vero?» chiesi nel suo stesso tono di voce.Ora, ero sicura, che non ci capivo proprio nulla della vita.
Papà fece cenno di no con la testa. «Ma ci sono altre possibilità» mormorò. «Quali?» chiesi disperata. Ero seduta, con la testa fra le mani, e, senza volerlo, piangevo.
«Nasconderglielo. La bambina non è intelligente come te, col passare del tempo dimenticherà» propose papà.
Un ringhio usci dal torace di Jacob. Lo azzittì con la mano, alzando la testa.
«Fino a quando?» chiesi speranzosa. «No!» gridò mamma alterata. «Cosa? La volete far soffrire?» urlò Jacob.
«Appunto per questo lo sto facendo, per non farla soffrire. Domani quel bambino sparirà, e lei se ne dimenticherà!» risposi quasi urlando.
«Le lo terremo nascosto fino a quando sarà responsabile, cosi non potrà più soffrire» propose papà. Ma subito qualcosa lo turbo «Bella, stai usando lo scudo?».
«No, lo sento quando va per conto suo, ma ora no» disse mamma visibilmente irritata.
«Vi prego, non dite a Valium di lui. Per favore» mormorai prima di alzarmi e uscire dalla stanza.
Valium dormiva fra le braccia di nonna Esme.
La presi, e la portai a casa, senza aspettare a Jacob.
Appena entrata, posai Valium sul mio letto, e dopo una breve doccia, m'infilai nel letto, insieme a Valium, stringendomela al petto.

Il mattino seguente, mi svegliò Jacob, mentre si preparava per il lavoro.
Ma anche se mi svegliò, preferì non alzarmi, solo per non incontrarlo. Un'altra sfuriata, e non saprei cosa avrei fatto.
Svegliai Valium, ed insieme andammo a casa Cullen, dove, con nostra grande sorpresa, regnava il subbuglio più totale, se bene a casa fossero solo in due: zia Rose e mia madre.
«Che succede?» chiesi entrando in casa.
«Malihan e sparita» mormorò mamma, mentre cullava il bambino. Stringeva fra le mani una lettera, che non esito a darmi.
Ne lessi subito il contenuto.
"Cari Cullen,
vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me e per il mio bambino.
Ma non posso restare qui, e mio figlio non può restare con me. Spero che capirete. La vita che avrà con voi, con me non l'avrà.
Quindi, addio. Se un giorno avrò fortuna, tornerò. Lo prometto. Spero che con voi vivrà piena di rispetto per l'umanità".
«Sono andati tutti a cercarla» mormorò zia Rose.
«Dove? Ora sarà a migliaia di miglia da qui!» sbottai.
Valium si strinse di più a me, e il bambino lanciò un piccolo gemito. Mamma lo strinse, e gli baciò il capo.
Era stranamente materna nei confronti del piccolo.
Le ore passarono, e i Cullen non tornavano.
Era ormai sera quando la porta della casa si aprì, e i Cullen entrarono. Da soli.
«Non l'avete trovata?» chiese zia Rose.
«No. Abbiamo seguito le sue tracce fino allo stato dell'Oregon, siamo arrivati pure in California. Ma era troppo veloce, ed è stato un azzardo andare fin a lì, dove il sole è molto forte. Abbiamo deciso di tornare indietro Appena sfiorato il confine col Messico» spiegò papà, un pò rintristito.
«E il bambino?» chiesi io, stizzita.
«Ce ne prenderemo cura io e Carlisle» rispose nonna Esme molto dolcemente.
Poi tutti guardarono mamma, che non aveva smesso nemmeno un'attimo di tenere tra le braccia il bambino.
«Sempre se qualc'un altro non si voglia prendere cura di lui» disse papà sorridente.
Mamma alzò lo sguardo , e incrocio quello di nonna Esme. «Spero che non ti dispiaccia. Ma sono rimasta completamente imponotizata da questo bambino» mormorò entusiasta.
«Fai pure. Sono contenta» rispose nonna Esme.
