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Autore: ItsAboutAGirl    19/05/2014    1 recensioni
Annie è una ragazza semplice e innamorata di New York e della vita semplice fatta di emozioni.
Justin è un cantante internazionale a New York di passaggio. Cosa succede se due storie completamente diverse si incontrano?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Scooter Braun
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante fossero passati già tre mesi, Annie ancora stentava a crederci: viveva nello stato di New York. Quando, due anni prima, era stata a New York City per la prima volta nella sua vita, si era giurata di tornare al più presto, possibilmente come abitante. Ed eccola lì, con i suoi permessi messi a posto grazie all'azienda H&M per la quale aveva iniziato a lavorare in Italia, la quale poi le concesse il trasferimento nella grande mela: la città dei suoi sogni.

E' impossibile non innamorarsi di New York quando la vedi. Il ritmo frenetico, quasi prepotente, di una città del genere ti sconvolge la vita, e ad Annie l'aveva sconvolta in positivo.

Tre mesi prima aveva versato lacrime di gioia quando ricevette il trasferimento, e dall'entusiamo trovò casa dall'Italia, precisamente a Staten Island. Come la sua vita italiana, anche quella americana si svolgeva con una continuità abbastanza regolare: ogni mattina Annie saliva sul Ferry che da Staten Island la traghettava a New York. E dopo tre mesi, ancora (e mi sa per sempre!) il cuore le rimbalzava nel petto mentre vedeva quel meraviglioso skyline avvicinarsi. Inoltre, nel tempo libero, continuava a salire sull'Empire ogni volta che poteva, nell'ora del tramonto e fissava in silenzio quelle miriadi di luci che illuminavano a giorno, prepotenti nella notte. 

I colleghi del negozio l'avevano accolta con l'entusiasmo quasi soffocante noto agli Americani, e lei non poteva chiedere di meglio. Aveva ventitré anni, lavorava in un negozio di abbigliamento che lei, tra l'altro, adorava, ed era a New York. E la cosa ancora più bella era il suo appartamento, un bilocale, che condivideva con tanti libri e dvd, a Staten Island, dove, al contrario, regnava la pace assoluta. Questo mix di quiete e tempesta la mandava in delirio dall'eccitazione. Poteva soddisfare la sua fame di solitudine standosene a letto e in meno di trenta minuti ritrovarsi in mezzo alla folla a Times Square stuzzicando deliziose fragole ricoperte di panna. Ed era proprio quello che stava facendo: passeggiava sognante sulla strada che costeggia il Central Park, in direzione della quinta strada, in un H&M dove la sua collega, nonchè amica, Emma lavorava.  

Mentre addentava gustosamente la fragola, Annie non smise di guardare in tutte le direzioni possibili ed immaginabili: chiunque la guardasse l'avrebbe sicuramente presa per una turista intenta a catturare immagini a tutto andare per non dimenticarsi nulla una volta lasciata la città. Invece no, poteva guardare New York all'infinito. 

La sua attenzione era rivolta, questa volta, non al Central Park, ma alla sfilza di lussuosissimi hotel alla sua destra. La domanda che si poneva era sempre la solita: quanto costerà una notte qui dentro?!

Una volta arrivata all'altezza del negozio-cubo della Apple Store, Annie sentì come se qualcosa dall'alto le si fosse posato sulla spalla. L'istinto fu quello di passare una mano isterica sulla spalla e scappare, così da poter seminare l'eventuale insetto inseguitore. Annie aveva il terrore puro di ogni sorta di insetto. Dopo una piccola corsa, comunque, si sentì la mano appiccicosa e umida, allora facendosi forza voltò il palmo all'insù pronta ad affrontare un eventuale insetto morto spiaccicato. Sfortunatamente (o per fortuna, ripensandoci) la mano di Annie non era sporca di frittata di insetto: era merda di uccello. Pian piano iniziò a elaborare l'accaduto, facendo scattare la mano di nuovo sulla spalla dove la cacca aveva colpito. Ed era lì. La sua maglia e la sua mano sporche di merda di piccione. Merda! Istintivamente alzò lo sguardo per guardarsi in giro, per contare le persone che l'avevano vista e stavano ridendo di lei. Nessuno se n'era accorto, ma adesso così ferma in mezzo al marciapiede destava sospetto tra i passanti che schifati le fissavano la mano e la maglia e acceleravano il passo. 

