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Autore: Megs Sully    02/05/2014    6 recensioni
Strawberry Hill è una graziosa cittadina inglese, un luogo come tanti apparentemente. Ma in esso si muovono le creature più disparate, alcune tentando di celare o reprimere la loro vera natura, altre non ancora consapevoli di chi siano in realtà e quale sia il loro ruolo nel grande disegno tracciato da qualcuno in un'epoca remota. Incontri, scontri, inganni, antichi rancori si alternano alla nascita di nuove alleanze, amicizie, amori. E nel frattempo qualcuno, nell’ombra, continua a tramare…
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2


 
Ryan Norwest salì in macchina e rimase per qualche istante fermo a fissare nel vuoto. Tutto era uno sbaglio, se ne stava rendendo conto sempre di più. Tutto era stato uno sbaglio, fin dal principio. Avrebbe voluto e forse dovuto trovare un luogo dove nascondersi, un luogo dove non sarebbe più stato prigioniero. Nemmeno di se stesso e dei suoi ricordi. Ma doveva occuparsi di Amelie, non poteva lasciarla sola. Aveva trascinato anche la sorella minore nella propria sventura, senza domandarsi cosa avrebbe significato per lei vivere quell’eterno presente.
Mentre il fratello metteva in moto, Amelie si era stesa nuovamente sul divano, poi sentendolo partire e allontanarsi sempre più si mise a sedere e raccolse le ginocchia tra le braccia. Si guardò intorno annoiata, Alfred si era ritirato in cucina a prepararle un tè, come lei stessa gli aveva richiesto. Non aveva voglia di altro, gli aveva detto. Magari solo una fetta di torta di mele, se gli riusciva di farla come l’ultima che aveva assaggiato in quella casa tempo fa. Aveva l’impressione che il maggiordomo la temesse. Era fin troppo ossequioso con lei e la chiamava costantemente “signorina”. Ma in effetti, sospirò Amelie, questa era la sensazione che suscitava in tutti anche se la reazione non era sempre la stessa. Per lo più la gente scappava a gambe levate. In entrambi i casi per lei era divertente.
Amelie si sollevò di scatto dal divano e si diresse verso la cucina, che probabilmente si trovava sempre nella stessa ala del palazzo. Dopo il tè e la torta si sarebbe avviata verso il liceo cittadino, o almeno così avrebbe lasciato intendere ad Alfred che sicuramente lo avrebbe riferito a suo fratello Ryan, il grande capo.
In fondo non disprezzava poi così tanto la loro condizione. Era solo vantaggioso per lei farla pesare a Ryan, farlo sentire costantemente colpevole. In effetti, non poteva pensare a se stessa diversamente ormai. La sua eterna prima adolescenza poteva essere anche piacevole. Evitava di farlo sapere al fratello, indossando per lui la maschera dell’adolescente in perenne crisi e in lotta con se stessa, con lui e con il mondo. Ryan ignorava che se non avesse compiuto lui quella scelta per entrambi, l’avrebbe compiuta lei per se stessa. Amelie sorrise increspando il labbro superiore. Meglio per lei continuare a fargli credere di averle imposto una decisione che lei era stata costretta a subire e accettare. Del resto neanche chi l’aveva resa possibile, indagando nella sua mente e nei suoi desideri, aveva mai rivelato a Ryan la verità su di lei.
 
 
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Sarebbe già arrivato a destinazione, se non avesse girato a vuoto più volte intorno alla cittadina. Ryan Norwest guidando scrutava ogni vicolo, ogni angolo, lasciandosi quasi incantare dalle novità. L’abitazione dell’alchimista si trovava in un quartiere poco frequentato e difficilmente raggiungibile, all’estremità orientale del fiume. Bisognava conoscere la zona davvero molto bene per arrivarci. Proprio un bel nascondiglio si era trovato, tanto difficile da scovare da permettere a Jean Claude von Klausen di vivere e stabilire le sue regole indisturbato. Le sue regole. Regole che anche lui era costretto a rispettare. Un pensiero sfiorò la mente di Ryan… se Jean Claude non ci fosse stato, forse lui avrebbe potuto prendere il suo posto. Non era la prima volta che accarezzava quell’idea. Però Ryan era obbligato a sottostare a determinate necessità di cui Jean Claude non doveva preoccuparsi. Da quel punto di vista Jean Claude era perfettamente libero, lui invece no. Alla fine rimproverava Amelie ma anche lui si sentiva allo stesso modo. In trappola.
