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Autore: Brooke Davis24    16/05/2014    3 recensioni
Emma Swan e Killian Jones. I ruoli sono invertiti, gli animi diversi. Emma è il capitano della nave pirata più temuta che abbia mai toccato le coste di Thrain, la città in cui Killian è tenente al servizio della Corona, ed Emma ha una missione da compiere, una missione che si porrà in netto contrasto con quella di Killian. E se fosse difficile essere nemici ma non potessero essere altro? E se i sentieri di Emma Swan e Killian Jones si fossero incontrati nella vita sbagliata? E se, invece, non ci fossero tempo, luogo, motivo più esatto?
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II
Capitan Swan


La vita di un pirata non è semplice, a dispetto delle credenze popolari. E’ un’esistenza confusa, ibrida, a metà tra la privazione e l’assenza di freni, tra gli ideali e la desolazione di non averne alcuno. Da che mondo e mondo, la tendenza a disumanizzare la figura del pirata è così diffusa che, quando se ne incontra uno, si fatica a realizzare che l’uomo che si ha di fronte è fatto della stessa carne, dello stesso sangue e della stessa capacità di provare sentimenti, siano essi buoni o malevoli, di qualunque altro essere umano. Si ha del pirata l’idea di un essere abietto, avvezzo ai piaceri della vita ed inconsapevole di qualunque forma di dedizione ad una causa, o all’onore, o al rispetto di regole e dettami che la società ha consolidato e imposto a se stessa nel corso del tempo. Ma la verità è che si tratta di prospettive, di angolazioni e di capacità di adattare la propria vista a qualcosa che non si conosce col proposito di osservarla in modo obiettivo.

Emma Swan era l’emblema dell’ibridismo della pirateria. Era una donna e una donna non avrebbe mai dovuto salire su una nave pirata, né per una traversata, men che meno per capitanarla; e questo implicava che non solo che fosse stata infranta una delle basilari regole del codice della pirateria -  un codice di cui nessuno conosceva l’esistenza e che nessuno si aspettava venisse rispettato - ma anche che tutto ciò che gli altri credevano fosse vero lo era eccome: i pirati erano incapaci di rispettare perfino una semplice, basilare regola. Al contempo, però, Emma rappresentava il cambiamento, la nota stonata che nessuno avrebbe mai dovuto suonare ma il cui suono sgomentava ed affascinava senza possibilità di ignorarla. Emma era quello di cui la pirateria – e non solo – aveva bisogno da tempo, era la possibilità di cambiare, di dimostrare, di stupire.

Aggirandosi per le vie sterrate di Thrain, il sole alto nel cielo a troneggiare sulle centinaia di teste che si sfioravano per le bancarelle del mercato, Emma si guardò intorno e comprese, per la prima volta dopo mesi di ininterrotta navigazione, quali e quanti fossero i pregi della vita sulla terraferma, quali e quante le opportunità che il mare, benché lo amasse, non avrebbe mai potuto offrirle. E una parte di lei rimpianse quella lontana fase della sua vita nella quale il mare non era stato che un mistero e le sue gambe erano state ben lontane dalla possibilità di reggerne gli smottamenti, quella fase della sua vita durante la quale aveva vissuto in una piccola casa ai margini di una foresta e aveva desiderato vedere il mondo con lo stesso ardore di chi desidera la libertà, ma sa di non poterla avere. Al pari di un carcerato condannato a scontare una pena senza limiti di sorta, in quel periodo Emma aveva anelato a possibilità che la sua condizione economica non le avrebbero mai potuto concedere, possibilità che, ironia della sorte, erano divenute certezze quando, dopo una serie di sfortunatissimi eventi, si era trovata ad affondare la lama di un pugnale nel ventre del capitano della Nostos con la consapevolezza di essersi presa non soltanto la sua vita ma anche parte della sua identità.

Le voci dei rivenditori ambulanti, di uomini e donne in preda a contrattazioni ben si mescolavano alle risate dei bambini che scorrazzavano tra la folla, o agli accenti di chi, venuto da una terra lontana, presentava i propri prodotti ai possibili futuri acquirenti, o ai versi del bestiame la cui sorte sarebbe stata una triste alternativa tra il giogo dell’aratro e la fredda superficie di un piatto da portata. In tutto quel trambusto e nella diversità che accomunava ognuno dei presenti al mercato della città, eppure c’era un elemento di condivisione, qualcosa che li accomunava. Quel giorno, era atteso il proclama del sovrano che, dall’alto della balconata del palazzo più illustre della città, avrebbe annunciato l’inizio dei preparativi per la festa che si sarebbe tenuta quella stessa sera al suo castello, una festa che avrebbe coinvolto il paese e che avrebbe visto l’arrivo di mercanti, saltimbanchi, speziali ed artisti, dando un colore diverso alla routine di chi dell’attesa di questi eventi straordinari riempiva i propri giorni. Ovviamente, l’accesso al castello era riservato ad un numero di eletti che poco avevano a che vedere con le vie sterrate di Thrain, ma si doveva riconoscere al sovrano il merito di non aver escluso la popolazione dai festeggiamenti per il fidanzamento della figlia con il principe di una terra lontana. Nei limiti del possibile, assicurandosi che rimanessero nel posto che spettava loro, aveva voluto coinvolgerli e, probabilmente, tacitare il loro malcontento.

Stretta nel proprio mantello, il cappuccio issato a nascondere il proprio volto, Emma si accostò al muro di un angolo della piazza, lontana a sufficienza da evitare le guardie del sovrano che si aggiravano tra la folla nel tentativo di placare qualunque possibile sommossa, ma vicina abbastanza da godersi lo spettacolo. Un sorriso le curvò le labbra, mentre i suoi occhi scandagliavano la moltitudine di persone in attesa del fatidico evento, e non poté impedirsi di ridacchiare, quando le imposte si schiusero, rivelando la figura di un ometto mediocre, avvolto in una nuvola di tessuti e gioielli che avrebbero fatto sentire fuori luogo la maggior parte dei presenti. Era un individuo senza pretese, Emma lo sapeva bene, un uomo che, come spesso accadeva nei ranghi nobiliari, si era ritrovato a ricoprire un ruolo che poco gli si addiceva e per il quale non aveva le capacità. Era di temperamento fragile, di carattere poco deciso, avido e, malgrado il suo aspetto, vanitoso e pieno di sé. Se Emma avesse dovuto dipingere un soggetto meno adatto alla posizione di re, non sarebbe stata così brava da arrivare ad un simile scempio.