Che culo, pensò Annie. Poi cercò di destarsi e di trovare una soluzione. Guardò l'ora, erano le sette e mezza di sera e ormai non era più dell'umore di andare a trovare Emma. In verità non era dell'umore di camminare sporca di merda per strada. Diede un'occhiata in giro quando una folla rumorosa colse la sua attenzione: davanti all'ennesimo lussuoso hotel sembrava dovesse esserci qualche personaggio conosciuto, siccome la folla acclamava. Guardando meglio, Annie pensò potesse trattarsi di un modello, siccome erano principalmente ragazzine giovani. In quel momento riuscì comunque a sentirsi fortunata, vedendo quelle oche urlanti strepitare per chissà chi. Annie è sempre stata scettica a questo tipo di adorazione verso gente famosa. Piuttosto che ridursi così avrebbe preferito fare finta di niente, anche in caso le fosse passato un Johnny Depp sotto al naso. O, piuttosto, essere sporca di diarrea di piccione. Tornò ai suoi pensieri quando le urla e la calca le buttarono prepotentemente un pensiero in testa. Se aggiro la ressa e riesco ad entrare nella hall di quell'hotel posso trovare il bagno pubblico e lavarmi, pensò. Si complimentò da sola per la trovata: in quel momento guardie, hostess e stewart erano sicuramente tutti presi con il vip di turno, e lei sarebbe passata inosservata. L'idea di entrare in un bar conciata così l'aveva esclusa. Quello era l'unico modo di raggiungere un bagno (magari anche lussuoso!) senza esser vista. Il suo aspetto esile l'avrebbe aiutata ad essere invisibile, ma non era sicura che ciò valesse anche per i suoi capelli: corti, con un buffo e particolare ciuffo rosso sbarazzino che saltellava ad ogni passo a suo piacimento. Avvicinandosi alla ressa vide ragazzine in lacrime che imploravano le guardie di farle passare. Ma come sono messe? Pensò Annie accostandosi al muro dell'hotel. Sicuramente lei non si sarebbe mai abbassata a tanto, nemmeno per il suo più grande idolo.

Decisa nel suo intento, smise di osservare sbigottita le sedicenni impazzite e facendo un lungo respiro raggirò la calca e sgusciò di lato sulle scalinate dell'hotel. Se qualcuno le avesse detto qualcosa, avrebbe potuto dire che alloggiava li. Anche se non sapeva se le si leggesse in faccia che lei non se lo sarebbe mai potuta permettere. Ma, come aveva previsto, nessuno fece caso a lei e in pochi secondi si ritrovò, sempre in disparte, nella hall del palazzo. Notò con agitazione che anche dentro il clima era teso, frenetico e nervoso, c'era del personale che correva a destra e a sinistra urlando cose, impartendo ordini, e nessuno faceva caso a lei. Bene, pensò, qualcosa mi dice che posso cercarmi un bagno senza esser disturbata. Si guardò intorno, una hall gigante quanto un campo da calcio. Era al lato opposto del bancone in legno mogano, vicino ad un salottino colmo di tavolini e poltrone che davano l'idea di essere molto comode, e anche molto costose. Superato il salone con poltrone e reception, si avviò lungo un corridoio dove c'erano varie porte una di seguito ad un'altra, con le scritte sopra tipo “piscina”, “terme”, “idromassaggi”. Ma i bagni? Pensò Annie. Lievemente irritata arrivò alla fine del corridoio dove c'erano solamente quattro ascensori. Vicino, un cartello indicava dei bagni su ogni piano del palazzo, e uno lì, al primo piano, ma secondo la cartina era vicino alla reception, e Annie pensò che era meglio non rischiare. Inoltre, siccome regnava il caos, era sicura che i piani superiori li avrebbe trovati più tranquilli. Chiamò l'ascensore, che era al ventesimo piano, e le parve di aspettarlo una eternità. Il palazzo aveva cinquanta piani venne a conoscenza una volta all'interno. Il cuore le fece un sussulto. Se vado all'ultimo piano e trovo una finestra ben posizionata, posso vedere il Central Park dall'alto, si disse. E così fece, spingendo il bottoncino numero cinquanta e iniziando la lenta salita. Come aveva previsto, il piano sembrava deserto, ma era solamente un lungo corridoio pieno di stanze a destra e a sinistra. C'erano due finestroni, uno da un lato, e l'altro dal lato opposto, e non davano su Central Park. Entrò nella porta che indicava i bagni e finalmente potè buttare la mano sporca sotto l'acqua. Dopo una quindicina di lavate passò alla maglia. In preda allo schifo, si lavò ripetutamente come fece con la mano, la spalla, siccome la sentiva inumidita. Dopo poco si ricordò di essere in un palazzo in cui non sarebbe dovuta stare, per di più dentro ad un bagno, in reggiseno. Passò a sciacquare la maglia con il sapone sotto l'acqua, freneticamente, pensando di doversene andare da li al più presto. Non sentiva rumori provenire da fuori, ma secondo lei era perchè si trovava in un posto ben insonorizzato. In più aveva il lavandino aperto e attutiva i rumori. Mentre sfregava la maglia si diede un'occhiata allo specchio: il ciuffo rosso regnava possente sul lato sinistro della sua fronte. Due occhi marroni scuro la fissavano dallo specchio e lei li fece vagare dalle sue spalle, piegate in avanti intente a lavare la macchia di merda sulla maglia, fino al seno che, come diceva sempre sua nonna, starebbe comodamente dentro due coppe di champagne. Annie non dimostrava affatto ventitrè anni, un po' per il suo look androgino, e un po' per il suo aspetto minuto, ma aveva le curve giuste, nel posto giusto. Con un paio di tacchi avrebbe potuto far voltare la testa a molti ragazzi, ma tanto lei con i tacchi non andava d'accordo. La sua tenuta più comoda, come quella di oggi, nei caldi giorni d'estate newyorkesi, erano un paio di short e una maglia maniche corte (possibilmente non cagata da uccelli). Ai piedi indossava le sue amatissime converse basse, una scarpa che lei non avrebbe sostituito con nulla al mondo. Indugiò sul suo aspetto, senza fare troppi commenti, e finì di lavare la maglia. Quando spense l'acqua, restò qualche secondo immobile per assicurarsi che tutto fosse tranquillo, dopodichè accese l'asciugamani automatico e ci piazzò sotto il pezzo di maglietta bagnata. Non sa per quanto tempo rimase in attesa che fosse asciutta, non le sembrò molto, ma sicuramente fu abbastanza siccome ad un certo punto, proprio nel momento esatto in cui stava per premere il bottone di accensione dell'asciugami per la ventesima volta, la porta del bagno si spalancò, facendola spaventare a tal punto da lanciare un urlo mentre, velocissima, si girava verso il disturbatore. La persona che vide davanti a lei era sicuramente l'ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere lì, in un bagno al cinquatesimo piano di un hotel. Poi ci ripensò, effettivamente era normalissimo che una persona come quella che i suoi occhi stavano vedendo era li, perchè era lei quella fuori posto. Però, si sarebbe aspettata di tutto, un cameriere, una donna delle pulizie incazzata che l'avrebbe inseguita con una scopa in mano, il direttore, un carabiniere, o comunque qualsiasi altro ospite dell'hotel, ma non lui. Per lo stupore, dopo l'urlo, si zittì, rimanendo immobile di fronte al capitato, la maglietta spiegazzata in mano, indecisa sul da farsi. L'unica cosa che riuscì a pensare, fu che finalmente aveva capito come mai di quelle ragazze impazzite che sotto si stavano svuotando di ogni lacrima per poter entrare.



