PT. II
Due
anni dopo…
Dicono
che ci siano cinque fasi del dolore.
Rifiuto, in cui, a
causa dello shock, non compendiamo davvero cosa sia successo. Non
capiamo e
siamo smarriti, sopraffatti. Crediamo sia solo una farsa,
un’illusione,
qualcosa che mai potrebbe succedere.
E
invece accade, improvviso, tanto che non ci sentiamo
pronti, e mai lo saremo.
Per
questo arriva la rabbia,
impetuosa come una tempesta ci travolge. Non capiamo, non riusciamo a
decifrare
il perché e dentro s’innalza una bestia feroce,
che si scaraventa su di noi e
su chi ci sta attorno. Ci tiene assieme, impedisce al nostro corpo di
disgregarsi, ma dura poco.
E
poi iniziamo a pregare e contrattare: il patteggiamento
per avere ancora tempo
assieme, per tornare indietro, per dire cose o ritirarne altre. Per
modificare
il rapporto, i ricordi, per cancellare o cambiare: diamo la vita,
l’anima,
qualsiasi cosa ci appartenga. Offriamo qualsiasi cosa, dinanzi ad una
illusione.
La
depressione ci
accoglie fredda, un involucro simile ad una coperta intrisa di lacrime.
Non dà
sollievo, anzi, ci fa piangere sino alla disidratazione: ci fa guardare
in
punti indefiniti, ci fa litigare con chi amiamo, rifiutando di
proseguire e
vivere, anche se dovremmo. La depressione tinge tutto di grigio, di
nero e i
colori non esistono, così come i sorrisi e le cose belle.
La
depressione
porta via ciò che abbiamo, spegne il fuoco della rabbia, il
patteggiamento e il
rifiuto.
Ecco,
come una luce, l’accettazione.
Odiata e amata, mette fine a tutto e ci dice di continuare, alzare il
capo e
tornare a vivere: lasciamo la coperta gelida della depressione, le
grida di
rabbia, lo shock della perdita e la possibilità di riavere
ciò che non possiamo
ottenere con le preghiere.
Dolore.
In
realtà, è una bugia. Scinderlo è un
modo per farcelo
accettare a piccole dosi, per far sì che il nostro corpo non
si distrugga: lo
assorbiamo meglio, così, e non ci riduciamo
all’ombra di noi stessi. A dire il
vero, quando qualcuno muore, ci sentiamo persi, e tutto si fa offuscato
e
ovattato. Non esiste altro pensiero.
Le cinque fasi del
dolore? E’ solo una bugia.
La
verità è che, quando qualcuno muore, una parte di
noi
muore con lui.
Alec
era fermo alla depressione da due anni, oramai: aveva
perso i genitori, alcuni amici. Aveva rischiato di veder sparire
Isabelle e
Jace. Ma, soprattutto, aveva assistito alla scomparsa di Magnus. Doveva
salvarlo, ma non c’era riuscito: aveva conficcato le unghie
nel terreno,
lottando, liberandosi dalla presa del demone, con la mente ferma e
indirizzata
verso l’unica azione che voleva compiere.
E,
invece, non ce l’aveva fatta.
Camminava
sotto la pioggia, le mani ficcate nella giacca
nera, la sciarpa azzurra che apparteneva a lui
arrotolata attorno al collo: i capelli ricadevano flosci e
zuppi d’acqua
davanti agli occhi, le luci dei lampioni appena accesi facevano
risaltare le
occhiaie violacee e la pelle bianca. Era dimagrito, in due anni aveva
litigato
con tutti per quel fatto: l’avevano obbligato a mangiare per
mantenersi in
forze, contro la sua volontà. Quando lui, semplicemente,
voleva restare
com’era.
Aveva
cercato Magnus per lungo tempo. Tra le macerie,
cacciando demoni, scivolando in ogni angolo della città per
scovarlo: per i
suoi genitori e i suoi amici era finita, ma sentiva che non lo era per
lo
Stregone.
Clary,
Jace e Isabelle l’aveva aiutato a convincersi del
contrario per lungo tempo, e lui li aveva lasciati credere che si era
rassegnato alla sua scomparsa, quando in realtà non era
così.
Ora,
però, erano passati due anni. Lunghi, lunghissimi, come
se la clessidra che governa il tempo avesse deciso di rallentare per
prolungare
il suo dolore.