Trascorsero pochi minuti prima che la figlia raggiungesse il padre e altri minuti ancora prima che ella prendesse parola; e fu una sorpresa per Emma constatare quanto grande fosse l’entusiasmo della gente al cospetto dell’individuo che avrebbero dovuto disprezzare e contro il quale avrebbero dovuto rivoltarsi. Una parte di lei si adirò e li biasimò per una simile carenza di spina dorsale, ma un’altra parte di lei, più saggia e più consapevole, suggerì che non sempre era facile come appariva trovare il coraggio per ribellarsi ad una situazione dalla quale non si sa come uscire. Ed Emma, dal canto suo, lo sapeva bene, perché a suo tempo lo aveva provato sulla propria pelle.

«Un inutile sfoggio di superbia e stupidità, non trovate?» La voce di Diego la raggiunse da dietro, strappandole una risata e costringendola ad annuire. Lei stessa non avrebbe saputo utilizzare parole diverse per dare una definizione allo spettacolo che si parava dinanzi ai loro occhi.
«Hai fatto ciò che ti avevo chiesto?» domandò, la spalla poggiata contro il muro e gli occhi fissi sula figura del sovrano che, con un sorriso sulle labbra, si stava accomiatando dalla folla in un tripudio di applausi.
«Certamente.» rispose lui e la smorfia sulle labbra di Emma assunse una connotazione diversa, compiaciuta e smaniosa al contempo. «Siete sicura che questo sia il modo giusto?»

Quando si voltò verso di lui per osservarlo, Emma sorrise delle rughe che solcavano la fronte dell’uomo più sorprendente che avesse mai conosciuto. Sapeva che Diego non approvava il suo piano, che avrebbe preferito di gran lunga un intervento più pacato e che desse meno nell’occhio; quando gli aveva comunicato le sue intenzioni per quella notte, la giovane ricordava distintamente il modo in cui aveva inarcato le sopracciglia e, poggiando la schiena alla sedia, si era preso il tempo per ponderare la scelta del suo capitano nella speranza di addurre una motivazione che potesse spingerlo ad essere più cauto. Ma Emma era stanca di aspettare e il carattere intrepido che la natura le aveva donato, misto alla giovane età, la rendeva incurante degli ammonimenti che spesso Diego le rivolgeva.

«No, certo che no. Ma è il modo in cui desidero venga fatto.»
Diego sospirò e scosse il capo, rassegnato all’idea che avrebbero dovuto attenersi al piano originario, ed Emma lo vide frugare nelle tasche per un po’, finché non ebbe tirato fuori una busta su cui capeggiava in rosso il sigillo reale. La giovane allungò il braccio e lo prese tra le mani, pregustando sulla lingua il sapore della serata.

«Avete trovato un vestito adatto?» la domanda di Diego la costrinse a sollevare lo sguardo e non con poca sorpresa. Guardandosi, entrambi non poterono fare a meno di lasciarsi andare ad una sommessa risata, perché non si era mai visto un pirata della sua stazza preoccuparsi dell’abbigliamento di una donna che avesse voluto partecipare ad un ballo di gala. Le sopracciglia di Emma si mossero verso l’alto, ammiccando con fare provocatorio.
«Oh sì! Ho trovato esattamente ciò che fa al caso mio.»

Quando si fu allontanata dal muro e lo ebbe oltrepassato, imboccando una via che l’avrebbe condotta al molo e, conseguentemente, alla sua nave, i suoi occhi verdi si posarono su una bancarella a poca distanza da loro e istintivamente la raggiunse. La frutta in esposizione aveva un aspetto delizioso e, quando le sue mani si mossero a prendere un acino d’uva e lo portarono alle labbra, le palpebre chiuse nell’attesa di pregustare il frutto, fu con l’espressione del pirata capitano che accolse la lamentela del mercante.

«Hey! Devi pagare per mangiare, cosa credi?» La voce aspra dell’uomo toccò corde che mai avrebbero dovuto essere sfiorate e le fattezze del viso di Emma s’indurirono a tal punto che, nel momento in cui abbassò il cappuccio e l’uomo la riconobbe, non bastarono tutto il terrore ed il gelo che lesse in quegli occhi estranei per placare il suo disappunto. «Io, io… Scusatemi! Cr-credevo che foste…»

«Chi? Chi credevate che fossi?» domandò e, nel farlo, compì un passo in direzione dell’uomo, la presenza di Diego alle sue spalle un ottimo motivo perché il mercante temesse per la propria vita. Con un movimento calibrato, Emma portò l’acino d’uva alle labbra e, quando l’ebbe morso, si compiacque della qualità della mercanzia e una parte di lei comprese per quale ragione l’uomo ne fosse tanto geloso. Il succo del frutto, dolce come il più delizioso dei nettari, pervase la sua bocca e fu una fortuna che il sapore le fosse di tale gradimento, perché i suoi occhi si schiarirono e le sue spalle si rilassarono; Diego parve comprenderlo, perché la sua mano tozza, fino ad allora pronta a fermarla da qualunque gesto inconsulto la reazione del rivenditore avesse scatenato, tornò inerme contro il suo fianco.

«Vi chiedo umilmente scusa.» fece lui con un filino di voce, indietreggiando quel tanto che bastava a costringerlo contro la parete di pietra alle sue spalle. «Potete prendere tutto quello che volete.» la invitò, sulla bocca i contorni di un sorriso tremulo, isterico.
«Come fate a sapere chi sono?» chiese, premurandosi di riportare il cappuccio sul capo prima di attirare troppo l’attenzione.