Dal canto suo, invece, Justin Bieber, aspettò che l'asciugamani smise di fare quel casino prima di poter dire qualsiasi cosa. Il che fu anche un bene, siccome tutto si aspettava, ma una ragazza intenta ad asciugare una maglia sotto l'asciugamano proprio no. Di fan pazze ne aveva trovate a miliardi. Per quanto provasse amore profondo per ogni sua sostenitrice, gli era capitato ben più di un evento imbarazzante con quelle più scalmanate. Ora che ci pensava bene, forse una in reggiseno nei bagni del suo piano, non era la cosa peggiore che gli fosse capitata. Si chiese anche come fosse riuscita ad arrivare fino a li, con tutto il caos di guardie che regnavano di sotto. Si chiese anche come mai era senza la maglietta, a dirla tutta. Non riusciva a darle un'età, era bassa, con un viso tanto carino quanto buffo, e quel ciuffo rosso lo divertì. Il resto cercò di non guardarlo, anche se non potè fare a meno di notare che, nonostante il corpo sottile, la ragazza aveva un seno pieno ma piccolo, molto grazioso. Di fan carine, Justin, ne aveva viste tante, ma era suo obbligo evitare ogni sorta di relazione con loro. Era così famoso e seguito, che non avrebbe mai potuto fermare l'onda di fan impazzite alla notizia di una sua amicizia, o qualcosa di più, con una di loro. E poi, secondo lui, era anche una cosa impossibile da tenere su, amava le sue fan per il loro sostegno, ma non sarebbe mai riuscito a stare con una di loro. Già la sua fama non gli permetteva di avere rapporti del tutto sani nella sua vita. Molti ne erano entrati a far parte sembrando ottimi amici, per poi rivelarsi inutili approfittatori. Insomma, per un ragazzo come lui era difficile anche solo andare in bagno, siccome rischiava di trovarsi una ragazza in reggiseno dentro.

L'aggeggio smise di buttare fuori aria e Annie si decide a parlare. La sorpresa l'aveva per un attimo raggelata ma si destò il più in fretta possibile.

Io... Scusami – disse incerta, guardando prima la maglia e poi il suo riflesso svestito sullo specchio. Si girò dando le spalle al ragazzo e si mise la maglietta – Sono entrata qui di nascosto, ok, ma un piccione mi ha cagato addosso e avevo bisogno di un bagno, qui era tutto un casino così ho pensato di potermi lavare senza essere vista da nessuno – spiegò tutto d'un fiato, tornando poi a fissare Justin. Lui, invece, pensò che se era una scusa, era la più bella che avesse mai sentito. Infatti gli venne da ridere.

