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Polvere.
“È
sicura di non
ricordare niente?” chiese per l’ennesima volta il
poliziotto. Elyse sbuffò.
“No, gliel’ho ripetuto mille volte!”
sbottò. “Mi scusi, signorina, ma trovo la
sua storia abbastanza improbabile. Non è credibile che
qualcuno sia entrato in
casa sua solo per tagliarla e poi se ne sia andato.”
Ribatté l’altro. “Senta,
io non mi sono tagliata. Non posso.
Non per un fatto morale, ma proprio perché non posso
fisicamente! Non arrivo a
farmi quei tagli sulla schiena, e poi sono mancina, quando ero
autolesionista
ho provato a tagliarmi con la destra e ci mancava poco che non mi
mozzavo la
mano! Questi tagli sono tutti regolari, non ne sarei
capace!!” esclamò Elyse,
demoralizzata dalla cocciutaggine del poliziotto. “Senta,
magari non se lo
ricorda…”
“No,
senta lei. Elyse
era chiusa a chiave in quella stanza, è vero. Ma le chiavi
non erano nella
toppa e che io sappia tutte le serrature in casa sono uguali.
Può essere stata
usata una chiave qualsiasi. Non è una contorsionista e lei
deve fare il suo
lavoro, ovvero cercare di scoprire chi l’ha conciata
così e non accusarla di
cose impossibili!” esplose Zayn, troppo frustrato per
rimanere in silenzio.
Gemma era al suo stesso punto. “Ehm, quello che Zayn voleva
dire, è che non è
possibile che Elyse si sia tagliata da sola, e che quindi sarebbe
meglio orientarsi
verso nuove strade.” Fece Abigail, più prudente.
Erano
in ospedale, con
Elyse bloccata in quel letto da due giorni. Tecnicamente,
all’ospedale si
dovrebbe trovare riposo, ma per lei non era così: stava
subendo un
interrogatorio dietro l’altro, quasi senza interruzioni. Era
sempre più
nervosa, stufa di rispondere alle stesse domande più volte
al giorno. Appena
arrivata, le avevano fatto una trasfusione, dato che aveva perso
davvero troppo
sangue. Era un miracolo che si reggesse in piedi, forse grazie
– o a causa – di
anni in cui aveva fatto a meno di grandi quantità di sangue.
Nonostante
tutti
fossero preoccupati per lei, avevano preso una decisione unanime:
qualcuno, a
turno, doveva rimanere fuori, con Chiara. Era troppo piccola per vedere
tutti
quei tagli su Elyse, tagli che sarebbero stati cancellati solo con
altri
interventi.
In
quel momento, Louis
era fuori con la piccola. Ormai non sapeva più nessuno cosa
inventarsi,
speravano solo che quella settimana passasse in fretta. Abigail decise
di
uscire, per cercare Louis e Chiara. Li trovò appena fuori,
con Chiara che
giocava nel prato, con il suo peluche di un tigrotto che un tempo era
proprio
di Abigail. Louis era seduto sui gradini, appoggiato al corrimano.
Sembrava
sfinito, e le occhiaie non facevano altro che confermare
l’ipotesi. “Lou?” lo
chiamò Abigail, sedendosi di fianco a lui. “In
questo momento sono in
black-out, prego lasciare un messaggio dopo il beep. Beep.”
Fece lui, chiudendo gli occhi. “Davvero Louis, torna a casa,
devi dormire. Stai facendo i tripli turni con Chiara e sei teso, devi
riposarti.” Disse intrecciando le loro dita. Lui si
passò una mano sugli occhi,
assonnato. “Lou, sei congelato, lasceranno Elyse fra poche
ore e hai talmente
tanto sonno che potresti addormentarti qui.” Insistette
Abigail. Lui non poté
far altro che darle ragione. “Sei sicura che agli altri vada
bene?” chiese poi,
incerto. “Ehi, ricordati che loro sono dentro, belli comodi e
al calduccio, a
fare niente, mentre tu sei qui a occuparti di Chiara, cosa che fra
parentesi
dovrei fare io e quindi ti ringrazio. Se hanno qualcosa da dire, se la
vedono
con me, prima di arrivare a te.” Disse Abigail cercando di
convincerlo. Lui
cedette. “Prendo l’autobus,
però.” Disse solo. Abigail annuì e si
alzarono. “Ci
vediamo appena lasciano Elyse, allora.” disse. Lui
annuì e fece per scendere.
“Ah, solo una cosa.”
“Cosa?”
“Quel
poliziotto sta
ancora facendo le stesse domande a Elyse?” Abigail si mise a
ridere. “Sì,
sembra non capire.” Disse. Louis ridacchiò e la
salutò con un bacio incredibilmente
lungo.
***
“La
trasfusione non
sembra averle dato troppi problemi, signorina. Entro un paio
d’ore potremo
dimetterla, giusto il tempo degli ultimi esami.” Disse
un’infermiera con fare
gentile. Elyse sospirò di sollievo, lasciandosi andare sul
cuscino. Mossa sbagliata:
i tagli sul suo ventre tirarono dolorosamente. Gemette.
Mille
domande le
turbinavano in testa, troppo forti per essere ignorate, troppo
impetuose per
lasciare spazio ad altro. Chi era stato? Perché
l’aveva fatto? Perché
non l’aveva uccisa, anziché farla
soffrire così?