«Ero sul molo, l’altro giorno, e ho sentito un uomo che vi chiamava capitano.» le disse, le mani strette in una morsa convulsa che si sarebbe allentata solo quando Emma avrebbe messo una discreta distanza tra sé e quella bancarella. «E vi ho vista salire sulla Nostos e tutti sanno quanto sia temibile il capitano della Nostos.» Non era un tentativo atto a lusingarla, non stava provando ad addolcirla ed Emma non poté dubitarne, perché l’altro non ebbe neppure il coraggio di guardarla per tutto il tempo in cui pronunciò quelle parole. «Solo non sapevo fosse una donna e ho chiesto in giro per avere conferma. E l’ho avuta.»

«Devo esservi rimasta parecchio impressa, suppongo.» La voce di Emma era calda a quel punto, non perché fosse particolarmente compiaciuta, non perché stesse assaporando il momento in cui lo avrebbe punito per i suoi modi, ma perché c’era qualcosa di perverso e lusinghiero al contempo nel fatto che un uomo con più del doppio dei suoi anni si rivolgesse a lei con una tale reverenza.
«Non è cosa da tutti i giorni sapere che il capitano della più temibile nave pirata degli ultimi tempi sia una donna e sia tanto giovane, capitano. Perdonatemi se la mia sorpresa vi offende.»
«Nient’affatto.» tagliò corto Emma e si fece più vicina, finché, a poco più di un passo di distanza dall’altro, l’uomo non fu costretto ad alzare il capo per osservarla. «Sarete al ballo, stasera?»

«S-Sissignora, sì.» balbettò lui e la giovane sorrise più ampiamente, negli occhi un’astuzia che non prometteva niente di buono. «Il re ha esteso l’invito ai mercanti che hanno fornito la sua cucina dei prodotti a lui più graditi.» la informò, quasi intendesse giustificarsi per la sua presenza ad un evento che doveva stomacarla come poche altre cose nella vita.
«Raggiungetemi alla Nostos, stasera, due ore prima che il ballo abbia inizio, e la vostra insolenza potrebbe essere perdonata.» I suoi occhi verdi furono fermi in quelli grigio-azzurro dell’omino e, quando si accostò a lui al punto tale che i lembi del suo cappuccio sfiorarono la pelle avvizzita del volto magro dell’altro, le promesse che gli fece furono più chiare di qualunque altra parola avesse pronunciato fino ad allora. «Mi auguro non ci siano ritardi.»

Quando si fu allontanata, dietro di lei il mantello mosso dal vento e il passo di Diego pesante ma sicuro, Emma seppe di aver ottenuto molto più di un grappolo d’uva quel giorno: aveva ottenuto un infiltrato, una persona della cui fedeltà si sarebbe potuta servire per portare avanti il suo piano ed ottenere tutto quello da cui dipendeva la sua vita, tutto quello per cui aveva combattuto, ucciso e rinnegato la parte più perbenista di sé, lasciando pieno diritto di reggenza al suo io più spregiudicato ed indomito. E la vittoria di quella sera avrebbe deliziato il suo palato della stessa dolcezza di quell’acino d’uva, rendendola un passo più vicina alla realizzazione dell’unico scopo che avesse mai avuto nella vita.

*

Non si sarebbe aspettata nulla di meno di ciò che i suoi occhi videro nel momento in cui ebbe oltrepassato il portone d’ingresso e poté appurare in prima persona che, no, il re non aveva badato a spese quella sera. Il castello era una festa di suoni, colori, voci e profumi, un garbuglio di elementi così incredibilmente ben scelti che avrebbe distolto dai problemi della vita quotidiana perfino il più cinico e disperato tra gli uomini, fosse anche per un solo istante. Non si trattava solamente di decorazioni e chincaglierie varie, di addobbi o di tendaggi. Erano le persone presenti a rendere l’ambiente ancora più fastoso di quanto gli oggetti non facessero.

Fasciata in un abito nero, decisamente più minimale di quelli delle altre donne presenti in sala, Emma attese che il suo nome venisse annunciato per fare il proprio ingresso e le sue labbra arrossate dal freddo e dal balsamo che aveva utilizzato per l’occasione si piegarono in un sorriso seducente, gli occhi verdi tela di un dipinto dai contorni sfuggenti e, al contempo, contraddittoriamente profondi, come fosse indispensabile osservarlo a lungo per comprenderne il senso, ma bisognasse fare attenzione a non perdervisi dentro. Nel momento in cui la sua figura alta e snella fece capolino nel salone gremito di invitati, benché avesse piena consapevolezza che attirare l’attenzione su di sé fosse tutto fuorché saggio, non poté compiacersi degli sguardi che inevitabilmente le vennero tributati.

Al di là del fatto che il suo abbigliamento fosse così diverso da qualunque altro esemplare di vestiario ivi presente e che non avrebbe potuto non suscitare la curiosità dei presenti, Emma era indubitabilmente una donna di incredibile bellezza ed il nero del tessuto che indossava ben si sposava con il chiarore della pelle e il dorato dei capelli, che scendevano sulle spalle a carezzarle la schiena in una danza che seguiva esattamente il ritmo dei suoi passi. Le spalle ritte e la testa alta, a mostrare una fierezza che, data la sua posizione, non avrebbe dovuto possedere, si mescolò alla folla e costeggiò il salone con la stessa cura di un cacciatore in cerca dell’angolo migliore da cui spiare la propria preda. Il sorriso sulle sua labbra si ampliò quando il suo sguardo si posò sulla figura del mercante incontrato quel mattino e il modo rilassato in cui l’altro le rispose le fu di conforto, benché non ne avesse bisogno.
Quando, quella sera, l’uomo l’aveva raggiunta alla nave come pattuito, Emma aveva trovato in lui molto più di quello che non trapelasse in superficie. Era un uomo brillante, pieno d’iniziativa, oculato e con un’ammirevole attenzione per i dettagli; e c’era qualcosa di devoto in lui, quasi il suo spirito fosse alla continua ricerca di qualcuno cui prestare le proprie attenzioni. Ma, ancora più di ciò, l’aveva meravigliata e compiaciuta  sapere che non avesse affetti cui rendere conto. Una parte di lei, forse, la più umana e solidale, avrebbe dovuto spiacersi per il destino di solitudine cui era stato avvezzo, ma non fu così. Un uomo di fine intelletto e senza alcun legame sentimentale era tutto ciò di cui  aveva bisogno.