«Mamma, dobbiamo parlare!» decretai dirigentomi al terzo piano, della casa.
Mamma mi seguì, con il bambino, mentre entravo nella vecchia camera di mio padre.
«Non ti capisco!» sibilai fra i denti. «Ti ho chiesto di nascondere a Valium del suo imprintigh con lui, e tu decidi di tenerlo con te. Io speravo che se ne andasse!» piagnucolai.
«No, io terrò segreto l'imprintigh. Lo giuro, perché so che lo reputi la cosa migliore per tua figlia.
Però, devi tenere segreto a questo bambino le sue origini» spiegò.
Mi lasciò un pò spiazzata. «È perché?» chiesi incuriosita.
«Perché non voglio che mi voglia bene come la donna che l'ha cresciuto. Voglio che mi voglia bene come una madre!» rispose decisa.
Ci pensai un attimo, e decisi che era la cosa migliore per tutti. Non conoscevo bene la sensazione di essere abbandonata, ma non auguravo a nessuno quella sensazione.
«Ci sto» mormorai solamente.
Mamma annuì, mentre si sedette sul letto dove fino al giorno prima c'era Malihan.
La luna illuminò la stanza, e mamma la fissò un istante. Poi incrociò lo sguardo del bambino. «Benvenuto al mondo, E.j.» mormorò entusiasta.

E.j. entrò a far parte delle nostre vite tanto quando Valium.
Carlisle disse che aveva una piccola percentuale umana, che lo faceva crescere, e gli dava un odore disetante: un misto di fiori, lilla, fresia e ... sole. Molto simile a quello di mia madre quand'era ancora umana.
Quell'essere, ormai, veniva considerato mio fratello. Anche se non di sangue, visto che le sue vene erano vuote.

Il tempo passava indisturbato. Come se l'eternità dovesse finire.
Era strano come passasserò indisturbati i giorni. Tre giorni. Per gli umani sarebbero poco, ma per me, no.
Mamma e io eravamo seduti sul divano di casa mia. Valium e E.j. giocavano a terra.
Mamma insistette molto perché cresceserò come fratelli, ma nonostante questo, sapevo che appena sarebbero diventati adulti, la loro non sarebbe più stata tenera fratellanza. Parlo per esperienza personale.
Giocavano felici con i peluche di Valium. Erano così spensierati. Gli invidiavo un pò.
La porta si spalancò di colpo. Jacob corse su per le scale, con una vecchia valigia tra le mani e - ci avrei messo la mano sul fuoco- gli occhi con una strana lucidità.
«Mamma, cos'ha papà?» chiese Valium.
«Niente» mormorai prima di rivolgermi a mamma. «Puoi portare i bambini a casa Cullen? Vorrei parlare da sola con Jake» chiesi a mia madre.
«Certo, tesoro» mormorò. «Valium, che ne dici di andare a casa Cullen a giocare?» chiese rivolta a Valium.
«Si! Voglio giocare nella casa grande!» urlò entusiasta la piccola. Mia madre prese entrambi i bambini in braccio, e si volatilizò oltre la porta si casa.
Io corsi al piano di sopra, e scovai Jacob a sistemare la sua roba nella cabina armadio.
«Hai litigato di nuovo con tuo padre per me?» chiesi con un tono di voce triste.
Lui si bloccò, ma non si voltò per guardarmi in viso. «Definitivamente» mormorò.
Da quel giorno, io e Jake non parlammo molto. Era arrabbiato con me, e lo capivo.
Ricominciò a sistemare i suoi vestiti nella cabina armadio.
«Definitivamente?» chiesi io preoccupata.
Si voltò. I suoi occhi erano colmi di lacrime e rossi. il suo volto esprimeva solo tristezza. Mi bruciava al cuore.
«Che ti credi? Che tutte le famiglie sono come la tua? Tutte rose e fiori?» sputò fra i denti.
«Lo sai perfettamente che la mia vita non è rose e fiori! Anch'io ho i miei problemi!» sbottai arrabbiata.
