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Autore: Hanairoh    26/07/2008    2 recensioni
Questa è una versione alternativa di Twilight scritta da me. E se Bella fosse stata morsa ancora prima di conoscere Edward e la sua famiglia? Chi sarà stato il suo creatore? Leggete per scoprirlo!
Genere: Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Che bello, quante recensioni! Non me lo aspettavo proprio, ma sono felice che vi sia piaciuta! Ora posto il secondo capitolo. Commentate, mi raccomando!
 
 
 
 
 Nella stanza scese il silenzio. Edward si era voltato nella mia direzione, e mi guardava in modo strano, come se si sentisse in colpa.
“Mi…mi dispiace”, mormorò, sinceramente dispiaciuto.
I muscoli del mio corpo erano paralizzati, ma non sapevo se fosse per l’informazione appena ricevuta, o per l’assurdità della circostanza. I miei pensieri volarono immediatamente alla carcassa del cervo che ancora occupava lo spiazzo davanti alla casa. Ripensai al calore da esso emanato, alla sensazione di quel liquido caldo in gola; fissai i miei vestiti, macchiati di terra e di sangue. Del sangue che avevo bevuto.
“Tu…tu sei come me?”, sussurrai piano, sperando con tutta me stessa che quello fosse solo uno scherzo di cattivo gusto. E invece…
“Si”.
Oh mio Dio. Era un pazzo. Mi trovavo in una casa sperduta in mezzo alla foresta, da sola, in compagnia di un estraneo, e per di più pazzo; all’apparenza, sembrava un ragazzo come tanti altri, a parte la bellezza sconvolgente che avrebbe lasciato a bocca aperta chiunque. Ma sapevo che non bisogna limitarsi a giudicare dall’aspetto esteriore. Sotto quella maschera perfetta, poteva celarsi chiunque, anche un folle. Nonostante i cambiamenti che avevo subito, compresa la mia sconsiderata passione per il sangue e la straordinaria forza, mi rifiutavo di pensare che fossi io la pazza. Probabilmente non erano nemmeno eventi reali; forse avevo battuto la testa e, oltre ad aver perso la memoria, quelle non erano altro che allucinazioni dovute allo shock. Si, doveva essere così.
Dovevo fuggire, e alla svelta. Già, ma come? Non avevo niente con me. Potevo fare solo una cosa. Forse non sarebbe servita a nulla, ma, come dice il proverbio, tentar non nuoce.
Cercando di mantenere l’espressione impaurita e disorientata di prima, in modo da non insospettirlo, mi alzai lentamente e mi diressi verso l’apertura principale, ormai non più sigillata dalla porta. Vidi Edward scattare verso di me, ma, non appena comprese che non avevo intenzione di uscire –o almeno, questo era ciò che volevo fargli credere- si rilassò. Anzi, rimase seduto sul divano e chiuse gli occhi, apparentemente stanco: sembrava addormentato.
Via libera, pensai.
Con un’agilità notevole, sgusciai fuori e, più silenziosamente possibile, cominciai a correre. Come prima, mi resi conto di tenere un’andatura assurdamente veloce, ma non me ne curai; mi costrinsi ad accelerare quando mi accorsi che tentava di starmi dietro. Sentivo la sua voce chiamarmi per nome, implorarmi di fermarmi. Che stupido, a pensare che gli avrei dato retta. Sfrecciavo nel bel mezzo del bosco, evitando alberi e cespugli con facilità; respiravo regolarmente, nonostante stessi correndo da parecchio. Non sentivo nemmeno il ritmo del cuore, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ero sorpresa, ma non ancora del tutto rassicurata.
Poi, quando fui certa di averlo seminato, osai fermarmi e guardare indietro; mi trovavo nel cuore della foresta, circondata da alberi e piante di ogni genere, il canto degli uccelli come unica compagnia. L’aria era carica d’umidità, ma anche stranamente profumata. Odori di tutti i tipi, dai più dolci a quelli più acri, giungevano alle mie narici, risvegliando in me una specie di…istinto?
Ero meravigliata per l’acutezza improvvisa dei miei sensi: tutto mi appariva più chiaro, vedevo benissimo anche attraverso la vegetazione fitta, nonostante l’oscurità. Riuscivo a cogliere anche i suoni più deboli, come lo scroscio di un ruscello a poca distanza, come possedessi un sesto senso che mi permetteva di orientarmi persino nella marea soffocante di vegetazione.
