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Autore: Frances    25/07/2008    1 recensioni
Mio fratello mi odia.
Se ne andrà senza un solo commento.
E d'ora in poi, mi rivolgerà solo sguardi pieni di vergogna."
[ Byakuya & Rukia - Byakuya x Hisana ]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Kuchiki Rukia
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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  I Scene of a Refusal || Bitter rain tinkling { • Cherry trees in icy fields • }

 

« Byakuya Niisama…»

Tutte le volte che lei lo chiamava, sembrava chiedergli perdono per avergli appena arrecato un gran fastidio. Usava un linguaggio impersonale, molto posato e cerimonioso, senza alzare mai la voce o tralasciare il titolo onorifico. Gli parlava di rado, solo quando era strettamente necessario, limitandosi a salutarlo quando lo incontrava nei corridoi, a rispondere in fretta quando lui le porgeva qualche domanda. Sembrava quasi terrorizzata dall’idea di pronunciare qualche parola che potesse offenderlo o che semplicemente non fosse di suo gradimento. Dunque preferiva rimanere in silenzio, con il capo basso ed un’espressione contrita in volto.

Eppure, anche se ogni volta sembrava diventare più fioco ed incerto, il suo richiamo pieno di timorosa aspettativa lo faceva sempre voltare.

Quel pomeriggio, Rukia aveva bisbigliato il suo nome con timidezza, raggiungendolo mentre avanzava solitario lungo i portici della residenza dei Kuchiki.

Era una giornata umida che si avviava pigramente al termine, trascinando nel cielo plumbeo delle nuvole gonfie di tempesta. L’aria odorava di pioggia e le foglie di bambù frusciavano sospinte da un vento freddo che proveniva dal nord, nell’enorme giardino centrale della magione.

Lui aveva sempre trovato piacevole passeggiare fra gli arbusti e le azalee di quel pittoresco paesaggio che i Kuchiki si erano tramandati di generazione in generazione: gli piaceva specialmente osservare il momento in cui calava la notte e le lanterne di granito si accendevano delle fioche e diffuse luci delle candele, quando poteva cullarsi nel frinire dei grilli e nello scrosciare dell’acqua contro le pietre. Osservava i riflessi mutevoli sulle squame della carpe senza che nessun’altro interferisse, senza che nessuno, nel silenzio della notte, gli ricordasse quanto potesse essere arduo sostenere sulle proprie spalle il peso di una nobiltà millenaria come quella a cui apparteneva. Quella stessa antica aristocrazia di cui era l’ultimo erede diretto e ventottesimo capofamiglia.

Le libellule volteggiavano leggere sul pelo dell’acqua, mentre lo shishidoshi di una fontana batteva ripetutamente, con un rumore sordo, sul basso tsukubai di pietra. Rukia arrivò vicino a lui con il fiato grosso, tenendo forte in un pugno la stoffa del suo abito.

Dopo che si fu fermata, Byakuya la vide stringersi nelle spalle, cercando di riprendere fiato, vestita dello shihakusho nero: era così piccola che le maniche del kimono arrivavano a lambirle i polsi, formando delle ampie pieghe intorno alla forma sottile delle sue braccia. Gli hakama nascondevano quasi del tutto i tabi bianchi che le fasciavano i piedi, mentre i lembi dell’obi arrivavano quasi a sfiorarle le ginocchia. L’elsa della sua zampakuto appariva appena fra le pieghe della cintura, intrecciata di seta viola.

Byakuya aspettò che si riprendesse, mentre il vento gonfiava le sue ampie maniche. Avvolta in quella divisa, Rukia aveva un’aria sperduta, quasi che si fosse trovata costretta ad indossarla pur avendo la consapevolezza di non esserne ancora all’altezza.

Sentì la sua mano tremante insinuarsi fra le proprie dita e poi stringere con un insolito impeto: anche se lui non glielo aveva mai impedito in alcun modo, Rukia era sempre stata restia persino a sfiorargli la veste. E l’espressione che lui lesse sul suo viso leggermente accaldato, quando si voltò a guardarla, era un misto di ansia ed impazienza.

« Byakuya Niisama.» ripeté, stringendogli la mano « Se non vi è di disturbo…vorrei mostrarvi una cosa.»

Byakuya si limitò a restituirle lo sguardo, senza mutare espressione, senza fare caso al moto inaspettato che aveva fatto congiungere le loro mani. Quelle dita che Senbonzakura aveva reso sicure e ruvide rimasero immobili, insensibili, e non ricambiarono il gesto. Eppure, in qualche modo, la stretta energica e fremente di Rukia gli fece desiderare per un solo istante di poterla accompagnare a quel modo ovunque andasse, tenendola per mano al proprio fianco.

