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Autore: Sheep01    12/05/2014    2 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11

 

[Jacques Duquesne]

 L'avidità, non trovo una parola migliore, è giusta.

(Wall Street)

 

*

 

L’intero reparto d’intercettazione dello SHIELD era in trepidante attesa.

La rete di collegamenti telefonici, attiva e pulsante.

Clint sedeva accanto ad un agente in giacca e cravatta. L’aria da ragazzino cresciuto troppo alla svelta, serio come se gli fosse appena morto il gatto, verde come se gli venisse da vomitare.

“Niente?” aveva chiesto Clint per l’ennesima volta, guadagnandosi uno sguardo infastidito.

“Non ancora.”

Si mise in piedi, raggiungendo in pochi, misurati passi l’altra parte dell’angusto locale.

Natasha attendeva, braccia conserte, espressione assorta: una statua di cera.

Per un attimo si chiese se fosse l’unico a non riuscire a gestire granché le attese.

 

C’erano volute ore di trattative affinché la direzione dello SHIELD valutasse e confermasse la partecipazione dell’agente Barton e dell’agente Romanoff al caso Duquesne.

Clint aveva preferito non rivelare le implicazioni emotive che lo affiliavano al sospetto, ma li aveva agganciati con la scusa di averlo conosciuto in gioventù. Era già tanto che avessero deciso di testarlo riguardo il coinvolgimento di Barney Barton.

Forse sarebbe stata la giusta occasione per dimostrare all’organizzazione che era cresciuto tanto sul piano professionale, quanto su quello personale. Incline a rispettare le regole e pensare con freddezza. Coulson gli aveva scucito due o tre consigli su come gestire la faccenda e aveva deciso, straordinariamente, di fidarsi e appoggiare la proposta della sua partecipazione alla missione.

La Romanoff aveva gestito la faccenda in modo ancora più straordinario, dando indicazioni prodigiosamente precise sulle persone coinvolte e sugli spostamenti effettuati.

L’organizzazione criminale non era nuova ai cambiamenti: secondo Natasha, tutti piuttosto prevedibili.

Le sue conoscenze pregresse ed informatiche avevano dato una mano piuttosto consistente a portare la missione ad un livello superiore.

Alla domanda: “Perché non ce ne ha parlato prima?” La criptica e lodevole risposta: “Non me lo avete chiesto”.

Clint cominciava a sviluppare per la ragazzina una stima professionale (e non solo) che nemmeno si preoccupava di nascondere.

“Cerca di non gongolare troppo”, lo aveva dovuto redarguire Coulson, con tanto di gomitata nel fianco.

 

Ed ora erano in una delle regioni francesi del Canada, appostati su un furgoncino dello SHIELD, camuffato da camion dei traslochi, in attesa di trovare un robusto aggancio per il successivo step dell’operazione.

Clint avrebbe dato di matto se fosse stato costretto a restarci per un’altra snervante ora.

Stava per chiedere una pausa per prendere aria, quando il ragazzino serioso del gatto aveva annunciato di aver intercettato una chiamata.

“Silenzio”, aveva detto, mentre si trasformava in un perfetto centralinista della ditta trasporti Le Chevalier, una società apparentemente in stretto contatto con l’organizzazione criminale. Lo SHIELD aveva accertato che la ditta di trasporti forniva (da anni ormai) all’organizzazione supporto e prestazioni “particolari” in cambio di lavori pagati, ovviamente, in nero. Insomma, Le Chevalier dava una copertura sicura alle operazioni illecite.

Una mezz’ora dopo Clint, Natasha e una serie di agenti, erano diventati efficientissimi operai di traslochi.

“Nessuna domanda, nessun sguardo, nessuna provocazione. Si aspettano di avere a che fare con gente fidata. Arriviamo con il camion, carichiamo la roba e poi… seguiamo il piano.”

Il coordinatore era un uomo sulla cinquantina. Clint lo conosceva a malapena con il nome di Charles Grady, ma non aveva obiettato. Preferiva lavorare da solo, ma si rendeva conto di quanto fosse necessaria una squadra per portare a termine quella particolare operazione.

Sventare un sequestro di persona.

Era quello il rapimento a cui aveva solo accennato la Hill.