Mi sentivo…libera. Libera come non lo ero mai stata. Risi, felice.
Ma la mia spensieratezza durò poco.
Improvvisamente, sentii qualcosa muoversi nei dintorni, cercare di farsi strada attraverso le piante. Dei passi attutiti dall’erba.
Mentre mi preparavo a scappare, nel caso si fosse trattato di Edward, successe di nuovo.
Una folata di vento portò alle mie narici un profumo nuovo, diverso dagli altri, invitante…irresistibile. Un aroma dolce come una pesca matura, e acre come un limone. Dentro di me, sentii ridestarsi quell’istinto che prima avevo tentato di ignorare; qualcuno, nella mia testa, cominciò a fare le fusa, come un gatto di fronte ad un bel piatto di pesce fresco. M’irrigidii, sorpresa dall’improvvisa voglia di scoprire chi fosse il proprietario di quel fantastico profumo.
Senza che glielo ordinassi, i miei piedi scattarono in avanti e si lanciarono tra le felci, come fossero dotati di vita propria; nonostante il bosco fosse tutto uguale, sembravano conoscere la direzione.
Corsi, finché non mi ritrovai davanti ad un uomo. Doveva avere circa una quarantina di anni; gli abiti erano sporchi e strappati, probabilmente si trattava di qualche escursionista solitario. I suoi occhi glauchi mi guardavano sorpresi, come fossi qualcosa di bellissimo, ma si ricompose subito.
“Ehi, va tutto bene? Ti sei forse persa?”, mi chiese educato.
Non risposi. Il suo profumo m’intontiva, mi stordiva; all’improvviso, non riuscendo più a controllarmi, cedetti all’istinto.
Gli saltai addosso.
Persino mentre lo immobilizzavo, incurante della sua faccia atterrita, non riuscii a non pensare a quello che era successo solo poche ore prima, nel giardino di casa Cullen. L’immagine del cervo morto continuava a scorrermi davanti agli occhi, veloce. Rividi con chiarezza la scena: io che lo guardavo, bramosa, io che gli saltavo in collo, io che facevo penetrare i denti nella sua pelle…io che mi nutrivo del suo sangue. Ricordai il disgusto che avevo provato dopo. Me ne rendevo conto persino in quel momento, mentre affondavo i denti nella carne del collo dell’uomo che si contorceva, senza riuscire a liberarsi, sotto di me.
Ero combattuta, era come se dentro di me ci fossero due persone: una che rifletteva me stessa, e che ragionava con buon senso. L’altra che rifletteva il mio lato oscuro. Un mostro. Un vampiro.
Una parte di me, quella morale, mi ordinava di smetterla, di fermarmi, prima che fosse troppo tardi. Ma la sua voce si perdeva, soffocata dal mio istinto selvatico e dalle urla della mia vittima. L’altra, selvaggia e bellicosa, faceva le fusa, urlava per essere accontentata, m’imponeva di non fermarmi, di continuare, di succhiare, fino all’ultima goccia, quel nettare divino, che non aveva niente a che vedere con quello del cervo. Non c’era confronto, erano su due livelli diversi.
La seconda ebbe il sopravvento.
Perciò, senza pensare alle conseguenze, senza curarmi del dolore che gli causavo, continuai a bere il sangue dell’uomo, con più foga e violenza di prima. Le urla erano strazianti, ma non ci badai. Oramai non riuscivo a pensare a niente, a niente che non fosse quel liquido rosso e delizioso che scorreva lungo il collo, sempre più freddo, dell’escursionista. All’improvviso, proprio nel momento di estasi maggiore, due forti braccia di marmo mi afferrarono da dietro, cogliendomi di sorpresa. Con la forza, venni allontanata dal corpo ormai esanime dello sconosciuto; urlai, ringhiai, tentai di scappare, ma ogni mia resistenza fu inutile. Ero furiosa. Chi osava interrompermi? “Ferma! Sono io! Ferma!”. Era Edward.
Ero talmente inebriata dal profumo dell’uomo da non essermi accorta del suo arrivo; un ringhio rabbioso nasceva dal mio petto. Un ringhio che fece accapponare la pelle persino a me.
Ero consapevole del velo di pazzia che offuscava i miei occhi, era come se avessi un attacco epilettico. Tentai di azzannare Edward, ma morsi solo l’aria; si era scansato all’ultimo secondo. Ero ancora imprigionata tra le sue braccia, non potevo muovermi di un millimetro.
“Smettila, dannazione! Ferma!”, gridò Edward, frustrato.