«Si! Certo! Tipo quello di nascondere a tua figlia che ha avuto l'imprintigh a solo una settimana vita! Oh, si, che gran problema! Non so come tu ci riesca! Finiscila Ness! Te lì sei sempre creati i problemi!» urlò.
Le sue parole si schiantarono su di me, e quasi mi cedettero le ginocchia.
Lo fissai negli occhi, cercando di trattenere le lacrime.
«Se è quello che pensi» sussurrai con una falsa calma nella voce.
Lui si voltò, e io feci per andarmene.
«"Quel mostro non è mia nipote"» sussurrò a voce strozzata.
Billy. Ne aveva avuto il coraggio?
Mi voltai, e gli cinsi la vita con le braccia, poggiando il capo sulle sue enormi spalle.
«Supereremo anche questo, amore mio» mormorai.
Sciolse delicatamente il mio abbraccio. Si voltò, e mi strinse contro il suo petto.
«Come abbiamo sempre fatto» rispose tristemente. «Sono morto ogni giorno aspettandoti, tesoro. Non aver paura. Risolveremo tutto» mormorò triste.
Mi staccai da lui con delicatezza. Mi misi in punta di piedi, e posai le mie labbra sulle sue.
Non mi baciava con passione, ma con dolore. Lo sentivo che bruciava dentro di lui. Ma le sue labbra bramavano le mie. Quindi arretrai fino a sedermi sul letto. Strisciai fino ad arrivare al cuscino.
Si staccò da me, e mi lanciò un mezzo sorriso. Cercò di alzarsi, ma io glielo impedì.
«Che c'è?» chiesi preoccupata.
«Non avevi detto "niente bambini finché Valium non sarebbe stata abbastanza grande"?» chiese ironicamente.
«Ho iniziato a prendere la pillola. Dopo una visita di Carlisle, ha detto che funzionava su il mio corpicino. Lo stesso che ora ti desidera più che mai!» risposi con un pizzico di malizia nella voce.
«Chissà come e stato duro per Edward! Avrei tanto voluto esserci!» rispose ridendo.
Le nostre labbra si rincontrarono. Spegnendo la mia sete di lui.
Dopo la nascita di Valium, non siamo stati da soli neanche un pò. Nemmeno la notte, quando insisteva di voler dormire con noi.
Eppure, non riuscirò mai a pentirmi della mia piccolo Valium.

«Ne voglio 10 di figli» mormorai un minuto dopo che la mia sete di lui era stata messa a tacere.
«Anch'io. Basta che somigliano tutti a te» disse ridendo. «Così, quando mi lascerai, avrò dieci ricordi di te» disse scherzando.
Io mi posai sul suo petto, e cercai il suo sguardo.
Quando lo trovai, parlai seriamente: «io, Renesmèe Carlie Cullen -meglio conosciuta come Nessie- non ti lascerò mai. Te lo prometto».
Mi fissò un istante, e mi fece mettere a cavalcioni su di lui, premendo le sue labbra sulle mie. La mia lingua cercò la sua, accarrezandola.
Mi staccai dalle sue labbra, e mi alzai dal letto.
«Andiamo da Valium?» chiesi supplichevole.
«Certo» rispose lui alzandosi dal letto.
Appena arrivata a casa Cullen, Jacob -dopo aver scherzato per tutto il viaggio in auto- disse: «devo andare».
«Ma dove passi tutte le sante mattine e tutti i santi pomeriggio?» chiesi insospettita. «Hai un'altra donna?» scherzai.
«Come te lo devo dire che amo solo te?» mormorò posando le sue labbra sulle mie. «Fatti bella. Sta sera ti porto fuori a cena» disse quando le nostre labbra si staccarono.
Uscì dall'abitacolo, ed entrai in casa.
«Mamma! Mamma!» urlò Valium entusiasta correndomi incontro.
L'afferrai al volo, e girai su me stessa.