Dottor Hopper: ingegnere, sviluppatore di tecnologie nel campo bellico e illustre scienziato dato fra i partecipanti al convegno di San Paolo. Affiliato alla CIA, ma tenuto d'occhio dallo SHIELD per motivi altrettanto validi.

Uno dei pochi ad essersi salvati dalla deflagrazione messa in atto dalla Vedova Nera, come diversivo.

Clint aveva scoperto solo successivamente che si sospettava di Barney. Doveva essere riuscito a raggiungere l’uomo e a portarlo in salvo e, con una scusa, consegnarlo dritto nelle mani dei suoi aguzzini. Svanendo poi nel nulla.

 

Affiancò Natasha quando il camion dei trasporti fu giunto a destinazione.

Il resto del gruppo, in tutto cinque individui, loro compresi, stava caricando un certo numero di casse dalla provenienza sconosciuta sotto la supervisione di un paio di individui dall’aria tutt’altro che raccomandabile.

Parlavano una lingua incomprensibile, qualcosa dell’est Europa. Natasha gli rivelò che si trattava di ungherese. Quando tutto fu concluso, lo stesso Grady, pronto al congedo, aveva dato il via alla silenziosa manovra.

Mentre uno degli uomini di Grady oscurava le telecamere con il supporto di un dispositivo di ultima generazione, Clint e un’altra agente stendevano i due ungheresi con un paio di siringhe soporifere.

Infiltrazione conclusa con successo.

“Fase due”, aveva decretato Grady. La mappa della base operativa memorizzata, si divisero in due gruppi.

Clint aveva espressamente chiesto ed ottenuto il permesso di occuparsi della zona dei laboratori e Natasha non aveva potuto far altro che seguirlo.

Si trovò a considerare che, dopotutto, quella sarebbe stata la prima vera missione sul campo insieme. Se non si consideravano le altre piccole imprese di misera portata, nei mesi appena trascorsi.

“Magari avresti preferito iniziare dai piani alti con Grady…” le aveva chiesto, mentre sbloccava la porta principale dello stabile.

“Un gruppo vale l'altro”, gli aveva risposto freddamente, sul rumore della serratura che scattava. E poi, quando Clint era ormai convinto che non avrebbe scoperto mai cosa stesse realmente pensando a riguardo, aggiunse: “Se non posso lavorare da sola… preferisco la compagnia di qualcuno di cui posso mediamente fidarmi.”

Clint aveva inarcato un sopracciglio.

Mediamente, mh?”

“Ci sono variabili che ancora non sono riuscita a valutare.”

“Sono ancora in fase di valutazione?” le chiese, prendendo a seguirla lungo il decadente corridoio del casermone. I numerosi tubi che percorrevano, in una fitta rete, il soffitto, ricordarono a Clint l’astronave di Alien.

Natasha non gli rispose, al contrario gli fece cenno di restare in silenzio.

Si appiattirono entrambi contro la parete, prima di un’improvvisa svolta. Un rumore ovattato di passi in allontanamento… e ritorno.

Una ronda.

Clint lanciò uno sguardo alla ragazza, che ricambiò con un silenzioso cenno del capo.

Raccolse la valigetta, saldamente ancorata alla sua schiena e ne estrasse un arco, tutto ripiegato su se stesso.

Natasha gli scoccò uno sguardo perplesso: “Utile.”

“Aspetta…” l’aveva anticipata, facendo scattare, con un colpo secco del braccio, il meccanismo che dispiegò l’arco in tutto il suo rifulgente splendore.

“Impressionante, lo fate anche con i bazooka?”

“Tecnologia d’ultima generazione.”

“Devono tenerti parecchio in considerazione, allo SHIELD.”

“Veramente no… ma se uno insiste un po’…” E nel dirlo lanciò una monetina da cinque centesimi che aveva in tasca dall’altra parte del corridoio.

I passi si fermarono all’istante. Ripresero dopo un breve lasso di tempo, accompagnati da un'intimazione a rivelare la propria presenza. L’uomo era solo e si stava dirigendo nella direzione in cui era finita la moneta ingannatrice.

Un’arma a ripetizione che veniva caricata.