Un piccione ti ha cagato addosso? - chiede mezzo divertito e mezzo scettico.

Si e allora? - ribattè nervosa Annie – le persone come te non hanno mai ricevuto una merda di uccello addosso? O siete talmente ricchi da evitare che anche cose simili accadano? - chiese con aria saccente, pensando poi di avere un po' esagerato. Justin rimase un po' perplesso per il tono permaloso della ragazza, e iniziò a dubitare che quella fosse una farsa di una fan impazzita. Il tono col quale gli aveva parlato non lasciava trapelare nessun sentimento positivo nei suoi confronti. Oppure era una ottima attrice. L'espressione seccata sul volto della ragazza però la trovò così simpatica da farlo sorridere ancora.

Io... Mmmh, no, io non ho mai pagato gli uccelli affinchè non mi cagassero addosso. Forse fin'ora la mia direi che sia stata solo fortuna ma se vuoi posso mettere una buona parola per te nel mondo dei volatili in modo che non ricapiti più – rispose ironico Justin. Notò con divertimento che la cosa fece ancora più corrucciare la ragazza.

Si, te ne sarei grata, e sarei grata anche se potessi uscire di qui ora e continuare la mia vita – rispose Annie decisa, iniziando a radunare le sue cose sparse sui lavandini. Intanto Justin si levò ogni dubbio: era una ragazza normale, l'aveva riconosciuto, si, ma non era una stalker impazzita. E, davanti a lui, se ne stava andando senza lacrime sul volto, senza urletti strani, se ne stava andando così, come se niente fosse. Nemmeno lui seppe che strani pensieri gli scattarono in testa mentre la vedeva mettersi la borsa a tracolla pronta ad andarsene da dove era venuta, fatto sta che qualcosa gli disse di fermarla. Qualsiasi cosa.

Comunque piacere, io sono Justin – le disse allungando una mano. Non gli capitava di dire quella frase e fare quel gesto da un sacco, tantissimo tempo. Anche Annie pensò la stessa cosa, lo guardò per qualche secondo stupita e poi con un alzata di spallucce gli strinse la mano presentandosi a sua volta.

Io mi chiamo Annie e hai appena stretto la mano che ho usato per togliere la merda dalla maglia – disse guardandolo seria. Justin non seppe bene cosa fare, se ritirare la mano o ridere, finchè Annie gliela scosse e la sua espressione seria si trasformò in un sorriso radioso, estremamente divertito, quasi pronto a sfociare in un risata. Lui notò le fossette sulle sue guance sorridenti e, stando al gioco, ritirò la mano fingendosi schifato e insieme risero.

Ora che sei qui presumo che sotto non ci sia più il caos di prima – sospirò Annie preoccupata mentre insieme a Justin usciva nel corridoio.

No, credo tu possa andare tranquilla, le mie fan... insomma, di persone qui fuori ce ne sono sempre quando sanno che c'è un personaggio famoso in hotel – spiegò Justin.

Che palle, chissà che noia non potersi godere neanche una passeggiata in Central Park – mormorò Annie leggendo i numeri su tutte le porte delle camere. Justin rimase zitto al suo fianco e arrivarono agli ascensori.

Scusa, non dovevo giudicare la tua vita così, perdona me e il mio scetticismo – disse Annie

Oh no, tranquilla – rispose Justin in tono amaro – la mia vita, che mi sono scelto, è così: persone che ti amano tanto da arriva ad impazzire, e persone che ti giudicano una nullità, non condividono la tua vita e se possono cercano anche di rovinartela -

Io non ti conosco affatto – iniziò Annie con un tono indispettito che stupì Justin – so come ti chiami e cosa fai, tutto il mondo lo sa perchè è costretto a saperlo, poi chi vuole ti segue, chi vuole no. Ma sia chi lo fa e chi non lo fa non sa niente di te. Nessuno sa niente di te, come nessuno sa niente di me. Solo tua mamma forse può dire di conoscerti, perciò evita di etichettarmi come quella che ti crede una nullità! Io non credo niente di nessuno, se non conosco. - sbottò nervosa.

Non intendevo dire questo, io... - ma Annie lo zittì con un sospiro – lascia perdere, davvero. Torno giù – e chiamò l'ascensore.

Non mi capitava di parlare con una persona che mi tratta come un comune mortale da un po' – affermò Justin

Lo immagino quanto può far male – lo seccò Annie sbattendo impaziente il piede per terra seguendo con gli occhi i piani che l'ascensore stava facendo.

Non mi fa male – ribattè lui, iniziando a sentirsi nervoso. Ma come poteva una perfetta ed impertinente sconosciuta farlo innervosire così? Perchè non la mandava a fare in culo e se ne tornava in camera tranquillo? - era un pensiero positivo. Alle volte tornare alla realtà mi fa bene, essere normale – spiegò, cercando di stare tranquillo. Annie capì che forse era stata troppo dura.