Ryan frenò in prossimità dell’antro dell’alchimista von Klausen. Non avrebbe mai potuto scovarlo se non avesse saputo in precedenza dove si trovava. Socchiuse per un attimo gli occhi, poi invece di scendere dall’auto, come avrebbe dovuto, accese la radio. Riconobbe immediatamente la voce di Kate Bush che implorava Heathcliff di lasciarla entrare attraverso la sua finestra. Sorrise impercettibilmente e aspettò che la canzone giungesse alle ultime note prima di spegnere la radio e rivolgere uno sguardo teso verso la residenza di Jean Claude.
Infine con una volontà che gli sembrò superiore alle sue forze, scese dalla macchina. Corrugò la fronte fissando nel vuoto. In realtà sapeva che l’antro si trovava solo a pochi passi, ma invisibile a uno sguardo distratto. C’era un mondo sconosciuto agli esseri umani lì sotto. Un mondo che alla fine aveva le sue norme e le sue regole, proprio come il mondo di superficie.
Abbandonò l’auto lungo il sentiero, percorse pochi passi fino a raggiungere la collina e continuò a camminare accostando la roccia che sporgeva lateralmente. Scese gli scalini che conducevano alla grotta e vi si inoltrò. Sospirò profondamente proseguendo a camminare ancora per qualche passo, finché raggiunse quella ben nota scanalatura sulla parete della spelonca. Era tutto esattamente come ricordava. Nulla era cambiato almeno lì. Non che gli importasse, del resto. Appoggiò la mano sulla scanalatura, poi batté tre colpi, uno più forte di quello precedente.
Attese guardandosi i piedi e ripulendosi con le mani la giacca di pelle. Magicamente la roccia si mosse di lato e un portone di legno si aprì davanti ai suoi occhi. Un ragazzino pallido e biondo lo guardava in silenzio.
“Ryan Norwest” si annunciò Ryan, pronunciando il proprio nome senza entusiasmo.
“È atteso signore” annuì il ragazzo “ma deve aspettare.”
“Aspettare?” Ryan strinse gli occhi scrutando il giovane.
“Sì, esatto” annuì lui, senza fornire ulteriore spiegazione. “Mi segua” così dicendo si incamminò per un corridoio lungo e stretto. Ryan non ebbe altra scelta che seguirlo. Cercava di non fare rumore, ma i suoi passi risuonavano nello spazio vuoto. Guardò i piedi del ragazzino, indossava dei leggeri sandali di corda color cuoio. Improvvisamente si fermò e svoltò verso un altro corridoio che sul lato sinistro si ampliava in un rientro arredato come un salottino, con in bella mostra un enorme televisore a schermo piatto.
“Interessante!” lo scrutò Ryan mentre il ragazzino gli faceva segno di accomodarsi su un divanetto color senape “Questo è nuovo, Jean Claude ha ceduto a un po’ di modernità?”
Il ragazzo scrollò le spalle e si ritirò senza replicare. Ryan posò lo sguardo sul tavolino di vetro che gli stava di fronte e notò alcuni libri impilati su cui spiccava “Il vampiro di Polidori e altri racconti”.
“Molto appropriato Jean Claude” Ryan lo raccolse e se lo rigirò tra le mani. “Come sempre.”
Iniziò a leggere svogliatamente una storia che già conosceva, quando la sua attenzione fu richiamata dallo stridio nervoso di una voce femminile. Anzi due. Un’altra voce femminile, più calma, stava replicando. Ryan abbandonò il libro sul tavolino e si alzò raggiungendo l’ingresso del salottino. Guardò da entrambe le parti, poi si avviò lungo il corridoio verso la provenienza delle voci.
“La mia vita non è affar vostro e mai lo sarà!” si lamentava la voce più giovane e squillante “Io me ne vado!”
“Per favore ascoltaci almeno…” la voce femminile più tranquilla replicava suadente.
Ryan si chiese che parte poteva avere l’alchimista in questa disputa tra donne.
“Che hai combinato von Klausen?” borbottò tra sé mentre il corridoio che stava percorrendo si fece improvvisamente silenzioso.
Se la trovò di fronte senza rendersene conto. Lei lo scansò con una manata, come si toglie di mezzo dal proprio passaggio un oggetto fastidioso e ingombrante. La sua testa castana gli arrivava al mento. La ragazza gli rivolse un’occhiata talmente sprezzante che appena fu oltre la sua visuale tutto ciò che Ryan ricordò di lei furono gli occhi castano chiari, screziati di verde e allungati verso l’alto.
Non fece in tempo a rimettersi al centro del corridoio che si trovò di fronte l’altra donna più matura, più alta, formosa e dai capelli scuri e ondulati, che stava evidentemente chiamando e seguendo quella più giovane.
“Faith… Faith aspetta!”
“Jean Claude ha trasformato casa sua in un circolo femminile?” la schernì Ryan.
La donna si era fermata di fronte a lui e lo fissava con espressione attonita. Ryan notò che era molto bella, aveva le labbra carnose perfettamente disegnate, gli occhi castani ben truccati e indossava una maglietta bianca con un bizzarro disegno egiziano sul petto.