Cercai di fare come mi aveva detto, ma dentro di me imperversava ancora la feroce lotta tra le due metà di me stessa. La parte razionale stava lentamente prendendo il sopravvento, ma l’istinto non era stato soffocato completamente. Contro la mia volontà, le braccia si muovevano convulse, cercando di liberarsi; scalciavo per aria, urlavo, ma non servì a niente. E poi il mio sguardo cadde sui resti della mia preda: dal collo in giù, era tutto una macchia di sangue, sangue caldo ed invitante, che non faceva altro che aumentare la mia bramosia. Ma quando vidi il suo volto, smisi di dibattermi. Era contorto in una smorfia non solo di dolore, ma anche di…stupore. Gli occhi verdi avevano perso la loro vitalità, la scintilla che li faceva brillare era stata soffocata, soffocata per colpa mia.
Che cosa avevo fatto?


“Ssssh, calma, Bella, calma. Non è successo niente”, disse Edward, offrendomi un fazzoletto per asciugare il sangue che macchiava il mio viso. Avrei voluto che servisse ad asciugare le lacrime che, purtroppo, non avrei mai più potuto versare.
Gli lanciai un’occhiataccia. “E tu questo lo chiami niente?”.
Eravamo seduti sul divano del suo salotto; dopo aver sopportato, per un quarto d’ora, le mie grida isteriche e i singhiozzi –si fa per dire- incessanti, non mi aveva affatto rimproverata. Anzi, stava facendo di tutto per non farmi sentire in colpa. Per non farmi sentire un mostro.
“Be’, guarda che è successo a tutti di…inciampare, sai”. Sembrava a disagio.
Lo guardai, più sollevata di prima. “D-davvero?”.
“Si”.
Ma questo non bastava a calmarmi. Provavo ribrezzo per me stessa, per quello che ero diventata. Nulla avrebbe potuto placare il disgusto che ormai invadeva ogni fibre del mio essere.
Per distrarmi, parlammo.
Di un po’ di tutto. Mi raccontò della sua famiglia, di come fossero stati trasformati in…vampiri –ancora non riuscivo a pronunciare quella parola ad alta voce. Venni a sapere che esisteva un modo per convivere con il proprio istinto, cacciando animali; come avevo fatto io, poco dopo il mio risveglio. Ero strabiliata: esisteva, dunque, un modo per non sentirmi un mostro, continuando a vivere a contatto con…gli umani –era strano pensare a loro come un’altra razza, diversa dalla mia- e frequentandoli senza metterli in pericolo?
Scoprii che nessuno di loro aveva scelto spontaneamente questa vita. Chi avrebbe voluto barattare la propria anima in cambio dell’immortalità, una vita fatta di schiavitù e menzogne? Mi raccontò di quel poco che ricordava della sua vita passata; dell’epidemia di spagnola che si era diffusa a Chicago, la sua città natale, e di come fosse stato trasformato dal il capo del clan dei Cullen, Carlisle,. Parlò di come quest’ultimo fosse stato cambiato, quasi per errore, solo per essere stato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Di come Esme, compagna di Carlisle, si fosse suicidata per la morte del suo unico figlio, per poi essere salvata –se salvezza era- da lui. Di come Rosalie, una delle sorelle di Edward, fosse stata strappata dalla vita dall’uomo che amava. Di come il marito, Emmett, fosse stato trasformato da Carlisle. Di come Alice e Jasper, suoi fratelli adottivi, si fossero presentati alla loro porta, molti anni prima. E più parlava, più il suo racconto mi affascinava.
“E questo è quanto”, concluse.
Una domanda mi sorse spontanea, ma preferii tacere. Non mi sentivo ancora in grado di affrontare un argomento simile, almeno non prima di essermi completamente abituata alla mia nuova vita. Ma lui notò la mia espressione afflitta.
“C’è forse qualcosa di cui vorresti parlare, Bella?”. Si morse il labbro.
Scossi la testa. Non mi sentivo pronta.
“Dai, a me puoi dirlo, lo sai”.
Respirai a fondo, tentando di controllarmi meglio.
“Chi mi ha ridotta così?”, mormorai, non molto ansiosa di sapere la risposta. Che cosa importava, sapere chi mi aveva trasformata? Ormai il danno era stato fatto, non potevo mica tornare indietro. Ma la sua espressione mi incuriosì. Sembrava di nuovo in difficoltà con le parole. Stavolta fui io, a spingerlo a proseguire.