Valium stava diventando bellissima: i suoi capelli di bronzo gli cadevano dritti sulle spalle, il suo viso ogni giorno diventava più ovale, ma restava sempre dolce e paffuto, era alta fino al mio ginocchio - e io ero alta un metro e ottanta. L'unica parte che odiavo di lei, erano quegli occhi, che fino tre giorni prima amavo tanto.
Carlisle non diede una spiegazione precisa a quel che gli era successo. Ma io si. Era la parte di lei che l'avrebbe sempre legata a E.j.
«Sbaglio, o Jacob ha detto che ti devi fare bella per sta sera?» chiese zia Alice interrompendo i miei pensieri.
«Sbagli» rispose Valium. «Mamma è già bella così com'è!» continuò fiera.
«Zitta marmorchia, se non vuoi una dose di soletico super forte!» minacciò scherzosa zia Alice.
Valium scese abilmente dalle mie braccia, e sparì oltre il salone, con zia Alice al seguito.
Mi arrivò un messaggio. Controllai il display, e aprì il messaggio.
"Passo a prederti alle 7:00, bellezza. Jake".
Zia Alice mi afferrò il telefono dalle mani, e legette il messaggio.
«Oh santo cielo! Sono già le cinque!» esclamò impaziente. Mi prese la mano, e mi trascinò nella sua stanza.

Non sapevo dove Jake mi stava portando. Ma speravo che il mio abito da cocktail nero lungo fino sopra il ginocchio, e le decoltè nere rigorosamente tredici centimetri non sembrasserò esagerate e volgari.
«Dove mi stai portando!» pretesi di sapere dopo un'ora di viaggio.
«È una sorpresa! Quante volte te lo devo ripetere!» disse tenendo gli occhi sulla strada.
Era vestito elegante anche lui: aveva una camicia bianca, coperta da una semplice giacca nera, con una cravatta abinata, un paio di jeans neri, con scarpe nere laccate.
Posai la pochette sul cruscotto della sua vecchia auto- non mi ricordo mai il nome, ma so che ci aveva lavorato molto quando aveva quindici anni-, e accavallai le gambe, incrociando le braccia al petto mentre sbuffavo impaziente.
«Sai, stasera sei molto sexy» disse con qualcosa di strano nella voce. «Ti strapperei i vestiti in questo momento» continuò. Mi voltai a fissarlo, e notai che il suo sguardo si soffermata sulle mie gambe accavallate e sulle mi braccia incrociate sul petto. Poi si voltò a fissare la strada, e posò la mano sulla mia gamba.
«Grazie» mormorò d'un tratto.
«Di cosa?» chiesi sorpresa.
«Grazie di esistere» rispose. La sua voce era felice.
«Prego» risposi sorridento.
Dopo un'altra ora di viaggio, entrammo a Seattle.
Parcheggiò davanti al più gettonato ristorante di Seattle.
Scese dall'auto, e mi venne ad aprire la portiera. Mi aiutó a scendere, e mi porse il braccio. Io l'afferrai, e lui mi portò dentro il ristorante.
La maître iniziò a fargli l'occhio dolci, poi incrociò il mio sguardo, e rimase delusa.
«Buonasera. Posso esservi utile?» chiese con voce da gatta morta.
«Si. Ho prenotato un tavolo al nome Black» rispose Jake al mio fianco.
La maître ci accompagnò a una fila di separè, portandoci ad un tavolo vicino alla finestra.
Jacob mi fece accomodare, tenendomi la sedia, poi si accomodò di fronte a me.
«Mando il cameriere» disse la maître sparendo dietro il separè.
«Che ci facciamo qui?» chiesi sicura che nessuno ci potesse sentire.
«Devo fare due annunci importanti!» comunicò entusiasta.
«Dimmi» ordinai impaziente.
«Ho un lavoro, e l'ho adoro» rispose Jake.
«Cosa?! Un lavoro?! Dove?!». Ero entusiasta quando lui. Finalmente non eravamo più dipendenti dalla mia famiglia.