Era con disposizione d’animo del tutto differente, perciò, che lo aveva coinvolto nel piano di quella sera, offrendogli un posto nella sua ciurma come simbolo di gratitudine e rammentandogli, al contempo, che qualunque tradimento sarebbe stato pagato con la vita, sia che si fosse unito al suo equipaggio, sia che avesse preferito rendersi complice di quel singolo evento. Per quanto poco assennato potesse apparire il modo precipitoso in cui lo aveva arruolato, in realtà, sia Emma che Diego avevano avuto modo di conoscere di più sul mercante la cui vita aveva improvvisamente assunto un peso notevole agli occhi del capitano della Nostos. I loro informatori lo avevano descritto come un uomo ligio al dovere, mai maldestro e incapace di finzione alcuna; i suoi contatti con la corona erano limitati a quelle sporadiche occasioni in cui aveva toccato il molo di Thrain e tanto bastava perché meritasse – se non ancora fiducia - almeno un’occasione. Ma a convincerla era stato il modo in cui i suoi occhi avevano mutato espressione dinanzi all’evenienza di essere parte di qualcosa, il modo incredulo in cui l’aveva guardata, quasi temesse di udire altre parole infrangere la proposta da cui era stato lusingato appena pochi istanti prima. E, quando Emma lo aveva incalzato perché le rispondesse, non erano state soltanto le sue labbra a fornirle l’assenso che aveva sperato ma l’intero suo essere.

Ammiccando in maniera velata in sua direzione, la giovane distolse lo sguardo per incrociare quello di una donna a qualche metro da lei. C’erano curiosità e malizia sul quel viso sconosciuto, mentre i suoi occhi correvano su Emma come a voler comprendere cosa celasse, chi fosse, quale fosse la sua storia, ed Emma inclinò il capo a mo’ di saluto, quando l’attenzione dell’altra si fu soffermata sul suo volto. Colta di sorpresa, la donna rispose brevemente e le diede le spalle, dirigendo i propri passi altrove. Qualcosa di sciocco e noioso doveva caratterizzare quel mondo, si disse il pirata, qualcosa di infinitamente pietoso che portava i suoi abitanti a non avere altra distrazione che apprendere dettagli sulle vite altrui; e avrebbe dovuto sentirsi allarmata o perfino oltraggiata per il modo in cui era stata oggetto di studio fino a qualche secondo prima, tuttavia non fu così.

«Voi!»

L’attenzione di Emma non poté che seguire il flusso della voce  che, a poca distanza da lei, pareva aver infranto la bolla di elucubrazioni entro la quale si era rintanata, e fu con un sorriso ed un’espressione fintamente sorpresi che accolse Killian Jones, mentre l’orchestra prendeva posto e cominciava a suonare le prime note di un valzer. Non aveva creduto o minimamente pensato di poterlo vedere, ma rispondeva esattamente alla logica della serata che un tenente fosse presente alla festa di fidanzamento dell’uomo al cui servizio combatteva.

«E’ sempre piacevole lasciare il segno.» fece lei, ammiccando nei suoi confronti. L’uomo la osservò, si guardò intorno e, infine, tornò a dedicarle la propria attenzione, compiendo stavolta un paio di passi avanti finché le distanze non si furono ridotte. Quando i suoi occhi blu si posarono in quelli verdi di Emma, la giovane vi poté osservare un carico di risolutezza che sperava di poter far crollare nel corso della serata, sebbene non contasse di rimanere a lungo. Le erano sempre piaciute le sfide.

«Cosa siete venuta a fare qui?» Il braccio di lui scattò fino ad afferrarle il polso, sulle labbra un sorriso appena accennato, compiaciuto come di chi ha colto la propria vittima con le spalle al muro. L’espressione di Emma riflesse la sua, ma assunse improvvisamente contorni frizzanti e qualcosa di diverso baluginò nelle sue iridi.

«Volete invitarmi a ballare..?» Una pausa seguì le sue parole e sorrise più ampiamente con espressione colpevole, quando fu chiaro ad entrambi che non ricordasse il nome del giovane tenente.

«Deduco di non aver lasciato nessun segno.» le rispose, i contorni del viso ancora rilassati, benché la stretta attorno al braccio di lei fosse solida e il suo sguardo vigile. Lei rise. «Killian Jones.»

«Jones. Già!» fece Emma e parve quasi assaporarne il nome. «Entro fine serata, lo lascerete di certo, se continuerete a stringere la presa in questo modo.» gli fece notare e, d’istinto, l’altro rimediò all’errore, riproducendo un mezzo inchino in segno di scusa, le dita adesso leggere contro la pelle serica della donna.

«Devo chiedervi di seguirmi.» La sua voce divenne improvvisamente cupa ed Emma comprese dovesse trattarsi dello stesso tono che era solito adoperare per costringere gli altri a seguire un suo ordine, lo stesso di cui doveva servirsi per mettere dietro le sbarre quello o quell’altro furfante, lo stesso del quale, nelle sue fin troppo rosee fantasie, contava di servirsi per consegnarla alla giustizia. Emma sospirò e scosse il capo, apparentemente esasperata; poi, compì un passo avanti e ridusse le distanze tra loro, incurante del fatto che la festa fosse iniziata da pochi momenti e che non avrebbe potuto attirare di più l’attenzione che dando l’apparenza di civettare allegramente con un uomo tanto affascinante e, per di più, in divisa.