“La sta aspettando” gli rispose infine la donna, ricomponendosi e oltrepassandolo.
Ryan annuì e continuò a camminare lungo il corridoio che diventava sempre più stretto e oscuro, finché raggiunse una luce intensa e un ampio spazio dal cui soffitto pendevano cristalli e guglie dai mille riflessi. La luce alla fine del tunnel, pensò tra sé Ryan mentre raggiungeva il fulcro dell’antro dell’alchimista von Klausen.


 
                                                                      ********************
 

Dopo aver bevuto il tè, essersi cibata con due fette di torta di mele e aver tormentato Alfred con svariate domande solo per il gusto di metterlo in difficoltà, Amelie salì in quella che era sempre stata la sua stanza. Sempre da quando lei e Ryan occupavano il castello. Aprì l’armadio a muro e lo trovò rifornito di un vasto guardaroba. Agli abiti che aveva abbandonato lì dopo le ultime visite ne erano stati aggiunti di nuovi. Amelie sorrise tra sé. Il suo guardaroba avrebbe potuto far gola a un museo sull’abbigliamento, raccoglieva tutte le epoche del vestiario femminile. Quasi tutte.
Il primo pensiero di Amelie fu che le sarebbe piaciuto mostrarlo a qualcuno, qualche amica magari, se ne avesse avute. E vedere l’espressione contrariata di Ryan mentre glielo comunicava. Se non fosse stato impossibile i capelli del fratello sarebbero già diventati bianchi da tempo. Il secondo pensiero, mentre passava le dita tra i nuovi abiti del suo guardaroba probabilmente acquistati da Alfred su consiglio di qualche anziana parente, fu che doveva trovarsi al più presto una cameriera che si occupasse di lei. Donna, giovane, disinvolta e che rispondesse alle sue esigenze. Alfred poteva essere eccellente come maggiordomo e cuoco, ma era chiaro che lui e la moda contemporanea non andavano d’accordo.
E ovviamente anche l’idea della cameriera non sarebbe piaciuta a quel noioso di suo fratello! Ma la prospettiva di andare a fare shopping con lui sarebbe stata davvero troppo deprimente. Le sue scelte non sarebbero state molto diverse da quelle di Alfred. L’avrebbe vestita come un’enorme bambola bruna, con gonnellone al polpaccio e corpini pieni di pizzi e ricami. E magari anche fiocchi colorati tra i capelli. Possibile che nessuno si rendesse conto che c’era una donna imprigionata nel corpo di una ragazzina di quattordici anni? E comunque le ragazzine di quattordici anni non si vestivano più da tempo come bamboline di porcellana!
Amelie lasciò la sua stanza e senza farsi notare da Alfred uscì dall’ingresso principale richiudendo la porta alle sue spalle, con leggerezza. Ryan aveva preso l’auto, ma del resto non avrebbe fatto differenza. Nemmeno guidare le era concesso, benché ne fosse in grado. Amelie scrollò le spalle. Non aveva importanza. Poteva essere anche più veloce dell’Audi di suo fratello.
Raggiunse l’università di Strawberry Hill e si guardò intorno un po’ confusa mordicchiandosi il labbro inferiore. Troppe cose erano cambiate, ma Amelie non si lasciò scoraggiare ed entrò decisa nella sede universitaria. Chi poteva fermarla del resto? Nessuno. Medicina. Voleva iscriversi a medicina, come aveva dichiarato espressamente a Ryan. Avrebbe intimidito, corrotto e soggiogato pur di ottenere il suo scopo.
Si aggirò un po’ disorientata per i corridoi ancora poco affollati. Un orologio appeso alla parete indicava che erano appena le 8 e 10 del mattino. Bene, si sarebbe iscritta ancora prima dell’arrivo della massa di studenti, poi… L’iscrizione in effetti non era un problema. Ma come spiegare il fatto che una ragazzina che dimostrava solo tredici o quattordici anni fosse iscritta a medicina? Amelie corrugò la fronte. Poteva creare documenti falsi che dimostrassero che in realtà soffriva di una sorta di malattia che le impediva di crescere… oppure essere considerata un piccolo genio, con un intelletto precoce e superiore alla media! Perché non ci aveva pensato prima?
In realtà il pensiero l’aveva sfiorata negli anni precedenti, ma la logica di suo fratello secondo cui era proibito attirare l’attenzione aveva bloccato la sua aspirazione sul nascere. Era condannata a restare tra il primo e il secondo anno di liceo, per l’eternità. Amelie sorrise ironica. Sarebbe stato l’incubo di qualsiasi adolescente. Ora però la situazione poteva cambiare. Nascevano addirittura scuole apposta per piccoli geni, perché non avrebbe potuto essere anche lei una di loro? Non sarebbe stata l’unica ragazzina all’università!