La
risposta era ovvia,
almeno a questa ultima domanda. Come in tutti i libri, o i film, la
scelta
migliore per far star male una persona non è porre fine ai
suoi problemi, bensì
creargliene altri e impedirle di morire per obbligarla ad affrontarli e
spesso
a venirne schiacciata.
Ecco
come si sentiva,
schiacciata, oppressa, immobilizzata da quei tagli che la costringevano
a stare
immobile per non essere riaperti, annientata da quella mente che la
stava
distruggendo dentro. Stava implodendo senza nessun rumore. Crollava
lentamente,
si sbriciolava, diventava polvere, e la polvere non fa nessun suono. Se
ne va,
silenziosa e inafferrabile, quasi si faccia beffe di chi cerca di
trattenerla
fra le mani. Si diverte a scivolare via dalle dita che la stringono,
sapendo
che le macerie possono essere riaggiustate, mentre lei
rimarrà polvere in
eterno.
Elyse
stava impazzendo
così come aveva vissuto: in silenzio, da sola col suo dolore
e i suoi mille perché
cui nessuno si era mai preso la briga di rispondere.
***
Bridgette
guardò di
nuovo Elyse e si sentì ancora peggio di prima. La vedeva
morire pian piano, ma
non poteva dirlo a nessuno. O forse non voleva.
Forse
perché sapeva che
questo avrebbe ucciso tutti quanti.
Forse
aveva paura.
Forse
entrambe le cose.
Ma
cosa poteva fare? Era
troppo vigliacca per dire a tutti quello che sapeva, era troppo debole
per
vedere Elyse soffrire in quel modo, era troppo egoista e spaventata per
mettere
in gioco tutto quello che aveva.
“Devo
solo aspettare.” Decise.
“Lo saprà presto, ma adesso no.”
Sapeva
bene che si
stava solo raccontando bugie, pietose e inutili menzogne che le
avrebbero dato
la parvenza di avere un briciolo di cuore in pace.
***
La
sera, tornarono a
casa. Abigail entrò per prima. “Amore, ci
sei?” chiese ad alta voce. Non ottenne
risposta. Inarcò un sopracciglio e andò a vedere
in camera sua: Louis non c’era.
Guardò velocemente in tutte le altre, sempre con lo stesso
risultato. “Ragazzi,
Louis è sparito!” disse basita. Gli altri
sgranarono gli occhi e, nemmeno si
fossero messi d’accordo, iniziarono a cercarlo, tutti tranne
Elyse, che andò in
camera sua. Si era vestita in modo da non farsi vedere da Chiara, con
un
cappuccio enorme, maniche lunghe e molto trucco in faccia.
“Non
c’è!” fece Zayn
sconsolato. “Mi sto spaventando.” Disse Abigail,
componendo il numero di Louis.
Uno squillo, due, tre, quattro…
“Pronto?”
chiese Louis
con voce impastata. “Lou, si può sapere dove
sei?!”
“Sto
tornando a casa, perché?”
“Stavi
tornando tre ore
fa! Dov’eri, fin’ora?!” fece lei.
Seguì un lungo silenzio imbarazzato. “Ti
prego non metterti a ridere.” La implorò dopo.
Abigail acconsentì e Louis si
schiarì la voce. “Può darsi…
per pura casualità… che io mi sia addormentato
sull’autobus.” Disse in fretta. Abigail si
trattenne a stento. “Dove sei,
adesso?” chiese poi, divertita. “Direi,
dall’altra parte della città.” Fece lui,
con una pausa, come se stesse valutando il panorama dal finestrino.
Abigail
alzò gli occhi al cielo. “Dai torna a casa, che
è meglio. Mi hai fatto
spaventare!” esclamò. “Scusa, amore.
Davvero, sono crollato e non me ne sono
nemmeno accorto.” Si scusò lui, contrito. Abigail
sorrise piano. “A dopo,
allora.” Disse. Lui la salutò e mise
giù. Abigail riferì quello che Louis aveva
detto agli altri, che scoppiarono a ridere, anche dal sollievo.
Era
la prima volta che
ridevano, dopo tanto tempo.
Eppure
è una cosa che
non si scorda mai.
Una
risata ti accoglie
come una vecchia amica, nonostante ti sia costretto a fare a meno di
lei, ti
perdona sempre, si fa viva nei momenti più inaspettati, a
volte arriva senza
motivo, alleggerisce la giornata e i cuori, fa dimenticare il mondo per
qualche
secondo. È un momento di libertà strappato alle
dita ossute e avide della
monotonia e dell’angoscia.
Purtroppo,
non dura mai
in eterno. Può far star male, tanto da non riuscire a stare
in piedi o da
mettersi a piangere, ma prima o poi se ne andrà, e tu vedrai
di nuovo il mondo
com’è davvero: triste, duro e crudo.
Le
risate premiano chi
lotta per loro. Chi ha la forza di alzarsi ogni volta che cade, che la
vita lo
abbatte, che si scontra con un ostacolo. Chi ha il coraggio di non
mollare. Chi
ha la bontà di aiutare coloro che non ce la fanno. Che ha la
pazienza di
aspettare il suo momento.
Premiano
tutte quelle
persone che ancora credono in qualcosa.
Che
sognano.
Che
vivono.