«E io devo chiedervi di non costringermi a trattarvi da sciocco, spiegandovi che non sarei qui se non avessi ottenuto un invito, se il vostro sovrano non sapesse e, soprattutto, volesse la mia presenza alla festa di fidanzamento della figlia.» Le sue parole parvero trafiggerlo, insinuare nel suo animo il dubbio che non necessariamente si trattasse di un inganno.

Prima di raggiungerla, con l’intento di comprendere se si trattasse della stessa donna della quale aveva appreso l’identità pochi giorni addietro, Killian, da soldato qual era, si era preso la briga di osservarla per non commettere alcun errore. Era davvero difficile, tuttavia, pensare che non ne riconoscesse o, per quel che valeva, notasse la figura, stretta com’era in un abito che le fasciava il busto con un corsetto e scendeva morbido, senza fronzoli sulle sue curve, creando un velo di protezione che nulla aveva a che vedere con le abbondanti gonne delle nobildonne presenti nel salone. Era difficile da ammettere, ma Killian non era riuscito a mentirsi, quando aveva realizzato – E con lui più di un invitato, incapacitato a distogliere lo sguardo- che la più bella donna della serata fosse un pirata da quattro soldi e che, nella sobrietà di cui pareva avvolto il suo essere, mostrasse di gran lunga più classe di qualunque altra dama invitata ai festeggiamenti.

Sulla base di ciò, la sua figura era così in vista – Ed era evidente che la giovane non avesse fatto nulla per nascondersi o passare inosservata - che non avrebbe avuto alcun senso presenziare ad un simile evento senza avere l’assoluta certezza di poterselo permettere. Quale altra spiegazione possibile, si chiese Killian, poteva giustificare il modo in cui ella si era messa volutamente in mostra, in un luogo che pullulava di guardie, pronte a proteggere il sovrano, la sua famiglia e i loro tesori e invitati? Piano, la osservò sfilare il braccio dalla sua morsa e i suoi polpastrelli ne sfiorarono inavvertitamente l’epidermide, finché ella non si fu liberata. I suoi occhi non allentarono la presa su quelli di lei neppure per un istante e, quando lei fece per voltarsi ed andare via, la sua reazione fu più rapida del previsto, quando le strinse nuovamente il polso e la costrinse a voltarsi.

«Mi concedeste l’onore» E pose l’accento su quell’ultima parola, come a voler sottolineare il sarcasmo di cui era impregnata. «di questo ballo?» Le labbra di lei si schiusero, belle e morbide come ci si aspettava che fosse la bocca di una donna di simile beltà, e il suo sguardo vagò per la stanza alla ricerca di qualcosa, prima di soffermarsi su un punto oltre la spalla di Killian e, infine, tornare a lui. «Vi preoccupate di cosa potrebbe pensare la gente, se vi vedesse ballare con me?» Il suo tono fu sorpreso e divertito a un tempo, e riaccese lo spirito di lei che, per un istante, era parso eclissarsi.

«Mi accertavo che non ci fosse nessuno della mia gente. Potreste rovinarmi la reputazione, sapete?» Killian rise e, pur a malincuore, rise non solo per l’assurdità della frase di lei, ma perché quel pirata, qualunque fosse la sua storia e qualunque fossero i suoi propositi, ci sapeva fare. «Ebbene, vi concedo l'onore di portarmi sulla pista da ballo per tenermi sott'occhio. Ma la serata è appena iniziata! Avete intenzione di ballare fino a che l'orchestra non chiederà pietà?» Il modo in cui gli sorrise, così genuino e infantile sotto molti punti di vista, avrebbe toccato il cuore di qualunque uomo ne fosse stato destinatario. C'erano una innocenza ed una indubitabile furbizia nei suoi occhi, ed un'altrettanto ammirevole padronanza del sarcasmo. Quando Killian si chinò leggermente su di lei per risponderle, si chiese per l'ennesima volta se fosse davvero possibile che la donna di fronte a lui corrispondesse al capitano il cui nome incuteva timore e reverenza al solo pronunciarlo.

«Iniziamo con questo ballo, signora. Vedremo come si evolveranno le cose!» Ironico, strizzò l'occhio all'indirizzo dell'altra e la sue dita s'insinuarono lentamente tra quelle di lei finché non le ebbe strette. Emma gli sorrise, un sentimento assai diverso dall'innocenza ardente nei suoi occhi, e Killian comprese che, in qualche modo, non la stesse urtando ma compiacendo. C'era qualcosa nel modo in cui lo guardava che non aveva nemmeno vagamente i contorni del timore di essere scoperta o giustiziata, qualcosa di selvaggio ed indomito che ben rappresentava quello che ci si sarebbe aspettati dal temibile capitan pirata.

Attraversando la sala finché non ebbero raggiunto la porzione dedita alle danze, già ampiamente occupata da coppie di nobildonne e signori dalle età più disparate, Killian la condusse ai margini di essa, nel punto in cui gli altri invitati si erano radunati per osservare o nell’attesa di unirsi, e, quando si fu voltato per inchinarsi e porgerle la mano affinché la giovane la prendesse, seppe che improvvisamente buona parte dell'attenzione in sala fosse concentrata su di loro. Piano, le dita affusolate di Emma scivolarono contro il palmo della mano del tenente e l'altro l'avvicinò a sé finché i loro corpi non furono ad un soffio di distanza l'uno dall'altro. L'aria tra loro era elettrica ma non per via del desiderio: Emma lo stava sfidando con ogni fibra del proprio essere, perfino con la quiete con cui ne seguì la guida mentre attraversavano il salone a passo di danza; e Killian la stava sfidando a tentare di fuggire, a dargli il piacere di consegnarla alle autorità della cui approvazione ella pareva tanto sicura.

«Siete sorprendentemente brava, considerato il fatto che non dovete prendere parte a molti eventi.» le disse lui e i suoi occhi scivolarono sulle labbra cremisi della sua compagna, quando le vide inclinarsi verso l'alto fino ad aprirsi in un sorriso. Sentiva che ci fosse qualcosa di sbagliato nel fatto che non l’avesse immediatamente consegnata alle guardie, impressione acuita dal fatto che, per chissà quale incomprensibile ragione, non avesse ancora confidato ad anima viva l’identità del pirata più ricercato degli ultimi cinquant’anni.