Seguendo le indicazioni si ritrovò di fronte alla segreteria studenti ancora chiusa. Se solo fosse stato possibile compilare i moduli elettronicamente avrebbe falsificato la data di nascita, che in fondo falsificava comunque anche per il liceo, e tutto sarebbe andato per il meglio.
Si voltò verso l’atrio e notò che si stava affollando. Sospirò e cercò di sollevarsi leggermente sulle punte per guadagnare qualche centimetro di altezza. Oltre a dimostrare tutti i suoi quattordici anni o anche meno, aveva lo svantaggio di essere più piccola e minuta delle sue presunte coetanee. Socchiuse gli occhi per mantenere la concentrazione. Il vociare degli studenti stava gradualmente aumentando e Amelie temeva di perdere il controllo. Ma poteva riuscirci, poteva trattenersi. Almeno finché non avesse compiuto l’operazione per cui era venuta. Magari, grazie alle sue doti di convinzione, avrebbe già potuto iscriversi a qualche corso senza attendere il nuovo anno accademico. Si rigirò verso la porta della segreteria appena si accorse che un custode stava arrivando dall’interno per aprirla al pubblico.
Alcune risatine alle sue spalle la costrinsero a voltarsi nuovamente. Un gruppetto di ragazzi e ragazze si era fermato dietro di lei e ora la stava oltrepassando sogghignando.
“Dove credi di andare, ragazzina?” una ragazza dal viso truccatissimo puntò l’indice verso di lei.
“Non è posto per te piccola! Torna alla scuola elementare!” rise un energumeno con i capelli a spazzola e troppi denti in bocca.
Gli sforzi di Amelie per mantenere il controllo svanirono in un istante. Insieme ai buoni propositi. Si sentì fremere di rabbia in tutto il corpo e il suo viso da pallido divenne rosso, con vene violacee che le percorrevano la fronte. Così come i suoi occhi che sembravano iniettati di sangue.
“Ora seguimi” disse semplicemente ma con tono perentorio, fissando gli occhi del ragazzo, che rimase per un istante a fissarla con le labbra appena socchiuse poi annuì, come ipnotizzato.
La ferma intenzione di frequentare medicina si era trasformata in altro. Ora era una rabbia furiosa a dominare Amelie, non più un sogno da realizzare. Continuò a camminare per i corridoi trascinandosi dietro il giovane alto e muscoloso, completamente succube di lei. Individuò la porta del bagno maschile e lo trascinò dentro, spingendolo con impeto contro la parete. Sentì il colpo provocato dalla schiena del ragazzo che sbatteva addosso al muro. Gli si avventò contro, non più in grado di resistere oltre e gli aprì la camicia con una foga esagerata, strappandola con entrambe le mani.
Si passò la lingua sui denti soffermandosi su quelli che sentiva mutare e diventare appuntiti, poi si avventò sul collo e sul petto del ragazzo, immobilizzato alla parete con lo sguardo fisso nel vuoto, allucinato. Lo morse senza troppo impeto, quasi con cautela, come pregustandosi il momento in cui avrebbe estirpato da lui ogni residuo di vita. Quando il suo morso divenne intenso e vorace, lui emise soltanto un lieve gemito. Da quel momento non avrebbe più potuto sfuggirle, nemmeno volendo, nemmeno sfruttando la superiorità della sua forza fisica.
Ricadde infatti sul pavimento come un enorme sacco svuotato. Amelie lo osservò passandosi la lingua sulle labbra, inclinando il viso. Ma non era soddisfatta, ne voleva ancora.
Come sempre, più ne prendeva, più non era soddisfatta. Sì affacciò dalla porta del bagno e notò una ragazza che passava proprio davanti a lei con alcune cartellette nelle mani.
“Senti, scusa…” attirò la sua attenzione e puntò su di lei un visetto innocente e un po’ smarrito.
“Cosa c’è, ragazzina? Questo è il bagno dei ragazzi… quello delle ragazze è sull’altro lato!” replicò la ragazza fermandosi confusa di fronte a lei.
“Lo so, ma…” lo sguardo di Amelie divenne perentorio e irresistibile “Mio fratello sta male. Per favore entra qui dentro ad aiutarmi.”
La giovane studentessa non se lo fece ripetere due volte ed entrò. Subì la stessa sorte di chi l’aveva preceduta. In pochi istanti il suo corpo giaceva esanime lungo la parete insieme a quello del ragazzo. Amelie si passò le dita della mano sullo stomaco. Scrollò le spalle e sorrise con espressione innocente. Lei ci aveva provato, ma era chiaro che il tè con due fette di torta di mele come colazione non le erano state sufficienti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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