Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Shusei    02/05/2014    3 recensioni
Il migliore amico d’infanzia e ragazzo di Eren al liceo, Armin, muore in un incidente automobilistico in cui Eren era al volante. Incapace di evitare di incolparsi, la vita stessa diventa un’agonia per Eren e lui si rivolge ai metodi peggiori per affrontarlo. Alla fine, incontra uno studente del college chiamato Levi che sembra aver capito tutto, solo per scoprire che loro hanno più cose in comune di quante pensassero. Moderno! AU.
inoltre, Levi ha una moto perché era decisamente necessario.
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Armin, Arlart, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lemon, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Note dell'autrice:
Questa fanfiction è molto più un progetto personale che altro; una realizzazione ricca di emozioni per me, ma immagino che la condividerò qui comunque. Questa è anche la prima volta che scrivo qualcosa in prima persona invece che in terza!
Se siete sensibili all’autolesionismo, allora vi consiglio di non leggerlo, dal momento che è incentrato su questo.



Note della traduttrice:
Salve lettori! Allooooora.... Spero che apprezzerete questa fanfiction tanto quanto me, perché merita, davvero. ;)
Tradurre non é mai una cosa semplice: pensare alle parole, ai termini più appropriati da inserire, riformulare le frasi... Lasciando intatti i significati e le emozioni che il testo originale ti trasmette. Non si può tradurre al meglio qualcosa senza amarla con tutti se stessi. E io amo questa fic :)
Ho dato (e sto dando ancora) del mio meglio per condividere con tutti voi questo testo. Vi posso assicurare che ogni parola tradotta non è messa lì a caso. Spero che apprezzerete i frutti del mio lavoro e quello dell'autrice. :)
se cercate la versione originale in inglese la potete trovare qui. L'ultima cosa che voglio dirvi è che aggiornerò una volta a settimana (anche di più se possibile).
Buona lettura! ;)

Capitolo 1: Prologo
Non sapevo se ero cosciente o no; ero nel bel mezzo di un sogno?
Il dolore esplose come un vulcano dentro di me; l’agonia devastava tutto il mio corpo. Era distruttivo, molto. Sarebbe mai andato via il dolore? Non riuscivo a pensare in modo lucido; c’era solo dolore agonizzante. Non c’era una fonte nel dolore che sentivo; era dappertutto. Era il mio essere. Poteva un sogno sembrare così realistico? Non riuscivo a pensare chiaramente dal momento che avevo perso il concetto di realtà rispetto a illusione. Quelle erano sirene della polizia? Perché erano così rumorose, così terribili da sentire? Stavo tentando di dormire per scacciare via il dolore; non potevano fare silenzio per un momento, cazzo?
Dove mi trovavo, comunque? Che cosa cavolo stava succedendo?
Faceva caldo, molto caldo. Una calda e umida notte d’estate. Probabilmente ci sarebbe stato un temporale più tardi.
Avevo tentato di dormire, ma diventò subito ovvio che con la polizia intorno sarebbe stato impossibile. Fottuta polizia, pensai.
Aprii lentamente gli occhi, con calma. Era una buona idea? Probabilmente no. Ma avevo bisogno di sapere cosa stava succedendo. Cercai con tutte le mie forze di rimanere a galla, di non affondare sotto lo schiacciante muro di dolore che cercava in tutti i fottuti modi di spingermi giù. Le mie palpebre erano pesanti; combattevano contro di me, pregandomi di avere pietà di loro e di me stesso. La vista che spettava ai miei occhi non sarebbe stata piacevole. Nemmeno un po’. Non capivo come facevo a sapevo pur non conoscendo quello che stava succedendo.
Sapevo cosa stava succedendo? Forse si. Mi resi conto che c’era una assurda familiarità in quella situazione. In uno sforzo di concentrazione, lasciai le mie palpebre vincere la battaglia e rimanere chiuse per un momento. Sapevo cosa mi aspettava? No. Mi sentivo come se lo avessi già saputo a un certo punto, ma me lo ero dimenticato. Non c’era tempo per pensare. Il dolore era insopportabile. Dovevo star morendo. Era impossibile che potessi superarlo. Le sirene della polizia mi facevano infuriare; non mi aiutavano a tenere il filo a malapena esistente dei miei pensieri. State zitti, state zitti, per l’amor del fottuto cielo, fate silenzio, cazzo. Nessuno ha chiesto la vostra presenza, comunque.