«Da quando in qua è necessario un evento per poter ballare?» Le sue sopracciglia si inarcarono verso l'alto e, per l'ennesima volta, entrambi ebbero l'impressione che Emma gli stesse impartendo una lezione, che, nonostante fosse più giovane di lui di qualche anno, ella stesse facendo sfoggio di molta più saggezza di quanta non ne avesse dimostrata il suo cavaliere. Ella rise, quando Killian tardò a rispondere, e la sua bocca si schiuse ancora per rivolgergli una domanda. «Ditemi, tenente, cosa fareste se dovessi avere necessità di darmi una rinfrescata?»

«Perdonate la mia ignoranza, signora, ma la gente del vostro rango non è abituata a poche comodità? In tal caso, i giardini del re sono vasti e ben curati.» Le parole di lui avrebbero dovuto offenderla e Killian seppe di essersi dimostrato non soltanto scortese ma anche poco educato. Ma quale educazione e quale cortesia avrebbe potuto mostrare nei confronti della donna sulle cui mani era scorso il sangue di molti suoi compagni d'armi? Emma rise di una risata bassa e roca e scosse il capo, divertita.

«Di solito, avete ragione, è così. Ma siete sicuro di voler osservare una donna in simili circostanze? Potrebbe distruggere l'incanto che il vostro buon nome e la vostra così buona educazione,» E si fermò un istante, rendendo Killian consapevole del fatto che, sebbene non l'avesse offesa, la sua mancanza di maniere non fosse passata inosservata. «vi hanno creato da che siete un fanciullo. E non credo che neppure io potrei sopportare il rimorso di aver mutilato per sempre le vostre tenere, idilliche fantasie sul gentil sesso.»

Per un istante, dovettero allontanarsi e la conversazione non poté proseguire. Il tenente osservò il pirata stringere la mano di un altro uomo e danzare con lui qualche istante, mentre, a sua volta, faceva altrettanto con la nobildonna più vicina. Emma sorrise allo sconosciuto e rise alle parole che l’altro le rivolse, facendosi improvvisamente più vicina per sussurrargli qualcosa prima che le sue dita tornassero nella salda presa di quelle di Killian. Egli fece per parlare, ma Emma lo zittì rapidamente con un gesto secco della mano, nelle sue movenze la stessa autorità  che ci si sarebbe aspettata dal capitano di una ciurma di briganti.

«So che una parte di  voi sottovaluta le mie potenzialità, che una parte di voi dubita perfino che io sia la persona che dico di essere, tenente, ma vorrei sapeste una cosa e che la sapeste per bocca mia.» Qualcosa nei suoi occhi verdi s’indurì, rendendoli più scuri e minacciosi di quanto non fossero mai stati. Per un istante, Killian intravide i contorni dello spietato pirata che aveva giurato a se stesso di trovare, il pirata il cui ritorno a Thrain aveva aspettato per anni, il pirata che, ironia della sorte, stava stringendo tra le braccia senza aver avuto il coraggio di infliggere nessuna delle punizioni che la sua mente aveva partorito a suo tempo. «Pochi sapranno che sono una donna e ancora meno crederanno che sia io l’artefice delle storie che si narrano sul mio conto, ma, donna o uomo che sia, il capitano della Nostos non è conosciuto per la sua pazienza, men che meno per lanciare minacce in vano. Quindi, ascoltatemi e fatelo attentamente.» Lentamente, passò sotto il braccio di lui, roteando con grazia e compostezza, ma il suo sguardo era ancora spaventosamente funereo quando tornò ad intimidire il blu delle iridi di Killian. «C’è una ragione per cui sono qui stasera, una ragione che prescinde da qualsiasi possibilità di comprensione per voi, ma sappiate che non mi muovo mai senza cautela. E, ve lo prometto su qualunque sia il Dio in cui credete, se ne avete uno, che il vostro bel faccino non vi servirà a nulla se dovessi trovarvi d’intralcio al mio cammino.» Era difficile, a quel punto, distinguere dove iniziasse il verde e finisse il nero degli occhi di lei, dove iniziasse la donna e finisse il pirata. Emma strinse più forte la presa sulla mano di lui e ridusse improvvisamente le distanze; la sua attenzione si posò brevemente sulle labbra dell’uomo e la sua bocca si schiuse in un sorriso che diradò parte della minacciosità che emanava da tutto il suo essere. «Sarebbe un vero peccato!»

Quando l’orchestra smise di suonare e furono costretti a compiere rispettivamente un passo indietro per applaudirla, Emma volse il suo sguardo al regale soppalco ove si trovava il sovrano e, quando ne incontrò lo sguardo, gli sorrise e lo salutò con un cenno del capo, provocando in lui una reazione pronta. Il re le sorrise di rimando, gioviale come nessuno si sarebbe aspettato che fosse col pirata che aveva innanzi, e, presto, mandò a chiamare uno dei servitori al suo fianco per sussurrargli un rapido ordine. Killian rimase sconcertato da quella che appariva la lampante dimostrazione delle parole di lei e non ebbe il coraggio di muoversi o di fermarla, quando la vide accomiatarsi con un leggero inchino.

Possibile che fosse vero? Possibile che l’uomo per il quale aveva combattuto e ucciso avesse stretto un sodalizio con l’artefice di ripetute carneficine? Possibile che tutti gli ideali per cui si era battuto non fossero stati che una mera, fallace illusione? In un baleno, gli tornarono alla mente le parole che Emma gli aveva rivolto al molo, indicandogli le bandiere alle loro spalle e mettendo in discussione la causa per cui aveva speso una vita. Quando il servitore del re lo ebbe raggiunto e si fu schiarito la voce per l’ennesima volta, chiedendogli di seguirlo per richiesta del sovrano, Killian non oppose alcuna resistenza e, con quelle stesse domande in mente, salì la scale che lo condussero al soppalco ove Emma aveva diretto la propria attenzione.

