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Autore: Lauretta Koizumi Reid    10/05/2014    2 recensioni
C’è qualcosa che mi fa impazzire più del freddo. Più dei topi o dell’oscurità, più delle urla e dei pianti di Peeta, delle botte e delle domande delle guardie e dei carcerieri. Ed è una semplice domanda: perché sono viva? Perché non mi uccidono e basta? Non servo a nessuno, sanno che non collaborerò, non hanno nulla per farmi davvero del male. Sono un fantoccio rotto e inutile in una cella. Ma forse è questa la mia punizione... la vita. Nonostante tutto.
Johanna Mason, Distretto 7. Prigioniera di Capitol City per un tempo che ella non può contare. In un luogo terrificante. Che forse, però, si può immaginare.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mi sveglio non so quanto tempo dopo. Mi alzo a fatica, con un solo pensiero basilare nella testa: fame. Cibo. Se devo morire qui dentro, non vorrei fosse per inedia. Ci sono tanti bei modi per morire, e sebbene nell’arena questo tipo di sofferenza la conosca, non dimentico che sono stata viziata per molti anni a potermi nutrire per bene. E che gli schiaffi fanno consumare una fottuta vagonata di calorie, a quanto pare.

Dinnanzi alle sbarre, trovo una banana su un piattino, con una fetta di pane. Il pane è umidiccio, come tutto qui dentro, e la banana è quasi completamente marrone. Scommetto che l’hanno messa appena mi sono addormentata, così aveva il tempo di marcire per bene. Che rabbia. Calmata la fame, calmato il dolore, una volta che la consapevolezza di essere rapita ha ormai riempito il mio animo, qualcos’altro mi trilla in testa.

E mi dica, signorina Mason, dove pensa che siano tutti gli altri?
Questa è una buona domanda. Che non abbiano Katniss è un dato di fatto. Ma gli altri? Se ho risposto “non lo so”, è perché era la verità. E quelle due urla che sono riuscita a captare...di chi sono?
Cerco di rievocarle nella mia testa, e nel momento in cui capisco a chi appartengono, grido anche io per la rabbia. Peeta. Lui era con me.
Probabilmente lo stanno torturando senza pietà, in quanto fidanzato di Katniss. E invece lui non sa nulla di nulla. Sono stata con entrambi abbastanza per capire che Peeta è l’unica anima decente in mezzo a tutti noi ex vincitori. Perché non lo abbiamo informato? Perché non abbiamo informato entrambi?

Qualcosa come il senso di colpa mi attanaglia lo stomaco. La banana si rivolta prepotentemente dentro di me, e non riesco a trattenerla. Corro dentro la latrina inciampando nei pantaloncini bianchi che indosso - ho anche la divisa da carcerata - e faccio appena in tempo a calarli prima di evacuare quel poco che avevo. Lo scarico ruggisce e cerca di portarsi via tutto, ma non toglie l’odore, che era già insopportabile prima di tutto questo. Faccio per allontanarmi, ma qualcosa attira la mia attenzione.
 Mi metto in equilibrio sulle piastrelle appoggia-piedi della latrina e capisco al volo cos’è. Un buco.

Un piccolo buco frastagliato nel muro, che noto perché è come un alone luminoso nel muro. Nella stanza di là, evidentemente, c’è più luce. Nessuno fa la guardia dinnanzi alla mia cella, e comunque mi trovo in un posto che hanno avuto l’accortezza di isolare un minimo dall’esterno.

Forse è un tentativo suicida, ma ci provo. Avvicino la bocca al buco tappandomi il naso perché le esalazioni mi stanno facendo sentire male - vedi se questo buco doveva stare proprio sulla latrina - e parlo.
- Peeta! Peeta. Peeta! Sono Johanna! Ci sei? Ci sei?
Non ho voce, sono debole. Ce la sto mettendo tutta. E proprio mentre mi sto arrendendo, qualcosa mi risponde. E’ un respiro rauco e corto.
- Peeta?
- Jo...Johanna?
- Sì! - esulto mentre un mezzo sorriso mi si dipinge sulla faccia seviziata.
Segue un momento di silenzio. La domanda più banale si affaccia alla bocca si entrambi nello stesso momento.

- Come stai? - sussurriamo all’unisono.
- Prima tu - dice lui.
- No, prima tu - gli rispondo io.
- Bene. Cioè... non benissimo. Appena arrivato mi hanno fatto moltissime domande e mi hanno picchiato. Dicono che...ci sia stata una cospirazione che voleva salvarci dall’arena, capitanata da Plutarch. E che noi lo sapevamo....e che facevamo tutto questo per salvare Katniss dalle grinfie di Snow. Che Snow ci avrebbe ucciso tutti comunque. Ho una tale confusione, Johanna... non capisco più nulla. Ti prego, spiegami! E’ tutto vero?....che cosa è successo realmente?
Se avessi ancora l’energia delle calorie della banana in corpo mi sarebbe più facile dargli una spiegazione. Ma cerco di essere brava con le parole come lui, e gli espongo tutto, dalla prima all’ultima informazione. Tutto. Il Distretto 13, il nostro piano, le alleanze, il salvataggio che per noi non ha funzionato...e naturalmente la prima domanda che mi pone, con tono rabbioso, è sempre quella.
- Perché non me lo avete detto? Anzi, perchè non CE lo avete detto?
- Non potevamo rischiare che uno di voi si tradisse. Mi dispiace Peeta...
- Sono due giorni che subisco torture, e non sapevo nulla. Ho sempre negato di sapere qualcosa. E oggi stranamente mi hanno risparmiato. Anzi, mi hanno dato molto cibo e acqua in abbondanza. - dice con tono freddo e distaccato.
- Non capisco...
- Ma sì che capisci, Johanna. Ormai io non sono più utile per loro. E’ gente intelligente, e ha compreso che se io non posso collaborare perché nessuno mi aveva informato del piano, è inutile tenermi in questa cella. Tanto vale darmi un ultimo pasto e poi spedirmi sulla forca....be'...almeno...almeno Katniss è in salvo. E questa è l’unica cosa che conta, per me...Johanna, non dire loro nulla, ok? Anche se ti faranno del male. Non permettere loro di arrivare a Katniss.
E invece l’unica cosa che vorrei fare è rivelare tutto, scappare da questa cazzo di cella con Peeta e lasciare che almeno lui viva. Ma non posso.

Sento la porta della prigione di Peeta aprirsi, e colgo un suo fugace “addio”. Mi allontano gattonando a quattro zampe sul pavimento lercio e poi mi ci rannicchio sopra. Credo di stare piangendo, per la prima volta da anni, quando alla mia porta si affacciano due uomini. 

Cercano di tirarmi su, ma non ci riescono. Scalcio, graffio, lotto, dico qualsiasi oscenità faccia parte del mio repertorio, urlo fino a perdere la voce.

- Allora....è tempo per le cattive maniere. -sentenzia uno di loro due, mentre si tampona una narice sanguinante.
 

 
 
 
 
 
 
Spero vi sia piaciuto, miei piccoli e affezionati follower. ;) E se volete leggere una fan fiction che vi narrerà cosa accadeva dall’altra parte del muro, usagainst_theworld vi presenta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1
  
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