Scusami di nuovo, ok? - sospirò – è che non mi aspettavo di incontrare nessuno qua su, anzi, pensavo e speravo addirittura di trovare un finestrone a lato parco per poter ammirare il Central Park dall'alto, invece niente. Bagni pubblici e Justin Bieber che si offre di dare una buona parola con me agli uccelli – e, finalmente pensò Justin, tornò a sorridere. Era un sorriso caldo, chiunque avrebbe percepito calore di fronte a quel sorriso. Di tutta risposta anche lui abbozzò un sorriso – Vieni – le disse, dandole le spalle e tornando indietro sul corridoio da dove erano appena arrivati.

Ehi! Che cosa...? Qui c'è l'ascensore, dove devo venire? - gridò lei dietro a Justin, guardando prima lui di spalle allontanarsi e poi l'ascensore aperto. Dannazione, pensò, dando un'ultima occhiata all'ascensore chiudersi e inseguendolo. Mentre ripercorrevano il corridoio infinito, Annie notò per la prima volta come Justin era vestito: una paio di jeans leggermente larghi cadevano sopra un paio di scarpe da basket. Sopra i capelli a spazzola non vi era il solito cappello stile rapper che le era capitato di vedere in qualche foto su Internet, ma non mancava, sopra i jeans, la t-shirt (larga anche lei) iper colorata, davanti e dietro, colori e linee talmente fitte da non riuscire a capire bene di che fantasia si trattasse. In ogni caso non era conciato male come aveva visto in giro per il web, oggi era abbastanza normale, si avvicinava addirittura un po' al suo stile trasandato.

Persa in quei pensieri momenti andò a sbattergli addosso quando lui si fermò a ridosso di una stanza.

Dalla mia stanza si vede benissimo Cetral Park – le disse mentre apriva la porta con la chiave magnetica.

Io... Sei sicuro? Io non penso sia una buona idea, voglio dire, venire in camera tua, magari qualcuno poi sale, sai, non vorrei nemmeno disturbarti oltre, davvero, poi magari c'è qualche paparazzo voltante che gironzola fuori dalla tua finestra... - iniziò a farfugliare Annie senza sosta, allora Justin ridendo divertito non fece altro che spingerla piano all'interno.

Annie si ritrovò in una suite da urlo. Da sola, in una suite così enorme, non saprebbe nemmeno che cosa fare per primo. Buttarsi nel letto e saltare fino a quando la milza non raggiunge la gola, strafogarsi di ogni dolce presente sul vassoio o se guardare l'intera saga di Harry Potter senza fermarsi dentro la Jacuzzi posizionata ai piedi del letto, perfettamente di fronte al televisore al plasma più bello che lei avesse mai visto. Forse quest'ultima sarebbe la prima cosa che Annie avrebbe fatto. Si guardò attorno a bocca aperta mentre Justin calciava qualche scarpa buttata malamente a terra e si avviava alla finestra.

Forza, vieni a vedere – le disse

Annie si destò dai pensieri e lentamente si avvicinò al finestrone e il cuore le salì in gola. Tre mesi, cazzo, tre mesi e New York appariva ai suoi occhi così bella, come se ogni volta fosse la prima. Era il tramonto, una luce perfetta illuminava Central Park gremito di persone. L'emozione le fermo la saliva in gola, lo stupore le illuminò gli occhi.

Sei qui in vacanza? Guardi il panorama come una turista che non aspettava altro che essere qui – le chiese Justin divertito

Sono italiana – spiegò Annie senza smettere di tenere gli occhi incollati sul panorama – Vivo qui da tre mesi, mi hanno trasferito a lavoro, ma ogni volta è una magia nuova guardare fuori -

Justin, invece, era meravigliato nel vedere la meraviglia di New York riflessa negli occhi della ragazza. Era stato nella grande mela tante di quelle volte, eppure in quel momento gli piaceva quanto piaceva a lei. Le sue labbra erano piccole, sottili e di un roseo affascinante. Dopo qualche minuto, mentre Annie non staccava gli occhi da Central Park, e seguiva il movimento di più persone possibili, Justin si ritrovò a fissarla, ma non solo gli occhi. Le fissava le labbra, il collo, le spalle, la schiena e la gambe. Gli piaceva l'aspetto di quella ragazza, dalle forme piccole ma femminili, quando un altro pensiero gli sfiorò la mente: capelli corti e abbigliamento comodo, largo e non curato come le bamboline che era abituato a vedere lui. Sarà lesbica? Si chiese. Poi si rimproverò da solo. Perchè devo farmi una domanda del genere, si disse, cosa cambia? Ovviamente Justin non era omofobo, anzi, ma chissà perchè, in quel momento, sperava che la risposta alla sua domanda fosse no. E al tempo stesso si ribellava a se stesso, non capendo come mai pensasse quelle cose, come se avesse potuto fare chissà quale differenza il gusto sessuale di Annie. Durante queste ondate di pensieri, Justin non si accorse che intanto fuori il sole era calato, e Annie si era spostata e si era seduta al bordo del letto, fissandolo con aria molto divertita.