«Il tenente Jones, Vostra Altezza!»
Prontamente, Killian batté i tacchi e s’inchinò, l’espressione corrucciata di chi non è ancora riuscito a sconfiggere la tempesta di cui il proprio animo è in preda; quando fu tornato in posizione eretta, il suo sguardo seguì l’indirizzo preso degli occhi del sovrano per vedere Emma oltrepassare l’uscio in compagnia dello stesso uomo di mezza età con cui aveva danzato per un breve momento nel corso del valzer.

«Tenente, fatevi più vicino.» lo invitò il re, portando finalmente i propri occhi su Killian e mostrando un’impazienza che quest’ultimo non avrebbe saputo catalogare. «Ditemi, la donna con cui stavate danzando è forse la vostra fidanzata?»  L’espressione di Killian dovette trasmettere uno sgomento più grande del previsto, perché, in qualche modo, si riflesse su quella dell’uomo a poca distanza da lui. «Allora?» lo incalzò e la fronte di Killian si aggrottò.

«No, signore. Quella donna è… Pensavo sapeste chi fosse, pensavo l’aveste invitata voi alla festa di fidanzamento di vostra figlia.» Com’era possibile che avesse avuto accesso alla festa senza incontrare alcuna resistenza? Com’era venuta in possesso dell’invito con sigillo regale? Quanto vicina agli ambienti di corte si era aggirata senza che nessuno riuscisse a fermarla?

«Oh, devo averla di certo invitata, ma non saprei dire a quale famiglia appartiene. Vi ha detto qual è il suo nome?» chiese, l’espressione sollevata, improvvisamente gioconda nell’aver ricevuto la conferma che la giovane non fosse accasata col tenente a poca distanza da lui.
«Vostra Altezza, quella donna è Emma Swan.»
«Emma Swan, eh? Nome grazioso!» fece, picchiettando le dita le une contro le altre, ben lontano dal comprendere cosa Killian stesse tentando di dirgli. Esasperato, il giovane fece un passo avanti e la sua irruenza allarmò l’ometto seduto in poltrona, perché lo squadrò con fare guardingo e, dietro di sé, Killian sentì le guardie muoversi.

«Vostra Altezza, quella donna è un pirata, il capitano della Nostos.» disse e la reazione di sgomento e parziale incredulità che le sue parole provocarono valsero più di qualunque parola a testimoniare quanto conosciuto fosse il nome del pirata.
«Swan? Capitan Swan è una donna?»
Il sovrano quasi urlò quella realizzazione, il viso paonazzo alla consapevolezza di aver perduto armi e uomini per le mani di quell’individuo, alla consapevolezza di essere stato gabbato in casa propria. Poi, improvvisamente, la sua espressione si fece atterrita.
«I gioielli…» sussurrò, lo sguardo perso in un punto imprecisato oltre la spalla del tenente. «I gioielli per il matrimonio di mia figlia.»

*

Agitazione, eccitazione, adrenalina. Quale delle tre componenti fosse presente in misura maggiore nel suo animo Emma non avrebbe saputo dirlo. Mentre scendeva i gradini freddi e scivolosi di una parte del castello della quale probabilmente nessuno sapeva l’esistenza, i lembi del vestito stretti in una mano per evitare che cadesse, erano molteplici i sentimenti che si affannavano per prevalere nel suo cuore. Aveva ottenuto tutto quello che aveva cercato per anni, l’unica cosa che, se tutto fosse andato secondo i piani, avrebbe potuto darle quella serenità cui anelava da tempo immemore e che null’altro avrebbe potuto fornirle se non la realizzazione della causa da cui dipendeva la sua intera esistenza.

Cauta, reggendosi con la mano libera alla parete viscida per via del muschio, Emma accolse con un sorriso grato la mano che le porse Geoffrey, il mercante al quale doveva molto di più che un semplice perdono e un posto sulla sua nave, e la strinse, seguendolo per i cunicoli di quelle che, un tempo, dovevano essere state delle segrete. Le sue orecchie captarono i rumori di passi frenetici, di ordini urlati a destra e a manca in una condizione di allarmismo generale che non avrebbe mai potuto far del bene al loro tentativo di acciuffarla, perché nulla poteva il caos contro la strategia. La musica del valzer che aveva ballato fino a pochi minuti prima era ben lontana dal riempire le sale del castello ed Emma non poté impedirsi di sorridere nel pensare a quanto facile fosse stato gabbare non soltanto l’intrepido, sciocco Killian Jones ma l’intera reggia e le sue guardie.

«Avete sentito?» fece d’improvviso Geoffrey ed Emma lo imitò, quando l’uomo si arrestò un istante e la condusse a ridosso di una parete nascosta nell’ombra. Il suono che li aveva costretti a frenare la loro corsa si ripeté ancora ed entrambi aguzzarono la vista in direzione dell’ingresso che li aveva immessi in quella parte del castello per verificare di cosa si trattasse. Il respiro le si mozzò in gola e il sangue le si gelò nelle vene, quando osservò la sagoma del tenente scendere le scale e farsi sempre più vicina. Favoriti dall’oscurità di quell’anfratto delle segrete, trattennero il fiato quando, passato a pochi centimetri di distanza dalla loro postazione, l’uomo si arrestò per guardarsi intorno ed Emma comprese che fosse venuto da solo, che in un modo o nell’altro avesse compreso quale fosse il suo piano e si fosse arrischiato ad intraprendere quell’inseguimento senza considerarne i possibili risvolti.