Mi sentivo paralizzato. Sarei riuscito a muovere la gamba se avessi tentato? Avevo paura di provare. E se fossi stato paralizzato? Sarebbe stato una merda. Sarebbe stato davvero, davvero una merda in realtà. Ma aspetta, perché sarebbe stato così una merda? Soprattutto se questo era un sogno, allora non sarebbe stato importante. Perché poi mi sarei svegliato. Ma mi sarei davvero svegliato?
Perché era così fottutamente difficile tenere un filo di pensieri coerente?
Forse dovrei riprovare ad aprire gli occhi. Questa volta si aprirono con poco sforzo; il che era stupido visto che prima mi ero sforzato tanto ma senza risultato. In ogni caso... Perché tutto il corpo mi faceva così male? I miei occhi si adattarono lentamente prima di mettere a fuoco la scena che mi si parava davanti. Le luci accecanti delle macchine della polizia si proiettavano direttamente nei miei occhi da ogni angolo. Se non fosse stato per loro il cielo sarebbe stato nero come la pece. Averi voluto che le luci se ne andassero; mi faveva male la testa. Mi faceva male tutto in realtà, ma capii che molto del dolore era concentrato in testa. Incredibile.
I poliziotti erano ovunque. Circondavano la macchina; a quanto pare ero in una macchina. Aveva senso, credo. Per quale altro motivo la polizia avrebbo dovuto circondarmi? Non lo sapevo. La polizia era stupida, comunque. Non avevano niente di meglio da fare. Non c’era bisogno che stessero qui; andate a rompere qualcun altro. Una fresca stilettata di nuovo dolore mi attraversò e serrai nuovamente gli occhi. Porca miseria. Dovevo scoprire che cosa stava succedendo.
Controllai se le mie dita funzionavano ancora, perché non ne ero sicuro ovviamente. A quanto pare erano apposto. Mi stavo aggrappando a qualcosa? Sotto le punte delle dita sentivo una superficie levigata di cui prima non ero consapevole. Aprii di nuovo gli occhi. Le mie dita si trovavano sul volante di una macchina. Avevo guidato? Sembra di sì. Del sangue mi copriva le dita. Più i miei occhi indugiavano e più notavo la quantità di sangue che copriva l’interno dell’auto e il mio stesso corpo. I poliziotti si urlavano contro a vicenda; che mucchio di animali. Calmati, va tutto bene.
Solo un po’ di sangue. Ecco il dolore, ed era intenso, oh dio mi avrebbe ucciso probabilmente, ma non importava. Nulla importava. Non era reale dopotutto. Oppure si. Entrambi. Non importava. Lasciateci in pace, cazzo.
Lasciateci? No, mi sbagliavo. C’ero solo io. Stavo guidando da solo, giusto? Non mi ricordavo. Ma con questa confusione e angoscia pregai fossi stato da solo. Nessun altro meritava di soffrire in questo modo; mi sarei addossato tutto io piuttosto. Se morire ora era il mio destino, finché ero solo io, mi andava bene. La mia visione divenne nitida non appena la nebbia nella mia mente iniziò a diradarsi. Il dolore non si era affievolito ma stavo tornando ad essere coerente.
Ricordi di quella notte affluirono di nuovo; avevo passato la serata ad un party. Era uno di quei soliti party delle scuole superiori con bicchieri di plastica rossa e coppie che si appartavano in ogni angolo buio. Pensavo che l’idea dei party in generale fosse stupida, davvero, ma la disponibilità di alcolici era troppo allettante per lasciarsela scappare. Tutti andavano, a meno che la loro posizione sociale non fosse terribile. La mia era abbastanza marginale ma a nessuno fotteva un cazzo di quello che facevo; ero libero di parteciparvi se volevo. Così, si, ero stato ad un party. Dovevo essermi ubriacato di brutto, il che spiegherebbe la nebbia che aleggiava nella mia mente. Mi ricordavo vagamente di essermi fatto delle foto con un gruppo di altri ragazzi della scuola. Tipiche cose da venerdì sera.
