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Autore: Ibizase80    04/05/2014    2 recensioni
Elizabeth ha sempre vissuto, fin dalla sua infanzia, nel Ducato Stein, vivendo circondata da misteri e sospetti. Ma col suo "attacco del fulmine" entra a far parte dell'associazione di Pandora, per aiutare i suoi membri; riuscirà, col suo genio e intuito, a portare a termine il suo "compito"?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice:
Bene, ecco il primo capitolo della mia prima fanfiction "seria"(?).
Spero vi piaccia! E vi invogli a continuare a leggere, ovvio! :)



 Tip tap. Tip tap. I passi risuonano per il corridoio.
Tip tap. Lo attraversano.
Tip tap. Le mani si scontrano con la gonna del vestito. Ruvida.
Osservo il pavimento, e i capelli cadono verso il basso.
- Ammaccato.-
Lo fisso per qualche attimo, per poi sollevare la testa e proseguire.
I servi. Sono stati loro, è praticamente ovvio. Per un occhio stolto. So benissimo chi è stato.
 
Cammino per due, tre stanze.
L’ammaccatura…non è di vassoio, né di un piatto. La cucina è dall’altra parte. No, impossibile.
Il mio sguardo attraversa la porta. Appoggio la mano sulla maniglia della porta, che cigola.
“Non si può fare neanche più un’entrata ad effetto”.
Socchiudo per qualche secondo gli occhi, analizzando mentalmente la stanza. Non è qui.
La mia mano sinistra scosta la porta. Dove può essere finito?
Guardo la poltrona. La coperta accanto ad essa non è ancora stata piegata dalla servitù. Tempi recenti, quindi.
Mi appoggio qualche attimo al caminetto, cercando di percepire un minimo di tepore per le mie mani pallide.
Esco dalla stanza. Il vestito struscia contro la porta. E io sbuffo.
 
Continuo il mio percorso con passo veloce, e mi blocco di colpo. Giro la testa.
Il nascondino è finito.
Giro il pomello ed entro, fissando un punto diretto. Scacco matto.
Eccolo lì, seduto sulla poltrona, accanto al caminetto, con le gambe incrociate e la testa china.
La biblioteca, ovvio.
Alza la testa appena per guardarmi.
- Buongiorno sorellina!-
 
No, Non ancora. Non chiamarmi così. NON SONO la tua sorellina, né voglio esserlo.
Drizza il collo e appoggia il libro sulle gambe. Mi guarda e sorride.
Odio quel sorriso.
Stai fingendo. Come sempre.
 
- Come mai da queste parti?-
 
Non aspetti neanche la mia risposta?
Gentile da parte tua. Inizi a conoscermi troppo bene. E la cosa mi dà alquanto fastidio.
Mi distolgo dai miei pensieri, e lo fisso qualche attimo.
Sì, un ebete.
 
- Il pavimento.-
- In che senso?-
- Il pavimento, nel corridoio della servitù. E’ ammaccato.-
 
Scoppi in una risatina e riprendi il tuo libro tra le mani.
Sapevo lo avresti fatto.
Mi avvicino, allungo la mano e prendo il libro.
Mi guardi come fossi uscita di senno. O almeno credo.
Giro il libro tra le mani, e il mio dito incappa in quello che cercavo. Un’ ammaccatura.
Ammaccato. Anche il libro. Lo sapevo.
 
- Sei stato tu.-
- A far cosa?-
- Ad ammaccare il pavimento, ovvio.-
- Come puoi esserne sicura?-
 
Ti guardo negli occhi. Quello sguardo. Lo conosco.
Lo usi quando brandisci la spada. O quando semplicemente vuoi stuzzicarmi. Lo odio.
Mi stai sfidando, per caso?
Faccio scorrere le dita tra le pagine giallastre.
Bene. E sia.
 
- L’ammaccatura non è pesante quale potrebbe essere quella di un vassoio. O di un piatto da portata.-
 
Faccio ondulare i capelli. Giro il libro dalla parte opposta.
Mi guardi interessato.
 