Sei un fan di moquette? Fissi la tua come io fissavo Central Park poco fa – lo prese in giro

Ah, che simpatica! - la schernì lui, ridestandosi e guardandola. Sei lesbica? Pensò e poi si tirò un cazzotto immaginario.

Ti ringrazio, mi mancava vedere Central Park così. E' stato uno spettacolo! - esclamò Annie entusiasta.

Sei lesbica? - Figurati, mi sembrava carino siccome la vista da qui merita – le disse, invece, lui.

Già, eccome se merita! - e poi Annie si accorse di come la stava guardando – Perchè mi guardi così sospettoso? Non sono mica un pacco bomba – gli chiese.

Sei lesbica? Justin voleva poter fermare i suoi pensieri – No, io, mi chiedevo... Nulla, sono contento di averti fatto questo piacere, davvero – farfugliò indeciso girando per la stanza con Annie che lo guardava con un punto interrogativo stampato in faccia. Lei iniziò a sentirsi imbarazzata da questo strano comportamento, finchè non ci arrivò.

Ah, ho capito – interruppe il silenzio – Ovviamente essendo abituato a standard di livelli superiori, non sei abituato a vedere ragazze normali come me. Be, ma ti capisco... - Justin capì che era uno di quei momenti che lei avrebbe iniziato a parlare senza fermarsi e già si sentiva meno nervoso e più divertito – Passare dalle top model ad una campagnola può fare strano e finalmente ti sei reso conto che qualcuno potrebbe salire, vederci, pensare assolutamente male e tu non faresti sicuramente bella figura... - continuò imperterrita la ragazza e Justin iniziò a perdere il filo del discorso. - Ma lo capisco, cioè, guarda le mie converse in che situazione sono e invece guarda le tue scarpe, ne devi sicuramente comprare un paio ogni volta che ne sporchi un'altro, invece se devo dirla però io preferisco le scarpe un po' sporche, sanno di vissuto, anzi, secondo me sono proprio meglio, un paio di converse nuove e lucide mi fanno cagare, pensa che quando me ne regalano un paio nuovo faccio di tutto per sporcarlo in fretta perchè mi vergogno ad averle bianche... - Justin perse la pazienza – Ma non mi interessa delle scarpe sporche e nemmeno di quelle pulite, sei proprio fuori strada. Sei lesbica? - e questa volta lo disse ad alta voce. E anche ben udile, perchè Annie si zittì all'improvviso, le labbra serrate e un'espressione indecifrabile sul volto. Justin le rivolse un sorriso nervoso, in attesa di risposta.

C...cosa? Sono cosa? - Annie era incredula. Lei stava cercando di accettare l'idea di non essere una ragazza alla moda, figa e desiderata, mentre il vero problema di quell'omofobo del cazzo era che lei aveva un aspetto meno femminile rispetto ad una super top model?

Senti un po'... - iniziò alzandosi, puntandogli minacciosa il dito contro e avvicinandosi. Adesso la sua espressione era facilmente decifrabile: indignata. - Che razza di mente bacata deve avere un pivello come te a fare certe domande? Ad avere certi pensieri? Ti meriti che io ora esca dalla stanza e dica a tutti quanto tu sia gay, siccome stavi qui con me che, avendo i capelli corti, sembro proprio una lesbica di primo grado! Ma tanto, sai cosa? Già ce ne sono a miliardi di voci in giro riguardati la tua omosessualità. Invece hanno sbagliato, dovrebbero parlare tutti della tua omofobia, della tua paura di essere visto con una lesbica, perchè chissà quante belle storie potrebbero inventarsi i giornalisti, e poi che delusione le tue fan! - Annie quasi urlava, puntando sempre più minacciosa il dito al petto di Justin. Lui, invece, era così divertito che non sapeva se si sarebbe trattenuto dal mettersi a ridere di gusto. Era la scena più buffa a cui avesse mai assistito. Lui che chiedeva ad una ragazza strana, pazza e carina se per caso fosse lesbica, per interesse, ovviamente, e lei che sbraitava dandogli dell'omofobo. Fantastico! Voleva ridere, ma il fatto che lei stesse dicendo quelle cose gli metteva addosso il dubbio che lei lo fosse davvero. Ma, Annie, affannosa, concluse con un – E comunque no, non sono lesbica, ma sono favorevole all'amore di ogni tipo, alle persone di ogni tipo, tranne quelle irrispettose come te! - e lo guardò quasi schifata, con il dito premuto ancora sul suo petto, i suoi occhi dentro a quelli di lui, in attesa di una spiegazione. Aveva risposto no, e Justin si sentì sollevato. - Hai finito? - le chiese, e sorrise di un sorriso a trentadue denti.

