I • Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry
trees in icy fields • }
«
Byakuya Niisama…»
Tutte
le volte che lei lo chiamava, sembrava chiedergli perdono per avergli
appena
arrecato un gran fastidio. Usava un linguaggio impersonale, molto
posato e cerimonioso,
senza alzare mai la voce o tralasciare
il titolo onorifico. Gli parlava di rado, solo quando era strettamente
necessario, limitandosi a salutarlo quando lo incontrava nei corridoi,
a
rispondere in fretta quando lui le porgeva qualche domanda. Sembrava
quasi terrorizzata
dall’idea di pronunciare qualche parola che potesse
offenderlo o che
semplicemente non fosse di suo gradimento. Dunque preferiva rimanere in
silenzio, con il capo basso ed un’espressione contrita in
volto.
Eppure,
anche se ogni volta sembrava diventare più fioco ed incerto,
il suo richiamo
pieno di timorosa aspettativa lo faceva sempre voltare.
Quel
pomeriggio, Rukia aveva bisbigliato il suo nome con timidezza,
raggiungendolo
mentre avanzava solitario lungo i portici della residenza dei Kuchiki.
Era
una giornata umida che si avviava pigramente al termine, trascinando
nel cielo
plumbeo delle nuvole gonfie di tempesta. L’aria odorava di
pioggia e le foglie
di bambù frusciavano sospinte da un vento freddo che
proveniva dal nord, nell’enorme
giardino centrale della magione.
Lui
aveva sempre trovato piacevole passeggiare fra gli arbusti e le azalee
di quel
pittoresco paesaggio che i Kuchiki si erano tramandati di generazione
in
generazione: gli piaceva specialmente osservare il momento in cui
calava la
notte e le lanterne di granito si accendevano delle fioche e diffuse
luci delle
candele, quando poteva cullarsi nel frinire dei grilli e nello
scrosciare
dell’acqua contro le pietre. Osservava i riflessi mutevoli
sulle squame della
carpe senza che nessun’altro interferisse, senza che nessuno,
nel silenzio
della notte, gli ricordasse quanto potesse essere arduo sostenere sulle proprie spalle il
peso di una nobiltà millenaria
come quella a cui apparteneva. Quella stessa antica aristocrazia di cui
era
l’ultimo erede diretto e ventottesimo capofamiglia.
Le
libellule volteggiavano leggere sul pelo dell’acqua, mentre lo shishidoshi di una
fontana batteva ripetutamente,
con un rumore sordo, sul basso tsukubai di pietra. Rukia
arrivò vicino a lui
con il fiato grosso, tenendo forte in un pugno la stoffa del suo abito.
Dopo
che si fu fermata, Byakuya la vide stringersi nelle spalle, cercando di
riprendere fiato, vestita dello shihakusho
nero: era così piccola che le maniche del kimono arrivavano
a lambirle i polsi,
formando delle ampie pieghe intorno alla forma sottile delle sue
braccia. Gli
hakama nascondevano quasi del tutto i tabi bianchi che le fasciavano i
piedi,
mentre i lembi dell’obi arrivavano quasi a sfiorarle le
ginocchia. L’elsa della
sua zampakuto appariva appena fra le pieghe della cintura, intrecciata
di seta viola.
Byakuya
aspettò che si riprendesse, mentre il vento gonfiava le sue
ampie maniche. Avvolta
in quella divisa, Rukia aveva un’aria sperduta, quasi che si
fosse trovata costretta
ad indossarla pur avendo la consapevolezza di non esserne ancora
all’altezza.
Sentì
la sua mano tremante insinuarsi fra le proprie dita e poi stringere con
un
insolito impeto: anche se lui non glielo aveva mai impedito in alcun
modo,
Rukia era sempre stata restia persino a sfiorargli la veste. E
l’espressione
che lui lesse sul suo viso leggermente accaldato, quando si
voltò a guardarla,
era un misto di ansia ed impazienza.
«
Byakuya Niisama.» ripeté, stringendogli la mano
« Se non vi è di disturbo…vorrei
mostrarvi una cosa.»
Byakuya
si limitò a restituirle lo sguardo, senza mutare
espressione, senza fare caso
al moto inaspettato che aveva fatto congiungere le loro mani. Quelle
dita che
Senbonzakura aveva reso sicure e ruvide rimasero immobili, insensibili,
e non
ricambiarono il gesto. Eppure, in qualche modo, la stretta energica e
fremente
di Rukia gli fece desiderare per un solo istante di poterla
accompagnare a quel
modo ovunque andasse, tenendola per mano al proprio fianco.