Osservò
i mondani che volteggiavano attorno a lui: una
coppia scappava al riparo ridendo, una donna correva rapida sui tacchi
a spillo
trattenendo un ombrello tra le dita. Un anziano si fiondava in un taxi
per
tornare a casa, al caldo. Per Alec non c’era più
nulla del genere ad
aspettarlo.
Il
calore che i suoi fratelli, che l’Istituto e Idris
volevano donargli, non era lo stesso che lui cercava: aveva fame,
bramava quel tepore
oramai divenuto illusione.
I
suoi passi, miscelati e oppressi dal rumore della città,
erano una cacofonia assordante, che la pioggia cercava di cancellare:
con gli
occhi fissi sulla strada sotto di se, il ragazzo proseguiva. Vagava,
come uno
spirito, privo di luce da raggiungere.
Plic, plic, plic.
Qualcosa
becchettava sopra la sua testa, e la pioggia gelida
era cessata. Eppure, quando alzò lo sguardo, si rese conto
che, intorno a lui,
continuava: stranamente, Alec era
l’unico ad essere stato, in parte, risparmiato
dall’acquazzone violento. Un
ombrello arancione, sopra di lui, lo fece voltare: a sostenere
l’oggetto, un
uomo dai capelli neri e lo sguardo da gatto. Un sorriso debole dipinto
sulle
labbra, le sopracciglia alzate come se avesse appena colto in fragrante
Alec.
-Dovesti evitare di
stare sotto la pioggia. Ti beccherai una polmonite.-
Poche.
Semplici.
Parole.
Dopo
due anni, Alec si chiese se non stesse sognando. Se non
fosse uno scherzo dato dalla pioggia, dalla depressione, da qualsiasi
tipo
di….non lo sapeva.
Oppure
sì.
Il
profumo di sandalo non venne soffocato dalla pioggia,
così come le gocce non smisero di cadere
sull’ombrello che lo proteggeva
dall’intemperia: a sostenerlo, sì, era lui, non
c’era alcun dubbio. E, se anche
stesse sognando, non gl’importava. Sarebbe stato un bel sogno
a cui aggrapparsi
per poi lasciarsi andare.
Magnus
si fece più vicino, ad una spanna da Alec: aveva in
dosso una sciarpa multicolore, tinte che andavano
dall’arancio al rosso, al
viola, e un cappotto lungo e nero, con dettagli rossi. Si rese conto
che poteva
fissarlo negli occhi senza alzarli neanche di un millimetro: di solito
era
Magnus ad arrivare più in alto di lui. Strano, forse si era
alzato.
Strano, forse stava
davvero immaginando tutto.
Le
dita calde dell’uomo si posarono sulla guancia del
ragazzo, ancora umida e fredda, la pelle bianca quasi scottata da quel
semplice
contatto: l’uomo fece passare le dita tra le ciocce,
disegnando il profilo di
una cicatrice che solcava l’epidermide in corrispondenza
dello zigomo.
-Cosa ti è successo,
Alexander?-
Alexander.
Aveva
sentito così tante volte e per così tanto tempo
il suo
soprannome, da dimenticarsi come si chiamava davvero: sulla lingua di
Magnus,
quella parola aveva un significato tutto suo, esente da ogni altro.
Alec stranò
gli occhi, come se si fosse ricordato solo ora di quel dettaglio.
-Un demone….quella
volta, due anni fa…-
Mentre ti cercavo,
mentre cercavo di raggiungerti, mentre….
Scrutò
Magnus, godendosi quel tocco come se fosse un premio
per i suoi sforzi e il tanto cercare: lo Stregone pareva lo stesso di
sempre,
la mandibola pronunciata, il volto gentile, gli occhi…
Gli occhi.
All’inizio
non ci aveva fatto caso, ma ora notava una lieve
differenza. La presenza della sclera bianca e di una pupilla tonda: la
tonalità
dell’iride un miscuglio di verde e oro, come una pietra viva
e calda.
Il
Nephilim alzò la mano e la posò, lentamente,
sulla
guancia dello Stregone, sfiorando gli occhi a mandorla: il sorriso non
scomparve dal volto dell’uomo, ma si fece leggermente
più triste, come per
rilevare qualcosa di evidente.