« Perché hai con te la spada?» le domandò, muovendo brevemente gli occhi verso la sua katana « Sai che non gradisco che tu la porti anche in casa. »

Nell’udire quelle parole, l’entusiasmo di Rukia si trasformò rapidamente in esitazione. Le sue dita scivolarono in fretta lontano da quelle di Byakuya, andando a tormentare con discrezione la stoffa dell’obi. Quando aprì bocca per giustificarsi, le parole sembrarono scivolarle fra le labbra a fatica:

« …So bene ciò che mi avete raccomandato, Niisama…» fece una pausa, mentre la voce diventava sempre più impercettibile «…perdonatemi per la mia disubbidienza.»

Byakuya batté rapidamente la palpebre. Quella che aveva posto era stata una semplice domanda, non aveva mai avuto intenzione di sgridarla.

« Cosa volevi mostrarmi?» continuò, dopo qualche istante di silenzio. Lo aveva contrariato il fatto di aver causato involontariamente quel suo repentino cambiamento d’umore. Rukia attese qualche momento prima di bisbigliare, leggermente scoraggiata:

« Solo se potete impegnare un po’ del vostro tempo…» 

Byakuya annuì piano, senza un’esitazione, ed una folata di vento particolarmente energica si insinuò sotto il porticato facendo ondeggiare i capelli di entrambi in una danza senza criterio.

Bastò quel semplice cenno di approvazione perché il volto di Rukia si ricolorasse d’eccitazione:

« Vi ringrazio, Niisama. » improvvisò un inchino, tremando di impazienza « Vi prego, venite.» lo invitò, raggiungendo di corsa la curva del portico, incespicando appena sui lembi troppo lunghi degli hakama. Si fermò ad aspettarlo poco prima di sparire dietro l’angolo, le gote arrossate e gli occhi grigi che sembravano mandare scintille. Byakuya sospirò silenziosamente, guardandola, così impacciata nella sua fremente attesa: poi si avviò con calma verso di lei, raggiungendola in poche e posate falcate. Le andò dietro in silenzio, il vento che scuoteva i suoi abiti e la seta pregiata del suo scialle, in un muto ed immobile diletto mentre lei gli faceva strada come una bambina irrequieta, chiamandolo in continuazione per accertarsi che continuasse a seguirla, attraverso i corridoi dell’enorme magione Kuchiki.

« Byakuya Niisama!»

Andava bene. Gli piaceva particolarmente l’accento che il proprio nome assumeva quando era Rukia a pronunciarlo. E quella sua voce era una musica così rara e piacevole che avrebbe potuto rimanere ad ascoltarla per ore intere senza mai stancarsene.


{ •  ***  • }

 
Si stupì quando la vide poggiare con diligenza le dita sull’elsa della spada, fermandosi al centro dell’estesa piazza di tiro con l’arco. La lama della zampakuto scivolò fuori dalla sua guaina con un sibilo acuto e metallico, riflettendo la luce fioca del pomeriggio lungo tutta la sua lunghezza; un istante dopo Rukia la impugnava con entrambe le mani, in perfetta posizione d’attacco.

Mentre le sopracciglia si aggrottavano leggermente in un moto di allarmato sconcerto, Byakuya si immobilizzò nell’atto di scendere l’ultimo gradino della bassa scalinata che colmava il dislivello fra il portico rialzato e la terra battuta. Rukia era immobile e concentrata come non l’aveva mai vista. I bersagli di paglia sorgevano alle sue spalle come pittoresche sculture decorate di insegne vergognose, cerchi concentrici dipinti di vernice bianca e rossa; immobili sui loro piedistalli, mostravano le sfilacciature di anni ed anni trascorsi sotto il tiro esperto e spesso violento degli arcieri provetti di alto lignaggio.

« Che cosa succede, Rukia?» Byakuya lo chiese con tono deciso, senza perdere d’occhio il taglio luminoso di quella zampakuto sfoderata senza preavviso. Poteva sentire l’acerbo reiatsu di Rukia scorrere su quella lama, intrecciarsi in sottili ed invisibili filamenti azzurri lungo i suoi capelli, contornando tutta la sua sagoma. La zampakuto stessa sembrava emanare un insolito bagliore, pulsando e vibrando come fosse viva; la cosa non fece altro che metterlo maggiormente in allarme.