- Continua.-
- Nel pavimento, oltre all’ammaccatura erano presenti alcuni graffi sulle piastrelle. Vuol dire che “l’oggetto” è stato trascinato. E i graffi erano equidistanti. Come questo libro.-
- Mh… e come saresti arrivata a me?-
- La sala accanto al corridoio. Ha la stessa poltrona- indicai la poltrona dietro di lui-. Tra l’altro è la tua preferita.-
- Va bene, hai vinto tu!”
 
Si alza dalla poltrona, e mi appoggia la mano destra sulla testa. Sorridi di nuovo. Mi dà sui nervi.
 
- E’ impressionante come ti attivi per una cosa così inutile!-
 
Per me non è inutile. Per te è inutile. A te non interessa nulla.
 
- Vorrà dire che mi interesso di cose inutili.-
 
Stento un tonfo. Probabilmente il mio orgoglio. Stringo i denti, offesa.
 
- Ah, nostro padre credo volesse parlarti.- dici, riprendendoti il libro e rimettendolo al suo posto.
 
E’ TUO padre. Non il mio. Io sono un’intrusa. Non sono parte della tua famiglia – e credo mai lo sarò. Se lo sono considerata è un’altra questione. E non voglio essere considerata parte della tua, della vostra, assurda esistenza. Non sono come voi, e non voglio esserlo. Penso sia l’unica cosa che vorrei urlare. Ma probabilmente nessuno mi sentirebbe, o semplicemente ascolterebbe. Sono inutile. Se non per queste capacità. Per voi, per chiunque abiti qui.
Ma alla fine non mi interessa.
 
Mi stai fissando. Alzo lo sguardo, e dopo alcuni attimi formulo la domanda:
-Perché mai?
 
So che speravi te lo chiedessi. Ma tu mi ignori, come tuo solito – anche se non lo ammetterai mai.
Mi tocca. Chiamarti per nome.
 
- Rudolph.
- Sì?
 
Sei peggio dei bambini. E’ odioso.
 
- Perché il Duca desidera vedermi?
 
Ridi. Non ti vedo, ma ne sono sicura. Stai ridendo.
Sei odioso.
 
-Qualcosa riguardo un ballo…ma non ne sono sicuro, sarebbe meglio tu andassi a sentire.-
 
Cosa? No. Oh no. I balli no. Un ballo no. Non possono farmi questo. Lo sanno. Lo sanno che odio i balli. Che odio stare a contatto con le persone, persone mai viste prima. E’ una delle cose che più mi snerva.
 
- …Allora vado.-
- Bene, poi fammi sapere!
Perché mai dovrei? Il tuo caro padre non ti dice nulla?
 
- Va bene. E per la…-
- Glielo dirò io, non preoccuparti.-
Mi sorridi. Ancora.
Per oggi basta, è troppo.
 
Come sono arrivata qui? Un’ ammaccatura? Nel pavimento della servitù? Potevo non pensarci, effettivamente. Ma è più forte di me…ogni mistero deve avere la sua soluzione. Ogni persona la sua strada, e captarla.
Forse è per questo che…sono sola. Non che mi spiaccia. Preferisco essere sola, che circondata da persone simili.
 
Mi avvicino alla porta.
- Ciao Elizabeth!-
- A più tardi.-
Me ne vado senza aggiungere altro. Perché mai dovrei.
 
Odioso, ecco cosa penso.
Vorrei davvero poter dirglielo in faccia, un giorno.
 
Qualcuno potrebbe dire che Rudolph non faccia nulla di male. Ma l‘ho guardato tante volte in faccia. Sia da piccola che ora. Sia quando lui pensava non ci fossi.
Se sei capace di tanta falsità, non capisco perché non potrei esserne capace anche io.
 
Rimango qualche attimo fuori dalla porta. La curiosità mi assale. Sento qualcosa.
Una risata. Sommessa, ma una risata.
Immagino il tuo viso, in questo momento. Disegnato da una smorfia.
Ti piacerebbe fossi talmente stolta da non capirlo.
Ma, fratellone, sappi che la tua sorellina è più furba di te.
 
Mi allontano velocemente, e raggiungo lo studio del Duca Stein.
La mano trema prima di bussare. Tre colpi distinti.
 
Un tuono dall’oltretomba mi permette di entrare.
 
Appoggio la mano, ancora tremante, sulla maniglia.
 
“Elizabeth, non commettere alcun errore. Ricordatene.”
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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