Ti fa anche ridere la cosa? - incalzò Annie – Mi chiedo cosa cazzo faccio ancora qui, in questa stanza -

Non ti hanno mai insegnato a rispondere alle domande con un semplice Si, perchè? Oppure con un No, perchè? Sai... in questo modo daresti spazio alla persona che hai di fronte di spiegarsi, di motivare il perchè di una domanda che magari può sembrare tanto strana – le disse lui, tranquillo, sorridente mentre le toglieva il dito puntato addosso. E allora iniziò lui: le puntò a sua volta l'indice contro e iniziò ad avvicinarsi, proprio come aveva fatto prima lei. Solo che Annie, nel frattempo, indietreggiava, fino a quando, raggiunto un muro, non fu costretta a fermarsi e a farsi raggiungere da Justin, che le puntò il dito al petto dicendo – Puoi dire tutto quello che vuoi di me, dare credibilità a tutte le cose che senti in giro se vuoi, ma non sono omofobo. Per la mia immagine, e tra l'altro in questo momento siamo qui, da soli, quindi la mia immagine vale ben poco, essere qui con una lesbica non importa affatto, anzi. - spiegò avvicinando il viso a quello di Annie, cercando di assumere l'aria più minacciosa possibile.

E allora perchè me l'hai chiesto se non te ne frega niente?- sbottò lei voltandosi di lato per non guardarlo.

Hai ragione, in effetti mi interessa, se te l'ho chiesto. - confessò lui e allora lei tornò a guardarlo con l'aria di chi ha vinto, di chi sa di aver ragione. Allora lui spostò l'indice dal petto a sotto il mento della ragazza, avvicinandosi ancora di qualche centimetro. Annie sentì che il cuore iniziava a fare capriole dentro al petto e giurava di poter sentire il fiato del ragazzo sulla sua faccia. Non capiva, o forse si, ma non ci credeva, non credeva a niente, voleva solo convincersi del fatto che Justin Bieber fosse un omofobo e che l'avesse offesa, e che da li, lei, doveva solo andarsene, siccome, tra le tante cose, lei non era li nemmeno per vedere lui. - Il motivo però non è esattamente quello che hai sbraitato tu – sussurrò lui piano, alzando con il dito il viso della ragazza, per permetterle di guardarlo negli occhi. Annie si sentiva immobilizzata, non sapeva nemmeno se stava respirando o no, era solo sicura di avere gli occhi spalancati e la bocca leggermente aperta, incredula, stupita. - Il motivo era solo questo, ragazza urlante... - disse lui sempre a bassa voce e, sempre tenendole il mento alto verso di lui, si avvicino senza indugiare al suo viso, appoggiando le sue labbra alle sue, iniziando a dare dei baci soffici a quelle piccole labbra ancora aperte dallo stupore. Annie stava morendo, letteralmente morendo. Nessuno, da quando era li, si era osato a baciarla. Ok, lei non aveva cercato storie, qualche flirt c'era stato, ma niente di così esaltante. Invece ora era li, in una stanza di uno degli hotel più lussuosi di New York, davanti a Central Park, con le labbra avide di un cantante internazionale che la baciavano. E tutto per una cagata di uccello! Justin continuava a baciarle le labbra e lei sentì il corpo infiammarsi. Forse avrebbe dovuto respingerlo e correre via a gambe levate. Provò qualche secondo a imporsi di fare così, ma non ci riuscì. Anzi, senza nemmeno accorgersene, le sue labbra avevano iniziato (da sole, senza il suo permesso!!!) a ricambiare i baci del ragazzo. Lui fece scivolare il dito dal mento alle guance, fino a raccogliere il piccolo viso di Annie tra le mani e lei capì che ormai non c'era più niente da fare. Non aveva più il tempo di scappare, neanche di inventarsi che aveva cambiato idea ed era effettivamente molto, molto, molto lesbica. Meccanicamente le sua mani si alzarono e andò a stringere le braccia di Justin alzate sul suo viso. Si staccarono da quei baci asciutti e soffici, il tempo di scambiarsi uno sguardo pieno di contrastanti emozioni. Annie si sentiva avampare, il suo corpo era un fuoco unico, e la sua mente stava perdendo la lucidità che da sempre la caratterizzava come una persona molto razionale. Justin, invece, sentiva di non volersi fermare per niente al mondo, stava tenendo quel viso tra le mani e sentiva delle emozioni nuove. Al contrario, invece, la sua mente, poco lucida anch'essa, sapeva che stava facendo una cosa sbagliata. Con il suo viso tra le mani, Justin piegò la testa di lato e si riappropriò delle labbra di Annie, e questa volta il bacio si trasformò in un bacio più caldo, più umido. Le loro bocche si aprirono piano, dando spazio alle loro lingue di incrociarsi. In entrambi, i momenti di lucidità venivano spazzati via inesorabilmente dall'irrazionalità. Si stavano baciando da un po', entrambi incapaci di fare qualsiasi altro passo. E, come se qualcuno dall'alto volesse evitare loro altre azioni azzardate, qualcuno bussò alla porta.