La esaminò in silenzio per degli istanti che sembrarono un’eternità, domandandosi insistentemente quali fossero le sue intenzioni, aspettando una risposta; poi la vide sollevare gli occhi di scatto, le labbra che assumevano una curva soddisfatta:

« La sento, Niisama.» lo guardò con intensità, congiungendo compostamente i piedi l’uno al fianco dell’altro e sollevando la spada dritta davanti a sé, con una sola mano « Riesco a sentirla chiaramente.»

Il soffiare del vento sollevò e fece danzare intorno alla sua figura nera una miriade di foglie secche cadute con l’autunno, un ballo convulso di sfumature rosse, castane e arancioni che si mescolavano alla polvere e alla sabbia. In quel turbine frenetico, gli occhi di Rukia rimasero aperti e decisi, fissi fieramente in quelli del suo nobile fratello adottivo.

Guarda, Niisama.

Ci sono riuscita. L’ho raggiunta.

Voglio che tu sia il primo a vedere.

 E fu a quel punto che lei dischiuse appena le labbra, muovendosi in gesti che pareva conoscere già da tempo. La mano libera scivolò lungo il braccio destro, mentre il polso ruotava fino a che la lama non fu completamente rivolta verso il basso.

Gli occhi di Byakuya si spalancarono di colpo, mentre le pupille rimpicciolivano fino a sparire quasi del tutto nelle scure iridi blu.

 

« Mae, Sode no Shirayuki.»

 

Lei pronunciò quella parole con tanta decisione ed autorità che la sua voce sembrò riecheggiare imperiosa e definitiva sovrastando qualsiasi altro suono.

Fu un attimo, un battito di ciglia.  Le foglie parvero immobilizzarsi nella loro rapida caduta, il vento fermò la sua corsa, il gracchiare dei corvi appollaiati sugli alberi si interruppe di colpo e divenne muto, mentre le loro ali si arrestavano nell’atto di spiccare il volo – una fuga terrorizzata in un mulinello di penne nere. Byakuya smise di udire ogni rumore, e per dei lunghi istanti vi fu solo silenziosa e fredda immobilità.

Rukia era al centro di quella stasi, composta ed elegante nello sprigionamento gelido del suo shikai. La zampakuto brillava bianca come neve nella sua mano ferma, tintinnando, urlando ad alta voce la propria gioia, sfrigolando di un reiatsu puro ed inviolato, irrequieto, freddo e tagliente come un pugnale di ghiaccio. Un lungo nastro di seta candida schioccò piroettando attorno all’esile figura della piccola shinigami, poi tornò immobile lungo la lama, pendendo da una corta catenina che lo univa all’elsa.

Byakuya fu costretto a socchiudere gli occhi quando i frammentari riverberi della lama lo raggiunsero: l’energia spirituale emanata da quella spada andava ben aldilà di qualsiasi sua aspettativa.

E in quel momento, poco prima che il tempo riprendesse a scorrere – le foglie che improvvisamente toccavano terra e gli uccelli che si libravano lontano nel cielo nuvoloso, in un acuto sovrapporsi di grida gracchianti – Rukia Kuchiki sembrò sfavillare di una bellezza indescrivibile, impugnando quella sua spada bianca con il nobile portamento di una divinità dei ghiacci.

Quando quel bagliore svanì e lei abbassò la spada sfoderata, sollevando lo sguardo verso di lui, Byakuya si sentì assalire da un’angoscia soffocante. Ebbe l’immediata consapevolezza del legno scricchiolante dei gradini sotto i propri piedi, delle gambe e delle braccia che si erano fatte di colpo rigide, degli spasmi nervosi ed involontari che facevano contrarre e distendere i muscoli delle dita. Respirando piano, rifuggì gli occhi di Rukia che lo cercavano e lo imploravano, voltandole le spalle senza proferire una sola parola.

E mentre si allontanava, chiuse gli occhi cercando di non pensare all’espressione di completo smarrimento che Rukia aveva assunto nel vedere la sua reazione.

 

Cosa ho fatto? Cosa ho fatto per dispiacerti?

Ti prego, Niisama. Dimmi cosa ho sbagliato.

 

Lei glielo chiese sconsolatamente con quella breve occhiata, un attimo prima che la lucentezza di Sode no Shirayuki si disperdesse e tornasse il bagliore opaco lungo la lama di una semplice zampakuto.

Byakuya non riuscì a risponderle e la lasciò sola, in silenzio, mentre iniziavano a cadere le prime gocce di pioggia.

   
 
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