«
Perché hai con te la spada?» le
domandò, muovendo brevemente gli occhi verso la
sua katana « Sai che non gradisco che tu la porti
anche in casa. »
Nell’udire
quelle parole, l’entusiasmo di Rukia si trasformò
rapidamente in esitazione. Le
sue dita scivolarono in fretta lontano da quelle di Byakuya, andando a
tormentare
con discrezione la stoffa dell’obi. Quando aprì
bocca per giustificarsi, le
parole sembrarono scivolarle fra le labbra a fatica:
«
…So bene ciò che mi avete raccomandato,
Niisama…» fece una pausa, mentre la voce
diventava sempre più impercettibile
«…perdonatemi per la mia disubbidienza.»
Byakuya
batté rapidamente la palpebre. Quella che aveva posto era
stata una semplice
domanda, non aveva mai avuto intenzione di sgridarla.
«
Cosa volevi mostrarmi?» continuò, dopo qualche
istante di silenzio. Lo aveva contrariato
il fatto di aver causato involontariamente quel suo repentino
cambiamento
d’umore. Rukia attese qualche momento prima di bisbigliare,
leggermente
scoraggiata:
«
Solo se potete impegnare un po’ del vostro
tempo…»
Byakuya
annuì piano, senza un’esitazione, ed una folata di
vento particolarmente
energica si insinuò sotto il porticato facendo ondeggiare i
capelli di entrambi
in una danza senza criterio.
Bastò
quel semplice cenno di approvazione perché il volto di Rukia
si ricolorasse d’eccitazione:
«
Vi ringrazio, Niisama. » improvvisò un inchino,
tremando di impazienza « Vi
prego, venite.» lo invitò, raggiungendo di corsa
la curva del portico,
incespicando appena sui lembi troppo lunghi degli hakama. Si
fermò ad
aspettarlo poco prima di sparire dietro l’angolo, le gote
arrossate e gli occhi
grigi che sembravano mandare scintille. Byakuya sospirò
silenziosamente,
guardandola, così impacciata nella sua fremente attesa: poi
si avviò con calma
verso di lei, raggiungendola in poche e posate falcate. Le
andò dietro in
silenzio, il vento che scuoteva i suoi abiti e la seta pregiata del suo
scialle, in un muto ed immobile diletto mentre lei gli faceva strada
come una
bambina irrequieta, chiamandolo in continuazione per accertarsi che
continuasse
a seguirla, attraverso i corridoi dell’enorme magione
Kuchiki.
«
Byakuya Niisama!»
Andava
bene. Gli piaceva particolarmente l’accento che il proprio
nome assumeva quando
era Rukia a pronunciarlo. E quella sua voce era una musica
così rara e
piacevole che avrebbe potuto rimanere ad ascoltarla per ore intere
senza mai
stancarsene.
{ • ***
• }
Si
stupì quando la vide poggiare con diligenza le dita
sull’elsa della spada,
fermandosi al centro dell’estesa piazza di tiro con
l’arco. La lama della
zampakuto scivolò fuori dalla sua guaina con un sibilo acuto
e metallico,
riflettendo la luce fioca del pomeriggio lungo tutta la sua lunghezza;
un
istante dopo Rukia la impugnava con entrambe le mani, in perfetta
posizione
d’attacco.
Mentre
le sopracciglia si aggrottavano leggermente in un moto di allarmato
sconcerto,
Byakuya si immobilizzò nell’atto di scendere
l’ultimo gradino della bassa
scalinata che colmava il dislivello fra il portico rialzato e la terra
battuta.
Rukia era immobile e concentrata come non l’aveva mai vista.
I bersagli di
paglia sorgevano alle sue spalle come pittoresche sculture decorate di
insegne
vergognose, cerchi concentrici dipinti di vernice bianca e rossa;
immobili sui
loro piedistalli, mostravano le sfilacciature di anni ed anni trascorsi
sotto
il tiro esperto e spesso violento degli arcieri provetti di alto
lignaggio.
«
Che cosa succede, Rukia?» Byakuya lo chiese con tono deciso,
senza perdere
d’occhio il taglio luminoso di quella zampakuto sfoderata
senza preavviso.
Poteva sentire l’acerbo reiatsu di Rukia scorrere su quella
lama, intrecciarsi
in sottili ed invisibili filamenti azzurri lungo i suoi capelli,
contornando
tutta la sua sagoma. La zampakuto stessa sembrava emanare un insolito
bagliore,
pulsando e vibrando come fosse viva; la cosa non fece altro che
metterlo
maggiormente in allarme.