Natasha contò mentalmente fino al tre, dopo aver valutato le variabili, prima di uscire allo scoperto, mentre Clint, con una freccia, aveva centrato e oscurato la telecamera del corridoio.

Non fece in tempo a tornare a prestare attenzione alla ragazza, che questa si stava rimettendo in piedi e osservava la sua prima vittima, stesa al suolo, ancora nell’atto di imbracciare il fucile.

Con lo stivale lo teneva ancorato schiacciato a terra.

Clint alzò le braccia in preda alla rassegnazione.

“Avresti almeno potuto lasciarmi partecipare”, sventolò l’arco come a reclamare le sue qualità stroncate sul nascere.

“Avrai di che divertirti, dopo”, gli rispose lei, sfilando alla guardia il badge di riconoscimento e passe-partout. (Se non altro avrebbe facilitato loro il compito.)

Dall’altra parte, invece, Natasha non si era accorta di aver appena fatto scattare la competizione.

Proseguirono per altri cento metri in quel dedalo di corridoi, senza eccessivi intoppi.

Finché non arrivarono a quello che, secondo le loro informazioni sulla struttura, era la porta d’accesso ai laboratori.

Era lì che avrebbero dovuto trovare il Dottor Hopper. O almeno era quello che si auguravano.

Stavolta non sarebbe stato così semplice.

Almeno una decina le persone che andavano e venivano senza fermarsi. Solo l’anticamera del formicaio che avrebbero trovato all’interno.

Non c’era modo di capirlo, però, da quella postazione.

“Dobbiamo aspettare il segnale di Grady e i suoi”, aveva suggerito Clint, ammonitore, non cieco di fronte alla smania di agire che aveva colto nella collega, purtroppo non così dissimile dalla propria. Ma avrebbe dovuto comportarsi da supervisore degno, dimostrarle maturità e contegno, insegnarle lo spirito di collaborazione necessario in un team.

“Potrebbe volerci troppo tempo”, gli aveva risposto lei.

“Hai ragione”, aveva concordato lui prontamente. I buoni propositi che andavano a finire giù per il tubo di scappamento dello SHIELD con un sonoro: frusssssh.

Senza valutare le immediate conseguenze, incoccò una freccia e la puntò sul sistema idrante dell'area, sistemato proprio lì, sopra le loro teste, come se li stesse istigando alla disobbedienza.

Attese solo un cenno d’assenso. Natasha approvò l’operazione.

L’istante successivo, l’intero corridoio fu invaso dall’acqua, scatenando l’attenzione del personale. Un gregge di guardie o partecipanti al party armato erano usciti correndo dai laboratori.

Clint aveva afferrato Natasha e, raggomitolati dietro una colonna avevano atteso che lo sciame si esaurisse in tempi decenti. I pochi sfortunati che avevano avuto l’ardire di svoltare nella loro direzione avevano dovuto scontrarsi con un paio di spie in vena di conti matematici.

“Due!” esclamò Clint, rivendicando i suoi successi.

“Tre”, replicò Natasha con aria annoiata.

Clint stronfiò qualcosa, non del tutto sicuro che il piccoletto senza capelli, steso al suolo accanto ai suoi bestioni, contasse davvero.

“Andiamo”, l’aveva trascinato fuori lei stavolta, armi alla mano e si erano fatti strada per i corridoi semideserti.

Non avrebbero avuto più molto tempo.

Arrivarono nello stanzone che le macchine erano ancora in funzione. Solo un paio di stoiche guardie a monitorare ancora la zona.

“Ehi!” avevano gridato i due, prima di imbracciare le armi e far fuoco. Clint e Natasha si separarono. Ognuno per la propria strada.

I dieci minuti successivi furono tanto rapidi quanto confusionari. Alle due guardie, presumibilmente allertate dalle stesse, se ne erano aggiunte almeno un’altra decina. Per ognuna di esse, un trattamento specifico. I più fantasiosi spettavano a Natasha che, nel corpo a corpo se la cavava con egregia agilità.

Quando tutto fu finito, e Clint contò di averne fatte fuori almeno cinque, se la ritrovò di fianco, i capelli appena fuori posto.