Quando esortai il mio cervello a ricordare di più della serata, mi ricordai che ero andato al party con Armin. Ci eravamo andati insieme, certo. Oh, giusto. Mi ero offerto di guidare io al ritorno visto che ad Armin non piaceva guidare quando era ubriaco; aveva esitato a lasciarmi guidare ma alla fine aveva accettato riluttante quando gli avevo assicurato che sarebbe andato tutto bene e che avevo guidato tantissime volte dopo aver bevuto. Il che non era una bugia. Avevo chiesto ad Armin di fidarsi di me quella sera ed, essendo il ragazzo perfetto, lo aveva fatto. Mi stavo ricordando tutto ora; avevo continuato a guidare, non ero riuscito a mettere bene a fuoco, una forte luce era improvvisamente piombata su di noi e tutto era diventato nero a quel punto, finché non mi sono svegliato confuso, che è quello che sta succedendo adesso.
Appena richiamai alla mente che Armin era nella macchina con me, un agonizzante senso terrore iniziò a sopraffarmi. Avevo paura di spostare il mio sguardo sul sedile dei passeggeri, paura della visione che i miei occhi avrebbero incontrato. La familiarità della situazione mi trafisse come se un pugnale mi stesse attraversando il cuore. Il mio subconscio aveva capito cosa stava succedendo ma io non ancora, e non avevo esattamente fretta di scoprirlo. Quando riaprii gli occhi scoprii che la polizia era ancora più vicina ora e che avrebbero aperto le porte della macchina da un momento all’altro. Potevo vedere le loro bocche muoversi rapidamente mentre si sputavano ordini l’un l’altro. I finestrini erano aperti ma per via dello squillante lamento delle sirene non riuscivo a sentire cosa si stavano dicendo. Un’altra stilettata di dolore si propagò in me ma feci del mio meglio per ignorarla. Il dolore era ancora lancinante ma non credevo più che quelli fossero i miei ultimi attimi.
La mia macchina si era schiantata; non c’era dubbio a riguardo. Analizzai l’area direttamente di fronte ai miei occhi per vedere se riuscivo a individuare l’altra macchina coinvolta, ma era fuori dalla mia visuale. C’era un lampo nel cielo che non era una delle luci sulle macchine della polizia; era iniziato un temporale. Pensai di aver udito un tuono sovrastare il suono delle sirene ma potrei averlo immaginato, credo. Non ero ancora sicuro se fossi bloccato in un sogno o nella realtà, ma me ne sarei preoccuparo dopo. Conclusi che avevo solo un minuto o due prima che la polizia mi tirasse via dalla macchina, dovendo aprire le portiere molto probabilmente danneggiate. Fuori iniziò a diluviare; era come se un’enorme secchio di acqua ci fosse stato semplicemente gettato addosso. I poliziotti stavano ancora trafficando e io sentii il suono di una nuova sirena unirsi alle altre. A quanto pare era entrata in scena anche l’ambulanza.
Non avevo più tempo e non potevo più evitare di guardare il sedile del passeggero. Girai molto lentamente la mia testa dolorante per affrontare il sedile a me adiacente. Inspirai pesantemente non appena i miei occhi si adattarono a qullo che stavo vedendo.
Urlai. Era più forte di me.
Il corpo senza vita di Armin era piegato in modo grottesco e c’era sangue ovunque; molto di più di quello che era sparso attorno a me. Si poteva affermare che era morto sull’impatto. L’angolo e la forza di collisione aveva colpito Armin in modo tale che non avrebbe superato la notte neanche se l’impatto non lo avesso ucciso. Stavo urlando, urlando più forte che potevo, incapace di elaborare ciò che stava succedendo. L’agonia mi lacerava e potevo percepire le lacrime di isteria iniziare a sgorgare dai miei occhi sul mio viso. Non poteva essere Armin; non poteva essere il mio dolce, premuroso ragazzo che si era fidato di me nonstante il suo buonsenso. Quel corpo orribilmente deformato di fronte a me non poteva essere Armin. Semplicemente non poteva. Guardai li suo viso; il sangue stava scorrendo sopra i suoi occhi chiusi. Occhi che non si sarebbero mai più aperti per vedere la luce. La sua bocca era aperta e il sangue scorreva anche da essa. Non avevo mai visto nulla di così terrificante in vita mia. L’immagine del corpo del mio ragazzo mi avrebbe perseguitato per sempre.