Qualsiasi cosa ci serviva, avevamo più bisogno di nessuno.
«Ho chiesto un prestito alla banca. Io, Quil e Embry abbiamo aperto una officina! E -siccome l'unica officina a Forks e molto costosa- in questi giorno ho già saldato il debito! Non è fantastico?». Era molto felice. Si vedeva. Aveva esaudito tutti i suoi sogni. Mi strappò un sorriso.
«Buonasera» disse il cameriere. «Madame» disse porgendomi il menù. Se ne andò.
«Che schifezze sono?» mormorai guardando il menù
Lui rise. «Ehi, non fare la sofisticata. So che ti piace più bere che masticare, ma ora no!» scherzó. «Perché non provi il salmone affumicato? E molto buono» propose sorridento.
«Provo a fidarmi, ma se non mi piace lo lascio nel piatto» risposi indifferente. «Tu che prendi?» chiesi sorridentogli.
«Bistecca al sangue! Così ti provoco un pò!» rispose ridendo. Io alzai gli occhi al cielo, prima di incrociare il suo sguardo.
«Facciamo così! Ora io mangio cibo da umani, ma sta notte io è te andiamo a cacciare» proposi. Lui si sporse verso di me, e io feci altrettanto, fino a ritrovare il suo viso a una spanna dal mio, e la sua mano sotto il mento.
«Credo che sta notte avremmo ben altro da fare che andare a caccia!» disse con un filo di malizia nella voce. Io pensai subito a Valium.
«Ho già parlato con i tuoi. Valium dorme da loro» rispose al mio pensiero. Allontanandosi da me.
Il cameriere prese le nostre ordinazioni. E dopo dieci minuti ci portò i nostri piatti.
Appena lasciò la bistecca al sangue davanti a Jacob, mi venne Sete.
Abbassai lo sguardo sul mio piatto. Okay, mai giudicare un libro dalla copertina, ma questo piatto aveva un'aspetto orribile.
«Mangia!» ordinò Jacob, infilandosi un pezzo di carne in bocca.
Cercai di non pensare a cosa stavo per fare. Presi coraggio, e presi con una mano la forchetta e con l'altra il coltello. Ne tagliai un piccolo pezzo -notando con disgusto che non c'era bisogno del coltello per quando fosse tenero-, e lo infilai in bocca. Iniziai a masticare, e mi accorsi che... era ottimo. Delicato e cremoso, con un sapore che non riuscì a definire - visto che io andavo matta per il cibo da umana.
«Allora?» chiese Jacob sorridente.
«Comestibile» mormorai indifferente. Rise. Ma lasciò perdere.
Parlammo tutta la sera. Della piccola, del suo lavoro, di cavolate varie.
Quando finimmo di cenare, pagò il conto, e mi porse la sua giacca. Non avevo per niente freddo, ma avere qualcosa di suo addosso, mi faceva sentire protetta.
Mi portò in un parco, tenendomi per mano tutto il tempo.
«Che ci facciamo qui?» chiesi incuriosita dalla sua espressione. Era pensieroso.
«Sai, alcune delle ultime ore della vita umana di tua madre, lo passate qui» confessò sorridentomi.
«Ah» mormorai. Sapevo che Jacob, un tempo, aveva provato qualcosa di più forte della amicizia per mia madre. Un tempo.
«Io ti odiavo allora» sussurró immerso nei ricordi. «Ed ero venuto qui per avere l'imprintigh con qualcuna -non importava chi-, così avrei dimenticato tua madre, e non avrei sofferto quando sarebbe morta» continuò.
«Jacob, che c'è?» chiesi preoccupata.
«Fammi finire!» ordinò con foga. Io annuì piano, e lui proseguì con il racconto: «avevo perso già mia madre, le mie sorelle mi avevano lasciato solo. Non potevo perdere anche lei! Sarei rimasto senza un punto di riferimento!
Ma qui non trovai nessuno.
Eri così vicina e nemmeno me ne sono reso conto!