La
esaminò in silenzio per degli istanti che sembrarono
un’eternità, domandandosi
insistentemente quali fossero le sue intenzioni, aspettando una
risposta; poi
la vide sollevare gli occhi di scatto, le labbra che assumevano una
curva
soddisfatta:
«
La sento, Niisama.» lo guardò con
intensità, congiungendo compostamente i piedi
l’uno al fianco dell’altro e sollevando la spada
dritta davanti a sé, con una
sola mano « Riesco a sentirla chiaramente.»
Il
soffiare del vento sollevò e fece danzare intorno alla sua
figura nera una
miriade di foglie secche cadute con l’autunno, un ballo
convulso di sfumature
rosse, castane e arancioni che si mescolavano alla polvere e alla
sabbia. In
quel turbine frenetico, gli occhi di Rukia rimasero aperti e decisi,
fissi
fieramente in quelli del suo nobile fratello adottivo.
Guarda, Niisama.
Ci sono riuscita. L’ho
raggiunta.
Voglio che tu sia il
primo a vedere.
E fu a quel punto che lei
dischiuse appena le
labbra, muovendosi in gesti che pareva conoscere già da
tempo. La mano libera
scivolò lungo il braccio destro, mentre il polso ruotava
fino a che la lama non
fu completamente rivolta verso il basso.
Gli
occhi di Byakuya si spalancarono di colpo, mentre le pupille
rimpicciolivano
fino a sparire quasi del tutto nelle scure iridi blu.
«
Mae, Sode no Shirayuki.»
Lei
pronunciò quella parole con tanta decisione ed
autorità che la sua voce sembrò
riecheggiare imperiosa e definitiva sovrastando qualsiasi altro suono.
Fu
un attimo, un battito di ciglia. Le
foglie parvero immobilizzarsi nella loro rapida caduta, il vento
fermò la sua corsa,
il gracchiare dei corvi appollaiati sugli alberi si interruppe di colpo
e
divenne muto, mentre le loro ali si arrestavano nell’atto di
spiccare il volo –
una fuga terrorizzata in un mulinello di penne nere. Byakuya smise di
udire
ogni rumore, e per dei lunghi istanti vi fu solo silenziosa e fredda
immobilità.
Rukia
era al centro di quella stasi, composta ed elegante nello
sprigionamento gelido
del suo shikai. La zampakuto brillava bianca come neve nella sua mano
ferma,
tintinnando, urlando ad alta voce la propria gioia, sfrigolando di un
reiatsu
puro ed inviolato, irrequieto, freddo e tagliente come un pugnale di
ghiaccio. Un
lungo nastro di seta candida schioccò piroettando attorno
all’esile figura della
piccola shinigami, poi tornò immobile lungo la lama,
pendendo da una corta
catenina che lo univa all’elsa.
Byakuya
fu costretto a socchiudere gli occhi quando i frammentari riverberi
della lama
lo raggiunsero: l’energia spirituale emanata da quella spada
andava ben aldilà
di qualsiasi sua aspettativa.
E
in quel momento, poco prima che il tempo riprendesse a scorrere
– le foglie che
improvvisamente toccavano terra e gli uccelli che si libravano lontano
nel
cielo nuvoloso, in un acuto sovrapporsi di grida gracchianti
– Rukia Kuchiki
sembrò sfavillare di una bellezza indescrivibile, impugnando
quella sua spada
bianca con il nobile portamento di una divinità dei ghiacci.
Quando
quel bagliore svanì e lei abbassò la spada
sfoderata, sollevando lo sguardo
verso di lui, Byakuya si sentì assalire da
un’angoscia soffocante. Ebbe
l’immediata consapevolezza del legno scricchiolante dei
gradini sotto i propri
piedi, delle gambe e delle braccia che si erano fatte di colpo rigide,
degli
spasmi nervosi ed involontari che facevano contrarre e distendere i
muscoli
delle dita. Respirando piano, rifuggì gli occhi di Rukia che
lo cercavano e lo
imploravano, voltandole le spalle senza proferire una sola parola.
E
mentre si allontanava, chiuse gli occhi cercando di non pensare
all’espressione
di completo smarrimento che Rukia aveva assunto nel vedere la sua
reazione.
Cosa ho fatto? Cosa ho
fatto per dispiacerti?
Ti prego, Niisama. Dimmi
cosa ho sbagliato.
Lei
glielo chiese sconsolatamente con quella breve occhiata, un attimo
prima che la
lucentezza di Sode no Shirayuki si disperdesse e tornasse il bagliore
opaco
lungo la lama di una semplice zampakuto.
Byakuya
non riuscì a risponderle e la lasciò sola, in
silenzio, mentre iniziavano a
cadere le prime gocce di pioggia.