Ero vivo. Ce l’avevo fatta.
Io ero il guidatore.
Io avevo causato l’impatto; era impossibile che non fossi stato io.
Il che significava che era totalmente colpa mia.
Ero io la ragione per cui il mio ragazzo sedeva senza vita nel sedile accanto al mio.
Cercai freneticamente di separarmi dalla cintura così da poter raggiungere Armin; un vano tentativo di salvare quello che era già andato. Le mie dita stavano tremando visibilmente e feci fatica anche solo per premere il bottone che mi avrebbe liberato della cintura. Alla fine raggiunsi il mio obbiettivo e mi gettai sul corpo di Armin, avvolgendo disperatamente le mie braccia attorno al corpo insanguinato. Una parte del mio subconscio si rendeva conto che stavo ancora urlando a squarciagola anche quando mi ero aggrappato a quello che fino a meno di un’ora prima era stato il mio magnifico, vivace Armin. Visto che sebbene il tempo in cui ero stato seduto lì in macchina mi sembrava essere durato ore, in realtà era passata solo una mezz’ora dall’impatto. Le mie lacrime non smettevano di sgorgare dal mio viso; alcune caddero sul corpo immobile di Armin e si mischiarono con fiotti di sangue fresco per creare una inquietante parodia annacquata della sostanza cremisi.
I poliziotti si erano finalmente dati una mossa, e sentii la portiera dal lato del guidatore venire smontata da un agente. Non mi girai verso di lui; mantenni la mia attenzione sul corpo spezzato cullato dalle mie braccia. Dopo una breve pausa sentii la voce dell’agente.
“Signore, deve uscire fuori dalla vettura.”
Non mi mossi. Continuai a protendermi dal sedile del guidatore a quello del passeggero. Continuai a singhiozzare e guardare il mio ragazzo a malapena riconoscibile. Non riuscivo più a sentire dolore nel mio corpo; c’era ancora, ma era l’ultimo dei miei pensieri. Il poliziotto sospirò alle mie spalle prima di avanzare a carponi nella macchina per riuscire ad afferrarmi. Scorrevo le dita sui biondi e morbidi capelli di Armin che ora erano arruffati e macchiati di rosso cremisi quando sentii l’agente avvicinarsi a me. Un paio di mani ferme mi afferrarono la vita e io tentai vanamente di spingerlo via per non lasciare li fianco del mio amore.
Mi stavano tirando via da Armin e io urlai, “lasciatemi cazzo! Non lo lascio!”
Dalla voce dell’agente trapelava compassione, “Sono terribilmente dispiaciuto, ma se ne è già andato. Non c’è più niente da fare.”
Continuai a contorcermi, cercando di tirare pugni all’uomo senza motivo. L’uomo tolse una delle sue braccia da me e lo usò per staccare le mie dal corpo di Armin. Non ero forte abbastanza da riuscire a iniziare la lotta richiesta per fermare l’agente, e non mi rimase nessuna altra scelta se non quella di strillare di dolore mentre perdevo il contatto con il corpo di Armin. Mi rifiutavo di staccare il mio sguardo dal mio ragazzo senza vita anche quando l’uomo mi sollevò e mi trasportò fuori dall’auto.
-x-
Mi svegliai dal mio incubo urlando e i movimenti che stavo facendo nel mio sogno si erano trasformati in reltà. Il mio braccio si scagliò sulla superficie del comodino di fianco al mio letto e sbattè contro gli oggetti che vi tenevo sopra; una bottiglia tondeggiante di pillole cadde sul pavimento facendo rumore assieme al rasoio.
Era stato un incubo, ma un incubo che rievocava l’evento che aveva determinato la mia imminente caduta in basso dall’essere un essere umano decente.

  
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