Sai che mia madre è morta davanti a me?».
Restai spiazzata da quella domanda. «Mi dispiace. Dev'essere stato difficile per te» mormorai a voce strozzata dal dispiacere.
«Si, lo è stato. Ma mi disse "Jake, vai avanti, anche se tutti ti staranno contro".
Mia madre era la tipica persona che viveva ogni giorno come se fosse l'ultimo.
L'adoravo. E ho sofferto molto quando mi ha lasciato.
Mi ha lasciato una cosa prima di andarsene. E ora voglio che appartenga a te» mormorò quelle parole con una tale malinconia, che riuscì a strapparmi una lacrima.
«Jake, io ho già troppo da te! Non posso prendermi l'ultimo ricordo che hai di tua madre!» sussurrai sfiorandogli la spalla.
«Ma questo regalo me l'ha dato per te» rispose sorridento.
«Non capisco» dissi a voce alta.
«Nessie. Ti ho dato io questo soprannome. Ma ora non mi serve proprio.
Renesmèe Carlie Cullen, sei entrata nella mia vita strappandomi la cosa, che un tempo, giudicavo la più importante. Ma, - a parte nelle tue ultime settimane in cui eri dentro a tua madre - non ti ho mai odiato per questo.
Sei sempre stata coraggiosa. Sei riuscita a portare un peso così grande, come quello della morte fin da quand'eri una bambina. Ti ho sempre stimata per questo.
Mi alzavo ogni mattina pensando a come sarebbe stato bello, oggi, giocare con te. E, ogni sera, andavo al letto pensando a come sarebbe stato bello, domani, giocare con te.
Ti amo» sussurró.
S'inginocchió davanti a me. Mi prese la mano.
«Renesmèe Carlie Cullen, ricordati sempre che ti amo.
La mia vita e perfetta, solo per te.
Ho una figlia magnifica, e solo grazie a te. Alla tua perseveranza, al tuo coraggio e al tuo amore.
Grazie a te, sono l'uomo più felice del mondo.
Renesmèe Carlie Cullen, vuoi diventare mia moglie?». Parlò con uno strano entusiasmo nella voce.
Le sue parole mi colpirono direttamente nel cuore, e le lacrime mi scesero lungo il volto. «Certo che ti sposo!» risposi nei singhiozzi.
«Ora dovrei darti l'anello, ma si trova nella giacca, e l'hai indosso tu» mormorò timido, alzandosi da terra.
Risi tra le lacrime, e infilai le mani nelle tasche della giacca, fino a trovare un cerchio di ferro. Lo afferrai, e senza guardarlo lo diedi a Jacob.
Mi prese la mano, e m'infilò all'anulare un solitario d'oro bianco, con un diamante posizionato al centro della montatura.
Appena l'anello di Sarah Black sfiorò il mio dito, ebbi la sensazione che l'eternità non sarebbe bastata a cacciarmelo da lì.
CAPITOLO REVISIONATO


Spazio all'autrice:
Ciao a tutti!
Molti di voi si staranno chiedendo perché ho modificato questo capitolo, modificando l'intera trama. Ve lo spiego subito:
1°: una scrittrice senza fan, e come un re senza popolo. Cioè non serve a niente.
2°: ho letto su wikipedia tutto quello che mi hanno contestato le ragazze a cui la mia storia non è piaciuta, e devo dargli ragione, anche se prima non lo fatto solo per il mio orgoglio, che credevo non esistesse.
3°: così la storia mi sembra più logica, anche se E.j. o Charlie, sarà sempre figlio legittimo di Bella ed Edward.
Quindi ne approfitto per chiedere scusa alle persone che ho contestato ingiustamente. Mi dispiace veramente di non avergli dato conto prima. Le critiche aiutano, e io non gli ho dato peso.
Ne approfitto anche per pubblicizzare la mia storia originale, che si chiama "100 giorni per farla innamorare". Se vi va, passate a leggerla.
Un bacione, V. Alla prossima.<3
   
 
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