Prima che Geoffrey potesse realizzarlo, Emma si fece avanti e, nello sgomento che si riprodusse sul viso bello e mascolino del tenente, trovò l’impreparazione che cercava e non perse tempo. Con l’elsa del pugnale che aveva tenuto alla coscia per tutta la serata, gli colpì lo zigomo, costringendolo ad indietreggiare sulle gambe oramai malferme, e, prima ancora che avesse il tempo di riprendersi dal colpo precedente, lo colpì al viso e poco dopo alle gambe , strappandogli un grugnito e mettendolo in ginocchio. Le mani di Emma furono rapide, così rapide che, quando Killian ebbe modo di riacquisire parte della lucidità di cui il dolore lo aveva privato, era già troppo tardi: carponi sul pavimento, i suoi polsi erano costretti nel ferro ossidato di vecchie catene che tiravano le braccia rispettivamente verso destra e verso sinistra, rendendolo vulnerabile alle mani di lei.

«Stupido, orgoglioso mezz’uomo!» sputò lei, la voce vibrante di un’ira che, se non si fosse costretto ad alzare il capo dolorante per osservarne il volto, non avrebbe saputo descrivere a parole. C’era qualcosa di inumano e profondamente spietato nella sua bellezza adesso, qualcosa che la rendeva perfettamente compatibile con la miseria del luogo in cui si trovavano come ne fosse il demone custode e le anime lì venute a mancare le appartenessero.

«Uccidetemi, capitano! Mostratemi che la vostra fama vi precede con le dovute ragioni.» la sfidò, non con meno spregio, non con meno fiele. Geoffrey assistette alla scena pietrificato, come impotente e i suoi occhi si spalancarono quando Emma si fece vicina all’altro, chinandosi sulle ginocchia, e accostò il pugnale alla gola di lui. «Ma vi troveranno, non riuscirete a farla franca… Non mi sarei mai arrischiato a seguirvi senza avere la certezza che qualcuno mi avrebbe seguito. E questo è un vicolo cieco. Non avete scampo!» si fermò un attimo e tese l’orecchio, spingendo gli altri due a fare altrettanto. Il rumore di passi ancora lontani ma in avvicinamento li colse di sorpresa, la lama del coltello fredda contro la pelle del collo muscoloso. All’ampio, soddisfatto sorriso dell’uomo, Emma rispose con una smorfia altrettanto sicura di sé, l’espressione folle del suo viso improvvisamente eccitata all’idea di farla finita.

«Oh sì! Fuggirò e, quando loro saranno arrivati, l’unica cosa che troveranno sarà il vostro sangue ancora caldo penetrare le fessure della pietra del pavimento.» Benché non volesse darle la soddisfazione di vederlo cedere, non poté impedirsi di grugnire quando la lama cominciò a lacerargli la pelle.
«Fermatevi, capitano! Stanno arrivando e abbiamo ottenuto quello che volevamo.» Emma si fermò un istante e Killian, gli occhi lucidi per il dolore, riconobbe l’uomo del valzer, l’uomo cui ella aveva sussurrato in maniera fintamente incurante delle parole all’orecchio. Era stato così cieco da non vedere l’inganno dinanzi ai suoi occhi! «Avete comunque vinto. Vi serve davvero la sua vita?»

Qualcosa si accese nello sguardo di lei, qualcosa di ancora più insano, come avesse ricevuto un’improvvisa rivelazione. Rapidamente, tornò in posizione eretta e lo guardò dall’alto della sua snella, incantevole figura. Killian la osservò, il collo impregnato di sangue per la ferita infertagli, e strattonò le catene nel vano tentativo di liberarsi.

«Mi prenderò qualcosa di meglio da voi, Killian Jones.» gli promise e la mascella dell’altro si contrasse e vibrò nervosamente più e più volte. «Vi lascerò la vita e con essa la consapevolezza di averla fatta franca, la consapevolezza di aver avuto la meglio su di voi.» L’uomo strattonò ancora le catene, stavolta con maggiore vigore, come un animale selvaggio restio ad arrendersi alla cattività. «E, un giorno, quando avrò raggiunto il mio obiettivo, tornerò a prendervi, tornerò a prendermi la vostra vita in qualunque modo mi aggraderà servirmene. Quindi, aspettatemi

Un urlo risuonò per le segrete, quando Emma abbatté inaspettatamente il proprio pugnale su Killian, conficcandolo nella spalla e squarciando la carne senza pietà alcuna. Con la stessa rapidità con cui lo aveva ferito, ritrasse l’arma e, senza guardarsi indietro, cominciò a correre in direzione opposta a quella dalla quale risuonavano sempre più vicini i passi delle guardie del sovrano. Le sue gambe si mossero svelte, più di quanto non avessero fatto fino ad allora, e lei e Geoffrey raggiunsero la vecchia, sconosciuta grata che conduceva a quella parte del castello che dava direttamente sugli scogli. Il mare era quieto quella sera, protetto dalla conca che le coste formavano in quella strozzatura di terra, e, quando Emma si fu tolta le scarpe e i suoi occhi cercarono quelli del mercante, un’eccitazione tutta nuova brillò nella notte  più fulgida del chiarore lunare.

«Siete pronto?» chiese e l’altro le sorrise, annuendo. «Andiamo!»

L’ultima cosa che udì quando, diversi minuti dopo, lei e Geoffrey nuotarono fino alla Nostos, ormeggiata strategicamente a distanza di sicurezza ma vicina abbastanza perché non annegassero nel tentativo di raggiungerla, fu una promessa ululata alla notte. I suoi uomini li issarono a bordo e non fu necessario impartire loro alcun ordine, perché il ventre della nave prese a muoversi sulla superficie dell’acqua pochi istanti dopo.

Vi troverò, Swan. Fosse l’ultima cosa che faccio.”



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Spazio dell'autrice

Questa storia è rimasta in sospeso  molto più del previso, ma non perché non abbia avuto intenzione di continuarla. Non so se qualcuno di voi avesse letto il precedente capitolo e ricordi che questa dovesse essere una storia a quattro mani. Beh, la collaborazione non è andata in porto per impegni, carenza di ispirazione dell'altra autrice, tempistiche diverse. Ma confido nelle sue letture e nei suoi commenti come sempre, perché lei sa quanto ne abbia bisogno. =P
Detto questo, il secondo capitolo è di gran lunga più abbondante del primo e mi auguro vi sia piaciuto. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Come al solito, buona lettura! =]
  
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