“Stanza numero 3. Blocco F.” Clint le scoccò uno sguardo interrogativo. “Ho chiesto per piacere.” Specificò stringendosi nelle spalle con noncuranza, anche se l’uomo avrebbe detto di aver visto sorgere un sorriso su quelle labbra. “E comunque… sette.”

“Cazzo.”

L’intera operazione doveva aver allarmato in modo compromettente il gruppo di Grady, perché Clint aveva appena ricevuto una serie di improperi ai danni dei suoi timpani.

“Che ti ha detto?” gli chiese Natasha, notando il suo sconcerto.

“Una roba che suonava tipo: gasdfie motherf- wffevh.”

“Conciso.”

“Molto.”

Proseguirono per un paio di metri quando finalmente, la stanza numero 3 si palesò di fronte a loro.

“Ci siamo.”

Natasha provò con il passe-partout che funzionò con una facilità preoccupante.

Nessuno dei due sembrò persuaso della semplicità.

La porta cigolò sui cardini prima di aprirsi e rivelare uno stanzino tutt’altro che accogliente.

Sullo sfondo un lettino. E sul lettino…

“Barney?” esalò Clint, non meno sorpreso dell’uomo che lo stava fissando dall’altra parte di quell’oscuro sgabuzzino.

“Tuo… fratello?”

L’uomo sembrava in condizioni tutt’altro che attraenti. I vestiti logori e puzzolenti, smagrito, i capelli incrostati di sangue, così come il viso, pesto e quasi irriconoscibile. Ai polsi un paio di manette.

Solo gli occhi, a rivelare in rapida sequenza: lo stupore, l’improvvisa paura e infine l’urgenza.

“Che cazzo ci fai qui? Devi andartene!” Barney si era alzato in piedi. Barcollava, ma niente sembrava frenarlo dall’avanzare nella loro direzione.

“Siamo venuti a cercare… il dottor Hopper. Piuttosto tu che cazzo ci fai qui?”

“Lo sapevo! Lo SHIELD doveva venire a rompere i coglioni anche questa volta.”

“Ohi, attento a come parli! Siamo qui in missione per…”

Un improvviso cedimento di Barney aveva frenato Clint dal proseguire la diatriba.

“Merda…” aveva tentato di abbandonare la sua postazione per raggiungere l’uomo a terra, ma Natasha lo aveva afferrato per un braccio, trattenendolo. Un gesto rapido, deciso, ma piuttosto significativo. Gli stava impedendo di fare una stronzata. Di esporsi con un sospetto. Clint dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non divincolarsi e ignorare quella stupida professionalità.

Ricordò le parole di Coulson, la fiducia dell’organizzazione. I suoi propositi di dimostrarsi degno, di essere maturato come agente e come uomo... finché non riuscì a sciogliere i muscoli, a rilassarsi. Natasha lo lasciò andare.

Entrambi gli stavano puntando contro un’arma.

“Dov’è il dottor Hopper?” gli domandò con una calma che non possedeva affatto.

“Non lo so.”

Clint caricò la pistola.

“Davvero, non lo so!” ribadì Barney con aria che tutto suggeriva fuorché un suo reale coinvolgimento.

“Che cosa ci fai qui?”

“Sono…”

“Non abbiamo tempo di parlare, Barton.” Era la voce di Natasha. A quale dei due Barton si rivolgesse, non era dato saperlo.

Clint si guardò alle spalle, i rumori dall’altra parte del blocco non era rassicuranti.

“Ci saranno addosso in meno di cinque minuti.”

Clint rinfoderò l’arma e avvicinò di nuovo il fratello. Stavolta Natasha non lo frenò.

Afferrò Barney per il bavero della giacca e lo tirò su con sconcertante facilità (quanto era dimagrito?). Scambiò con lui solo un lungo, silenzioso sguardo, prima di sospingerlo fuori da quello scomodo gabbiotto.

“Andiamocene da qui.”

Natasha aveva annuito e aperto loro la strada.

 

Stavano attraversano il dedalo di corridoi che li avrebbero ricondotti dagli altri, quando la voce di Grady emerse dall’auricolare di Clint: “Fuori in dieci minuti, Barton”.

Dieci minuti significava abbandonare la missione.