-I tuoi occhi….-
-Piccoli sacrifici per
levarsi dai piedi il terzo incomodo ….non ti piacciono?-
Ricordò
chi era, ciò a cui riferiva Magnus. L’immortalità.
Gli era sembrata una cosa
così idiota quando ci aveva ripensato, nel suo letto,
avvolto nelle lenzuola,
dopo quella battaglia: se avesse potuto tornare indietro, si sarebbe
rimangiato
ogni parola, usando quel tempo per baciare Magnus e stargli accanto.
Abbracciandolo, sorridendo con lui, ridendo, parlandogli e chiedendogli
scusa:
per lui il passato dell’uomo era una cosa fondamentale, sino
a quando non aveva
rischiato di perderlo. In quel momento, quando la consapevolezza di
averlo
visto per l’ultima volta durante lo scontro, si era fatta
largo in lui, comprese
quanto fossero frivoli quei dettagli.
Rimase
a fissarlo, non si mosse: gli occhi blu si erano come
rianimati, nell’azzurro sguazzava qualcosa di più
dell’amore e della
gratitudine. C’era un dettaglio che nessuno avrebbe potuto
notare, tranne
Magnus.
Staccò
la mano dalla guancia di Alec, cercando invece le
dita piene di cicatrici argentate: il giovane strinse la presa di
rimando.
Avorio e caramello
bruciato.
Freddo e caldo.
Umido e asciutto.
Si
completavano, si poteva notare anche da quella semplice
presa.
-In ogni caso.-
iniziò Magnus, come per tralasciare qualsiasi altra domanda.
-Ci sono sacrifici in vista anche per te:
il Presidente Miao esige grattini extra non appena rientrerai a casa, e
attenzioni quando ti chiederà di giocare con il topolino
meccanico. Inoltre,
per quanto riguarda il sottoscritto….-
Un
bacio.
Dio, quanto gli era
mancato farlo.
Sospirato,
atteso, umido: le labbra su quelle di Magnus, la
mano libera tra i suoi capelli neri. Gli occhi che non smettevano di
specchiarsi nei suoi.
Un
bacio che si schiuse, ricambiato dallo Stregone oramai
mortale: le labbra assaggiarono quella droga che andavano cercando da
anni,
ricordando com’era bella la normalità, quel
semplice contatto. Una sensazione
famigliare che volevano, un tepore che scioglieva il gelo che aveva
circondato
entrambi.
Un
bacio fatto di lingua e schiocchi di denti.
Un
bacio che voleva dire tante cose.
Scusa.
Ti amo.
Perdonami.
Ti odio, perché non
sei tornato prima?
Ti amo.
Non lasciarmi.
Non lasciarmi.
Ti amo.
Mi sei mancato.
Senza di te, io…..
Non
serviva a niente parlarne, perché furono i tocchi a dire
tutto, attraverso la pelle: come una conversazione muta, un alfabeto
appartenente solo a loro. Nessuno poteva ascoltarli.
Finalmente,
Alec, lo sentì: i colori erano tornati a
splendere, il mondo non era più così buio. Si
sentiva completo, in forze, vivo.
Poteva ricostruire ogni cosa con
Magnus, poteva rimediare, tornare ad amarlo: a lui era stata data
questa
possibilità. Lui poteva ricominciare.
Ma
non da solo.
-Torniamo a casa,
Alexander?- domandò, staccandosi da lui a
malincuore.
-Sì, Magnus.-
disse il ragazzo, sorridendo, con le lacrime agli occhi. -
Torniamo a casa, insieme.-
Lo Stregatto parla.
Per
prima cosa, grazie a chi mi ha seguito dallo scorso
capitolo. E grazie per le recensioni. La seconda parte l’ho
modificata un po’:
all’inizio, pensate, doveva esserci anche il Presidente Miao.
Ma poi sarebbe
finito schiacciato tra i due e mi sarebbe dispiaciuto. *ride* Beh,
aggiungo
ancora una cosina e poi vi lascio: mi piacerebbe proporre un piccolo
extra dopo
questo capitolo, anche se ho detto che ce ne sarebbero stati solo due.
A voi
piacerebbe?
Fatemelo
sapere con un commento, una recensione fa sempre
piacere per migliorarsi.
Ps. Grazie ancora a Ombro-chan
per i codici, cosa farei
senza di lei?