“Ecco…noi…noi…non lo sappiamo”. Prese a fissarsi le punte delle scarpe.
“Noi…vi abbiamo trovati nel bosco, non molto lontano da qui. Lui…era sopra di te, e non appena ci siamo resi conto di chi fosse e cosa ti stesse facendo, te lo abbiamo levato di dosso, ma ormai era troppo…”.
Dire che ero sconvolta sarebbe riduttivo. Ero talmente incredula da non sentire il rombo di un motore di una macchina che stava arrivando. Lui s’irrigidì appena.
“Eccoli, sono loro”, annunciò.
Lo guardai, confusa. Come faceva a sapere chi fosse?
Edward notò la mia espressione interrogativa. A mo’ di spiegazione, disse: “Ehm, sai, il fatto è che io ho una specie di…potere. Posso leggere nel pensiero”.
Adesso ero veramente colpita. Poteri? Lettura del pensiero? I vampiri possedevano delle doti? Questo non lo sapevo. “Be’, la versione hollywoodiana non è molto veritiera, sai”, aggiunse, in risposta, forse, ai miei pensieri.
Avrei voluto rivolgergli un’altra domanda, ma in quel momento sentii delle voci nel giardino. Era la sua famiglia. D’un tratto, divenni tesa. Avevo paura di un loro rimprovero per quello che avevo fatto, anche se, stando a quello che Edward mi aveva raccontato, era capitato quasi a tutti.
Se ne accorse. Mi prese la mano e mi sorrise, per incoraggiarmi. La sua stretta m’infondeva sicurezza, e il suo sorriso bastò a sciogliermi. Abbassai lo sguardo, imbarazzata. Avevo l’aria di una bambina sorpresa a fare una marachella.
“Su, non preoccuparti. Sono sicuro che comprenderanno”.
Annuii, ma la tensione non accennava ad allentarsi. Tenendomi ancora la mano, mi guidò nel giardino. Appena misi il piede fuori, respirai migliaia di profumi diversi, da quello dell’erba fresca a quello dei fiori. M’irrigidii appena quando sentii il profumo invitante degli animali, ma riuscii a resistere; l’esperienza che mi ero lasciata alle spalle era stata sufficientemente traumatica.
In quel momento, dalla jeep parcheggiata non molto lontano, scesero sei figure, arruffate e con i vestiti imbrattati di sangue secco. Rimasi a bocca aperta.
Il conducente, un ragazzo muscoloso dai folti capelli neri, stava ridendo assieme ad una ragazza; era il genere di bellezza che distrugge l’autostima delle donne. Bella, formosa e con dei lunghi e fluenti capelli biondi. A giudicare da ciò che Edward mi aveva detto, doveva trattarsi di Emmett e Rosalie. Contemporaneamente, dall’altro lato dell’auto, scesero una ragazzina dai corti capelli corvini e un giovane alto e biondo.
“Alice e Jasper”, mi comunicò Edward, in risposta alla mia domanda inespressa.
Per ultimi scesero Esme e Carlisle. Lei era molto piccola e minuta, più rotonda dei figli; i soffici capelli color caramello le conferivano un’aria materna ed affettuosa. Carlisle, invece, era molto diverso: il volto tradiva la sua saggezza ed esperienza. I capelli erano di un biondo particolarmente chiaro.
Non si somigliavano affatto, eccezion fatta per Rosalie e Jasper, che avrebbero potuto passare per fratelli. Gli unici tratti comuni erano la pelle pallida e marmorea e le occhiaie profonde sotto gli occhi; e, ovviamente, tutti possedevano una bellezza sconvolgente, ma solo in quel momento capii a cosa fosse dovuta. Io non reggevo di certo il confronto. Quando mi ero vista per la prima volta allo specchio –quello che avevo mandato in mille pezzi- mi ero sembrata persino bella, ma ora dovevo ricredermi. In confronto a loro, dovevo apparire sciatta e normale.
Tutto d’un tratto, mi accorsi che Alice, la ragazza dai capelli corti, mi stava fissando, e così pure tutta la famiglia. Sostenni il loro sguardo inquisitore, mentre stringevo spasmodicamente la mano di Edward. Allentai la presa solo quando un gemito da parte sua mi fece capire che gliela stavo stritolando.
“Stai calma”, mormorò lui. “Non hai fatto nulla di cui tu debba sentirti in colpa”.
Avrei tanto voluto crederlo anch’io.
  
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