“Non abbiamo ancora trovato Hopper.”

“Non importa… è arrivata la CIA.”

“La cosa?”

“Ve l’ho detto, fuori da lì. Rapidi.” E aveva chiuso la conversazione.

Clint imprecò qualcosa, Barney procedeva affaticato al suo fianco. Ci sarebbe stato tempo e modo di avere delle risposte. La cosa problematica sarebbe stata riuscire a ricomporre un puzzle troppo complicato.

Natasha aveva intuito la sua confusione e frustrazione: non aveva esitato un solo istante a prendere in mano le redini dell’intera operazione.

Stavano raggiungendo l’area sicura, fuori dal disastro di tute gialle e militari dal grilletto facile, quando si trovarono nello stesso garage sgombro del loro esodo verso i laboratori.

Un gruppo di grossi energumeni armati fino ai denti, stava scortando due uomini: un insignificante ometto dall’aria spaurita… e Duquesne.

Clint avrebbe saputo riconoscerlo fra mille. La postura, la camminata dinoccolata, il modo in cui muoveva nervoso il collo a destra e a sinistra, quel suo naso aquilino. Aveva passato con lui troppi anni per poterlo dimenticare.

Barney sembrò notare la stessa cosa.

“Clint…” esalò. In quelle parole non seppe individuare niente che non fosse un ammonimento.

Natasha si fermò a valutare la situazione, già conscia di quello che sarebbe successo di lì a poco.

“DUQUESNE!” gridò Clint, incauto, rumoroso. Le guardie armate scattarono come una molla. Una scarica di piombo si riversò loro addosso ancora prima che avessero il tempo di fare mente locale.

Clint ne stese un paio con dei rapidi dardi, Natasha aveva spinto via Barney e aveva preso a sparare, sperando almeno di sedare in parte quella guerriglia improvvisata.

La macchina nera dai vetri antiproiettile, ingoiati Duquesne e il piccoletto, prese a correre verso l’uscita.

“Non te ne vai da nessuna parte, bastardo!” gridò Clint ora in preda a una furia cieca. Si scaraventò sulle due guardie rimaste e in un’unica scoccata le aveva uccise senza alcun riguardo. L’istante successivo si trovò a correre verso la macchina e a prendere la mira per bucare quelle gomme maledette.

Riuscì a far centro a giudicare da come la macchina sbandò un paio di volte, prima di immettersi in strada e schiantarsi, letteralmente, sul muro dell’edificio di fronte.

Clint represse un moto d’esultanza, ma proprio mentre il gruppo di Grady faceva irruzione nel locale e rincorreva il mezzo ormai fuori uso per recuperare la marmaglia, la voce di Natasha, alle sue spalle, ebbe il potere di distruggere quel momento di incauta gloria.

“Barton”, il tono urgente, grave.

Clint si volse appena, arco ancora alla mano, i fumi del trionfo ancora lì, ad aleggiare sopra le loro teste, mentre al suolo, oltre i corpi delle guardie di Duquesne… giaceva Barney… in una pozza di sangue fresco.

Il respirò gli si bloccò in gola, in un rantolo che non emerse mai del tutto.

Natasha dovette spostarsi rapidamente per impedire a Clint di investirla, mentre accorreva al fianco del fratello.

Lo raccolse da terra: si piegò, inanimato come una bambola di pezza. Il viso pallido, le labbra piegate in una smorfia rigida, grottesca. Non gli ci volle molto per capire che era stato colpito da un paio di proiettili vaganti. Troppo debole per riuscire a proteggersi o a schivarle.

Cercò di scuoterlo, mentre il mondo attorno a lui diventava inconsistente, ovattato, fumoso. “Barney… Barney…” una supplica, una preghiera.

L’eco della sua stessa voce gli sembrò vibrare per sempre, in quell’attimo sospeso nel tempo.

 

___

 

N.d.A: Niente o poco da dire sul capitolo, a parte che mi ha dato non poche grane dalla prima, iniziale stesura. Un passaggio obbligato per riuscire a proseguire con la storia.

Insomma... grazie a tutti quanti continuino a seguirla e trovano il tempo e la voglia di dirmi che ne pensano. E a Sere, as usual.

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