Cazzo! - esclamò Justin staccandosi immediatamente da Annie e guardandola incredulo.

Justin, sei in camera? - una voce maschile proveniva dal corridoio

- E' Scooter! Il mio manager, cazzo! - spiegò Justin guardandosi intorno. Annie, ancora intontita dal bacio, cerco di destarsi, di capire che intenzioni aveva il ragazzo.

Io... Meglio che vado, no? - balbettò

Justin non la calcolò, si passo la mano sulle labbra, come se avesse paura che si vedesse che erano reduci da un bacio, e andò ad aprire la porta. Annie, da lì, non sentì cosa i due si stessero dicendo, fatto sta che voleva andarsene. Quel bacio le era così tanto piaciuto che questo le dava il nervoso. Per di più, il menefreghismo di Justin nei suoi riguardi quando arrivò il manager alla porta le urtò il sistema nervoso. Prese la sua borsa, fregandosene di tutto, e si avviò alla porta. Ovviamente la faccia dell'uomo che li aveva (grazie a Dio!) interrotti fu impagabile. Dire che era sbalordita alla vista di Annie era poco. Justin invece spalancò gli occhi, sembrava proprio voler dire “Che cosa diavolo stai facendo?” e Annie si sentì urtata ancora di più.

Salve! - disse lei tranquilla prima che entrambi potessero dire qualcosa – Oh, non fate caso a me... Me ne stavo giusto andando – aggiunse, sforzandosi di sorridere, e voltandosi per andarsene.

Aspetta! - Justin la prese per una mano, fermandola e per un attimo si guardarono negli occhi. Annie vide due occhi dispiaciuti di vederla andare via così. Ma al tempo stesso due occhi che non volevano far trapelare una cosa così imbarazzante per un vip come lui. Annie non ci credeva. Nessuno avrebbe mai creduto ad una persona così, che è costretta a mentire ogni giorno, ad apparire diverso da quello che è, davanti ad un pubblico sempre presente. Lui se ne stava solo approfittando, e avrebbe continuato a farlo se non fosse arrivato l'altro a bussare. E lei, come una emerita idiota, ci stava cascando. Ma chi l'avrebbe mai bevuta? Nemmeno i comuni mortali a momenti davano segno di volersi interessare a lei, figurati uno così. Si convinse, non c'era niente di buono in quel bacio, niente di positivo. Lasciò la mano del ragazzo.

Tranquillo Justin, alla fine ci siamo detti tutto – disse lei cercando di inventarsi qualcosa – Sai... - continuò rivolgendosi al ragazzo sulla porta – siamo vecchi amici. Solo che io... Sono un po' lesbica e non vorremmo mai che un giornalista possa pensare male a vedere Justin parlare con una amica lesbica! - sbottò senza pensarci troppo e si voltò.

Annie giurò che l'ultimo sguardo di Justin era dispiaciuto, ma scacciò via quel pensiero mentre scendeva con l'ascensore e, finalmente, si lasciava alle spalle quell'accaduto così strano. Cercò di pensare il meno possibile a quel favoloso bacio, prima di tutto smettendola di pensare che era stato effettivamente favoloso. Per tutto il tragitto verso la metro in direzione della stazione del Ferry cercò di distrarsi guardando intorno le meraviglie della città, ma nemmeno quelle servivano a cancellarle i pensieri. A casa mangiò un panino dall'aspetto molto triste e poi si mise davanti alla tv aspettando che il sonno arrivasse in fretta, l'unica soluzione al suo problema di non pensare a niente.

Quel che non sapeva era che, appena sparita dall'ascensore, il ragazzo alla porta di Justin si era messo a ridere.

Che bel tipo! Anche se non è molto brava a mentire... e' una tua fan? - chiese

No, anzi, proprio per nulla – rispose Justin amareggiato

Scusa se vi ho disturbati. Non sembri molto felice-

E' che... -

Puoi anche non nasconderti, con me, lo sai. Se stavate facendo qualcosa puoi dirmelo, però devi fare attenzione con le tue fans

Te l'ho detto, non è una mia fan... Era qui per caso, è una storia lunga. - poi si interruppe e lo guardò serio – Quindi tu non sei stranito che ero nella mia stanza con una ragazza come lei? - chiese

Il mondo è pieno di ragazze normali, Justin. Benveuto nella realtà! - gli rispose lui con una pacca sulla schiena

Cerca di capire chi è, dove abita o dove lavora allora – concluse Justin sorridendo, sentendosi tranquillo, maledicendosi per aver interrotto così male quel bacio che a lui, in tutta sincerità, era piaciuto da morire. 
  
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